Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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giovedì 9 giugno 2011

Il lento sipario sulla seconda Repubblica

Il lento sipario sulla seconda Repubblica
di Ida Dominijanni. Fonte: informazionecontro
Il lento sipario sulla seconda Repubblica

Sta finendo un ciclo politico, e la sua fine rimanda all'esaurimento di un ciclo sociale, che è più lungo e più complesso del primo ma lo comprende. Tradotto: Berlusconi è agli sgoccioli, e insieme a lui è agli sgoccioli quel "cinquantennio della soggettività" iniziato negli anni Sessanta che il berlusconismo ha cavalcato, interpretato e curvato a modo suo. Questa, in sintesi, la diagnosi sullo stato delle cose di Giuseppe De Rita, sociologo (cattolico) di vaglia e presidente del Censis, che con i suoi Rapporti misura ogni anno la temperatura della società italiana, e che da almeno cinque anni segnala, nella società italiana, sintomi crescenti di un "disagio della civiltà" che sfugge all'analisi politica. Naturalmente c'è da discutere: a cominciare dalla continuità che De Rita traccia fra la cultura della soggettività degli anni Sessanta-Settanta e la cultura dell'individualismo berlusconiano, e che si potrebbe al contrario e motivatamente leggere come un rovesciamento della prima da parte della seconda.
Dunque cominciamo da qui. Il ventennio berlusconiano è davvero sovrapponibile a quello che lei chiama "ciclo della soggettività"?
Solo in parte. Il ciclo della soggettività a oltranza comincia con l'obiezione di coscienza di Don Milani nel '62, più di trent'anni prima della "discesa in campo" di Berlusconi, durerà di più, e sfumerà lentamente in qualcosa che ancora non conosciamo.
Ma Berlusconi l'ha cavalcato come un surfista sull'onda, declinando a modo suo «la libertà di essere se stessi», che Bondi sostiene essere il suo slogan implicito, e la cultura del «tutto è mio», nel suo programma politico e nei suoi comportamenti personali. Adesso l'onda cala, e il surfista cade. Ma bisogna distinguere la fine del ciclo politico e quella del ciclo sociale: la prima non coincide con la seconda. Bisogna tenerlo presente anche nell'analisi dei recenti risultati elettorali. Esempio?Un bell'articolo sul Foglio di qualche giorno fa raccontava quanti berluscones con il colletto alto e la valigetta da manager c'erano ai festeggiamenti per la sconfitta di Berlusconi: segno che la cultura della competitività che ha fatto la fortuna del Cavaliere può sopravvivergli. E a Napoli, nel successo di De Magistris io vedo il prolungamento della leadership personalizzata e del personaggio televisivo, trasferiti nella figura del capopopolo che la gente vota contro tutti e contro tutto come se prendesse un antidepressivo, perché non ce la fa più... Però sia a Milano sia a Napoli sia altrove si può vedere, al contrario, il segno di nuovi processi di aggregazione e partecipazione. A Milano sì, lì c'è una tradizione radicata di associazionismo e aggregazioni intermedie, si sono mossi insieme i circoli bassettiani, le associazioni cattoliche, i centri sociali più avanzati. A Napoli secondo me no, ha funzionato il voto a un volto televisivo, contro tutto e tutti. In altre città è ancora diverso, ha recuperato una più antica e tranquilla dimensione partitica, fragile ma coi piedi per terra, perfettamente incarnata da Bersani. A proposito di Bersani: secondo lei ha perso Berlusconi o ha vinto la sinistra?Ha perso Berlusconi, il Pd ha vinto da una posizione di rendita. Se in futuro saprà diventare il partito di riferimento di un'area vasta che comincia a sentirne di nuovo il bisogno non lo so. Ma certo, oggi nella società c'è una tendenza alla riaggregazione, tutti tendono ad aggregarsi, confcommercio, confartigianato, confservizi, confesercizi, le centrali cooperative, le professioni intermedie dei geometri, periti industriali e periti agrari: c'è una grande voglia di unirsi.. Torniamo al rapporto fra ciclo sociale e ciclo politico. Che finisca il ciclo politico, lei dice, non significa che finisca anche il ciclo sociale. Che però, aggiunge, è anch'esso in via di esaurimento. Come e quando finisce, un ciclo sociale? Le formule usate negli ultimi cinque anni nei Rapporti del Censis - disintreccio, mucillagine, regressione antropologica, società replicante, sregolatezza pulsionale, eclissi del Padre, vuoto di legge e di desiderio - descrivono una serie di segnali di crisi, ma non di svolta. Un ciclo finisce quando esplode la stanchezza per i suoi valori portanti. Oggi si comincia a percepire che la solitudine e l'individualismo non sono un'avventura di potenza ma di depressione. La sregolatezza pulsionale è un prodotto dell'ego-centrismo, di una cultura che fa dell'io il principio del mondo, e per giunta in una fase in cui i riconoscimenti sociali scarseggiano: non fai più carriera, non riesci a fare impresa, non ti puoi gratificare con una vacanza, non ti puoi comprare la macchina o la moto come negli anni '60. La pulsione ad apparire sul palcoscenico sociale non trova appagamento in simboli di status, e sfocia in forme di aggressività diffusa - aumentano ingiurie e lesioni, mentre diminuiscono omicidi e rapine - o di dipendenza autolesionistica - anoressia, bulimia, uso di droghe. O anche, in situazioni familiari esasperanti, in delitti violenti. E' il quadro che emerge dall'inchiesta Censis dell'altro ieri sulla «sregolazione pulsionale»: un'insofferenza molesta, come se nessuno sopportasse nessuno.Esatto, la parola d'ordine è il vaffa.... Vuole una riprova? Il ritorno all'uso del clackson, se n'è accorta? Tutti suonano il clackson, peggio che negli anni '50, tutti si mandano a quel paese.. Sempre nei Rapporti del Censis degli ultimi cinque anni c'è stata un'attenzione costante alla crisi della politica: crisi della rappresentanza, «offerta politica taroccata dalla logica vuota degli schieramenti», assenza di una prospettativa adeguata all'uscita dal trentennio neoliberista. Nel 2009, lei citò un verso di Leopardi - «Ombra reale e salda ci parve il nulla» - per dire l'inconsistenza deludente della cosiddetta seconda Repubblica. La seconda Repubblica è anch'essa alla fine? E a chi spetta calare il sipario? Come si dice, «i morti seppelliscano i loro morti»: la seconda Repubblica dev'essere seppellita dagli uomini della seconda Repubblica. Non credo alla nuova classe dirigente di giovani che il Papa invoca per noi cattolici. Ci vuole un passaggio in cui quanti nella seconda Repubblica hanno giocato un ruolo, magari non di primo piano, e ne conoscono i difetti dall'interno, cominciano a delineare un dopo. Se c'è stato troppo bipolarismo ci vuole un proporzionalista alla Casini, se c'è stata troppa televisione ci vuole uno che non ama i talk-show...Spetta a questi guidare il passaggio. Mi viene in mente Un medico sull'isola, il libro di Adriano Ossicini, quando racconta l'incontro fra De Gasperi e suo padre: siamo nell'inverno '39-'40 e De Gasperi lo invita a lavorare con lui «per preparare il dopo-Mussolini». Ci vorranno la guerra e tre anni pieni prima che Mussolini si consumi. Anche oggi, la parabola di Berlusconi è finita, ma ci vorranno ancora un paio d'anni e tanta pazienza prima che la si possa archiviare. Accadrà solo quando nel centrodestra si renderanno conto che con lui non vinceranno le elezioni. Pensa davvero che Casini possa o debba avere un ruolo importante in questo passaggio? Perché?Perché ha in mano tre buone carte: può essere il leader di un centrodestra non berlusconiano, se non addirittura di una nuova Dc; sa fare la politica dei due forni, e può essere l'interlocutore di Bersani per cambiare la legge elettorale; infine, nel panorama dei sessantenni è il meno fragile, certo meno di Fini o Rutelli o degli stessi berlusconiani come La Russa o Verdini. Ma sto pensando solo a una fase di passaggio. E voglio essere chiaro: quando parlo di sepoltura della seconda Repubblica non penso solo a Berlusconi, penso a tutto un sistema di buone intenzioni - compresi molti magistrati e un bella fetta di informazione - che nel disordine istituzionale della seconda Repubblica ha arraffato molto potere. La fragilità dei sessantenni che ha appena citato è una fragilità politica, o parla di una più generale fragilità di quella generazione maschile?Quella è la generazione dell'evaporazione del Padre, per dirla nei termini di Massimo Recalcati; ma, per dirla con il titolo del suo ultimo libro, è anche la generazione di un possibile recupero di «quel che resta del Padre». La politica ha a chefare con la dimensione paterna: il politico dev'essere uno che garantisce testimonianza, coerenza, trasmissione. Non a caso il presidente della Repubblica è una figura tanto popolare: inconsciamente, la gente vede in lui il ritorno del Padre, e dunque il ritorno della politica, di una politica rigorosa. La fragilità dei cinquanta-sessantenni è legata anche a un piccolo protagonismo senza responsabilità, all'incapacità di esprimere quella funzione simbolica del Padre che uomini come De Gasperi o Berlinguer invece avevano. Però questo discorso sulla crisi del Padre non fa mai i conti con la trasformazione della figura materna, né con le trasformazioni del rapporto fra i sessi. Da sociologo, lei come vede lo stato dei rapporti fra uomini e donne nell'Italia di oggi? Credo che con l'«evaporazione del Padre» sia tramontata anche la potenza materna tradizionale, che era così forte nella famiglia italiana. Dopo, cosa c'è? Di certo, una forte crisi del rapporto uomo-donna, contrassegnata da un crollo del desiderio maschile. A me pare che negli ultimi decenni tutti e due, gli uomini e le donne, abbiano pensato solo a se stessi/e, le donne con la politica del genere, gli uomini con la politica dell'io. Forse è venuto il momento che tutti e due comincino a pensare anche l'altro, e a declinare anche il tu.

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