Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 2 luglio 2010

Le scimmie del capitalismo impazzito

Da megachip.info
Scritto da Giulietto Chiesa Mercoledì 30 Giugno
Questo articolo comparirà su «La Voce delle Voci» - luglio 2010.
Di Pomigliano dovremo parlare a lungo. Anzi, più che parlarne, su questa trincea dovremo combattere.
Perché questo è l’inizio di unasvolta epocale, in cui chi comanda cerca di imporre le sue nuoveregole alla società intera.Regole di una nuova guerra di classe.Regole di un potere che traballa, senza prospettive e destino, ma cheper questo diventa feroce e pronto a tutto.
Noi, che stiamo dalla parte di chi subisce la violenza, abbiamo perduto. Se ti costringono, con la pistola alla tempia, a sceglieretra il vivere e il morire, l’esito è scontato.
Ma a Pomigliano l’esito non è stato così scontato.
Se si misura l’enormità del ricatto e dell’offesa inferta ai lavoratori; se si misura il tradimento di quasi tutte le centrali sindacali; se si misura l’assenza, l’insulso balbettamento del PD, quando non i decibel scomposti dei peana innalzati a Marchionne daimaggiordomi torinesi Fassino e Chiamparino; se si misura la praticamente unanime azione del mainstream televisivo e giornalisticoa sostegno del padrone e/o del governo: se si misura tutto questo, allora il risultato ottenuto dalla caparbia resistenza della FIOM assume dimensioni straordinarie.

Che fanno pensare che la partita nonè affatto perduta.Ecco perché la FIAT non è contenta del risultato e la Confindustrianeppure: si aspettavano di stravincere e così non è stato. Giàpensavano che sarebbe stata una pacifica (per loro) discesa introdurredappertutto le norme imposte a Pomigliano, in tutti gli stabilimentiitaliani, in tutti i settori.
Tutti i padroni, infatti, potranno dire, cifre alla mano, che intutte le aziende italiane il costo del lavoro è superiose a quelloche c’è nelle loro filiali (o nelle filiali del vicino di panfilo)in Romania o in Cina, o in Polonia, o nelle Filippine, o in Messico.
Invece i dati del referendum gaglioffo dicono che non di una pacificadiscesa si tratterà e forse, al contrario, di una strada dissestata ein salita.
Certo il sindacato si è presentato allo scontro non solo diviso maanche disarmato. Non solo perché arrendevole. Soprattutto perché,non avendo elaborato, pensato, immaginato, disegnato un programma diradicale riconversione industriale (l’unico in grado di difendere erilanciare l’occupazione, ma in altra direzione), non ha potutocontrastare la mortifera atmosfera che promana da un’azienda (laFIAT) e da un settore (quello dell’auto) destinati ad affondarenella crisi.
E in tempi rapidi.Senza una chiara visione del disastro che incombe non si puòproporre nessuna alternativa. Senza aver capito che l’automobile nonè più un futuro per nessuno, non si può nemmeno gridare a gran voceche la scimmia al comando è definitivamente impazzita. E che le suepromesse – per le quali la maggioranca, costretta, ha comunquevotato – sono non soltanto cattive ma anche irrealizzabili. La FIATnon produrrà comunque i sei milioni di vetture che ha detto di volerprogettare.
E, se li producesse, non li potrebbe vendere. Perché secomprimi il mercato della domanda (come sta avvenendo drammaticamentein tutte le direzioni) la tua offerta non troverà acquirenti.Quello che si vede è soltanto una cosa: un attacco strategico aidiritti, da usare subito.
Per cui a Pomigliano si è votato che cosa?Di rinunciare a diritti, costituzionali e umani, fondamentali, pertenere in vita per qualche mese un quasi cadavere che, quandocomincerà a puzzare, verrà seppellito, esattamente come TerminiImerese, con la scusa che il mercato non tira. Amen.
In realtà sta accadendo qualche cosa di molto più importante.
Ilcapitalismo finanziario è senza una linea e una guida, e assomigliasempre di più a una guerra per bande senza esclusione di colpi. E ilcapitalismo industriale è di fronte ai limiti dello sviluppo, e nonha più i margini per ripetere quello che ha fatto per quasi unsecolo: cioè non può più mantenere un retroterra relativamenteprivilegiato, relativamente fidato.
Il gigantesco surplus cherealizzava sulle spalle del mondo povero veniva in parte erogato pertenere relativamente alto il tenore di vita delle classi lavoratricidei paesi ricchi, soprattutto dei ceti medi.
Certo, questo gli serviva non solo per attenuare il conflitto in casapropria, ma anche per avere un mercato di consumo sostenuto all’interno dai produttori divenuti consumatori.Oggi non è più possibile. Scesi i margini, nel pieno di unasovraproduzione non assorbibile, apparsi concorrenti nonaddomesticabili, le classi dirigenti sono costrette a rompere il pattosociale con le classi lavoratrici del miliardo d’oro.
Non si puòpiù offrire loro tutti i lussi del consumo di massa. Dopo averliistupiditi per decenni con la pressione consumistica a oltranza, nonsi sa più se li si potrà costringere a spendere ancora indebitandosi(in America e Gran Bretagna ci sono già riusciti, ma in Europa parefunzioni molto poco).
E non si sa, al contrario, se si riuscirà aspiegare loro che non potranno comunque più consumare come prima.E questo cambio di marcia non si potrà farlo lentamente.La crisi arriva galoppando. Lentamente significherebbe usare l’armalunga della seduzione con cui li hai manipolati. Ma non c’è tempo.Allora bisognerà farlo con il bastone.
Per questo Marchionne c’èandato giù duro dopo essere andato a scuola negli USA. Solo che,appunto, queste cose le puoi fare su un pubblico lavoratore che èstato in ginocchio per ottant’anni. Non è detto che funzioni in unpaese che ancora non è stato piegato del tutto.
Per cuil’operazione “fine dei consumi, fine dei diritti” non ha unesito scontato. Pomigliano è un laboratorio sperimentale per vederese ce la possono fare.
Ciò che li rende inquieti è il fatto che hanno il fiato corto e nonhanno un progetto per il futuro Vanno a tentoni, anche se, avendo ilbastone in mano, possono fare molti danni. Certo è che rovineranno.
Il problema nostro è che corriamo il rischio di rimanere anche noi sotto le loro macerie.
E c’è un solo modo per evitarlo: innalzare la bandiera della verità, che è la bandiera di una transizione consapevole verso lasocietà che verrà dopo questa, ormai in agonia.
Certo non ci si può aspettare che il sindacato, la FIOM, faccia dasolo ciò che è un compito collettivo delle classi lavoratrici edell’intellettualità italiana.
Il problema è che, al momentoattuale, il problema della transizione non è ancora entrato neldiscorso politico corrente.Perché questo cominci ad avvenire occorre:
a) vedere la profonditàe irreversibilità della crisi. Condizione essenziale per cominciare afronteggiarla nell’interesse dei più deboli, strappando ai piùforti il privilegio della proposta;
b) liberarci di un’elitepolitica della sinistra e della democrazia che è ormai piuttostosimile a una cupola complice del potere.
Con questi non si può andareda nessuna parte, per la semplice ragione che nemmeno loro sanno doveandare. E certo non interpretano più i sentimenti dei milioni diinquieti.La “nostra” transizione non la può guidare Marchionne. Se ne hain mente una, come Pomigliano dimostra, quella non è la nostra.
La transizione non può venire da Berlusconi, né da Bersani, né da Epifani.
Loro sono gli organi della scimmia al comando dell’aereo che sta precipitando. La transizione dobbiamo pensarla noi e organizzarci per imporla, con il sostegno della gente.

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