Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

domenica 24 luglio 2011

Quella lezione da Genova.


Toni Jop, 22 luglio 2011. Fonte: paneacqua
A dieci anni dai fatti del G8 di Genova, si può affermare che questi hanno avuto nel cammino di noi italiani il ruolo e il peso di una durissima tappa di formazione, soprattutto nel solco della maturazione di una percezione collettiva, consapevole e condivisa di eventi che organizzavano le coscienze oltre le consuete polarità politiche, producendo nuova politica, nuovo "stare assieme". Il nostro sguardo su Genova G8 sta alla nuova sensibilità comunitaria, affamata di pubblico che funzioni e soprattutto di legalità fondata sull'uguaglianza, allo stesso modo della manifestazione delle donne del 2011, delle tante occasioni di lotta, dall'acqua al nucleare, ormai adottate dal sentire comune nello spazio delle matrici della nostra cultura politica attuale

Noi che non c'eravamo. Noi che non c'eravamo, abbiamo visto un film. A casa come nelle redazioni, per dire di luoghi di lavoro, siamo stati perseguitati da un film che nessuno avrebbe voluto vedere. Inseguiti, assaliti, colpiti, in un ciclo persecutorio di immagini che minuto dopo minuto, emittente dopo emittente, ci hanno trasformati, tutti e cioè ciascuno per proprio conto all'inizio, in un pubblico solenne. Dico "solenne", uso un aggettivo tanto solitario e inusuale quanto l'ipotesi di una realtà emersa da un altro mondo era stata in grado di eccitare l'indignazione più forte, eucaristica, massificante che nessuno di noi aveva lontanamente immaginato, previsto, perché per prevedere bisogna conoscere e noi non conoscevamo, non quella piega che negli eventi del G8 avrebbe interessato la comunicazione e la partecipazione corale a ciò che non ci aveva visti interpreti.

I fatti di Genova ci avevano riconsegnato, come accade raramente ma sempre dolorosamente nella storia, ad una barricata moralmente altissima, dalla quale era possibile distinguere senza alcuna fatica la giustizia dall'ingiustizia. Tutto era chiaro e terribile. Anche per chi come noi, non è "vergine", sa cosa vuol dire quella violenza, l'ha già incontrata e ora ritiene di conoscerne i sensi meno evidenti e per questo la disprezza. Le cariche della polizia, le delazioni, il controllo brutale messo in atto dal sistema di sicurezza, le provocazioni, gli scontri cercati, le pericolose vanità delle élites del movimento, lo sbigottimento delle seconde file, il fumo dei lacrimogeni, i passi di corsa dei "celerini", le fughe affannose. Avevamo provato indignazione per i fatti cileni, per esempio. In occasione del gravissimo attacco delle mutinazionali e del governo americano di allora all'esperienza socialista di affrancamento dal potere Usa di un grande Stato sudamericano.

Ma quella indignazione non aveva invaso le cucine di tutti gli italiani, aveva selezionato il suo pubblico, lo aveva scelto in un terreno culturalmente e politicamente polarizzato dalla conoscenza almeno di un dato: sai chi è Allende? A Genova era accaduto qualcosa di incongruo: il sangue non stava dove doveva stare. Una scena perfettamente registrata avrebbe dovuto limitare i segni della violenza nella grafica dei corpi canonizzati dai ruoli: da un lato la polizia, dall'altro i ragazzi che fanno casino per questo o quel motivo. Invece, ecco che il sangue appare, in quel film, sui volti di donne che avrebbero potuto essere le nostre nonne e questo non va, è incongruo: che c'entra una nonna, più nonne ferite a manganellate dagli agenti durante una manifestazione tutto sommato classica? Fuori sceneggiatura anche l'assalto alla Diaz.

Non tanto la sostanza di quel che accadde, e cioè un linciaggio a freddo di ragazzi nei loro sacchi a pelo come in una Sand Creek tricolore, quanto piuttosto l'evidenza che una operazione militare di quel tipo - non infrequente, per la verità - fosse svelata nella sua doppiezza dal suo divenire cinematografico sempre presente, non in un flash back. La domanda perenne di quelle ore fu: ma si rendono conto che si vede tutto e benissimo del loro sconcio? E poi: possibile che non gliene freghi nulla? Questo fu l'interrogativo più angoscioso, perché pareva darsi una risposta d'obbligo molto dark: è vero, non gliene frega nulla, ma se è così vuol dire che non temono la giustizia e se non temono la giustizia, i registi di questa operazione hanno molto potere, più di quello che noi immaginiamo ora, allora; un potere che può all'occasione stringere la libertà con buone possibilità di riuscita.

Tra l'altro si sapeva che nel comando generale della sicurezza del G8 si muovevano frenetici alcuni dei leader politici più forti del governo, assistevano in diretta agli esiti di una scommessa che veniva dal passato e dai suoi rancori, mentre le ossa fracassavano, Carlo Giuliani andava a sbattere contro un proiettile di calibro militare, i ragazzi del movimento venivano malmenati a Bolzaneto, massacrati alla Diaz e le nonne sanguinavano. L'ultimo incongruo, ma temporaneo, quasi un trompe-l'oeil, era la fantastica libertà di azione concessa dalla sicurezza alle bande colorate da quell'altro mito ambiguo dei nostri tempi, i black blok. Dal punto di vista della comunicazione, una sorta di prova generale di quel che sarebbe capitato con Al Qaeda: la creazione di una condensa simbolica in cui sversare le estremità dei comportamenti più funzionali al sistema di sicurezza, la riedizione per desiderio fisiologico dell'idea del nemico tradizionale, che sta nel rito classico, che si può finalmente localizzare, denunciare, mostrare, governare, usare poiché impiega esattamente la stessa logica dei sistemi di sicurezza, ne riflette i bagliori etici, ne formalizza l'esistenza e il diritto.

Non stiamo sostenendo che si tratti di una invenzione, ma che su uno spunto, l'immagine del black blok, in questo caso iconograficamente molto interessante, quasi sempre consapevole del suo stare in scena, si sia scelto di operare confezionando con quel "tessuto" un abito su misura, adeguato agli scopi, sufficiente per legittimare le reazioni da programmare. Neppure questo era non saputo. Ma avevano commesso troppi errori, in regia. Quello principale fu di aver offerto a sessanta milioni di italiani e molti altri cittadini europei, il giorno dopo, uno stato d'animo che non covava ambiguità.

La stragrande maggioranza di chi aveva "visto" quelle immagini non era combattuto nel fulcro di questa bilancia: la polizia ha menato, ma quei black blok erano fetenti. Si pensò piuttosto: qualunque cosa siano i black blok, non si menano le nonne e non si spezzano le ossa di ragazzi che stanno dormendo, non lo devono fare proprio quelli che dovrebbero proteggerci e se lo fanno, qualcosa di grave è accaduto al paese. Ecco: quella violenza, recitata a quel modo, aveva eccitato l'embrione di un nuovo senso di cittadinanza, aveva prodotto l'abbozzo di una identità fondata sulla legalità sostanziale, e cioè su un principio di giustizia in movimento: la necessità di una protezione di sistema nei confronti dell'uguaglianza.

Diciamo che i fatti del G8 hanno avuto nel cammino di noi italiani il ruolo e il peso di una durissima tappa di formazione, soprattutto nel solco della maturazione di una percezione collettiva, consapevole e condivisa di eventi che organizzavano le coscienze oltre le consuete polarità politiche, producendo nuova politica, nuovo "stare assieme". Il nostro sguardo su Genova G8 sta alla nuova sensibilità comunitaria, affamata di pubblico che funzioni e soprattutto di legalità fondata sull'uguaglianza, allo stesso modo della manifestazione delle donne del 2011, delle tante occasioni di lotta, dall'acqua al nucleare, ormai adottate dal sentire comune nello spazio delle matrici della nostra cultura politica attuale.

Poi, non si può non considerare cosa produsse, cosa si produsse nella società italiana da allora, nella politica. Non ci si è soffermati abbastanza sulla circostanza che proprio quei giorni, quella esperienza siano stati per Gianfranco Fini - presente a Genova - il motore di una deriva di coscienza e politica che ha introdotto grandi novità nella destra italiana. Questo passaggio non è mai stato reso esplicito, spiegato, ma sarebbe prezioso per il paese sapere, potersi temporaneamente trasferire nel "viaggio" dell'attuale presidente della Camera. Sapremmo, ad esempio, cos'è successo dietro le quinte del teatro militare dispiegato a Genova. Ma già sappiamo qualcosa che alla regia e ai suoi interpreti privilegiati non deve essere sfuggito, nella riflessione su quei fatti: che, per esempio, lo "spettacolo" di potere messo in scena al G8 era, è del tutto anacronistico, superato, un fallimento, come una carica di cavalleria spazzata da un'onda laser. E quel laser era la comunicazione, le riprese, le immagini in movimento, i mille punti di osservazione, l'infinita treccia delle storie che si riproducevano una dentro l'altra, sempre presenti, con infinita micidiale coerenza e all'infinito.

Genova G8 è stata l'epigono estremo, del tutto fuori tempo di una teoria e pratica della violenza di potere che conservava con orgoglio nei file di memoria l'efficienza medicale dei rastrellamenti cileni, la "bellezza" di quegli stadi di contenzione in cui custodire i corpi della contraddizione, come una cellula malata e opportunamente isolata. Anche dall'altra parte della barricata qualcosa accadde. La violenza, intesa come propaggine ultima di un bisogno negato, uscì, per molti, dalla naturalezza del "corso delle cose", frangia fisiologica del movimento, risposta naturale alla violenza del sistema. Fu chiaro, come mai forse prima di allora, che se il movimento aveva qualche possibilità di mettere in difficoltà il sistema e i suoi automatismi questa chance stava nella capacità di produrre azioni di lotta impostate con un linguaggio che il potere non conosce, non riesce a controllare, di fronte alle quali non sa in che modo elaborare risposte efficaci perché la "provocazione" non parla il suo linguaggio. Così, da allora si può dire che nel movimento si sia avviato un processo che ha portato la gestione della violenza "antisistema" in piccole aree ambigue ma militarizzate negli schemi operativi, professionalizzando la contundenza e il tempismo dei contatti fisici. Ma non serviva l'assassinio di un ragazzo per arrivare a questa lucidità. Ora e sempre Resistenza.

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