Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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domenica 30 gennaio 2011

"Avanti popolo" - La mostra di Roma sul Pci.



"Avanti popolo" Comunisti italiani, la mostra di Roma sul Pci
Alla Casa dell'Architettura, sino al 6 febbraio, documenti d'archivio, libri, manifesti, foto e filmati che raccontano il nesso strettissimo, lungo tutto il "secolo breve", tra partito comunista e storia d'Italia
di Giovanni Rispoli

"Il sistema pare funzioni, e non bisogna lasciarlo cadere: appena avrà finito il Croce bisognerà fornirgli un altro argomento. Hai qualche idea? Cosa diresti dei libri di De Man? Bisogna, naturalmente, trovare un argomento in cui il contenuto politico possa essere fatto passare sotto veste di letteratura. Ci vedremo a fine giugno. Cordiali saluti P.".
È il 4 maggio del '32. Gramsci è in carcere ormai dal novembre del '26; alcuni mesi dopo il suo amico Piero Sraffa, accogliendo l'invito di Keynes, lascerà l'Italia fascistizzata per l'Inghilterra, trasferendosi a Cambridge.
L'uomo di cui la lettera parla è appunto Gramsci, a scriverne Sraffa, destinatario della missiva Togliatti. Il futuro autore di Produzione di merci a mezzo di merci, insieme a Tatiana Schucht, cognata di Gramsci, è l'unico tramite tra questi e il Pci. Scrive a Togliatti per chiedergli consiglio sui libri da procurare nella cella di Turi.
La preoccupazione, come si vede, è politica: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare", aveva detto il pubblico ministero Isgrò concludendo nel processo la sua requisitoria; e a Gramsci, che nel '29 ha iniziato in carcere la stesura dei Quaderni, alla sua straordinaria intelligenza, guardano i compagni costretti alla clandestinità e all'esilio per ricevere sia pure in maniera dissimulata indicazioni, suggerimenti, consigli.
Avanti Popolo. Il Pci nella storia d'Italia, la bella mostra organizzata a Roma (sino al 6 febbraio) presso la Casa dell'Architettura da Fondazione Gramsci e Fondazione Cespe sui settant'anni di storia del Pci – dall'atto di nascita, a Livorno, il 21 gennaio del 1921 allo scioglimento a Rimini il 4 febbraio del '91 (http://www.ilpcinellastoriaditalia.it/) –, può essere occasione per una catena infinita di associazioni. Tra inchiostri e lettere, note redatte con vecchie Olivetti, giornali, video, manifesti, libri, materiali digitalizzati – i Quaderni del carcere, gli originali, sono lì e si possono sfogliare sfiorando un touchscreen –, le occasioni per navigare nel passato e ragionare sul presente sono davvero tante.
A chi scrive, forse perché è il primo documento in cui un po' per caso ci siamo imbattuti, le parole di Sraffa hanno fatto subito impressione. Per il loro significato più evidente, certo, per le urgenze da cui paiono dettate, il bisogno di sapere cosa il capo, in carcere, pensasse dei compiti del partito, e il pretesto "letterario" che il grande economista cercava. Ma poi anche per quel che la lettera lascia intravvedere: la portata dell'impegno a cui Gramsci, già minato nel fisico, si era dato anima e corpo durante la reclusione; e, soprattutto, per quello che lo scritto di Sraffa non dice – non poteva ancora dire –.Come i curatori della mostra ricordano nel titolo, e concretamente mettono in scena nell'allestimento, la storia del Pci è stata non solo storia di un partito politico, ma parte decisiva della storia d'Italia e più in generale dell'intero Novecento: una storia strettamente legata alle vicende internazionali del secolo passato, del "secolo breve", con la cui durata coincide in maniera pressoché perfetta.Se l'intreccio ha avuto un segno così forte, prima ancora che nel genio politico di Togliatti – la "svolta di Salerno" del '44, la pregiudiziale antimonarchica che veniva abbandonata per unire tutte le forze contro il nazifascismo, e con la svolta il "partito nuovo" –, la ragione è nel metodo che il gruppo degli ordinovisti torinesi, Gramsci su tutti – ma arricchito già durante gli anni della lotta antifascista da nuove energie –, seppe adottare: un metodo di lavoro politico-intellettuale che, come è stato più volte ripetuto, ha fatto del Pci un animale particolarissimo nel panorama dei partiti comunisti occidentali. Allora, quel che Sraffa magari aveva intuito e su cui non poteva nell'immediato riflettere: parlare di Machiavelli per dire del "moderno principe", come poi si vedrà; sapendo però che il moderno principe non sarà possibile se sul Machiavelli, l'Italia del duca Valentino, i poteri, l'economia e la società di un'epoca e di quelle successive, e poi sul carattere degli italiani, non si ritornerà con l'analisi e lo studio: perché è solo così, scavando nel tempo lungo della storia, che il partito può aderire alle mille pieghe della società nazionale, e l'emancipazione delle classi subalterne evitare le trappole, e le regressioni, dell'attesa messianica.Un processo, non un'acquisizione immediata: il Pci – anzi il Pcd'I, così si chiamava inizialmente – nasce sull'onda della rivoluzione d'ottobre, come sezione della III Internazionale, l'Internazionale comunista; un processo che però produrrà, per il nostro paese, frutti straordinari. La mostra di Roma, non casualmente inserita tra le manifestazioni ideate per il 150° dell'Unità d'Italia, ce lo racconta con le parole giuste.

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