Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 20 novembre 2010

Parliamo di cinema italiano: Buzzicona Production.


Fonte: Blog di Alessandro Robecchi - pubblicato in Micromega
Certo di fare cosa grata ai perdigiorno frequentatori di questo sito (che tra l’altro, lo dico en passant facendo finta di niente, sono sempre più numerosi), pubblico il pezzo uscito sul n. 6 di Micromega (il mese scorso). Parla del cinema italiano, e la redazione l’ha sapientemente intitolato Buzzicona Production. E’ gratis, amigos. Buona lettura.

BUZZICONA PRODUCTION
“Sapete, ormai ho una certa età e inizio a dimenticarmi le cose. Stamattina ad esempio volevo farmi una ciulatina con una cameriera dell’albergo e questa mi ha risposto: ma presidente, l’abbiamo già fatto un’ora fa! Vedete che scherzi fa la memoria!”(Silvio Berlusconi, visita ufficiale in Brasile, giugno 2010)
- Sa cosa diceva mio nonno, Marchese del Casso, eroe della prima guerra mondiale? A riposo!- Ma che, era frocio?- No, francese.(Massimo Ghini–Aliprando Della Fregna e Christian De Sica-Carlo, Natale a Beverly Hills, dicembre 2009)
Chi dice che il cinema italiano non è più capace di riflettere il paese, di descriverlo al meglio, di rappresentarlo, sbaglia di grosso. Se una grande potenza occidentale viene governata da un divertente caratterista che gira il mondo accompagnato da procaci signorine e approfitta degli incontri internazionali per raccontare mediocri barzellette a sfondo sessuale, allora il cinema italiano è perfetto.
Specchio dei tempi, come dicono quelli che se ne intendono.
Così come sarebbe perfetto Silvio Berlusconi nel cast di un cinepanettone. “Bisogna attenuarne un po’ la volgarità, certo, ma c’è della stoffa – direbbe il produttore – fosse più alto…”.
Molte volte il produttore è lui, il posto sarebbe assicurato se non avesse (ahinoi) altro da fare. Tutte qui, le affinità tra il paese e il suo cinema? Nemmeno per sogno, basta guardare i risultati al botteghino.
Se qualcuno produce qualcosa di artisticamente notevole, appena più complicato di una trama “lui – lei – quell’altro che c’ha le corna” (più che una sceneggiatura è un format), o che non sia accessibile a chi fatica con la tabellina del sei, verrà distribuito in tre sale per un giorno e mezzo, oppure potrà tranquillamente restare in cartellone anche mesi in qualche sala dell’hinterland della periferia estrema di Frosinone.
Mentre se in un film si pronuncia almeno sei volte la parola “buzzicona” e si scoreggia spesso, si avrà a disposizione una distribuzione da colossal americano, con centinaia di sale, multisale, surround, dolby system per apprezzare meglio i doppisensi e ascoltare i rutti con definizione sonora da melomani.
In questo caso accorreranno gli intellettuali di supporto spiegandoci che:
1) Basta con gli snobismi, dopotutto il cinema serve per passare due ore serene con la famiglia (una volta si andava a lavare la macchina);
2) Ridere e gongolare per qualche intreccio cochon basato sul quiproquò sessuale è popolare, e non piace a chi non sta vicino al popolo. Per questo la sinistra perde;
3) Grazie a queste pellicole e al loro umorismo di bassa lega si finanzia il cinema italiano di qualità.
Quest’ultimo punto è assai divertente: in realtà con il cinema di merda si finanzia altro cinema di merda, ma chi fa cinema di merda se ne sente sotto-sotto un po’ in colpa (soprattutto autori e attori, il produttore se ne frega) e quindi deve ammantare i suoi affari di generosità culturale: mi sacrifico, sono un eroe, faccio ‘ste cazzate per aiutare chi sa raccontare una bella storia. Molti ci cascano, o fingono di cascarci.
In sostanza la situazione si configura in questo modo: la mediocrità gode di potere, soldi e successo. Molti intellettuali la giustificano.
Alcuni (sempre gli stessi) fanno soldi a palate. Il livello culturale generale si abbassa. I pochi che non ci stanno vengono sbeffeggiati come soliti rompiscatole chge non capiscono il popolo.
Vedete anche voi: se ci fossero anche Cicchitto e Quagliariello sarebbe una perfetta fotografia del Paese..Dopotutto, in un posto in cui l’ultimo vero dittatore disse “La cinematografia è l’arma del regime”, trovarsi con una caricatura di dittatore proprietario di una grande casa cinematografica è una faccenda che parla da sé, e il risultato non può che essere una caricatura di cinema.
Certo, il cinema dà lezioni di vita.
Come in Tutti gli uomini del presidente (Alan Pakula, Usa, 1976) il motto dev’essere: seguite i soldi. Già, la pista dei soldi è sempre la più solida.
E infatti soldi non ce n’è più.
Non passa settimana senza che si levi da destra il grido, basta con il cinema assistito! Basta con le opere astruse che diffondono una brutta immagine del paese e che paghiamo tutti!
Così si tagliano sempre più spesso i fondi per lo spettacolo, i finanziamenti al cinema di qualità, le opere meno commerciali, e si preferisce privilegiare il vero spirito nazionale, cioè quello in cui si dice spesso “buzzicona” e si scoreggia molto.
Ci sono delle eccezioni, naturalmente, come il famoso Barbarossa di Renzo Martinelli (Italia, 2009). Film dal lancio clamoroso, di cui si sentì parlare per la prima volta in una intercettazione telefonica, con Berlusconi che si lamentava con Agostino Saccà di quanto Bossi gli rompesse i maroni per accelerare la realizzazione del film.
Costato come un kolossal, pagato in gran parte dalla Rai (cioè da noi), primo film al mondo in cui il ministro delle riforme di una grande potenza fa la comparsa vestito da crociato, doveva essere un omaggio commosso e potente alla storia della Lega, ad Alberto da Giussano, ai padani e alla loro voglia di indipendenza.
Fu un flop colossale, girato in Romania con comparse locali (i famosi padani erano rom sottopagati), risate in sala e giornali che si chiedevano costernati se per caso non fosse una parodia.
Ma intanto i nostri soldi erano andati, e comunque tranquilli, prima o poi ce lo faranno vedere in tivù. Tutta la faccenda è resa più realistica dal fatto che proprio mentre usciva nelle sale il polpettone di regime di Martinelli, il ministro Brunetta tuonava (applaudito dagli astanti e rilanciato da tutti i media) contro i registi assistiti, gli intellettuali parassiti, gente che non ha mai lavorato in vita sua.
Il tutto senza lesinare le parolacce, un ministropanettone, insomma. Una specie di nemesi liofilizzata e pronta all’uso. In queste circostanze non è facile dire dove finisce il berlusconismo e dove inizia Neri-Parenti, tutto si tiene.
Naturalmente si può immaginare la fatica di fare un film, operazione lunga, elaborata e costosa, ricca di imprevisti e dubbi.
Per esempio arriva la telefonata del produttore: non si potrebbe dare il ruolo di protagonista a questa o quell’amica del premier?
Per esempio arriva la telefonata del distributore: non si potrebbe ammorbidire un po’ la storia, che so, togliere tutta quella parte un po’ politica che “appesantisce” la trama e limitarsi alla storia d’amore?
Per esempio arriva la telefonata della rete televisiva che co-finanzia: non si potrebbe inserire nella storia una figura positiva, tipo per esempio un prete?
Nel caso che il regista faccia delle resistenze, ecco pronti alcuni accorgimenti che funzionano sempre.
1) Il produttore tiene al regista buona lezioncina su come funzionano gli incassi e sulla logica della distribuzione nelle sale, che si conclude con l’elenco dettagliato di altri registi che non aspettano altro che una telefonata da lui;
2) Il produttore impone di affiancare agli sceneggiatori un suo sceneggiatore di fiducia che riequilibri un po’ la situazione – di solito è quello che sa scrivere correttamente “buzzicona”;
3) Il produttore accetta la sfida della qualità promettendo al regista di portarlo ai festival più prestigiosi, di modo che il film verrà visto forse a Toronto o a Kampala, ma non in Italia, nemmeno in qualche sala dell’hinterland della periferia estrema di Frosinone, dove “la gente non capirebbe”.
In questo entusiasmante contesto, che tanto bene riflette l’essenza della vita politica e culturale italiana, appare fondamentale il ruolo della tivù (non ve l’aspettavate, eh! Chi l’avrebbe mai detto!).
Non solo perché la tivù italiana produce gran parte del cinema che arriva nelle sale (in attesa di arrivare in tivù), ma anche perché esercita il suo ruolo di propaganda. Così, come per i tifoni sulle coste della Carolina del Sud, le avvisaglie dell’arrivo di un ciclone cinematografico sono evidenti a tutti con: ospitate collettive degli attori nelle trasmissioni pomeridiane della domenica.
Interviste ai telegiornali. Approfondimenti nei programmi che seguono i telegiornali.
Ospitate dei protagonisti in tutti i programmi di intrattenimento. Spezzoni di film, trailer, dietro le quinte, making, errori di recitazione appositamente confezionati, dialoghi del film estrapolati con una certa malizia e naturalmente spot in ossessiva rotazione.
In sostanza anche senza andare a vedere il film e anzi tenendosi prudentemente lontano dai cinema anche a una distanza di quattrocento metri, non c’è italiano che tra novembre e gennaio di ogni anno non senta pronunciare almeno otto volte la parola “buzzicona”.
Ma l’industria cinematografica è pur sempre una grande industria italiana, e nonostante il nostro approccio possa sembrare critico, non vogliamo certo essere noi a minare le basi economiche-culturali di una così intensa collaborazione tra il paese reale e il paese su pellicola.
Per questo, e per rendere un giusto servizio a tutti quelli che nel cinema credono ancora, anticipiamo titoli, trame, critiche e analisi dei film che vedremo presto nelle nostre sale. Beninteso, quelle non occupate dai film americani.

Ecco dunque cosa vedremo nel 2010.

Natale a Pomigliano
di Neri-Parenti, con Christian De Sica, Massimo Ghini, Sabrina Ferilli (Italia 2010)
Osvaldo Barzotto (Christian De Sica), manager dell’industria automobilistica, viene inviato a Pomigliano d’Arco per redigere un complesso rapporto sull’assenteismo dei metalmeccanici che consenta di chiudere la fabbrica e di spostare la produzione in Kamchatka, dove 15.000 schiavi kirghisi non aspettano altro che di montare le Panda per due rubli a semestre.
Il suo piano è di fingersi operaio. Al reparto verniciature conosce Anna (Sabrina Ferilli), una sindacalista ninfomane, e se ne innamora perdutamente.
Venuto a sapere del vero ruolo di Barzotto e della sua passione per Anna, Nicola Settevolte (Massimo Ghini), organizza uno sciopero in concomitanza con una partita di coppa Italia del Napoli.
Anna e Barzotto si ritrovano dunque soli in fabbrica e consumano un improvvisato amplesso nel reparto tappezzerie, durante in quale Anna si fa giurare che la fabbrica non chiuderà.
La battuta di Barzotto-De Sica in questo frangente è quella che si vede nei trailer: “Ma che andamo a fa’ in Kamchatka! Guarda qui che du turni sodi che c’avemo! A Buzzicona, t’aa do io ‘a doppia linea de montaggio!”.
Appostato con una telecamera, Nicola, riprende la scena e ricatta il dirigente, che torna a Torino con un rapporto entusiasta sulla produttività dello stabilimento.
Il film verrà distribuito in 8.000 copie e riempirà le sale italiane fino all’Epifania, incassando undici milioni di euro nel primo week-end di programmazione. Secondo la critica, si tratta di un’evoluzione del classico cinepanettone e l’ambientazione nel mondo del lavoro lo rende decisamente interessante.
Christian De Sica, intervistato dal Corriere, sostiene che con gli incassi di Natale a Pomigliano d’Arco si finanzierà tutto il cinema italiano di qualità dei prossimi dieci anni.
Il Tg1 trasmette uno speciale di ottanta minuti. Il ministro della cultura Bondi promette sgravi fiscali per il particolare contenuto artistico e culturale dell’opera.
La Fiom critica il film (“volgare e antioperaio”), subito zittita da Il Giornale: “Non sanno ridere. Per questo la sinistra perde”.

Via col Veneto
Di Renzo Martinelli, con Federica Martinelli, Ugo Martinelli, Giovanni Martinelli, Francesca Martinelli e Raz Degan (Italia 2010).
Fortemente voluto dal governatore del Veneto Zaia, il film doveva inizialmente basarsi su un remake del famoso Via col Vento (di Victor Fleming, Usa, 1939), ma la sceneggiatura è cambiata quando hanno spiegato a Zaia che la pellicola originale si svolgeva negli stati del Sud e non nel nord-est degli Stati Uniti.
La riscrittura frettolosa della sceneggiatura penalizza un po’ il risultato finale, anche se restano memorabili le scene di massa, l’incendio di un capannone durante la guerra di secessione tra le province di Padova e Rovigo, e la meticolosa ricostruzione dei campi di cotone dove lavorano cantando gli schiavi immigrati.
Un po’ farraginosa la storia d’amore tra Rossella (Federica Martinelli) e il bel tenebroso Rhett (Raz Degan), che si spezza quando lui afferma che i contadini devono pagare le multe sulle quote latte senza rompere troppo i coglioni e lei lo ustiona con una padella di sarde in saor roventi.
Il tramonto rosso fuoco sullo sfondo delle fabbriche con insegne cinesi che producono sedie di design “made in Italy” è forse la parte più convincente del film, ma è proprio quella che non è piaciuta a Zaia, che ha negato i contributi regionali promessi.
Tele Padania ha coperto i costi, oltre a un consistente aiuto di Stato. Il ministro della cultura Bondi promette sgravi fiscali per il particolare contenuto artistico e culturale dell’opera. La critica ha accolto il film con la solita superficiale sufficienza, sottolineando come poco convincente il cameo di Renzo Bossi, detto il Trota, che interpreta un raffinato docente universitario contrario alla guerra tra le province Verona e di Vicenza.
Complessivamente il film è costato 65 milioni di euro e ha incassato ventisei euro nel primo week-end di programmazione, nella multisala “Padroni a casa nostra” di Belluno.

Scusa se l’ho data a Gino
Di Federico Moccia, con Debborah Pronzoni, Raoul Bova, Riccardo Scamarcio, la Quinta B del liceo Tasso di Roma (Italia 2010)
Laura (Debborah Pronzoni) è una tipica adolescente della buona borghesia romana, frequenta la quarta in un prestigioso liceo di Roma, conosce ben ottantadue parole di italiano e nonostante questo riesce perfettamente a comunicare con gli altri esseri umani, specie se fichi.
La storia narra delle prime esperienze amorose di Laura e delle sue compagne (la Quinta B del liceo Tasso), con tocco leggero. Fidanzata con Strutt (Raoul Bova), è attratta anche da Squatt (Riccardo Scamarcio), e per farli ingelosire entrambi fugge a Fregene con Brott (Peppe l’Ostricaro daa Cassia).
Purtroppo, la Vespa elaborata con cui i due fuggono ha un grave incidente e Laura viene ricoverata al Policlinico Gemelli. La diagnosi è terribile: amputazione di una gamba.
Strutt e Sqautt si ritrovano dunque in sala d’attesa, affranti dal dolore, si prendono a cazzotti, si ubriacano, si drogano sniffando colla, si confessano le rispettive malefatte, ricordano insieme le formazioni della Roma dal 1961 a oggi, e si rinfacciano la reciproca insensibilità.
Il trailer, che tutti vedrete con cadenza quotidiana per settimane, rende bene la drammaticità del finale e si snoda su un dialogo strappalacrime.
Strutt: “Ora che Laura c’ha ‘na zampetta sola nun gli voi più bbene, eh!”. Squatt: “Che te devo dì, pisché, a me me piacciono co’ du zampe!”.
Ma l’equivoco si chiarisce: la ragazza ferita nell’incidente non è Laura, ma una sua compagna di scuola brutta, il che elimina ogni commozione. Laura ricompare più bella che mai in ospedale, dove incontra Gino, un barelliere precario di Civitavecchia, in realtà figlio di un conte, e fa l’amore con lui.
Alla fine, per stemperare qualche leggerezza di sceneggiatura, se vanno tutti a fa’ ‘na pizza, paga Raoul Bova che è quello che ha recitato peggio.
Il film è accolto con entusiasmo in tutte le sale, incassa nel primo week-end otto milioni di euro, pur essendo costato 37 euro e 50.
Il ministro della cultura Bondi promette sgravi fiscali per il particolare contenuto artistico e culturale dell’opera.
Due professori del Tasso che ne criticano l’amoralità durante le lezioni vengono allontanati dall’insegnamento.
Il cinema italiano ha trionfato ancora una volta. Con questa opera popolare verrà finanziato il cinema italiano di qualità fino al 2036.

Nessun commento:

Posta un commento

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters