Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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mercoledì 14 marzo 2012

In Germania più difficile licenziare che in Italia

Posted by - keynesblog -
Mentre torna ad imperversare lo scontro sull’articolo 18, con il governo intenzionato ad incrementare la flessibilità in uscita, Paneacqua pubblica un’intervista a Piergiovanni Alleva, docente del diritto del lavoro presso l’Università di Ancona e ad Andrea Allamprese, docente di diritto del lavoro presso l’Università di Modena.

L’idea del governo esposta ieri ai sindacati sarebbe di adottare il “modello tedesco” in Italia, senza però considerare tutti i suoi aspetti.

Come abbiamo già detto diverse volte, in Germania le tutele per i lavoratori stabili sono de facto maggiori di quelle italiane, tant’è che l’OCSE assegna alla Germania un indice di protezione del lavoro (EPL) pari a 3, contro il misero 1,7 del nostro paese. Il meccanismo viene spiegato nei dettagli da Alleva e Allamprese e si caratterizza per il peso del sindacato sul processo decisionale. Un peso che appare in una certa misura “opprimente” per la stessa libertà d’impresa, almeno se giudicato con i parametri comuni nel dibattito pubblico italiano. Senza che ciò, va rilevato, abbia mai creato grossi problemi al sistema produttivo tedesco, da sempre tra i più competitivi del continente.

“Proprio nella Germania della Merkel – dice il professor Piergiovanni Alleva, – sulla tutela del lavoratore in caso di licenziamento le regole sono estremamente chiare [...] senza giusta causa il licenziamento è nullo. Il lavoratore resta al suo posto. Il sindacato, i consigli di fabbrica devono dire la loro, dare l’assenso, altrimenti non si muove foglia. Il datore di lavoro può ricorre al giudice presentando le sue ragioni per il licenziamento. Si chiama ‘motivo personale’. Come da noi, il giudice decide se ha ragione il lavoratore o il datore di lavoro, se riconoscere la sussistenza o meno di un ‘motivo personale’ che giustifichi il licenziamento.”

Conferma e specifica nei dettagli Allamprese:

“Il datore di lavoro deve notificare al lavoratore che intende licenziarlo, un preavviso di diversi giorni obbligatorio per legge. Al tempo stesso il licenziamento deve essere comunicato al Consiglio di fabbrica. Se il sindacato si oppone al licenziamento il lavoratore ha diritto di mantenere il posto di lavoro sino alla fine della controversia giudiziaria. Il licenziamento non ha efficacia anche se il datore di lavoro non ha seguito la procedura. Il Tribunale ordina il mantenimento del posto di lavoro in caso di licenziamento nullo o ingiustificato. Il licenziamento è considerato socialmente giustificato nel caso di provata incapacità del lavoratore a svolgere le mansioni cui è assegnato per gravi, meglio gravissime, inadempienze o per comprovate esigenze economiche dell’azienda. il giudice ha dei parametri precisi per accertare o meno l’esistenza del ‘socialmente giustificato’: nel caso in cui la motivazione non ci sia, reintegra il lavoratore che ha diritto a recuperare il salario eventualmente non percepito. Durante la verifica del giudice il lavoratore resta al proprio posto di lavoro. Questa normativa si applica nelle aziende con più di dieci dipendenti. [in Italia la soglia dell'art.18 è 15 dipendenti, ndr]“

Eventualmente il lavoratore e il datore di lavoro possono concordare di non rendere operante il reintegro. Al lavoratore spetta in questo caso una indennità pari almeno a dodici mensilità. Le mensilità aumentano a quindici o a diciotto con un ulteriore possibilità di incremento in base all’anzianità di servizio.

All’articolo di Paneacqua aggiungiamo qualche ulteriore considerazione. Molte imprese tedesche sono cogestite, ovvero i rappresentanti dei lavoratori siedono nel “consiglio di sorveglianza” dell’impresa e possono così influenzare le scelte aziendali. Questo, negli ultimi anni, anche grazie alle riduzioni di orario concordate e al contenimento salariale, ha limitato la fuga delle produzioni all’estero. Riguardo il contenimento salariale, tuttavia, va sottolineato che nonostante ciò i salari tedeschi sono significativamente più alti di quelli italiani.

Inoltre la permanenza del lavoratore in azienda durante lo svolgimento della causa di lavoro rende difficoltoso per l’impresa provare l’effettivo motivo economico.

Ad irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro tedesco vi sono poi gli accordi aziendali, come quello della Siemens:


Una protezione illimitata contro i licenziamenti agli oltre 128mila dipendenti della Siemens in Germania. La società ha infatti stretto un accordo con la Ig Metall, il sindacato tedesco dei metalmeccanici che cambia le “regole” dell’allontanamento dei lavoratori, accordo che molti analisti definiscono storico.
Stando all’intesa, che verrà firmata oggi [22 settembre 2010], la direzione aziendale potrà licenziare solo con il consenso del consiglio di fabbrica a cui viene dato un vero e proprio diritto di veto. Sindacati e dipendenti plaudono all’accordo definendolo un “modello per l’intera industria tedesca”. A livello mondiale Siemens è presente in 190 Paesi e occupa circa 400mila dipendenti. (Fonte: Corriere delle Comunicazioni)

Va tuttavia detto che tutte queste tutele riguardano solo i lavoratori dipendenti stabili. I lavoratori precari invece hanno tutele scarse e salari anche molto bassi: i diffusi “mini job” da 400 euro rappresentano un vero e proprio dumping sociale e coinvolgono 7,3 milioni di lavoratori (dati settembre 2010), un occupato su quattro, di cui 5 milioni sono titolari di un solo contratto a bassa retribuzione.

Insomma, appellarsi alla Germania come modello è un’arma a doppio taglio e non risolve, almeno se copiato alla lettera, il problema della divisione del mondo del lavoro tra precari e stabili.

Articolo su Paneacqua.info

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