Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 16 dicembre 2011

Scelte impopolari

Alberto Burgio. Fonte: esserecomunisti
Nel frastuono che ha accompagnato l’uscita di scena di Berlusconi e l’insediamento del «governo dell’emergenza» un’affermazione era passata inosservata, benché a insistervi fossero stati, nell’ordine, leader della vecchia maggioranza e della nuova, capitani d’industria e autorevoli opinion makers: il governo Monti – aveva decretato un coro greco – è chiamato a compiere «scelte impopolari». Ora questa minacciosa espressione è tornata sulla bocca dello stesso presidente del Consiglio e c’è da augurarsi che non la si prenda sottogamba, tanto più se si considera il contesto nel quale è stata proferita.

Che cosa s’intenda per scelte impopolari lo sappiamo bene. Benché la camicia di forza della «stabilità» aggraverà la recessione, impedirà la riduzione del debito e renderà sempre più ingestibile la finanza pubblica; benché l’anarchia del mercato finanziario continuerà indisturbata a seminare miseria e disoccupazione, deindustrializzazione e distruzione dei diritti del lavoro (Marchionne non si muove nel vuoto pneumatico); benché la cecità delle leadership europee rischi di causare l’implosione della moneta unica sotto le macerie dei bilanci statali in dissesto, nessuno tra coloro che hanno il potere di decidere sembra sfiorato dal dubbio. Bisogna tagliare ancora stipendi e pensioni, servizi e organici; bisogna precarizzare tutto il lavoro e aumentare la pressione fiscale (generalizzando l’Ici e aumentando l’Iva, non certo introducendo la Tobin tax, la patrimoniale e il conflitto d’interessi tra i contribuenti); e bisogna blindare la politica economica costituzionalizzando Maastricht. Dopo 35 anni di «sacrifici» imposti al lavoro dipendente (in Italia si è cominciato con la svolta dell’Eur nel nome delle compatibilità), la prospettiva è quella di altri sacrifici per il lavoro dipendente, nel nome del risanamento o del rigore o dell’interesse generale: se la santabarbara della collera popolare non salta per aria, vuol dire che c’è ancora del succo da spremere, poi si vedrà.

Che per i sacerdoti del Tempio monetarista non vi sia alternativa alla lieta corsa verso il disastro, è chiaro da tempo. Ma quando in democrazia si parla programmaticamente di scelte impopolari, e quando a teorizzarle è un capo di governo che si dichiara indifferente al controllo democratico (che cos’altro significa in italiano dirsi disinteressato agli orientamenti dell’elettorato?), qualche interrogativo ce lo si dovrebbe pur porre. Salvo immaginare di trovarsi di fronte a un popolo di masochisti, si sta progettando di andare contro la volontà dei cittadini: la cosa fa problema o no?

All’inizio degli anni Novanta, sull’onda di Mani pulite, si modificò in profondità il meccanismo della rappresentanza. Ci si ispirò al mitico modello anglosassone per imporre all’Italia il bipolarismo (un’altra camicia di forza). La propaganda prometteva efficienza del sistema ed efficacia della sovranità popolare. In realtà si inseguiva la cancellazione delle voci critiche e la normalizzazione del Paese. Dopo la caduta del Muro e l’eutanasia del Pci, la storia era finita: perché continuare a discutere sui misfatti del capitalismo? Oggi abbiamo una bella conferma della produttività di quelle riforme. Il fatto che il presidente della Repubblica abbia potuto imporre al Parlamento un governo «tecnico», incaricato (dal senato virtuale dei grandi speculatori) di infliggere al Paese scelte impopolari, la dice lunga sullo stato di salute della sovranità popolare e della democrazia italiana. Come dicono gli indignati, per un pugno di favorevoli ai diktat della finanza c’è una stragrande maggioranza di contrari, costretti a obbedire. Siamo alla distanza massima tra il Paese legale, asserragliato nel Palazzo, e quello reale, mobilitato nelle piazze, nelle fabbriche e nelle università.

Resta da chiedersi perché i partiti deleghino ai tecnici il compito di attuare scelte impopolari che, pure, affermano di ritenere necessarie. Si dice: non c’erano le condizioni per un accordo diretto tra Bersani e Alfano (e tra Casini e Di Pietro); Monti è stato lo snodo tecnico che questo accordo impossibile ha mediato. C’è da dubitarne. È assai più probabile che si sia trattato della classica astuzia tattica dei politici. Se, con un gioco di prestigio, da una parte si sostiene il governo nel nome di valori supremi, dall’altra si tengono le distanze e si distinguono le responsabilità (magari chiedendo a Monti di porre la fiducia sulla manovra), è perché serve un parafulmine della collera popolare, già messa nel conto. Ma dove porterà questa brillante operazione?

Dipende. Per il Terzo polo e per le destre sarà probabilmente un buon affare. Non è all’elettorato di Casini e di Fini che le scelte del nuovo governo risulteranno indigeste. Le «riforme liberali» in stile gelminian-sacconiano non colpiranno i ceti medio-alti e i nuovi tagli al welfare saranno abbondantemente compensati dalle privatizzazioni. Quanto alle destre, avranno buon gioco nel sostenere che, quand’erano al governo, non hanno affondato il colpo contro i ceti popolari. Dopodiché, quella di governo si vanterà di avere ingabbiato i furori bolscevichi di Monti e, al momento opportuno, suonerà la grancassa del ribaltone e del golpe bianco; quella di lotta, radicalizzerà l’offensiva ideologica contro stranieri e nemici interni per incassare l’onda montante della paura e del risentimento: ha perfettamente ragione Roberto Biorcio nel ricordarci che sono, queste, condizioni ottimali per un exploit del populismo aggressivo.

E il centrosinistra, a cominciare dal Pd? Anch’esso ci guadagnerà? Non ci vuole molta fantasia per intuire che qui le cose si complicano. Impopolari le scelte di Monti lo saranno davvero per gran parte della sua gente. Il lavoro dipendente sarà colpito e tartassato (le pensioni sono l’antipasto); il carovita morderà nella carne viva della classe operaia, già prostrata dalla disoccupazione e dalla guerra ai diritti del lavoro; il ceto medio riflessivo sarà costretto a nuovi esercizi di sublimazione; e i giovani, ai quali a parole tutti lisciano il pelo, riceveranno l’ennesimo pugno di mosche. Non è difficile prevedere chi pagherà politicamente per questo, visto che l’opinione pubblica considera il Pd mallevadore del nuovo governo. A ragione, peraltro, dal momento che Bersani ne ha rivendicato la nascita per incassare il dividendo della cacciata di Berlusconi e della buona accoglienza in sede europea. I nodi non tarderanno a venire al pettine, come già dimostrano le fibrillazioni del gruppo dirigente (e della Cgil) e gli attacchi al segretario per interposto Fassina.

Pare di assistere a un ricorso storico. Emergenza per emergenza, sembrano tornati i tempi dell’unità nazionale. Allora, il Pci dilapidò un patrimonio di consensi per aver puntellato la periclitante centralità democristiana; oggi il Pd non esita a immolarsi – e ad allearsi di fatto con la destra – per compiacere i «mercati» e placare le ire di Bruxelles. C’è una differenza, tuttavia: negli anni Settanta ci si convinse della necessità di sostenere governi che nondimeno restavano estranei e avversi, il che permise a Berlinguer di riconoscere l’errore e di correre, pur tardivamente, ai ripari. Adesso pesa una sostanziale comunanza di assunti ideologici e d’intenti. Buona parte del gruppo dirigente democratico la pensa esattamente come Monti, Draghi e Marcegaglia, e non prende nemmeno in considerazione l’eventualità di revocare la fiducia al nuovo governo. Vedremo come andrà a finire (e se il Pd reggerà l’impatto), ma è molto probabile che le scelte impopolari del governo Monti apriranno una grossa falla nei consensi del centrosinistra.

D’altra parte, questo scenario chiama in causa la sinistra, assegnandole un compito e offrendole una grande chance. C’è una forte domanda di beni basici – reddito, lavoro, beni comuni, pace – alla quale i guardiani dell’ortodossia neoliberista non potrebbero dare risposta nemmeno se volessero. Su quei beni, invece, la sinistra ha costruito la sua visione del mondo e la sua stessa ragion d’essere. Sta dunque ad essa, ora, far sentire la propria voce, l’unica ragionevole, l’unica in grado di parlare alla stragrande maggioranza della Paese e di fare argine contro il pericolo populista. Ma perché la sinistra possa intercettare i consensi in uscita dall’area Pd-Idv si impongono due condizioni, entrambe tassative: l’unità dei soggetti che articolano il suo campo (frammentata, la sinistra non esercita alcuna seria influenza sulla scena politica nazionale) e l’autonomia dal centrosinistra, con il quale si tratterà di fare accordi da posizioni non subalterne. C’è da sperare che, finalmente, la forza della ragione prevalga sulle ragioni dell’interesse particolare.

Nessun commento:

Posta un commento

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters