Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 28 dicembre 2011

Valanga di rifiuti: finanziari

di ALFONSO GIANNI Fonte: democraziakmzero
Comprendo bene che non si tratta di una notizia natalizia, ma purtroppo è vera. Ce la comunica l’ultimo rapporto trimestrale del 2011 della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea (Bri), l’istituto fondato nel 1930, che annovera tra i propri soci 56 banche centrali, fra cui la Banca d’Italia. Secondo l’autorevole ricerca, per la prima volta dall’inizio della crisi economica mondiale il valore nozionale degli strumenti derivati negoziati fuori borsa (over-the-counter, OTC) è tornato a salire dopo il calo del terribile 2009.

L’incremento verificatosi nella prima metà del 2011 è stato pari al 18%, raggiungendo la cifra di 708 trilioni di dollari (o se più piace 708.000 miliardi), superando quindi il livello di 673 trilioni raggiunto alla metà del 2008, quando la crisi, partita dagli Usa, esplose in tutto il mondo. Anche i credit default swap (CDS) hanno aumentato i loro valori in essere, invertendo la tendenza calante che aveva contrassegnato il loro andamento negli ultimi tre anni. La maggior parte di questi contratti è stata fatta con scadenze sempre più brevi, il che è ancora più inquietante. Ad esempio quelli con scadenza entro un anno sono aumentati proporzionalmente assai di più, circa il 30%.

In altre parole siamo nuovamente seduti sopra una bolla finanziaria che è pari a circa 12 volte il Pil mondiale, ossia la ricchezza effettivamente prodotta. Il rischio che la bolla torni ad esplodere da un momento all’altro, provocando un nuovo salto verso il basso della crisi – gli anglosassoni lo chiamano il double dip - si fa quindi più concreto.

Ma c’è chi si frega le mani. Si tratta della grande finanza, annidata prevalentemente nelle roccaforti della City di Londra e di Wall Street a New York. Non a caso contrarie anche a una misura non certo sconvolgente come la Tobin tax. I dati ci indicano un incremento dei profitti del 78% solo per le banche americane.

Ovvero, mentre il mondo occidentale entra in recessione, i profitti finanziari si moltiplicano, ma su una base ancora più fragile che nel passato. La ragione non è difficile da cogliere, visto che nulla di concreto è stato fatto per porre un freno almeno agli aspetti più smodati della finanza internazionale, la quale ha ripreso a macinare il suo cattivo grano più e peggio di prima. Il cambiamento – se di questo si può parlare – sta solo nell’accelerazione dei processi di concentrazione degli istituti finanziari. Le 4 maggiori banche degli Usa, la JP Morgan Chase, la City Group, la Bank of America e la Goldman Sachs detengono attualmente il 94% del totale di tutti i derivati emessi nel grande paese americano.

In Europa intanto assistiamo a una nuova immissione di liquidità da parte della Bce nei confronti delle banche. Il costo del denaro è all’1%, ma non è affatto detto che le banche, fra cui le italiane, tra le prime ad abbeverarsi ai rubinetti della Bce, lo usino per rilanciare il credito alle imprese e alle famiglie o per acquistare titoli di stato. Infatti molte di esse hanno esigenze di ricapitalizzazione, a causa delle esplicite richieste avanzate dall’EBA, l’autorità bancaria europea. Come avevo già osservato in passato queste richieste si rivolgono in particolare agli istituti bancari dei paesi i cui titoli di Stato sono in difficoltà, quindi non la Germania o la Francia, con la conseguenza fin troppo evidente di creare un corto circuito negativo. I paesi che avrebbero più bisogno e urgenza di altri di aprire i rubinetti del credito per dare vita a politiche espansive, sono quelli che risultano più inibiti a farlo.

L’Italia è fra questi. Vedremo cosa succederà i prossimi 28 e 29 dicembre, quando verranno messi all’asta titoli italiani sia a breve che a medio termine. Ma il vero banco di prova ci aspetta nel primo trimestre del 2012, quando le banche dell’Eurozona dovranno rinnovare i titoli in scadenza da gennaio a marzo per circa 130 miliardi di euro.

Vista la reazione molto blanda dei famigerati mercati alla apertura di credito triennale in quantità illimitata della Bce, al modico tasso dell’1%, non c’è da stare allegri. Le Idi di Marzo non si preannunciano favorevoli. Probabilmente dimostreranno quanto si può perfettamente capire in anticipo. Prestare denaro alle banche non è una valida alternativa alla cosa che più urgentemente si sarebbe dovuto fare: modificare lo statuto della Bce per permettere alla stessa di essere prestatore in ultima istanza nei confronti degli stati in difficoltà. Non basta infatti che la Bce presti denaro alle banche, perché questo entri nel circolo economico. Né di per sé la liquidità fa fiorire l’economia reale, se non si rompe il mantra dell’austerità e del pareggio di bilancio. E ancora non di semplice crescita abbiamo bisogno, ma di una crescita di nuova qualità, socialmente e ambientalmente compatibile, capace anche di riorientare i consumi. Tutte cose fuori dall’orizzonte dei due Mario, quello che governa la Bce e quello che la rappresenta a capo del governo dell’Italia.

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