Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 28 novembre 2012

Crisi occidentale, crisi europea, crisi italiana: facciamo il punto

- finansol -

la crisi europea e dell’euro
La crisi europea è, ad un primo livello di lettura, nata dalla crisi anglosassone. Ad un certo punto le banche statunitensi sono riuscite a scaricare una parte consistente dei loro prodotti finanziari spazzatura sulle banche europee.
Nel frattempo, peraltro, molti istituti del continente stavano già male per conto loro, per una loro cattiva politica creditizia (si pensi soltanto a quanto molte banche francesi e tedesche si erano impelagate nei prestiti alla Grecia e agli immobiliaristi spagnoli, oltre che a politiche clientelari in casa propria).
A questo punto intervengono i governi, cosa che avevano fatto anche negli Stati Uniti, per salvare la baracca. Negli Stati Uniti è stato calcolato che tra garanzie e interventi finanziari reali sono stati tirati fuori in poco tempo 14.500 miliardi di dollari e in Europa 4.500 miliardi di euro. Le banche ottengono così somme astronomiche in un baleno, mentre invece quando si chiedono i soldi per la sanità, per la scuola, per i servizi di assistenza alle persone disagiate i soldi non ci sono. La crisi europea, sempre ad una prima lettura di tipo se vogliamo cronachistico, nasce da una parte dalla crisi del 2007 delle banche statunitensi, dagli errori commessi da molte banche europee e poi anche dal fatto che esistevano, che come avrebbe detto Bush jr., alcuni stati “canaglia” sul fronte dell’indebitamento ( qui possiamo mettere dentro sicuramente la Grecia e l’Italia), che hanno speso negli ultimi decenni cifre che in parte almeno non dovevano spendere.
Si aggiunga poi la crisi del settore immobiliare di alcuni paesi, in particolare la Spagna, e si ha il quadro dei problemi.
Allora i governi sono obbligati a intervenire mentre le entrate fiscali si riducono per colpa della stessa crisi. Quindi il sistema degli stati, il sistema pubblico nei paesi europei va in grandi difficoltà, anche se chi di più chi di meno. Di fronte a questi problemi c’è chi, come i tedeschi, che ha la ricetta e la forza per imporla a quasi tutto il continente. Dal momento che per la Germania la crisi ha origine dall’eccessivo indebitamento pubblico degli spendaccioni stati del Sud Europa, si dovrà ricorrere a delle forti e prolungate misure di austerità per riequilibrare i conti, mentre eventualmente, per continuare a crescere, si doveva puntare sulle esportazioni.
Ma la politica di austerità + esportazioni non appare per molti versi la scelta giusta. Intanto alcuni dei paesi incriminati, come la Spagna e il Portogallo, non avevano affatto un alto livello di indebitamento. Anzi, esso prima della crisi era inferiore a quello della stessa Germania. Più in generale, non è l’indebitamento che genera la crisi, è semmai la crisi che genera l’indebitamento. Poi esportare di più non è certo facile; se lo facessero tutti i paesi non si saprebbe dove indirizzare i propri prodotti: forse verso Marte? Poi, l’austerità non risolve comunque niente, essa non porta allo sviluppo ma ad un aggravamento della crisi.
Di fatto, il problema degli stati del Sud e più in generale e sempre più anche di quelli del Nord non è il debito, ma lo sviluppo. Di recente, il Fondo Monetario Internazionale ha calcolato che ogni azione di riduzione della spesa pubblica in un paese, porta ad un ridimensionamento dei tassi di sviluppo del pil nello stesso paese con un fattore moltiplicativo che si colloca tra 0.9 e 1.7; qualcuno suggerisce che in media tale fattore può essere calcolato intorno ad 1.5. Ancora, i mercati percepiscono questa realtà di un’austerità che aggrava i problemi invece di risolverli e quindi aumentano le difficoltà dei paesi deboli e pretendono più alti tassi di interesse per continuare a sottoscrivere titoli pubblici di tali paesi.
In realtà la politica di austerità è un progetto ideologico, che mira nella sostanza a ridurre il ruolo dello stato e a ridimensionare o a cancellare in gran parte lo stato sociale. Una lettura più attenta delle cose porta comunque a dire che in realtà la crisi è originata da fattori diversi da quelli suggeriti dalla Merkel.
Primo punto: come ci ricorda E. Balibar, il filosofo francese, la crisi dell’euro non ha nulla a che fare con le colpe degli stati spendaccioni, ma essa è da collegare all’incapacità e alla scarsa volontà degli stati europei a neutralizzare il gioco speculativo dei mercati e a pesare in favore di una regolazione mondiale della finanza.
Secondo: c’è un problema politico-finanziario strutturale, alla lunga non si può avere una moneta senza stato, o si va verso l’unione politica europea, con tutte le gradualità del caso, o l’euro non regge. E’ inutile parlare di eurobond, di interventi più incisivi della BCE, o del fondo salva stati; tali possibili interventi diventano pressoché naturali solo una volta che si passi a una politica di unificazione europea, ma senza tale quadro essi sono sostanzialmente impensabili.
Terzo punto: un problema che abbiamo di fronte è anche quello della scarsa competitività degli stati del Sud Europa, Grecia, Portogallo, Spagna e, sia pure in minore misura, l’Italia. Si registra così, da questo punto di vista, una frattura crescente tra il Nord e il Sud Europa.
Quarto problema: tutto quello che si è approvato negli ultimi 2-3 anni lo si è fatto in assoluta carenza di processi democratici di decisione. Anzi i meccanismi operativi e procedurali a livello di Unione Europea sembrano proprio fatti per escludere dal gioco qualsiasi intervento di tipo democratico.
Quindi se si vuole salvare l’euro e la stessa costruzione europea, bisogna partire da un nuovo decollo del processo di unificazione politica, sia pure a tappe. Bisogna poi varare un grande piano infrastrutturale sempre a livello continentale e in particolare un grande piano per il sud; in effetti, con le sole politiche di austerità non si va molto avanti. Ci vogliono delle strategie per la crescita.
Il tutto può poi andare avanti soltanto con l’individuazione di un nuovo percorso di democrazia per tutto il continente.

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