Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

lunedì 20 febbraio 2012

Se la troika avesse almeno visto Zorba il greco.

di Matteo Nucci - ilriformista -
Dopo i Turchi, l’invasore a cui i Greci hanno opposto la più fiera resistenza è stato Hitler. Giorni fa la bandiera tedesca bruciava assieme alle svastiche. Solo folklore, solo populismo?

«Che guerra è mai questa?» ha chiesto a un tratto Panagiotis, pensionato di settantacinque anni, seduto a uno dei caffè di Emanuel Benaki, la stretta via che sale verso Exarhia, il quartiere anarchico di Atene. Era luglio. Davanti a noi, un uomo di mezza età camminava lentamente. Faceva un movimento innaturale con un lungo bastone. Vestito di tutto punto, come un intellettuale d’altri tempi, andava avanti un passo alla volta, con il bastone inforcava le cicche spente in terra e le infilava con nonchalance dentro una bustina. Si procurava tabacco e nascondeva la vergogna in un movimento che aveva cercato di rivestire di improbabile normalità. «Che guerra è mai questa?» Con Panagiotis stavo parlando di Papoutsis, l’allora Ministro dell’Ordine Pubblico, principale “indiziato” dopo le giornate di battaglia che avevano distrutto Atene. Ma osservando la dignità scalfita dell’uomo che raccoglieva scarti di tabacco, Panagiotis parlava di guerra e non di battaglia e si riferiva a ben altro rispetto al fuoco della piazza, tanto che non mi veniva da dire nulla.
Pensavo a quel che raccontava mio nonno, passeggiando nella Roma dei primi anni Settanta, quando cercava di evocare in me bambino le immagini del dopoguerra: la fame, la povertà, e le cicche raccolte in terra, da lui e suo fratello, entrambi fumatori. Panagiotis continuava a guardare l’uomo con i suoi occhi quasi decolorati, ricoperti com’erano da una specie di patina acquosa. Poi gli ho chiesto: «Ma quanto durerà?» e lui ha alzato la mano nell’aria senza neppure sbuffare.
I gesti sono tutto in Grecia. Quando si deve dire “no”, si chiudono gli occhi, si alza il capo verso l’alto e si sospira. Allo straniero inconsapevole pare un segno di sospensione del giudizio. Ma basta leggere Omero per scoprire che è lo stesso cenno che fa Zeus. Si porta appresso il dolore di negare qualcosa, tanto che il “no” linguistico, in greco, è curiosamente più lungo che ovunque, un sospiro bisillabico: «òchi». Il gesto di Panagiotis però era tutta un’altra cosa, e non starò qui a descriverlo. Perché quel che importa di quel gesto è la difficoltà di interpretarlo per chi non conosca la Grecia. È stato allora che ho capito due cose: la guerra sarà lunga e chiunque la stia combattendo contro i Greci ne uscirà sconfitto.
Certo, si potrebbe sostenere che non si tratti affatto di una guerra, che questi anni di pressanti raccomandazioni e inviti a procedere al risanamento eccetera, siano passati all’insegna di una sorta di solidarietà con un Paese che naviga a vista e che non trova il modo di risollevarsi. Può darsi. Ma comunque stiano le cose, la questione rimane la stessa. Come non si può combattere contro un nemico che non si conosce, così non si può aiutare un amico che non si conosce. E in questi anni, l’Europa, i commentatori autorevoli, la cosiddetta troika (Fmi, Bce, Ue), hanno manifestato costantemente una completa ignoranza delle cose greche. Si ha l’impressione che gli uomini deputati a decidere delle sorti di questo piccolo Paese così straordinariamente importante per l’Europa (senonaltro perché è qui che nacque il nome, il concetto, l’idea stessa di Europa) siano del tutto all’oscuro circa la storia della Grecia come del carattere dei Greci.
Eppure, basterebbe poco. Così poco per capire, per esempio, perché a Souflì, un piccolo paesino al confine con la Turchia, nella regione dell’Evros, ho sentito ripetere, già quasi un anno fa, che il pericolo per la Grecia non erano più i Turchi, eterno spauracchio, ma i tedeschi. Cadevo dalle nuvole. Cosa era capitato se addirittura lì si era arrivati a parlare in quel modo? Mi raccontarono quel che si leggeva su alcuni giornali americani. La concessione di una tranche di prestiti, legata a misure che l’allora governo Papandreou si era impegnato a prendere nonostante l’enorme opposizione interna, era stata rimandata di fronte al tentennamento greco nel procedere all’acquisto di sottomarini tedeschi. Chiesi conferma a un importante diplomatico. Mi disse, nello stile tipico di ogni diplomatico, che le cose stavano proprio così.
Ora, non starò qui a dare numeri, cosa che in questi giorni tutti i quotidiani e riviste hanno fatto. Mi limito a ripetere che la spesa militare greca è la più alta, in relazione ovviamente al Pil fra tutti i Paesi europei, eppure nessuno ha lasciato che i Greci procedessero a tagliarla. Si mescolano su questo fatto innumerevoli errori strategici, sia che i Greci li si voglia aiutare, sia che li si voglia combattere. Si ignora innanzitutto quanto grande, fino a oggi, sia stato il timore nei confronti dei turchi, un timore che è sfociato spesso nell’ossessione militare. Eppure basterebbe un Bignami di storia. La dominazione turca in Grecia è durata quattro secoli. L’indipendenza arrivò nel 1829. Meno di un secolo dopo, il Paese s’imbarcò in un sogno destinato al più tragico dei fallimenti: la cosiddetta “megali idea”, l’idea grandissima e tragica di riconquistare la terra su cui da secoli vivevano i coloni greci, innanzitutto l’Asia Minore. Sbaragliati dalle truppe di Ataturk, nel 1922 i greci persero tutto. Da lì in poi, le scaramucce con i turchi sono andate avanti costantemente (Cipro e un muro che ancora divide Nicosia ne sono un esempio lampante) e nei dintorni di Souflì addirittura i dodici chilometri di confine greco-turco non segnati dal fiume Evros sono stati disseminati per oltre trent’anni da venticinquemila mine greche. Nel frattempo l’unico altro invasore di fronte a cui i Greci hanno opposto la più fiera delle resistenze è stato Hitler. Possibile sottovalutare tutto questo? Pochi giorni fa la bandiera tedesca bruciava assieme alle svastiche. Possibile considerare questi fenomeni come semplici espressioni di populismo e folklore?
Una conoscenza adeguata dello spirito greco avrebbe spinto in questi mesi la troika a usare se non altri numeri almeno altre maniere. In una minuscola isola del golfo Saronico, Angistrì, ho sentito un pescatore che diceva «noi ci governiamo da soli». Retorica anche quella? Demagogia? Davvero è difficile convincersene. C’è un carattere greco che non sfugge a chi abbia girato questo Paese di undici milioni di abitanti. E dove accorgersene meglio che nel golfo in cui le navi Persiane arrivarono in blocco nel 480 a.C. per essere poi sbaragliate a Salamina? Erano gli anni in cui ad Atene nasceva l’idea stessa di democrazia. Democrazia diretta. Se il popolo greco, abituato alla dominazione, ha sviluppato un orgoglio e un’identità nazionale fortissimi, c’è un altro aspetto connaturato a questo che si sottovaluta: l’idea incisa nel dna greco che ci si debba governare da soli. Democrazia diretta e partecipazione non sono solo slogan, qui. Idee come il commissariamento, frasi come «la Grecia deve essere accompagnata» generano soltanto un rancore infinito. Gli scontri di piazza raccontano proprio questo. I greci vogliono essere artefici del loro destino.
Per lo straniero, del resto, basterebbe conoscere quello che è in fondo il carattere tipico di questo popolo, dalle origini a oggi. Quel che già in Omero era considerato alla stregua di un’istituzione: la “xenia”, ossia il rapporto di ospitalità. Patrick Fermor, straordinario scrittore inglese che viveva a Kardamili, Peloponneso, autore di uno dei più bei libri di viaggio mai scritti (Mani) lo ha spiegato meglio di chiunque. L’ospite, lo straniero (xenos) viene accolto come amico (xenos) ma se non rispetta i patti dell’ospitalità può diventare il peggior nemico (xenos). È così che oggi è visto, in Grecia, chi ha spezzato il patto. «Serve a poco discutere di numeri» mi raccontava Giannis, un ragazzo ateniese fuori da uno dei bar di Kolokotroni, a un passo da Monastiraki: «Che la macchina statale fosse da riformare lo sapevamo tutti e finalmente lo si sta facendo. Quello è il cancro e adesso mi pare che abbiamo deciso di curarlo. Era meglio prevenire, ma tant’è. Però chi è che ha investito qui? Chi è che a braccetto con Karamanlis inneggiava al futuro della Grecia mentre quello truccava i conti? Chi è che ha puntato sulla Grecia delle magnifiche olimpiadi, futuro dell’Europa? Adesso tutti quelli che ci hanno regalato il credito vogliono strozzarci. Non c’è nessuna pietà nei confronti di chi t’inganna così». Questa è la percezione che si ha in Grecia dei creditori. Amici un tempo, nemici mortali oggi.
Mentre la povertà aumenta, le strade si svuotano, giovani e vecchi raccattano nella mondezza, file interminabili si snodano dietro agli sportelli delle mense in due anni reduplicate, in queste macerie da dopoguerra, mentre la guerra è ancora in corso, mi chiedo di nuovo se, aldilà delle previsioni economiche, non ci sia qualcuno che si è domandato, in questi anni di fallimentari ricette, se non sia il caso di conoscerli, una buona volta, questi strani, vecchi greci.
Pochi giorni fa, mentre Atene era di nuovo in fiamme e le tv ripetevano ossessivamente il ritornello su black bloc in azione, scrutavo il volto di Mikis Theodorakis, compositore ottantaseienne, con una benda sulla bocca per proteggersi dai lacrimogeni. Un blackbloc? Anche Mikis Theodorakis? Allora mi sono chiesto se perlomeno avessero visto Zorba il greco, questi politici che vogliono commissariare un Paese senza conoscerne la cultura. Almeno Zorba il greco. Almeno quello. Un film vincitore di tre Oscar, un film noto ovunque. Su youtube c’è per intero. È gratis. L’ho rivisto. Non ricordavo davvero l’epilogo. È straziante e spiega ogni cosa. Zorba e il suo fallimento, la distruzione del sogno costato denaro all’“investitore” inglese. Un terribile botto, il disastro. L’inglese si pulisce la polvere dal vestito bianco. Zorba lo guarda preoccupato. «Are you angry with me?» gli domanda nell’accento greco in cui Anthony Quinn è perfetto. Alan Bates scuote il capo, poi accenna un timido sorriso: «Teach me to dance. Will you?» «To dance?» grida Zorba in un vitalismo sfrenato. Parte il sirtaki finale. Insegnateci a ballare, vecchi greci. Insegnateci e perdonateci perché no, non c’è dubbio: nessuno della troika ha mai visto Zorba il greco.

Nessun commento:

Posta un commento

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters