Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 16 febbraio 2011

Metti il Porco nel Motore.


Scritto da Miguel Martinez. Fonte: pressante
Un bel culo, spalle larghe, testa grossa e muso corto, chiamato volgarmente “tuscanu.”
La missione de Il Gigante [catena di ipermercati] punta a coniugare tradizione e modernità, proponendosi di operare in quanto “azienda italiana che crede e difende i valori e le tradizioni del passato, soddisfacendo le nuove esigenze”.”
“Coniugare tradizione e modernità” è una frase che mi trovo a tradurre, per lavoro, almeno quattro volte al mese. Con qualche minima variante, è il motto con cui ogni azienda italiana si presenta al mondo, e un motivo ci deve essere.
Poniamo che siate i titolari della Blu Plast S.R.L. Plastica Brillante Di L. Brillante, con sede in Via Madonna Di Fatima a Pagani; oppure della Cogencar di Pomponesco.[1] E decidete di lanciarvi sul mercato globale.
L’Italia è un paese che nel mondo fa sorridere, però è vagamente noto per avere enormi tesori d’arte che risalgono a secoli fa.
Quindi... l’Azienda cerca innanzitutto di agganciarsi a questa immagine: Michelangelo veniva da un piccolo paese della Toscana. Anche la Sac Plastic di Natali Federico viene da un piccolo paese della Toscana, in questo caso da Montelupo Fiorentino. Quindi, Buonarroti Michelangelo e Natali Federico hanno qualcosa in comune.
Sì, però, un sacchetto di plastica prodotto con le tecniche del Cinquecento suscita qualche perplessità. E quindi bisogna dire anche di essere all’avanguardia. E così si “coniuga tradizione e modernità”. Che è un’ossimoro, come dire, “essere biondi e mori”. Ma nell’epoca postrazionale in cui viviamo, le contraddizioni non hanno la minima importanza, anzi allargano il richiamo del mercato.
Questo però è solo parte del discorso, perché il concetto di “coniugare tradizione e modernità” non serve solo all’estero, ma riflette qualcosa di profondamente italiano.
Le identità si fondano sulla mitizzazione del passato. Una cosa che riesce molto bene in certe società, ma quasi per nulla in Italia. Fate dire “George Washington” a un americano e “Camillo Benso di Cavour” a un italiano, e capirete cosa intendo.
Eppure, gli italiani mitizzano il passato a modo loro. Semplicemente, al posto dei Padri della Patria, ci sono i Nonni del Paese.
Il Nonno è legato ancora più del Padre all’infanzia, e quindi a una dimensione in cui molte piccole trasgressioni vengono tollerate, anzi possono venire anche incoraggiate: pensiamo all’associazione tra i termini Maschietto e Furbo e capiremo molte cose del successo dei due gemelli morali, Alvaro Vitali e Silvio Berlusconi.
L’animale totemico del Nonno non è certo il Destriero e nemmeno il Leone. E’ piuttosto il Porco.
Che nella sua atroce morte, ardentemente desiderata per tutto l’anno, offriva le supreme gioie della pancia alla famiglia. In una bella poesia che ho trovato in rete, e che andrebbe letta tutta, Vanni-Merlin descrive così un particolare della Grande Uccisione, mentre le donne “lisciano il tavolone che è diventato bianco e pulito che sembra l’altare della Madonna“:
“el nono vardasentà in te la caregacol capelo in testael baston in mannol ghe la fa piùa starghe drioghe vegnariada fare anca eoda direda dare ordeniinvesse el sta lìpiantà in tea caregaa ricordare quandoso nono el vardava lughe vien da piansarequasima nol vol che i lo veda
il nonno guardaseduto sulla sediacol cappello in testaed il bastone in manonon ce la fa piùa seguirlivorrebbeanch’egli farediredare ordiniinvece se ne sta lìpiantato in quella sediaa ricordare quandosuo nonno guardava luigli viene da piangerequasima non vuole che lo vedano”
L’uccisione del Porco, tramandata dai Nonni, genera, come è noto, una varietà infinita di prodotti. Varietà reale, ma anche immaginata: il sugo di Polentone di Sopra deve distinguersi per impercettibili sfumature da quello di Polentone di Sotto. Il campanile è solo la proiezione di questa differenza fondante.
La Tradizione è, letteralmente, viscerale, perché riguarda tutto ciò che sta tra le papille gustative e gli escrementi: le celebrazioni dei santi, i matrimoni, le feste dell’Unità, le adunate massoniche costituiscono un’occasione, un contorno, un’appendice del Porco. “Chi si sposa è felice un giorno, chi ammazza il porco è felice per un anno”. E il Porco, come fonte di ogni meraviglia, supera ampiamente il proprio Creatore, con cui toscani, veneti e romagnoli spesso lo confondono.
“Man ist, was man isst” – “Si è ciò che si mangia” – dicono i turchi emigrati in Germania, sottintendendo che loro mangiano l’agnello, i tedeschi il maiale.
Il Porco è reale, e in questo senso la Tradizione italiana è autentica. Ed è anche in teoria irriducibile ai meccanismi standardizzanti della produzione di massa: è qualità contro tutto il sistema della quantificazione su cui si fonda il capitalismo. Il maiale è carnalmente grasso, al contrario dell’evanescente virtualità dei nostri tempi. E il Porco non parla né in inglese né in italiano, ma grugnisce in dialetto. In tutto ciò, vi è qualcosa di straordinariamente bello, come c’è nella varietà dei pani e dei vini di questo strano paese.
Nella grande menzogna dello Spettacolo, il Porco quindi grufola il Vero.
Ma poiché la menzogna genera una sete enorme di verità, non esiste menzogna più vendibile della genuinità apparente. E’ qui il segreto delle Nozze di Tradizione e Modernità.[2]
Una mercificazione resa possibile dalla flessibilità, dalla crescente capacità del capitalismo di creare un’apposita soddisfazione per ogni capriccio del consumatore. “Desidera e avrai“. C’è chi vuole il tofu e chi la soppressata, basta chiedere (e pagare).
Il Porco di Sinistra.
Nel dicembre del 1997, il comune “rosso” di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, che porta ufficialmente il titolo di “Paese del Maiale“, dove ogni anno si fa lo zampone più grande del mondo, fece erigere in piazza un porcello di bronzo che celebrava la divinità locale. Gli entusiasti della Tradizione spazzano sotto il letame un semplice fatto: in assenza di volenterosi carnefici italiani, il maiale veniva allevato e ucciso in condizioni sempre peggiori di lavoro da operai immigrati reclutati da una precaria rete di cooperative.[3]
Il 24 luglio del 2002, l’operaio tunisino Ismail Jauadi fu assassinato a colpi di pistola vicino a Castelnuovo Rangone: esperto lavoratore di carni suine, il giovane musulmano si era permesso di ricattare alcune cooperative che si dedicavano a spacciare per italiani prosciutti provenienti da chissà dove.

Il monumento al Porco di Castelnuovo Rangone
Il Porco di Destra.
Il suino, presente nei pensieri di migliaia di assessori e infinite camere di commercio, ha un proprio linguaggio, nettamente distinto da quello aulico e notarile. Gli italiani hanno sempre saputo far convivere bestemmie private e rosari pubblici, battutacce sessiste e proclami femministi, pacche sulle spalle mentre si concludono affari e dichiarazioni di adesione ai Valori Democratici. Il grande merito di Umberto Bossi è quello di aver introdotto la vera democratizzazione – parlar porco si può!
Chi ha la bocca piena di grasso di porco, sciolta nel vino, si lascia andare. Si vanta, scherza, dà gomitate al vicino di tavolata per sottolineare quante volte il prete corre in latrina per aver troppo mangiato e bevuto. L’unto sulle dita, racconta nei dettagli ciò che farebbe alla cameriera; e allo stesso tempo, tutti sanno che non lo farà mai: il patto tra spacconi permette di costruire ricchissimi castelli in aria, sapendo che alla fine era tutto uno scherzo. Curiose assonanze: porci, perle, straparla, pirla...
Attorno al Porco totemico nasce la sterminata e modernissima cultura delle sagre. Come la Sagra dello Stinco e de’ Tagliarini co’ Fagioli di Piano del Quercione a Massarosa, in provincia di Lucca. La falsificazione essenziale è evidente e inevitabile: lo Stinco di Piano del Quercione è un godimento in più, nel contesto del grande spreco petrolifero, mentre una volta era il sogno nella fame di un mondo che andava a piedi nudi. Del maiale non si buttava niente; nella vita fluida, si deve buttare tutto, altrimenti si inceppa tutta la giostra.
Le sagre sono spesso collegate a un intero Medioevo inventato, con costumi di colori che non esistevano nemmeno prima dell’invenzione delle tinture chimiche tedesche nel tardo Ottocento; e il paradosso del Porco fa sì che quel Medioevo diventi simbolo di una sorta di godereccia abbondanza, un ricordo di Grandi Magnoni piuttosto che di Grandi Cavalieri. E qui accenniamo solo di sfuggita alla diffusa moda degli Ordini Cavallereschi Immaginari, le cui cerimonie iniziatiche costituiscono una straordinaria occasione di abbuffate per farmacisti e venditori di auto. Ordini che prosperano, forse, proprio in quanto l’Italia ha avuto molto meno aristocrazia di altri paesi.
Passiamo alla Festa di San Nicola – Sagra del Tortellino (ma anche lì compare il Porco) che si presenta così:
“Motori e Sapori
Un incontro unico fra le quattro ruote, i più bei motori d’Italia e la più gustosa gastronomia, quella del Tortellino e non solo. E’ il senso della manifestazione “Motori & Sapori”, che da alcuni anni, nell’ambito della tradizionale Festa di San Giuseppe , propone a Castelfranco Emilia un binomio tutto…”
Sapori e Motori (e piccolissimo dettaglio, lo spazio tra San Giuseppe e la virgola)…
Il mondo del Porco coincide in larga misura con il mondo dei Motòri. In senso ampio e in senso strettamente romagnolo, con la “ò” aperta, per indicare lo zugatlò, il giocattolone dei maschi appenninici.
Oppure, gli innumerevoli garage nelle villine a schiera in cui i nonni montano e smontano oggetti metallici del tutto inutili, spesso con meravigliosa perizia.
Il paesaggio, il porco, il motòre e l’anglobale si fondono tutti in questa proposta rivolta a proprietari di Ferrari:
“Tour a Modena con auto sportive
“Ammirando la bellezza della natura, alla guida delle vostre sportive, vi delizierete con i sapori delle nostre tradizioni in un percorso suggestivo che vi lascerà incantati, perché non sarete semplici turisti, sarete dei veri viaggiatori.
Sarete accolti dal nostro staff e verrete invitati al briefing durante il quale il nostro pilota professionista vi illustrerà le caratteristiche delle auto che guiderete ed i segreti della guida sicura.”
In questa immagine, tratta dalla Sagra del Tortellino, vediamo una Dama e un Cavaliere.
La Dama è tale Cristina Ori, docente di musica; mentre l’armigero a destra è Giuseppe Panini, presentato nella didascalia come “Fondatore dell’Azienda Figurine Panini e Presidente della Camera di Commercio di Modena” e figlio di un edicolante.
Il fratello di Giuseppe Panini è Umberto, inventore della Fifimatic, l’imbustatrice che permise ai fratelli di mettere in piedi la famosa industria di figurine dei calciatori, per passare poi a produrre quelle della Disney: sette miliardi di santini l’anno per giovani credenti spacciati nel corso di 40 anni.
Oggi l’azienda è proprietà della multinazionale di Robert Maxwell, il signore che avrebbe venduto Mordechai Vanunu al Mossad (al 54%, il resto se lo è comprato il patron della Sinistra, Carlo De Benedetti); ma ciò non toglie l’aura tutta italiana di Tradizione che svolazza attorno al nome Panini:
Spirito imprenditoriale, idee visionarie, amore per l’arte e le bellezze del nostro Paese, passione per il proprio lavoro. E’ la splendida storia della famiglia Panini, grande esempio della capacità imprenditoriale dell’Italia degli anni ’60 che, fra idee geniali e obiettivi improbabili, ha scritto un capitolo indelebile del romanzo del nostro Paese.”
Umberto Panini, invece delle proprie figurine, collezionava Maserati e moto, come dimostra il Museo dell’Auto e delle Moto d’Epoca Umberto Panini vicino a Modena (“una raccolta che è un ulteriore tassello dell’emozionante storia automobilistica di questa “terra di motori“).
Non lontano dal Museo Panini, sorge la Galleria Ferrari, monumento a tutte le fantasie paratradizionali:
Ferrari rappresenta un universo, non solo una automobile di lusso. Ferrari è un mondo ben definito, sognato e amato, a cui molti aspirano. Il successo e l’eccellenza del marchio italiano, amato in tutto il mondo, poggiano su quattro pilastri portanti, ossia sui principi Ferrari.
Tradizione e innovazione, per affiancare soluzioni tecnologiche d’avanguardia ad una tradizione di artigianalità. Persona e Team, perchè è la Squadra che raggiunge ogni giorno gli obiettivi, grandi e piccoli. Passione e Spirito Sportivo, il DNA di casa Ferrari. Territorialità e Internazionalità, come made in Italy nel mondo e fusione di stimoli e idee differenti.”
Il DNA di casa Ferrari… acciaio cinese, informatica indiana, benzina della Shell, sistemi di comunicazione della Vodafone (Regno Unito), pneumatici statunitensi. E tanta Passione, che quella ce la mettono gli italiani, assieme ai Cojoni di Mulo di Norcia.
Note:
[1] No, non sono miei clienti, li ho pescati a caso in rete.
[2] La poligamica vita del suino permette anche altri accoppiamenti fantasiosi: “La tradizione sposa l’informatica: il Salumificio Viani e CSB-System”. Gli amanti del porco hard possono assistere invece a una disquisizione sulle differenze tra il culatello di Zibello e il gammune di Belmonte Calabro, con tanto di docenti di estetica che discettano su ““Il gusto delle sfide, gusto della filosofia. Valori e riferimenti per una cittadinanza attiva”.
[3] Ne parla ad esempio il blog “Un po’ di mondo”, dove l’autore cita il caso di un operaio nigeriano licenziato, secondo Repubblica per razzismo. E’ utile leggere i commenti, da cui emerge che questa categoria un po’ moraleggiante in realtà rispecchia una durissima realtà sociale. Che non sarà certo rovesciata da Carlo De Benedetti e i suoi media privati.

Kelebekler

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