Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

lunedì 11 febbraio 2013

Il tramonto del centrosinistra. La crisi francese e l’andamento dei bond italiani e spagnoli accelerano l’alleanza Monti-Bersani.

- senzasoste -

borsa_operatoriCome sappiamo, con l’esperienza dei governi di centrosinistra degli anni ’90, gli elettori votano ogni cinque anni ed i mercati finanziari tutti i giorni. E i mercati finanziari degli anni ’90, al di là di formule politiche fantasiose di centrosinistra (ulivi, desistenze, progressisti) hanno sempre dettato la linea politica sui cartelli elettorali usciti vincenti da elezioni come da faticose mediazioni. Dalla messa a regime della privatizzazione delle banche, di cui MPS rappresenta uno dei frutti maturati in quella stagione, dallo smantellamento del pubblico in settori strategici (energia, alimentare, industria, comunicazione) alla prima ondata di precarizzazione del lavoro (Legge Treu) all’entrata nel regime di cambi fissi preludio dell’euro.
Tutti temi allora molto cari sia a quell’elettore molto affezionato agli stati sovrani che si chiama quotidianità dei mercati che all’alleato-competitor dell’area euro: la Germania. Si capisce quindi, che anche al debutto del secondo governo Prodi (una disastrosa finanziaria anticiclica, alla vigilia della crisi subprime, votata da sinistra con lo slogan orwelliano “anche i ricchi piangano”), le ragioni di questo particolare elettore quotidiano trovarono ascolto e nella dimensione dall’eurozona (il tentativo di recupero di produttività, previsto dalla finanziaria 2006, tentava di sposare in pieno il modello neomercantilista continentale a guida berlinese).
Fino ad adesso però i mercati finanziari ovvero gli elettori quotidiani dei governi, che dallo sviluppo della globalizzazione finanziaria fanno sentire ogni giorno il proprio peso, per quanto riguarda l’Italia hanno sempre rispettato il rito dell’unico giorno in cinque anni in cui votano gli elettori. Nel senso che, in un modo o in un altro, si sono quasi sempre adattati al rito elettorale. Per poi fare concreta opera di persuasione materiale, tramite operazioni sul debito pubblico o investimenti come disinvestimenti, sui governi in carica. Dopo la crisi del debito sovrano europeo, conseguenza di quella bancaria continentale (a sua volta conseguenza anche dell’intreccio tra banche europee e Usa sui subprime), qualcosa di serio nel rapporto tra elettori che votano tutti i giorni ed elezioni politiche è cambiato. Naturalmente non nei paesi “core” dell’eurozona, anche se un future sui bond francesi, emesso da una società vicina alla borsa tedesca, tra il primo e il secondo turno delle elezioni in Francia aveva tutto il sapore non solo della manovra speculativa ma anche dell’avvertimento. Ma che qualcosa di più serio sia cambiato, nel rapporto tra mercati finanziari e rito di legittimazione istituzionale via elezioni, lo capiamo proprio dall’Italia. Come lo abbiano capito dai “niet” franco-tedeschi ricevuti dai greci all’epoca dell’ipotesi di referendum sull’euro. Non dimentichiamo, ad esempio, che la rovinosa caduta del governo Berlusconi nel 2011 è stata determinata sia da un aumento record dello spread che da un’attacco, favorito da non solidissimi fondamentali di Mediaset, al titolo dell’azienda di famiglia del presidente del consiglio.
In questi giorni però è avvenuto qualcosa che si deve registrare ben oltre il fatto di cronaca. Brevemente: la possibilità di una alleanza post elettorale tra centrosinistra e centro era stata largamente, e pubblicamente, anticipata dal leader di entrambi gli schieramenti. Il fatto che gli schieramenti non si siano presentati assieme, all’appuntamento elettorale, è da imputarsi ad una caratteristica non così incomprensibile. Solo presentandosi separati, dopo un anno di duro governo Monti, centro e centrosinistra avrebbero potuto pescare al meglio nel proprio baricentro elettorale e subculturale di riferimento. Le dichiarazioni dei leader, prima che la campagna elettorale si facesse, come da convenzione, più accesa e l’accordo sui punti cardine del futuro (fiscal-compact, pareggio di bilancio), codificavano questo processo. Che doveva avvenire però dopo le elezioni. Sia per verificare i rapporti di forza tra schieramenti, e all’interno di ogni schieramento, sia per pescare, appunto, al meglio nel proprio elettorato. Tanto più questa regola valeva per il centrosinistra, ma non solo, che aveva parte del proprio schieramento all’opposizione rispetto a Monti. Poi, con la logica dei rapporti di forza che si impongono, con la diplomazia e con qualche ferito sul campo si sarebbe santificata, quanto possibile, la nuova alleanza post-elettorale. Lo stesso Vendola, non molti giorni fa, parlava di un “Monti con il quale è possibile fare le riforme”. Improvvisamente, dopo un mese e più passato da competitor, Monti e Bersani si riavvicinano visibilmente anticipando sensibilmente un processo di alleanza tra centro e centrosinistra già chiaro da diversi mesi.
Come mai? E soprattutto quale evento rischia di far perdere voti, alla vigilia delle elezioni, a schieramenti convinti di acquisire percentuali di consenso meglio se separati? E qui contano, appunto, coloro che votano tutti i giorni. Ovvero i mercati internazionali. Che, di fatto, hanno imposto l’accelerazione della visibilità di una alleanza post-elettorale certo problematica ma niente affatto segreta nelle intenzioni. Ma cosa è sta accadendo? Consideriamo clinicamente che ci sono cinque fattori che hanno consigliato a Berlino di premere per una accelerazione della visibilità, prima ancora del risultato elettorale, della alleanza Monti-Bersani. Tre sono internazionali e due interni. Cominciamo dai primi tre: 1) Si è diffusa, a livello di finanza internazionale, la convinzione che si sia aperta una Currency War, una guerra valutaria, tra monete. La classica corsa a chi svaluta meglio la propria moneta per rendere competitiva la propria economia. Draghi, in questo in accordo con la Bundesbank e Berlino, non vuol partecipare a questa guerra svalutando l’euro. Per comportarsi così, oltre ad intervenire sulla competitività del lavoro (leggi costo), l’eurozona non può permettersi spread troppo alti specie se frutto di interventi speculativi. 2) la Francia sta soffrendo, secondo l’ultimo rapporto Markit ha un indice di attività economica persino inferiore a Spagna ed Italia, ha un forte debito pubblico e preme per la svalutazione dell’euro per rilanciare l’economia. Questo va contro i principi di competitività senza svalutazione che rendono a Berlino la possibilità di essere una economia esportatrice egemone nell’eurozona. 3) Si è rialzato, dopo una fase tranquilla, lo spread dei titoli pubblici spagnoli ed italiani. Le promesse di Berlusconi c’entrano poco, e comunque c’entrano assieme all’affaire Monte dei Paschi (vedi la recente picchiata di tutti i titoli bancari italiani). Dopo una fase rialzista dei mercati finanziari ci si libera infatti prima di tutto dei titoli ritenuti strutturalmente più a rischio: quelli italiani e spagnoli (oltretutto il governo Rajoy è dentro un serio scandalo e non dimentichiamo che l’altro corno della questione Antonveneta è il banco di Santander) che da tempo oltretutto si spingono a vicenda verso il basso nei momenti di difficoltà.
Vista da Berlino la questione è seria: si mette in difficoltà la politica sull’euro sia dal lato della Francia che da quello della speculazione sui titoli sovrani. Non solo, se la Spagna precipitasse ulteriormente sarebbe costretta a chiedere gli “aiuti”, previsti dal nuovo dispositivo SME-OMT della Bce, ad un ombrello di salvataggio (alla greca) che ha finora funzionato più da deterrente contro la speculazione che come reale strumento. Vedere le carte in mano alla Bce sulla crisi spagnola potrebbe essere problematico per tutti, anche per la Germania. Specie in una eventuale recrudescenza della Currency War ed entro una difficile trattativa sul budget Ue. Si tratta quindi di impedire che questi fattori precipitino alimentando in negativo due problemi immediati della Germania: 1) la ristrutturazione del sistema bancario che alimenta critiche interne di segno opposto, dalla finanza e dalla sinistra istituzionale 2) Le elezioni di inizio autunno che non possono ovviamente tenersi con una Merkel in balìa dell’ennesima forte crisi dell’eurozona.
Mentre, per adesso, i rapporti franco-tedeschi sono alle schermaglie, l’agenzia tedesca Dpa ha raccolto una dichiarazione del ministro degli esteri francese che rilevava il problema euro “senza voler far pressioni sulla Bce” , mentre sulla Spagna si avverte una qualche pressione diplomatica verso i vertici del governo (la Handelsblatt, una sorta di Sole 24 ore tedesco, fa dire a degli esperti finanziari “il problema è lo stesso governo Rajoy”) è ormai conclamato cosa sia accaduto all’Italia. Non quello che racconta la grande fiction Repubblica-La 7, insomma. Ovvero che, quando il caso ci mette il naso è decisamente simpatico, proprio da Berlino il candidato premier Bersani, dopo aver ribadito fedeltà ai principi del rigore e del fiscal compact, ha aperto, prima del risultato elettorale, ad una alleanza con Monti. Apertura prontamente ricambiata, con i classici distinguo diplomatici, proprio da Mario Monti. In questo scenario, quello in cui contano gli elettori che votano tutti i giorni, tra Roma e Berlino si cerca di ottenere nell’immediato qualche risultato. Ovvero a) mandare un segnale di certezza ai mercati finanziari sulla maggioranza che esce dalle urne, anticipando cosi’ il risultato elettorale, che si mostra così del tutto Merkel compatibile. Maggioranza con mezzi e strumenti politici, se necessario, in grado di dissanguare il paese, per mantenere la linea Merkel fiscal compact-pareggio di bilancio-compressione del costo e dei diritti del lavoro per la produttività 2) Mandare un messaggio ai francesi per far capire che la linea di “difesa” dell’euro, per come è oggi, tiene grazie alla stabilizzazione del caso italiano prima ancora delle elezioni 3) Last but not least, tenere sotto controllo politico, fin dove può la politica istituzionale, il terzo mercato obbligazionario al mondo ovvero l’Italia. La politica istituzionale viene così trasformata in messaggio, elaborata in notizia decodificabile in tempo reale per i mercati globali e con i tempi diplomatici per le cancellerie. Niente di più facile in Italia dove il tessuto economico è stato sinistrato e dove la politica istituzionale italiana deve di fatto la propria legittimità, fonte primaria di potere, ai comportamenti che assume verso il mondo finanzario globale e le politiche di bilancio continentali.
Dopo aver parlato di cose serie, e di temi gravi, non deve però mancare il buonumore. Che non può che arrivare da Nichi Vendola uno che dopo essere stato scalzato due volte, per motivi diversi, nell’appoggio ad altrettanti governi Prodi ancora non ha capito un non esiziale dettaglio. Ovvero che è stato messo in appoggio ai governi Prodi, una volta dall’esterno l’altra dall’interno, da coloro che eleggono ogni cinque anni, l’elettorato sovrano, e puntualmente scalzato da coloro che votano tutti i giorni ovvero i mercati finanziari. Su questo fenomeno c’è davvero maggiore consapevolezza nel Pd che in Sel. La situazione di Sinistra e Libertà oggi non è bella, è comica ma perlomeno ha il pregio della chiarezza. Rischia di apparire di fatto per come è, Vendola come una sorta di supporto della retorica di sinistra a Monti, ma prima delle elezioni. E mentre il Pd e il centro possono permettersi di perdere voti anticipando le proprie intenzioni, deludendo parte dei propri rispettivi elettorati, guadagnando nell’immagine di forza della futura coalizione, anche con frizioni interne, per Sel il rischio è di allargare la frana di consensi già registrata dai sondaggi (10 per cento circa poco più di un anno fa, la metà oggi). Anche perchè Vendola chiede voti per l’alleanza con il Pd e contro le politiche montiane. Risulta quanto meno curioso chiederli quando Monti e Bersani hanno anticipato, causa mercati internazionali e situazione di Berlino, la notizia della loro alleanza. Tutto, si sa, troverà una certa chiarezza a risultati certi delle urne. Ma anche ad urne aperte e rendicontate per Vendola e Sel la prova dell’ordalìa non sarà certo terminata. Visto lo scenario che potrà imporsi dopo le elezioni, una maggioranza “responsabile” con i voti di Sel al senato sotto l’arma atomica del “giudizio dei mercati”, ovvero proprio il fenomeno contro il quale Vendola chiede voti. Per Sel, dopo la traversata nel deserto durata un lustro, si prospetta così un approdo, forse l’ultimo per quel genere di ceto politico, ad un’oasi estremamente minata.
La crisi della rappresentanza significa anche che non si può cercare di essere fedeli a chi vota ogni cinque anni tenendo chi vota tutti i giorni sullo sfondo. Questo sfondo è uno di quelli che reclama il proprio peso e la propria presenza. Il contesto europeo preme quindi per radicalizzare un nuovo scenario politico istituzionale italiano, già ampiamente mostratosi da un anno e mezzo. Quello dove la partizione di campo sta tra “rigore” (politiche di bilancio, tagli anche feroci, sostegno alle voragini aperte dalle speculazioni bancarie continentali, retorica della crescita e recuperi di competitività su produttività e costo del lavoro) e “populismo” (forze di varia ed eterogenea provenienza che reagiscono a tutto questo, attaccate dai media ed emarginate dalla vita istituzionale più o meno come il vecchio Msi, che provengano da destra o da sinistra). Il tempo del centrosinistra di venti anni fa è quindi finito. Forse l’ultima discesa in campo di Berlusconi, determinata dalla necessità di un protagonismo Mediaset per uscire dall’angolo di una crisi del settore, ha generato l’illusione ottica di un rinnovato campo di azione per il centrosinistra che si voleva parte “riformista”, parte progressista, parte “moderato”, parte di sinistra.
per Senza Soste, nique la police.
6 febbraio 2013

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