Ad innescare  l’offensiva della Francia sarebbe stato l’ingresso il 10 gennaio scorso  nella città di Konna, a oltre 600 km a nord-est della capitale del  Mali, Bamako, delle forze ribelli, le quali hanno costretto l’esercito  regolare alla fuga, minacciando di prendere possesso delle località  cruciali di Mopti e Sevaré, dove sorge una base aerea di fondamentale  importanza strategica. Con il resto del paese africano a rischio di  cadere nelle mani dei ribelli, il giorno successivo Parigi ha perciò  ordinato l’impiego delle proprie forze aeree, grazie alle quali Konna è  tornata subito nelle mani del governo centrale.
Le bombe francesi avrebbero causato un centinaio di morti a Konna, dei quali, secondo quanto riferito ad Al Jazeera da un portavoce del gruppo integralista Ansar Dine, solo 5 guerriglieri  e il resto civili. Inoltre, un pilota di un elicottero francese e una  decina di soldati maliani sarebbero rimasti uccisi durante le  operazioni. Nonostante la cacciata dei ribelli da Konna, come ha  affermato il ministro della Difesa transalpino, Jean-Yves Le Drian,  l’area attorno alla città rimane teatro di “intensi scontri”.
I  bombardamenti sono continuati anche nei giorni successivi. Domenica, gli  aerei francesi hanno preso di mira località più a nord, come Gao e  Kidal, dove i ribelli avevano stabilito le proprie basi nei mesi scorsi.  Pubblicamente, i principali alleati della Francia hanno espresso il  proprio sostegno all’operazione. Gli Stati Uniti hanno offerto supporto  logistico e di intelligence ma nessun soldato, mentre la Gran Bretagna  soltanto velivoli per facilitare il trasporto delle truppe.
La  lenta preparazione delle forze di terra africane per contrastare i  ribelli islamici nel nord del Mali, seguita alla recente risoluzione del  Consiglio di Sicurezza dell’ONU e inizialmente prevista per il prossimo  settembre, sembra avere subito un’accelerazione con l’iniziativa presa  da Parigi. I governi che fanno parte della Comunità Economica dei Paesi  dell’Africa Occidentale (ECOWAS) stanno infatti organizzando vari  contingenti da inviare in Mali a sostegno dello sforzo francese.
Il  Senegal e la Nigeria, ad esempio, avrebbero già inviato delle truppe,  mentre 500 soldati dal Burkina Faso dovrebbero giungere nei prossimi  giorni. Alla guida provvisoria dell’ECOWAS, va ricordato, c’è in questo  momento il presidente della Costa d’Avorio, l’ex funzionario del Fondo  Monetario Internazionale Alassane Ouattara, installato al potere proprio  grazie all’intervento armato nella ex colonia dell’esercito francese  nell’aprile del 2011 dopo le discusse elezioni del novembre precedente.
Il  governo di Parigi ha in ogni caso tenuto a precisare non solo che i  raid dei giorni scorsi hanno già fermato l’avanzata dei “terroristi” ma,  come ha affermato domenica il ministro degli Esteri, Laurent Fabius,  che l’intervento francese in Mali sarà solo “questione di settimane” e  servirà ad aprire la strada alla forza multinazionale organizzata dai  paesi vicini. Nonostante la massiccia campagna aerea, però, i ribelli  hanno fatto segnare progressi nella giornata di lunedì, strappando  all’esercito regolare la località di Diabaly, nel Mali centrale e a soli  400 km dalla capitale.
L’intervento delle forze armate  francesi in Mali viene in questi giorni descritto da quasi tutti i media  occidentali come una decisione necessaria, inquadrata nella consueta  retorica di una “guerra al terrore” che ha fatto ora irruzione nel  continente africano. Tuttavia, simili pretese risultano a dir poco  assurde.
Innanzitutto, la crisi esplosa lo scorso anno in Mali è  la diretta conseguenza del conflitto imperialista orchestrato in Libia  per rimuovere il regime di Gheddafi. L’intervento della NATO nel paese  nord-africano ha, da un lato, causato il rimpatrio forzato di  guerriglieri Tuareg ben armati che avevano combattuto a fianco di  Gheddafi e, dall’altro, consentito il flusso di armi fornite ai ribelli  libici dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo Persico a favore di  Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), la principale formazione  estremista impegnata in Mali assieme ad Ansar Dine.
La doppiezza  di Parigi, così come di Washington o di Londra, appare in tutta la sua  evidenza proprio alla luce della vicenda libica e della risposta data  più in generale ai fatti della Primavera Araba. In Libia, infatti, la  Francia e i suoi alleati hanno collaborato in maniera molto stretta con  il cosiddetto Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (LIFG) per  abbattere il regime di Gheddafi, fornendo ai suoi affiliati armi, denaro  e addestramento.
Questa formazione integralista è da anni  alleata precisamente con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, contro cui le  forze francesi stanno combattendo in questi giorni in Mali, ed è attiva  da tempo con propri uomini nella guerra civile in Siria in  collaborazione con gruppi jihadisti come il Fronte al-Nusra, questa  volta nuovamente per servire gli interessi dell’imperialismo  occidentale, battendosi contro il regime di Bashar al-Assad.
La  vicenda del Mali dimostra dunque ancora una volta come la cosiddetta  “guerra al terrore” non sia altro che un comodo pretesto per promuovere  gli interessi dell’Occidente nelle aree strategicamente più importanti  del pianeta, dal momento che i vari gruppi estremisti riconducibili ad  Al-Qaeda vengono di volta in volta utilizzati, a seconda delle necessità  e con una schizofrenia solo apparente, come giustificazione per  attaccare o invadere un determinato paese (Afghanistan, Mali) oppure  come partner affidabili per portare a termine i propri obiettivi (Libia,  Siria), salvo poi cercare di prenderne le distanze una volta raggiunti.
In  Mali e in Africa occidentale, una regione con ingenti risorse naturali  anche se tra le più povere del pianeta, sono piuttosto in gioco enormi  interessi per la Francia, garantiti dalla continua interferenza di  Parigi nei paesi facenti parte del suo ex impero coloniale.
Nel  vicino Niger, ad esempio, la multinazionale transalpina Areva opera da  decenni estraendo uranio con ben pochi benefici per la popolazione  locale. Lo stesso Mali possiede giacimenti di uranio in gran parte  ancora da sfruttare e su cui le grandi compagnie estrattive  internazionali hanno già messo gli occhi, tra cui ovviamente quelle  francesi, soprattutto alla luce dei problemi incontrati recentemente da  Areva in Niger.
Da questa regione la Francia ottiene circa un  terzo dell’uranio di cui ha bisogno per alimentare le centrali nucleari  domestiche, così che la stabilità nelle ex colonie dell’Africa  occidentale risulta un requisito imprescindibile per mantenere la  propria indipendenza energetica.
Tra i  governi occidentali rimangono però profonde divisioni interne, con molte  voci che più o meno apertamente mettono in guardia dalle possibili  conseguenze di un intervento diretto e che evocano uno scenario simile a  quello afgano. Alcuni commentatori in questi giorni prevedono che gli  estremisti islamici attivi in Mali, anche se evacuati definitivamente da  città come Gao o Timbuktu, continueranno ad operare con tattiche di  guerriglia e, al limite, con attentati terroristici in Africa  settentrionale se non addirittura in Europa, come hanno minacciato di  fare lunedì.
Per cominciare, queste formazioni jihadiste  potrebbero trovare riparo nella vicina Algeria, il cui governo si era a  lungo opposto ad un intervento esterno in Mali per le prevedibili  conseguenze interne. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, anche  in seguito alle recenti visite di Hillary Clinton e dello stesso  Hollande, ha però alla fine deciso di fornire il proprio sostegno  all’Occidente, consentendo in questi giorni ai velivoli francesi di  sorvolare lo spazio aereo del proprio paese.
Un’operazione che  rischia di infiammare l’intera regione del Sahel ha infine trovato il  sostegno praticamente di tutta la classe politica transalpina, dall’UMP  ai neo-fascisti del Fronte Nazionale, ed ha confermato la natura del  Partito Socialista, attraverso il presidente Hollande e il suo governo  teoricamente di sinistra, di esecutore delle politiche neo-coloniali  francesi come lo era stato Nicolas Sarkozy durante gli anni trascorsi  all’Eliseo.
L’apertura di un nuovo fronte di guerra in Mali serve  inoltre a sviare l’attenzione dalle politiche anti-sociali messe in  atto dal governo socialista sul fronte interno. In particolare,  l’intervento in Africa è giunto, probabilmente non a caso, in  concomitanza con l’annuncio dell’accordo trovato nel fine settimana tra  gli industriali e i principali sindacati sulla “riforma” del mercato del  lavoro, con misure estremamente impopolari che prospettano lo  smantellamento dei diritti dei lavoratori per favorire la competitività  delle aziende francesi.
Michele Paristratto da http://www.altrenotizie.org
 
 
 
 
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