Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

martedì 29 marzo 2011

La traiettoria del capitalismo storico e la vocazione tricontinentale del marxismo.


di Samir Amin. Fonte: lernesto -e su altre testate del 13/03/2011 da Monthly Review - http://www.monthlyreview.org%20traduzione/ dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

-Prima parte (1 di 2) - La lunga ascesa del capitalismo

La lunga storia del capitalismo si compone di tre fasi distinte e successive: (1) una lunga preparazione - la transizione dal modo tributario [*], la forma consueta di organizzazione delle società pre-moderne - che durò otto secoli, dal 1000 al 1800; (2) un breve periodo di maturità (XIX secolo), durante il quale l’ “Occidente” ha affermato il proprio dominio, (3) il lungo “declino” causato dal “Risveglio del Sud” (per usare il titolo del mio libro, pubblicato nel 2007) in cui i popoli ed i loro Stati hanno riguadagnato l’iniziativa nella trasformazione del mondo e la cui prima ondata ha avuto luogo nel XX secolo. Questa lotta contro un ordine imperialista, che è inseparabile dalla espansione globale del capitalismo, è di per sé il potenziale fattore operante nel lungo cammino di transizione, oltre il capitalismo, verso il socialismo.

Nel XXI secolo, assistiamo ora agli inizi di una seconda ondata di iniziative indipendenti da parte dei popoli e degli Stati del Sud.Le contraddizioni interne che erano caratteristiche di tutte le società avanzate nel mondo pre-moderno - e non solo quelle specifiche dell’Europa “feudale” - spiegano quelle successive ondate di innovazione socio-tecnologica che avrebbero costituito la modernità capitalistica.

La ondata più antica è giunta dalla Cina, dove i cambiamenti cominciarono nell’era Sung (XI secolo) con ulteriori sviluppi nelle epoche Ming e Qing, che diedero alla Cina un vantaggio in termini di creatività tecnologica e produttività sociale del lavoro collettivo - che l’Europa non supererà fino al XIX secolo. L’onda “cinese” doveva essere seguita da una “mediorientale”, che ha avuto luogo nel califfato arabo-persiano e poi, attraverso le Crociate e le loro conseguenze, nelle città dell’Italia.

L’ultima ondata riguarda la lunga transizione dell’antico mondo tributario a quello capitalista moderno. Questo è iniziato in modo esplicito nella parte atlantica dell’Europa in seguito alla conquista/scoperta delle Americhe, e per tre secoli (1500-1800) ha preso la forma del mercantilismo. Il capitalismo, che gradualmente è giunto a dominare il mondo, è il prodotto di quest’ultima ondata di innovazione socio-tecnologica. La forma europea (“occidentale”) di capitalismo storico che è emersa nell’Europa centrale e atlantica, nella sua derivazione statunitense e, più tardi, in Giappone, ha sviluppato le proprie caratteristiche, in particolare un modo di accumulazione basato sulla spoliazione, in primo luogo, dei contadini e dei popoli delle periferie, che sono stati integrati come dipendenti nel quadro del suo sistema globale.

Questa forma storica è dunque inseparabile dalla contraddizione centro/periferia, che essa crea all’infinito, riproducendola e approfondendola.

Il capitalismo storico ha assunto la sua forma definitiva alla fine del XVIII secolo con la Rivoluzione industriale inglese che ha inventato la nuova “industria meccanizzata” (insieme con la creazione del nuovo proletariato industriale) e la Rivoluzione francese che ha dato luogo alla politica moderna.Il capitalismo maturo si è sviluppato nel corso del breve periodo che ha segnato l’apogeo di questo sistema nel XIX secolo.

L’accumulazione di capitale poi ha preso la sua forma definitiva diventando legge fondamentale che governa la società. Fin dall’inizio, questa forma di accumulazione è stata sia costruttiva (ha consentito una prodigiosa e continua accelerazione della produttività del lavoro sociale) che, allo stesso tempo, distruttiva.

Marx osservò che l’accumulazione distrugge le due basi della ricchezza: l’essere umano (vittima dell’alienazione della merce) e la natura.

Nella mia analisi del capitalismo storico ho sottolineato in particolare una terza dimensione della distruttività dell’accumulazione: l’espropriazione materiale e culturale dei popoli dominati della periferia, che Marx ha in qualche modo trascurato. Non ci sono dubbi in questo senso perché, nel breve periodo in cui Marx stava concependo le sue opere, l’Europa sembrava quasi esclusivamente dedicata alle esigenze di accumulazione interna. Marx così circoscrisse questa espropriazione a una fase temporanea di “accumulazione primitiva” che io, al contrario, ho descritto come permanente.

Resta il fatto che durante il suo breve periodo di maturità, il capitalismo ha innegabilmente assolto funzioni progressive. Ha creato le condizioni che hanno reso possibile e necessario il suo superamento da parte del socialismo/comunismo, sia sul piano materiale che su quello della nuova coscienza politica e culturale che lo accompagnava. Il socialismo (e ancora di più, il comunismo) non va concepito, come alcuni hanno pensato, come un superiore “modo di produzione” perché capace di accelerare lo sviluppo delle forze produttive e di associarle a una “equa” distribuzione del reddito.

Il socialismo è qualcosa d’altro ancora: un superiore stadio di sviluppo della civiltà umana. Non è dunque un caso che il movimento operaio abbia messo radici nella popolazione sfruttata e impegnata nella lotta per il socialismo, come verificatosi nell’Europa del XIX secolo e spiegato nel Manifesto del Partito Comunista del 1848. Né è un caso che questo scontro abbia preso la forma della prima rivoluzione socialista della storia: la Comune di Parigi del 1871.

Capitalismo monopolistico: l’inizio del lungo declino

Alla fine del XIX secolo, il capitalismo è entrato nel suo lungo periodo di declino. Voglio dire con questo che la dimensione distruttiva dell’accumulazione ha prevalso, con ritmo crescente, sulla sua dimensione progressiva costruttiva. Questa trasformazione qualitativa del capitalismo ha preso forma con la costituzione di nuovi monopoli di produzione (non più solo nei settori del commercio e della conquista coloniale, come nel periodo mercantilista) alla fine del XIX secolo. Ciò avveniva in risposta alla prima lunga crisi strutturale del capitalismo iniziata nel decennio 1870, poco dopo la sconfitta della Comune di Parigi.

L’emergere del capitalismo monopolistico (come superbamente evidenziato da Hilferding e Hobson) ha dimostrato che il capitalismo classico, il capitalismo della libera concorrenza aveva, di per se stesso, “fatto il suo tempo” ed era diventato “obsoleto”. Suonò la campana della necessaria e possibile espropriazione degli espropriatori. Questo declino ha trovato la sua espressione nella prima ondata di guerre e rivoluzioni che hanno segnato la storia del XX secolo.

Lenin aveva quindi ragione nel descrivere il capitalismo monopolistico come la “fase suprema del capitalismo”.

Ma Lenin pensava, ottimisticamente, che questa prima lunga crisi sarebbe stata l’ultima, con la rivoluzione socialista all’ordine del giorno. La storia ha poi dimostrato che il capitalismo era in grado di superare questa crisi, al costo di due guerre mondiali, ed è stato anche in grado di adattarsi alla sconfitta inflittale dalle rivoluzioni russa e cinese e da quelle di liberazione nazionale in Asia e in Africa. Ma dopo il breve periodo di rinascita del monopolio capitalista (1945-1975), seguì una seconda, lunga crisi strutturale del sistema, a partire dal 1970.

Il capitale reagì a questa rinnovata sfida per mezzo di una trasformazione qualitativamente nuova che prese la forma di quello che ho descritto come “capitalismo monopolistico generalizzato”.

Una serie di domande importanti scaturiscono da questa interpretazione del “lungo declino” del capitalismo, che riguardano la natura della “rivoluzione” che era all’ordine del giorno. Potrebbe il “lungo declino” del capitalismo monopolistico storico essere sinonimo di una “lunga transizione” al socialismo/comunismo? A quali condizioni?

Dal 1500 (inizio della forma mercantilistica atlantica della transizione al capitalismo maturo) al 1900 (inizio della sfida alla logica unilaterale di accumulazione), gli occidentali (europei, nordamericani e più tardi giapponesi) sono rimasti i padroni del gioco. Solo loro diedero forma alle strutture del nuovo mondo del capitalismo storico. I popoli e le nazioni della periferia, che erano state conquistate e dominate hanno ovviamente resistito come meglio potevano, ma alla fine sono state sempre sconfitte e costrette ad adeguarsi al loro status subordinato.

La dominazione del mondo euro-atlantico è stata accompagnata dalla sua esplosione demografica: gli europei, che costituivano il 18% della popolazione del pianeta nel 1500, passavano al 36% nel 1900 – aumento costituito dai discendenti degli emigrati verso le Americhe e l’Australia. Senza questa massiccia emigrazione, il modello di accumulazione del capitalismo storico, basato sulla scomparsa accelerata del mondo contadino, sarebbe stato semplicemente impossibile. Ecco perché il modello non può essere riprodotto nelle periferie del sistema, che non hanno “Americhe” da conquistare. “Rimettersi al passo” col sistema è impossibile, i popoli delle periferie non hanno altra possibilità che optare per un percorso di sviluppo diverso.

L’iniziativa passa ai popoli e alle nazioni della periferiaNel 1871 la Comune di Parigi che, come detto, è stata la prima rivoluzione socialista, fu anche l’ultima a svolgersi in un paese che era parte del centro capitalista. Il XX secolo ha inaugurato - con il “risveglio dei popoli delle periferie” - un nuovo capitolo nella storia. Le sue prime manifestazioni sono state le rivoluzioni in Iran (1907), in Messico (1910-1920), Cina (1911), e nella “semi-periferica” Russia nel 1905. Questo risveglio dei popoli e delle nazioni della periferia è stato portato avanti nella Rivoluzione del 1917, nel Rinascimento (Nahda) arabo-musulmano, nella costituzione del movimento dei Giovani Turchi (1908), nella Rivoluzione egiziana del 1919 e nella formazione del Congresso indiano (1885).In reazione alla prima lunga crisi del capitalismo storico (1875-1950), i popoli della periferia cominciarono a liberarsi intorno al 1914-1917, mobilitandosi sotto le bandiere del socialismo (Russia, Cina, Vietnam, Cuba) o della liberazione nazionale (India, Algeria) a gradi diversi e con riforme sociali progressiste.

Hanno preso la via dell’industrializzazione, fino ad allora vietata dalla dominazione del (vecchio) imperialismo “classico”, costringendo quest’ultimo ad “adattarsi” a questa prima ondata di iniziative indipendenti dei popoli, nazioni e degli stati delle periferie. Dal 1917 al tempo in cui il “progetto Bandung” (1955-1980) esaurì le forze ed il sovietismo cadde nel 1990, queste sono state le iniziative che hanno dominato la scena.

Non vedo le due lunghe crisi di invecchiamento del capitalismo monopolistico, in termini di lunghi cicli di Kondratieff [**], ma come due tappe sia nel declino del capitalismo globalizzato storico che nella possibile transizione al socialismo. Neppure vedo il periodo 1914-1945 esclusivamente come “guerra dei 30 anni” per la successione alla “egemonia britannica”. Intendo questo periodo anche come lunga guerra condotta dai centri imperialisti contro il primo risveglio delle periferie (Est e Sud).

Questa prima ondata del risveglio dei popoli della periferia si è esaurito per molte ragioni, tra cui i suoi limiti e contraddizioni interne, e il successo dell’imperialismo nel trovare nuovi modi di dominare il sistema mondiale (attraverso il controllo dell’innovazione tecnologica, l’accesso alle risorse, il sistema finanziario globalizzato, le tecnologie della comunicazione e informazione, le armi di distruzione di massa).

Tuttavia, il capitalismo ha subito una seconda lunga crisi, iniziata nel 1970, esattamente 100 anni dopo la prima. Le reazioni del capitale a questa crisi sono le stesse avute nella precedente: la concentrazione potenziata, che ha dato origine al capitalismo monopolistico generalizzato, la globalizzazione (“liberale”), e la finanziarizzazione. Ma il momento del trionfo - la seconda “belle époque”, dal 1990 al 2008, facendo eco alla prima del 1890-1914 - del nuovo imperialismo collettivo della Triade (Stati Uniti, Europa e Giappone) è stato davvero breve. Una nuova epoca di caos, guerre e rivoluzioni è sorta. In questa situazione, la seconda ondata del risveglio dei popoli della periferia (che era già iniziata), è ora negata per consentire all’imperialismo collettivo della Triade di mantenere le proprie posizioni dominanti, se non attraverso il controllo militare del pianeta. L’establishment di Washington, dando priorità a questo obiettivo strategico, dimostra che è perfettamente consapevole dei problemi reali in gioco nelle lotte e nei conflitti decisivi della nostra epoca, in contrapposizione alla visione ingenua delle correnti occidentali in maggioranza “altermondiste”.

È il capitalismo monopolistico generalizzato l’ultima fase del capitalismo?Lenin descrisse l’imperialismo dei monopoli come la “fase suprema del capitalismo”. Io ho descritto l’imperialismo come “fase permanente del capitalismo”, nel senso che il capitalismo storico globalizzato ha costruito, e mai cessa di riprodurre e rendere più profonda, la polarizzazione centro/periferia. La prima ondata di costituzione dei monopoli, alla fine del XIX secolo, certamente ha comportato una trasformazione qualitativa delle strutture fondamentali del modo di produzione capitalistico. Lenin ne ha dedotto che la rivoluzione socialista fosse all’ordine del giorno e Rosa Luxemburg riteneva che l’alternativa fosse ormai tra “socialismo o barbarie”. Lenin era certamente troppo ottimista, avendo sottostimato gli effetti devastanti della rendita imperialista - e il trasferimento ad essa associato - sulla rivoluzione da Occidente (centro) a Oriente (periferia). La seconda ondata di centralizzazione del capitale, che ha avuto luogo nell’ultimo terzo del XX secolo, costituiva una seconda trasformazione qualitativa del sistema, che ho descritto come dei “monopoli generalizzati”.

Da allora in poi, non solo hanno guidato i vertici della moderna economia, ma sono anche riusciti a imporre il loro controllo diretto sull’intero sistema di produzione. Le piccole e medie imprese (e anche quelle di grandi dimensioni fuori dai monopoli), come quelle agricole, sono state letteralmente espropriate, ridotte alla condizione di sub-appaltatrici, con attività a monte e a valle del ciclo produttivo, e sottoposte a rigido controllo da parte dei monopoli.In questa fase più elevata della centralizzazione del capitale, i suoi legami con un corpo organico vivente - la borghesia – sono rotti.

Si tratta di un cambiamento di enorme portata: la borghesia storica, costituita da famiglie radicate localmente, ha ceduto il passo a una oligarchia/plutocrazia anonima che controlla i monopoli, nonostante la dispersione dei titoli di proprietà del loro capitale. La gamma di operazioni finanziarie inventate negli ultimi decenni testimonia questa suprema forma di alienazione: lo speculatore può vendere ciò che nemmeno possiede, in modo tale che il principio di proprietà è ridotto a uno stato poco meno che irrisorio.

La funzione sociale del lavoro produttivo è scomparsa. L’alto grado di alienazione aveva già attribuito una virtù produttiva al denaro (“denaro genera denaro”). Ora l’alienazione ha raggiunto nuove vette: è tempo (“il tempo è denaro”) che la sua virtù da sola “produca profitto”. La nuova classe borghese che risponde alle esigenze di riproduzione del sistema è stata ridotta al rango di “dipendenti salariati”(anche precari), anche quando sono, in quanto membri dei settori superiori delle classi medie, persone privilegiate lautamente pagate per il loro “lavoro”.

Stando così le cose, non si dovrebbe concludere che il capitalismo ha fatto il suo tempo? Non c’è altra risposta possibile alla sfida: i monopoli devono essere nazionalizzati. Questo è un primo, inevitabile passo verso una possibile socializzazione della loro gestione da parte dei lavoratori e dei cittadini. Solo in questo modo sarà possibile progredire nella lunga strada verso il socialismo. Allo stesso tempo, sarà l’unico modo di sviluppare una nuova macroeconomia che ripristini un vero spazio all’operare delle piccole e medie imprese. Se questo non verrà fatto, la logica di dominio del capitale astratto non produrrà altro che il declino della democrazia e della civiltà, un “apartheid generalizzato” a livello mondiale.NdR[*] Il modo di produzione tributario è contraddistinto dal carattere “esterno”, cioè fiscale e militare, del potere politico nelle formazioni economico-sociali non occidentali.

(Cfr. Samir Amin “Lo sviluppo ineguale” 1977) [**] Le Onde di Kondratiev sono cicli regolari sinusoidali nel moderno mondo economico capitalistico. Lunghi da 50 a 70 anni, i cicli consistono alternativamente di una fase ascendente ed una discendente. Alla fase ascendente corrispondono periodi di crescita veloce e specializzata, mentre alla fase discendente periodi di depressione. (Wikipedia)(Continua)

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