Stefano D'Andrea - sinistrainrete -
 Molti si entusiasmano per l'Unione  bancaria: sostengono che l'Unione bancaria sarebbe "una svolta". Per  altri sarebbe un passaggio necessario, che tuttavia comporta rischi. Per  tutti è un bene. Nessuno che dica: è una scelta politicamente o  economicamente sbagliata. Invece, se la creazione dell'Unione bancaria  sia costituzionalmente legittima, questo è un problema che non solleva  nessuno.
Molti si entusiasmano per l'Unione  bancaria: sostengono che l'Unione bancaria sarebbe "una svolta". Per  altri sarebbe un passaggio necessario, che tuttavia comporta rischi. Per  tutti è un bene. Nessuno che dica: è una scelta politicamente o  economicamente sbagliata. Invece, se la creazione dell'Unione bancaria  sia costituzionalmente legittima, questo è un problema che non solleva  nessuno.
Ed effettivamente non è un problema.  Perché esiste una disposizione costituzionale così precisa, così  calzante, così chiara, così bella, così completa, così profonda, capace  di dire cose immense con poche parole, che non c'è proprio niente da  discutere
"La Repubblica… disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito" (articolo 47 della Costituzione italiana).
La Repubblica disciplina il credito; non  possono essere organi dell'Unione europea a disciplinare il credito; né  possono essere soggetti privati. Le limitazioni della sovranità,  previste dall'art. 11 della Costituzione, a parte ogni altra  considerazione, possono riguardare soltanto l'esercizio della sovranità  nell'ambito di ciò che è prescritto dalla Costituzione; non la  possibilità di esercitare la sovranità delegata al di fuori della  Costituzione.
Comunque l'Unione bancaria non ha nulla a che vedere con  il mantenimento della pace e della giustizia tra le nazioni. Quindi in  questa materia non è possibile alcuna limitazione della sovranità. Gli  autori, anche autorevoli, che richiamano il presunto carattere "aperto"  del nostro ordinamento finendo per giustificare ogni limitazione di  sovranità (Merusi), non possono essere seguiti.
Né è costituzionalmente legittima la indipendenza  della banca d'Italia (e a maggior ragione l'estraneità alla Repubblica –  è estraneità e non solo indipendenza -  della BCE). La politica monetaria spetta alla Repubblica, il coordinamento spetta alla Repubblica e il controllo spetta alla Repubblica. La Banca d'Italia deve agire sotto le direttive del Governo.  La disposizione non avrebbe avuto senso se, come pure si sostiene  (ancora Merusi), con il termine "Repubblica" avesse richiamato  semplicemente lo stato-ordinamento. Invece richiama lo stato-apparato,  anche perché a coordinare e controllare – salvo la fissazione dei  principi e delle modalità, compiti che spettano certamente al  legislatore – non possono che essere il Governo e l'amministrazione  (nella prima e unica Repubblica, il CICR: Comitato Interministeriale per  il Credito e il Risparmio). Dunque, seppure non si voglia aderire  all'antica opinione che leggeva nella proposizione che commentiamo la  costituzionalizzazione della legge bancaria del 1936, tuttavia è certo  che la vigente legislazione bancaria è incostituzionale.
L'art. 47 della Costituzione non si  limita ad attribuire alla Repubblica una competenza che il legislatore  non può trasferire ad altri soggetti, bensì, imponendo alla Repubblica  di coordinare l'esercizio del credito, detta anche un  vincolo contenutistico, sebbene di carattere negativo, relativo alla  disciplina dell'esercizio del credito.
Infatti, nel disciplinare il credito, la Repubblica non può affidarlo al criterio della concorrenza, perché l'esercizio del credito va coordinato.  La scelta dell'introduzione del principio di libera concorrenza, è  scelta di non adempiere il dovere posto dai padri costituenti: dovere di coordinare il credito.  Il Parlamento italiano non può privare il Governo del potere di  coordinare, né può sottrarre se stesso al dovere di coordinare  legiferando. Si coordinano entità diverse per un fine o in vista della  realizzazione di più fini: quelli costituzionali. Scegliere la  concorrenza come criterio regolatore significa rinunciare al  coordinamento e rinunciare ai fini (costituzionali) in vista dei quali  deve essere disciplinata e svolta l'attività di coordinamento. La scelta  nichilistica è anticostituzionale.
La tesi secondo la quale l'art. 47  sottrarrebbe la materia dell'esercizio del credito (e quella della  tutela del risparmio) all'art. 41, 3° comma, ossia alla riserva di legge  relativa e quindi alla programmazione (ancora Merusi), è una petizione  di principio che non poggia su alcun dato letterale. Secondo questa  tesi, anzi, l'art. 47, sarebbe un prius, perché si potrebbe  programmare soltanto sul fondamento della tutela del risparmio, tutela  che consisterebbe nella lotta all'inflazione (le indicizzazioni, chi sa  perché, sarebbero incostituzionali). Come questa "costruzione", che è  vera a e propria "invenzione" e anzi sovrapposizione della disciplina di  matrice europea alla disciplina costituzionale, sia compatibile con la  promozione della piena occupazione – che questa dottrina riconosce  essere uno dei lati del "quadrilatero" della costituzione economica –  non è dato sapere.
Invero, il trasferimento di moltissime  competenze è già avvenuto, in aperta violazione della Costituzione: la  disciplina del credito è in gran parte eteronoma, sebbene recepita, per  lo più, dal legislatore nazionale. I traditori dell'ultimo ventennio  (governi tecnici – in realtà di centrosinistra – centrodestra e  centrosinistra) hanno già rinunciato a disciplinare e coordinare il  credito per la realizzazione dei fini costituzionali. Ma vogliono  tradire ancora una volta, perorando la causa dell'Unione bancaria. La  Repubblica "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito".
Dissolvere l'Unione europea o comunque  recedere dai trattati e tornare alla nostra costituzione economica.  Questo è il proposito politico che ogni cittadino italiano deve avere.  Non usciremo dalla crisi economica, senza tornare alla disciplina dei  rapporti economici contenuta nella Costituzione
 
 
 
 
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