Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 24 settembre 2011

Per la Palestina e i palestinesi ieri, oggi e domani.

di Fabio Amato. Fonte: liberazione
Sono ore di passione all’Onu. In queste ore si consumerà un passaggio storico. Storico ed importante per i palestinesi, prima di tutto, che chiedono di essere riconosciuti come 194esimo stato membro delle nazioni unite. Sanno di avere con loro gran parte dei popoli della terra, persino dei governi, tranne di quelli che però fanno e disfano nel mondo a loro piacimento, come gli Stati Uniti d’America. La musica per loro, con Obama, non è cambiata.
Tante parole al vento, bei discorsi, tutti rimangiati di fronte al ricatto delle potenti lobbies israeliane negli States e insignificanti di fronte alla real politik della potenza imperiale ed imperialista. Che fa la guerra, come Bush, in Libia, ma manda avanti gli alleati. Che protegge Israele, come Bush, ma con eleganti discorsi che alimentano illusioni. Gli Usa, con la pilatesca e vergognosa posizione espressa da Obama, mentono sapendo di mentire. Negare, come ha fatto Obama, la responsabilità internazionale e quella dell’Onu nella tragedia palestinese è ipocrisia infinita. E’ stata l’Onu, con una sua risoluzione, nel 1947, ad avvallare la nascita di Israele. Sul 48% della Palestina storica. Ora, dopo il ’67, quel 48 si è trasformato in 78%. Con gli accordi di Oslo, i palestinesi si erano detti pronti ad accettare la nascita del loro stato su solo il 22 % di quella che era la Palestina storica e da cui erano stati cacciati con la forza. Ma ad Israele questo non è bastato. Ha continuato a colonizzare, ad annettere terre con il muro, a sequestrare la valle del giordano e l’acqua. Netanyahu ringrazia naturalmente. Colui che ha speso tutta la sua carriera politica per vedere naufragare la possibile soluzione del conflitto con i palestinesi è soddisfatto della posizione di Obama. Ma anche se un veto fermerà il riconoscimento della Palestina, Israele sta isolandosi sempre di più agli occhi del medio oriente e del mondo.
Di quel mondo e di quelle nazioni, la stragrande maggioranza dell’Assemblea delle Nazioni unite, che dirà sì al riconoscimento dello Stato palestinese. Enorme è la vergogna per il nostro paese. L’Italia, alle prese con la crisi e con gli ultimi giorni del buffone di Arcore, ignora che il nostro pessimo governo sta per prendere l’ennesima posizione da servo degli Usa e zerbino di Israele, preparandosi a votare contro il riconoscimento dello stato di Palestina. Una vergogna, una sciocchezza diplomatica e una follia geopolitica per un paese nel cuore del mediterraneo.
La formula dei due Stati per i due popoli è stata in questi anni usata da tutte le parti. Da chi con convinzione e serietà proponeva una via d’uscita praticabile al conflitto, a quei governi che, in realtà del tutto complici d’Israele, della sua occupazione e delle sue guerre, facevano finta di non vedere come il processo di pace stesse in realtà morendo sotto i colpi dell’aviazione israeliana a Gaza, degli alberi di ulivo sradicati in Cisgiordania per far posto al muro e alle nuove colonie, delle grida degli abitanti palestinesi di Gerusalemme o di Hebron forzatamente espulsi dalle loro case. Di quali negoziati parlano, se Netanyahu non vuole toccare neanche un colono, non vuol discutere di Gerusalemme, nè dei profughi, nè dei confini del ’67. Quello che chiede Israele, spalleggiato da Usa e da complici come il governo italiano, è la resa dei palestinesi, la loro capitolazione in cambio di una gruviera di territori e città, piena di coloni e muri. Questi sepolcri imbiancati sono stati smascherati dall’iniziativa dell’Olp e di Abu Mazen. Se costoro erano per i due stati, perché non riconoscono quello che non c’è, la Palestina? L’iniziativa all’Onu è uno scatto di orgoglio e dignità da parte di una leadership, quella palestinese, logorata dal pugno di mosche che il processo politico negoziale le ha lasciato. Frutto di coraggio ma anche di disperazione. Un nulla di fatto che ne erodeva credibilità e consenso, e che con questa decisione di richiedere il riconoscimento dello stato di Palestina all’Onu recupera consensi riuscendo ad unire le tante fazioni palestinesi. Una scelta compiuta nonostante le arroganti minacce di tagliare i fondi e gli aiuti internazionali da cui dipendono. L’Europa come al solito non è pervenuta. Chi sarà a favore, chi contro, chi si asterrà. Un ulteriore segnale della crisi verticale di una costruzione politica la cui unica anima è quella delle banche e la cui unica politica estera è quella di andare al carro della Nato e degli Stati Uniti.
Noi questa estate abbiamo raccolto migliaia di firme, nelle nostre feste, a sostegno di questa richiesta. Con noi tutte le forze della sinistra e del sindacato. Naturalmente sappiamo che questo passaggio non è che un punto di partenza. Al veto degli Usa nel Consiglio di sicurezza è probabile che segua il sì dell’assemblea, che con i due terzi può dare all’Olp e alla Palestina lo status di osservatore non membro. Sarebbe comunque uno smacco per Usa e Israele e una vittoria politica per l’Olp. Nei prossimi giorni e mesi la situazione potrebbe vedere un innalzamento della tensione. Perché nonostante l’isolamento Israele continuerà ad occupare i territori palestinesi, ad assediare Gaza, a costruire colonie e muro. Ed allora va continuata la mobilitazione dal basso e la lotta, con strumenti come la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, che può essere usata da tutti per denunciare Israele, la sua politica coloniale e costringerla a cambiare, nonostante i suoi potenti alleati, le sue bombe atomiche, la sua ostinata occupazione, la più lunga della storia contemporanea.

Fabio Amato

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