Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!
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lunedì 4 marzo 2013

Rivoluzione Civile

Un suicidio in 8 mosse - senzasoste -
Rivoluzione Civile ha fatto flop, in maniera forse inattesa visto che i sondaggi pre-elettorali davano pronostici diversi che parlavano di percentuali basse ma comunque sufficienti per entrare almeno in Parlamento. L'apparato politico che componeva il cartello elettorale a sostegno di Ingroia cercherà colpe ovunque al di fuori delle proprie stanze (proprio l'ex magistrato ha già dichiarato che "è colpa di Bersani che non si è voluto alleare con noi"...), ma la sostanza è che le responsabilità sono tutte da addebitare proprio alla proposta politica messa in campo da Rivoluzione Civile. Un'offerta elettorale pessima per tanti motivi, racchiudibili in 8 punti principali. Vediamoli.
1 - Progetto di emergenza elettorale calato dall'alto
Dopo il fallimento dell'Arcobaleno nel 2008, la sinistra aveva una sola cosa da fare: iniziare a lavorare alla creazione di un nuovo soggetto politico, con facce diverse, parole d'ordine diverse, progettualità e prospettive diverse. Doveva farlo subito, il giorno dopo le elezioni (visto che fra l'altro non aveva neanche impegni istituzionali). Invece non solo non l'ha fatto subito, ma si è ritrovata a ridosso delle elezioni di cinque anni dopo a mettere in piedi un progetto che è apparso a tutti solo come un cartello elettorale di raccattati messi insieme per entrare in Parlamento. Progetto che poteva anche essere sensato nella sua idea di fondo (offrire una alternativa a chi voleva dare un voto di rottura mantenendo un'identità di sinistra che Grillo non dava) ma appunto se costruito nel tempo e dal basso. Invece, anziché nel tempo e dal basso, è stato messo in piedi ad appena un mese dalle elezioni e calato dall'alto dalle segreterie di 4 partitini, risultando incomprensibile e quasi sconosciuto all'elettorato.
2 - Disponibilità alla sottomissione
Quando i giornalisti ponevano ad Ingroia la fatidica domanda "ma così non portate via i voti al Pd?", lui rispondeva che era il contrario, perché Rivoluzione Civile avrebbe portato in Parlamento i voti necessari affinché, quando Bersani avesse avuto bisogno dei numeri per governare, anziché guardare a Monti avrebbe guardato a sinistra. Un autogol strtegico e comunicativo pazzesco: perché io elettore di sinistra anti-Pd dovrei votare per una lista che si dichiara già in partenza disponibile alla sottomissione? Magari in cambio di qualche puzzolente poltrona fra l'altro. Se voto per una lista alternativa al Pd, è chiaro che NON voglio che governi il Pd. E Grillo in questo senso dava maggiori garanzie (se saranno certezze lo vedremo già dai prossimi giorni). In quella scienza impietosa che è la politica, la disponibilità alla sottomissione emana debolezza e allontana l'elettore.
3 - Impronta fortemente legalitaria
Magistrati e poliziotti. Questo l'impatto, secco, tranciante, che ha avuto Rivoluzione Civile sull'elettorato. Ci vuole poco a capire che sono categorie che a sinistra piacciono a pochi. Che poi effettivamente non c'erano solo loro, ma chi studia comunicazione politica sa bene che il gossip amplifica la portata di cose che da marginali diventano caratterizzanti: in Rivoluzione Civile c'è un poliziotto che è contrario ai numeri identificativi sui caschi e sulle divise, quindi per l'impatto complessivo sulla gente, Rivoluzione Civile E' il movimento che è per la repressione poliziesca. Non è così in verità, ma è così per i media e la rete che trasmettono il concetto in maniera virale. Quindi, anche se non è verità, lo diventa. L'impronta legalitaria era stata pensata per sfondare almeno nelle regioni del sud tipo Campania e Sicilia, ma alla prova dei numeri è stato un fallimento anche lì.
4 - Assenza di idee nuove e mancanza di parole contro la Casta
L'approssimazione dal punto di vista della comunicazione politica si è vista anche dall'assenza di proposte nuove, d'impatto, rivoluzionarie ma per davvero. Berlusconi si è inventato la restituzione dell'Imu, ben sapendo che in campagna elettorale vale tutto e che tanto gli italiani hanno la memoria corta. Ad Ingroia bastava anche una sola proposta rumorosa, ma non l'ha trovata. Paradossalmente sarebbe bastato copiarne alcune di Grillo sull'antipolitica, magari personalizzandole con un vestito di sinistra, invece niente. Bastava dire che anche Rivoluzione Civile è per la restituzione dei rimborsi elettorali e per il limite a due mandati in Parlamento, magari aggiungendoci idee sulla partecipazione diretta e non solo virtuale della gente alle decisioni da prendere nel corso della legislatura. Invece nulla, tabula rasa.
5 - Nome debole
Rivoluzione Civile è un ossimoro. Puntigliosità linguistica dei rivoluzionari duri e puri? No, verità assoluta che a livello di comunicazione politica ha un effetto latente, inconscio, penetrante nelle menti delle persone. La Rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva Mao. Ingroia e compagni hanno dato invece l'idea che volevano andare al buffet di Montecitorio a farsi una bella mangiata. L'impatto del brand "Rivoluzione Civile" è praticamente lo stesso del "metteremo dei fiori nei vostri cannoni", il proseguimento del noioso filone arcobalenista. Perdente.
6 - Candidature di dinosauri impresentabili
Diliberto, Di Pietro, Ferrero, Bonelli. Pensavano forse che gli elettori non si sarebbero accorti che dietro ad Ingroia c'erano comunque loro? Diliberto è quello della scissione cossuttiana voluta perché i "comunisti-italiani" ci tenevano un sacco a fare le guerre in giro per il mondo insieme al governo D'Alema. Ma è anche quello del sostegno ufficiale a Bersani nella campagna per le primarie (!), che poi quando lui non li ha ringraziati dopo la vittoria si è anche offeso (incredibile, ma vero). Come può un elettore pensare che appena seduto sul seggiolone parlamentare Diliberto non avrebbe iniziato subito ad elemosinare un posto da alleato di Bersani? Di Pietro, dopo la famosa inchiesta di Report, è diventato il simbolo dei privilegi della Casta. E in quanto tale destinato ad essere polverizzato in un momento come questo in cui la congiuntura politica parla il linguaggio di Grillo.
7 - Assenza di carisma e di una rappresentazione della rabbia sociale
Ingroia è Crozza che fa Ingroia. Giusto? Sbagliato? Non importa, è così. In una campagna elettorale contano (molto più di quanto si pensi) anche le caricature, la satira, le prese in giro. Crozza ha fatto l'imitazione di tutti i leader tranne Grillo (perché lui è già la caricatura di sé stesso, o forse più semplicemente perché non lo sappiamo ma Crozza parteggia per Grillo). Berlusconi era lo strafottente, Monti era il robot, Bersani era l'uomo delle metafore di provincia. E Ingroia? Era lo svogliato. Sì, lo svogliato. Cioè, il leader della parte politica che doveva rappresentare la rabbia sociale, la rivoluzione, il grido di opposizione, non ne aveva voglia. Parodia ingenerosa quella di Crozza? Forse un po' sì, ma è innegabile che il carisma Ingroia o non ce l'ha o l'ha lasciato a casa durante tutta la campagna elettorale. Ci voleva un leader che parla alla pancia della gente, che fa sussultare il cuore e fa vibrare le emozioni. Una mente appassionata e che appassiona. Invece no, candidano l'addormentato.
8 - Mancanza di un rapporto diretto con i movimenti e col mondo del lavoro
E questo è il punto che viene per ultimo ma probabilmente è il più importante. Da una proposta politica di sinistra vorremmo aspettarci tutto ciò che il Pd non offre. In primis una riforma strutturale, organica, nuova, coraggiosa, del diritto del lavoro e del welfare. Una prospettiva per i giovani disoccupati, per i licenziati che non trovano più lavoro, per i precari, gli atipici, i sottopagati. Ma una proposta vera, credibile, concreta, con cui identificarsi per anni fino al suo ottenimento. Possibile che non siano riusciti a partorire niente in questo senso? A pensarci bene è incredibile. Non basta parlare in termini generici su quell'argomento, ti devi differenziare con proposte che non produce nessun altro. Deve essere quello il cambio di passo, altrimenti perché la gente ti dovrebbe votare? E andando al di là del lavoro, su tutti gli altri temi fondamentali come l'ambiente, le battaglie contro le grandi opere inutili tipo la Tav, contro le privatizzazioni dei beni comuni (acqua, scuola, sanità, trasporti), contro le guerre, contro l'emergenza abitativa, perché non è stata percepita la vicinanza da parte dei movimenti? Non era difficile fra l'altro, perché la piattaforma politica era già scritta da chi ogni giorno combatte nelle trincee dei luoghi di lavoro e dei territori.
Da domani avranno cinque anni di tempo per costruire tutto questo. Scommettiamo che non lo faranno?
redazione
26 febbraio 2013

martedì 12 febbraio 2013

Un programma per governare l’italia

   
Un programma per governare l’italia

Scarica il programma completo -

Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza.
Vogliamo realizzare un “nuovo corso” delle politiche economiche e sociali, a partire dal mezzogiorno, alternativo tanto all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti.
Per l’Europa dei diritti, contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie.
Vogliamo un’Europa autonoma dai poteri finanziari e una riforma democratica delle sue istituzioni. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi venti anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica. Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati. Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale;
Per la legalità e una nuova politica antimafia
che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politico. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico;
Per la laicità e le libertà.
Affermiamo la laicità dello Stato e il diritto all’autodeterminazione della persona. Siamo per una cultura che riconosca le differenze. Aborriamo il femminicidio, contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere. Contrastiamo l’omofobia e vogliamo il riconoscimento dei diritti civili, degli individui e delle coppie, a prescindere dal genere. Contrastiamo ogni forma di razzismo e siamo per la cittadinanza di tutti i nati in Italia e per politiche migratorie accoglienti;
Per il lavoro. Non vogliamo più donne e uomini precari.
Siamo per il contratto collettivo nazionale, per il ripristino dell’art. 18 e per una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia. Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime. Vogliamo difendere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;
Per le piccole e medie imprese, le attività artigianali e agricole.
Deve partire un grande processo di rinascita del Paese, liberando le imprese dal vincolo malavitoso, dalla burocrazia soffocante. Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato. Vanno valorizzate le eccellenze italiane dall’agricoltura, alla moda, al turismo, alla cultura, alla green economy;
Per l’ambiente.
Va cambiato l’attuale modello di sviluppo, responsabile dei cambiamenti climatici, del consumo senza limiti delle risorse, di povertà, squilibri e guerre. Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio, archiviando progetti come la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Va impedita la privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua. Va valorizzata l’agricoltura di qualità, libera da ogm, va tutelata la biodiversità e difesi i diritti degli animali. Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico, lo sviluppo delle rinnovabili, la messa in sicurezza del territorio, per una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog;
Per l’uguaglianza e i diritti sociali.
Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Vogliamo colpire l’evasione e alleggerire la pressione fiscale nei confronti dei redditi medio-bassi. Vogliamo rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale ed un piano per la non-autosufficienza. Vogliamo il diritto alla casa e il recupero del patrimonio edilizio esistente. Vogliamo un tetto massimo per le pensioni d’oro e il cumulo pensionistico. Vogliamo abrogare la controriforma pensionistica della Fornero, eliminando le gravi ingiustizie generate, a partire dalla questione degli “esodati”;
Per la conoscenza, la cultura, un’informazione libera.
Affermiamo il valore universale della scuola, dell’università e della ricerca pubbliche. Vogliamo garantire a tutte e tutti l’accesso ai saperi, perché solo così è possibile essere cittadine e cittadini liberi e consapevoli, recuperando il valore dell’art.3 della Costituzione, rendendo centrali formazione e ricerca. Vogliamo portare l’obbligo scolastico a 18 anni. Vanno ritirate le riforme Gelmini e il blocco degli organici imposto dalle ultime leggi finanziarie. E’ necessario accantonare definitivamente qualsiasi progetto di privatizzazione del sistema di istruzione e stabilizzare il personale precario. Vogliamo valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico, come afferma l’art. 9 della Costituzione. Vogliamo una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi la subordinazione al potere economico-finanziario. Vogliamo una legge sul conflitto di interessi e che i partiti escano dal consiglio di amministrazione della Rai. Vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;
Per la pace e il disarmo.
Va ricondotta la funzione dell’esercito alla lettera e allo spirito dell’articolo 11 della Costituzione a partire dal ritiro delle truppe italiane impegnate in missioni di guerra. Va promossa la cooperazione internazionale e l’Europa deve svolgere un’azione di pace e disarmo in particolare nell’area mediterranea. Va abrogata la riforma Monti delle Forze Armate, vanno tagliate le spese militari a partire dall’acquisto dei cacciabombardieri F35 e di tutti i nuovi armamenti.
Per una nuova questione morale ed un’altra politica.
Vogliamo l’incandidabilità dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo eliminare i privilegi della politica, la diaria per i parlamentari, porre un tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali e introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. Vogliamo una nuova stagione di democrazia e partecipazione.

domenica 10 febbraio 2013

Il Grande Rebus: le elezioni viste da sinistra

 - megachip -

ingrilloiadi Marco Niro.
Per chi, nonostante tutto, trova ancora a sinistra – intesa nel senso fresco, aggiornato e post-ideologico ben espresso qualche settimana fa da Giulietto Chiesa – il proprio universo di riferimento politico, queste elezioni sono un vero e proprio rebus. Chi la sinistra sostiene di rappresentare, in questa tornata, ha compiuto autentici capolavori di masochismo, andando oltre il fondo che già ormai pensavamo si fosse definitivamente toccato negli anni precedenti.
A cominciare è stato Vendola, con la decisione suicida di allearsi con il Partito Democratico. A Vendola sarebbe bastato guardare alla sua sinistra e dire “uniamoci e torniamo in Parlamento”, e non avrebbe fatto fatica a porsi alla guida di una coalizione saldamente ancorata a sinistra, alternativa al PD, facilmente accreditabile di una percentuale di voti ben superiore a quell’8% necessario ad entrare in entrambi i rami del Parlamento.

Invece Vendola, ad un’opposizione libera da condizionamenti e capace di rinvigorire e cementare una sinistra italiana uscita disastrata dalle politiche del 2008, ha preferito spaccarla ulteriormente e puntare su un’alleanza innaturale col PD, che lo costringe ogni giorno che passa di questa campagna elettorale a fare i salti mortali per garantire al suo elettorato che lui con Monti non si alleerà mai (come se, del resto, essere alleati di Enrico Letta e Fioroni, invece, sia una cosa che un elettore di sinistra, oggi, possa digerire facilmente…). Dal che discende, oltre che un’emorragia di voti per SEL (oggi accreditata della metà dei consensi che i sondaggi gli assegnavano prima della decisione di “sposare” il PD), un vero e proprio enigma per un suo elettore: se vota SEL, lo fa perché vuole contribuire, da sinistra, a un’alleanza di governo, altrimenti voterebbe Rivoluzione Civile; ma che senso avrebbe allora votare SEL se, come è evidente, Bersani sarà costretto all’alleanza con Monti e Vendola a quel punto si sfilerà, come non si stanca mai di assicurare?
Lasciando gli elettori di SEL al loro enigma, passiamo appunto a Rivoluzione Civile. Ricreare la fallimentare accozzaglia elettorale che era stata la Sinistra Arcobaleno nel 2008 pareva francamente arduo. Cinque anni dopo ci si è riusciti addirittura peggiorandola, con l’innesto di un corpo estraneo, Di Pietro (che, visto da sinistra, non può che essere considerato tale), e con l’affidamento incondizionato ad un improvvisato “deus ex machina”, Ingroia, nel segno di un personalismo politico modaiolo e banale che con la sinistra dovrebbe centrare poco o nulla (pur con tutto il rispetto per Ingroia). Intendiamoci: quello di Rivoluzione Civile è un programma interessante di cui un elettore di sinistra potrebbe pure accontentarsi (ammesso che, a sinistra come a destra, esistano ancora elettori interessati ai programmi). Tuttavia, la dinamica frettolosa con cui Rivoluzione Civile è nata, che finisce con il farla apparire come una sorta di Frankenstein prematuramente partorito, rischia di annullare la bontà di qualunque programma, già poco dopo la chiusura delle urne.
L’aspetto masochistico di tutto ciò è che la nascita di Rivoluzione Civile a scopi meramente elettorali ha finito con il frenare bruscamente – se non addirittura compromettere – l’unico vero processo di costruzione democratica e dal basso in Italia di un soggetto politico di sinistra, quello che stava avvenendo all’interno di “Cambiare si può”, come dimostra la presa di distanza da Rivoluzione Civile da parte dei cosiddetti “professori” che di “Cambiare si può” sono la mente. Così, per il nostro elettore di sinistra, si ripropone con Rivoluzione Civile un altro enigma: se vota Rivoluzione Civile, lo fa perché vuole che nel prossimo Parlamento ci sia un’alternativa a sinistra della coalizione PD-SEL; ma che senso avrebbe votare Rivoluzione Civile se questo soggetto dovrà poi fare i conti con un collante elettorale destinato a venire subito meno, col rischio – molto concreto – di assistere ad un triste spettacolo di disunione interna, dal quale l’alternativa di sinistra uscirebbe del tutto indebolita, per di più col rischio che questa dinamica si ripercuota anche fuori dal Parlamento, come lascia intendere quanto già avvenuto nell’ambito di “Cambiare si può”?
In questo enigmatico contesto, ecco che – paradossalmente – il nostro frastornato elettore di sinistra potrebbe essere tentato dall’idea che il voto speso meglio sia quello dato al Movimento 5 Stelle, guidato, anzi “capeggiato”, da uno che di sinistra non è mai stato, Beppe Grillo. Con lui, i rischi che si corrono con SEL e Rivoluzione Civile non ci sono: non c’è nessun dilemma-alleanze come nel caso di Vendola e nemmeno un dilemma-tenuta come nel caso di Rivoluzione Civile, ovvero si può stare certi che il Movimento 5 Stelle, una volta in Parlamento, farà per tutta la legislatura un’opposizione netta, radicale e granitica.
I problemi, con Grillo, sono altri e ben noti, guardandolo da sinistra. E non stiamo parlando dei dubbi sul fatto che si tratti di una forza realmente di sinistra. Ha scritto uno dei più acuti osservatori del Movimento 5 Stelle, Andrea Scanzi, sul Fatto Quotidiano, facendo riferimento al loro programma: «sanità pubblica, scuola pubblica, reddito minimo garantito per tutti, pacifismo, ambiente, liste pulite, abbattimento dei costi della politica, no agli inceneritori, etc: il Movimento 5 Stelle è di destra come Storace di sinistra». I problemi sono piuttosto altri, e innegabili: l’appiattimento sul “Capo” e la dipendenza totale da lui, la scarsa democrazia interna (sempre citando Scanzi: «il M5S contiene anche questa anomalia di inseguire la democrazia dal basso - “Uno vale uno” - ma di essere al tempo stesso la dimostrazione - per ora - del contrario») e il populismo urlato dei toni (non dei contenuti).
Ecco quindi la domanda: può un elettore di sinistra tapparsi occhi, orecchie e naso di fronte a questi che da sinistra non possono che essere visti come degli inaccettabili difetti del Movimento 5 Stelle e concentrarsi solo su quella che dal suo punto di vista può apparire come un’evidente qualità, ovvero essere la forza in gioco che meglio può garantire di poter contare, dentro il prossimo Parlamento, su un’opposizione netta, radicale e granitica fondata su contenuti di sinistra?
Non lo sappiamo. Quello che è certo, tuttavia, è che si verificherebbe, a quel punto, ciò che proprio Grillo ha più volte affermato con enfasi: colui per il quale voto diventa un mio dipendente, e deve fare quello che io gli chiedo. E questo, forse, potrebbe essere il miglior modo di neutralizzare, da sinistra, ogni rischio di deriva populista e anti-democratica del Movimento 5 Stelle.
Agli elettori di sinistra, da sempre minoritari e ora anche frastornati, l’ardua decisione.

venerdì 1 febbraio 2013

Falconi e avvoltoi

Pubblicato il 31 gen 2013

di Marco Travaglio -
Conosco Antonio Ingroia da 15 anni e non l’ho mai sentito paragonarsi a Falcone o a Borsellino. Semplicemente gli ho sentito ricordare due dati storici: nel 1988, neomagistrato, fu “uditore” di Falcone; poi nell’89 andò a lavorare alla Procura di Marsala guidata da Borsellino, di cui fu uno degli allievi prediletti. Nemmeno l’altro giorno Ingroia s’è paragonato a Falcone. S’è limitato a ricordare un altro fatto storico: appena Falcone si avvicinò alla politica (e di parecchio), andando a lavorare al ministero della Giustizia retto da Martelli nel governo Andreotti, fu bersagliato da feroci attacchi, anche da parte di colleghi, molto simili a quelli hanno investito l’Ingroia politico. Dunque non si comprende (se non con l’emozione di un lutto mai rimarginato per la scomparsa di una persona molto cara) l’uscita di Ilda Boccassini che intima addirittura a Ingroia di “vergognarsi” perché avrebbe “paragonato la sua piccola figura di magistrato a quella di Falcone” distante da lui “milioni di anni luce”. Siccome Ingroia non s’è mai paragonato a Falcone, la Boccassini dovrebbe scusarsi con lui per gl’insulti che, oltre a interferire pesantemente nella campagna elettorale, si fondano su un dato falso. Ciascuno è libero di ritenere un magistrato migliore o peggiore di un altro, ma non di raccontare bugie. Specie se indossa la toga. E soprattutto se si rivolge a uno dei tre o quattro magistrati che in questi 20 anni più si sono battuti per scoprire chi uccise Falcone e Borsellino. Roberto Saviano tiene a ricordare che “Falcone non fece mai politica”: ma neppure questo è vero. Roberto è troppo giovane per sapere ciò che, in un’intervista per MicroMega , Maria Falcone mi confermò qualche anno fa: nel ’91 suo fratello decise di usare il dissidio fra Craxi e Martelli per imprimere una svolta alla lotta alla mafia dall’interno del governo Andreotti, pur sapendo benissimo di quale sistema facevano o avevano fatto parte quei politici. Difficile immaginare una scelta più politica di quella. Ora però sarebbe il caso che tutti – politici, magistrati e giornalisti – siglassero una moratoria su Falcone e Borsellino, per evitare di tirarli ancora in ballo in campagna elettorale. Tutti, però: non solo qualcuno. Anche chi, l’estate scorsa, usò i due giudici morti per contrapporli ai vivi: cioè a Ingroia e Di Matteo, rei di avere partecipato alla festa del Fatto , mentre “Falcone e Borsellino parlavano solo con le sentenze”. Plateale menzogna, visto che entrambi furono protagonisti di centinaia di dibattiti pubblici, feste del Msi e dell’Unità, programmi tv, libri, articoli. Queste assurde polemiche dividono e disorientano il fronte della legalità, regalando munizioni a chi non chiede di meglio per sporchi interessi di bottega. Ma vien da domandarsi perché né la Boccassini né la Falcone aprirono bocca due anni fa, quando Alfano, ministro della Giustizia di Berlusconi, si appropriò di Falcone per attribuirgli financo la paternità della controriforma della giustizia. Né mai fiatarono ogni volta che politici collusi o ignavi sfilarono in passerella a Palermo negli anniversari delle stragi, salvo poi tradire la memoria dei due martiri trattando con la mafia, o tacendo sulle trattative, o depistando le indagini sulle trattative. Chissà poi dov’erano le alte e basse toghe che ora si stracciano le vesti per la candidatura di Ingroia quando entrarono in politica Violante, Ayala, Casson, Maritati, Mantovano, Nitto Palma, Cirami, Carrara, Finocchiaro, Carofiglio, Della Monica, Tenaglia, Ferranti, Caliendo, Centaro, Papa, Lo Moro, su su fino a Scalfaro. E dove spariscono quando si tratta di dedicare a Grasso le critiche riservate a Ingroia. Se poi Ingroia deve espiare la colpa di aver indagato su mafia e politica, di aver fatto condannare Contrada, Dell’Utri, Inzerillo, Gorgone e di aver mandato alla sbarra chi trattò con i boss che avevano appena assassinato Falcone e Borsellino, lo dicano. Così almeno è tutto più chiaro.
Il Fatto Quotidiano 31 gennaio 2013

sabato 26 gennaio 2013

Tra Vendola e Ingroia. La sinistra che manca

26 gennaio 2013- Fonte: lavorincorsoasinistra -

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di Davide Nota su gli Altri
Forse ha ragione chi sostiene che questa sia una fase della storia in cui non è possibile fare una vera militanza di sinistra, in Europa, se non nelle forme dell’avanguardia culturale e della testimonianza di una irriducibilità della vita e del sogno contro lo spleen del dogma, dell’eternamente uguale, della nevrotica alternanza tra “peggio moderato” e “peggio estremo”.
Testimonianza, sì, compito generoso di chi sa che le provviste serviranno per il domani, quando noi non ci saremo.
Certo, come scrive Don DeLillo “sono i desideri su vasta scala a fare la Storia”. Di fronte alla grande mareggiata i testimoni vengono spazzati via contro gli scogli o respinti sulle aride spiagge dell’esilio ininfluente. È ciò che Vendola definisce: “scalare la montagna, per cantare alla luna”. È vero? Sì, è vero.
“Ma è anche vero che la testimonianza individuale è la premessa logica e storica delle successive aggregazioni vincenti.” (Costanzo Preve).
Come si risolve questo paradosso, della necessità storica di una sinistra di lotta e di utopia che non saboti la necessità contingente di una squadra che vada al governo, anche in posizioni di compromesso, per difendere i diritti dei senza diritto e dei mai difesi?
È possibile scegliere l’una cosa e l’altra? Scalare la montagna e “volere la luna”, senza servire alla reazione tecnocratica?
E viceversa è possibile ricoprire incarichi governativi senza per questo dover sabotare l’importanza di una lotta che trascenda e che contesti, anche, i limiti tecnici che ogni azione governativa necessariamente implica?
O la contingenza burocratica deve per forza soffocare tutto il pensiero, coprendo ogni orizzonte di speranza?
Il nostro è un paese allucinatorio, dove le ali estreme che il potere vuole “silenziare” sono quelle che propongono l’ovvio, soluzioni di civiltà condivisa che dovrebbero essere date a priori, mentre “riformista” è chi chiede l’abrogazione delle riforme più avanzate del Novecento in termini di diritti sociali e sul lavoro, che sono sempre diritti individuali perché consentono al lavoratore di essere considerato un uomo e non un ruolo.
Dire che un individuo non vive per lavorare ma lavora per vivere, dire che se il lavoro non serve la libertà la democrazia non ha più senso ed è una finzione, dovrebbe essere ovvio.
Ma nello spleen d’Italia l’ovvio è una preoccupante minaccia bolscevica e si organizzano congiure per evitare che il Partito Democratico, cioè un partito liberale di centro con una componente di minoranza socialdemocratica, possa vincere le elezioni senza il cappio al collo del commissario tecnico, e cioè della destra europea.
Se pure è vero che questa è la norma di un Paese schiacciato da dieci anni di guerra civile e da trent’anni di mobbing televisivo, siamo sicuri che sia giusto ed utile assecondare questa torsione ideologica della realtà?
Negli ultimi cinque anni ho creduto molto, per sete di nuova militanza e per fede, anche, nei confronti di una promessa nata a vent’anni per le strade di Genova e di Firenze, a quel progetto di aggiornamento radicale dei linguaggi e delle filosofie di riferimento del marxismo europeo ai paradigmi del Duemila e della società liquida, e quindi alla proposta del Movimento per la Sinistra guidato da Nichi Vendola.
La complessità biografica dell’uomo incarnava simbolicamente il senso di una nuova storia, dove il conflitto tra contraddizioni lasciava posto alla stratificazione di diversità. Era il diritto poetico alla molteplicità, l’eresia di Pasolini che finalmente trovava voce pubblica e orgogliosa. Ne fui entusiasta.
Le strade dei Social forum di pochi anni prima pulsavano di questa nuova vita così come la realtà plurale della strada, la linfa vitale del vero quotidiano, comunicava questo punto di vista inedito di sincretismo tra le più importanti culture popolari del secolo da poco scorso: il cristianesimo, il socialismo e la rivendicazione libertaria del diritto individuale.
Una nuova visione avrebbe potuto servire una vasta unità? Gli ultimi, le immense moltitudini del margine, i noi-tutti abitanti di quest’unica e indistinta periferia sociale e esistenziale schiacciata dal capitale che muore, il mondo dei precari, il popolo delle partite iva, non stavamo aspettando solamente un cenno per guardarci negli occhi? Un codice condiviso per riconoscerci?
Poi accade lentamente questo, che il Movimento per la Sinistra diventa SEL e che SEL diventa una specie di brand in cui una dirigenza politica precostituita si organizza una campagna elettorale per entrare in parlamento come propaggine della corrente socialdemocratica del PD.
Qualcuno inizia anche a formulare ipotesi di unità in vista di un prossimo ingresso, auspicato e previsto, nel PSE.

venerdì 25 gennaio 2013

Ingroia scrive agli iscritti Cgil: "Io non invitato. Ecco cosa avrei detto"

Camusso presenta Piano del Lavoro.
 
“Care amiche e amici della Cgil, vi scrivo per riassumere ciò che avrei detto se fossi stato invitato ad intervenire alla vostra conferenza sul programma, al pari degli altri candidati per la Presidenza del Consiglio”. E’ quanto afferma, in una lettera aperta agli iscritti della Cgil, il leader di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia. “Rivoluzione Civile – Lista Ingroia – aggiunge – ha ben chiaro chi sono gli avversari da battere con il voto: Berlusconi, cioè la destra caciarona e impresentabile, e Mario Monti, rappresentante numero uno di quei professori in loden che hanno deciso la drammatica controriforma delle pensioni. Quella ‘destra perbene’ ha colpito in maniera pesantissima tutti i lavoratori e i pensionati, ma soprattutto le donne, ha creato la tragedia sociale degli esodati, ha cancellato l'art.18 ha confermato e aggravato tutte le forme di precariato. In compenso, non ha saputo mettere in campo alcun intervento che incidesse sulle fasce privilegiate, sulla Casta politica, sugli immensi sprechi ben esemplificati dalle auto blu o dalla pletora di consigli d'amministrazione clientelari. Soprattutto, non ha fatto nulla, zero assoluto, quanto a politiche industriali di ampio respiro. Invece mai come in questo momento, nel cuore della crisi, è urgente che ci sia un governo capace di offrire al Paese un indirizzo lungimirante sui settori strategici.

Sui capitoli da cui dipende la qualità della vita e il futuro del Paese - sanità, scuola, università, ricerca – la continuità tra i governi Berlusconi e Monti è totale. Continuano i tagli lineari, le privatizzazioni striscianti, la totale precarietà. In questa plumbea cornice si sono moltiplicati attacchi sempre più profondi contro i diritti e le libertà dei lavoratori. Siamo di fronte a un assedio che sta progressivamente riportando la condizione dei lavoratori e lo stato delle relazioni industriali indietro di un secolo e oltre. Il punto fondamentale, per me e per il mio programma politico, è invece – continua Ingroia – la piena e totale applicazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, prima di tutto in materia di libertà civili e sindacali. Ritengo fondamentale e imprescindibile la libertà per i lavoratori di votare sempre gli accordi che li riguardano, di votare sempre i propri rappresentanti e di potersi di iscrivere liberamente al sindacato che vogliono. La storia della Cgil è stata attraversata da discriminazioni e persecuzioni, ma alla fine ha saputo sempre sconfiggerle. Ha combattuto il regime fascista, ha ricostruito l’Italia con la spinta di Giuseppe Di Vittorio, ha emancipato la dignità di chi lavora con Bruno Trentin, ha battuto Berlusconi quando Sergio Cofferati vinse la battaglia per impedire la cancellazione dell’art. 18. Quelli che allora erano in piazza con voi e con noi, hanno votato oggi, senza batter ciglio, quell'eliminazione dell’art. 18 che non era riuscita 10 anni fa.

È dunque per me un impegno di grande valore democratico quello di assumere nel nostro programma l’approvazione di una legge per la democrazia e la rappresentanza nei luoghi di lavoro e la cancellazione delle leggi Fornero sui licenziamenti e sulle pensioni. Ci impegniamo – prosegue la lettera – a combattere la precarietà cancellando le oltre 40 forme di contratto precario per i giovani considerando l’apprendistato come il vero contratto di inizio lavoro. Riteniamo utile, in questa fase di transizione, garantire un reddito minimo almeno per i periodi di vuoto retributivo e previdenziale. Oggi, come anche i dati della Cgil dimostrano, è possibile una scelta alternativa a quella di Berlusconi e Monti. Noi lavoriamo per questo: per un governo di centrosinistra che rompa con le logiche monetariste del fiscal compact, con quelle devastanti della guerra e degli armamenti, con un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente e la salute dei cittadini mentre ignora i diritti umani fondamentali. Tutto questo, però, non può essere fatto a braccetto con chi quei modelli sciagurati li ha teorizzati, perseguiti e praticati, come Berlusconi e Monti.

Proprio perché noi siamo disponibili alla costruzione di questa alternativa di governo, ma siamo altrettanto fermamente indisponibili a ogni accordo con chi persegue politiche opposte alle nostre, Rivoluzione Civile rappresenta oggi il vero voto utile per impedire che si realizzi il progetto sciagurato, già annunciato e temo per molti versi già deciso, di un governo Pd-Monti.

Non è questione di pregiudiziali ideologiche ma di scelte pragmatiche e concrete. Noi lavoriamo per l’unità del mondo del lavoro: la destra di Berlusconi e Monti si è adoperata e promette di adoperarsi ancor più in futuro per dividere e per isolare le forze sindacali che non accettano le loro condizioni. La destra italiana ha usato la crisi per distruggere il Contratto Nazionale, abolire l'art. 18, cancellare i diritti minimi per i giovani, abbattere le libertà dentro e fuori i luoghi di lavoro. Noi vogliamo marciare in direzione opposta. E l’autonomia dei sindacati dai partiti e dai governi è un valore da conquistare e da rispettare. Di tutto questo – conclude Ingroia – mi sarebbe piaciuto discutere con voi, ma sono sicuro che non mancheranno altre occasioni di incontro con i pensionati e poi nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, dove ogni giorno lavorate garantendo il funzionamento dell’Italia. L'obiettivo comune è quello di restituire al lavoro tutto il valore, tutta la dignità e tutta la libertà necessaria per portare il Paese fuori dalle secche della recessione e della depressione”.

Antonio Ingroia

domenica 20 gennaio 2013

E ora fra Bersani e l’ex pm botte da orbi «Favorite il Pdl», «Avete desistito con Silvio»

 

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di Daniela Preziosi su il manifesto
«La pazienza è finita. La porta che Rivoluzione civile ha lasciato aperta troppo a lungo da questo momento si chiude, ci rivedremo in parlamento». Antonio Ingroia a Roma presenta le liste rosso-arancioni e dichiara esaurita la fase del dialogo con Bersani. E chi – nel centrosinistra – sperava almeno in un gentlemen’s agreement, resta deluso. Ieri i due si sono pizzicati per tutto il pomeriggio. «Abbiamo ricevuto proposte dietro le quinte, ma non possiamo accettare accordi: Monti è stato in continuità con Berlusconi e non possiamo dimenticare che il Pd ha appoggiato Monti e i provvedimenti che hanno colpito la gente», spiega Ingroia. Fino a qualche giorno fa l’appoggio del Pd a Monti non aveva ostacolato la disponibilità al dialogo. Ma la richiesta di desistenza unilaterale viene giudicata irricevibile.
Così Ingroia rimanda al mittente l’appello al voto utile anche nelle regioni a rischio. «A me Berlusconi non fa paura, politicamente è finito. Il vero pericolo è Monti. Senza Rivoluzione civile in campo, quello inteso da Bersani sarebbe stato un voto utile non contro Berlusconi bensì a favore di Monti. E noi non possiamo aiutare Monti». Bersani, a distanza (ieri era a Milano) replica: «Per me resta Berlusconi l’avversario e non ho lezioni da prendere su legalità e trasparenza», anche se i suoi garanti hanno escluso in corner dalle liste siciliane e campane tre uomini chiacchierati – Crisafulli, Papalia e Caputo – benché stravotati dalle primarie. «Credo di poter dire ad Ingroia: attenzione, è il Pd e l’alleanza di centrosinistra che può costruire un’alternativa alla destra. Nessun altro». Controreplica di Ingroia: «È paradossale che debba ricevere da lui lezioni di antiberlusconismo. Se gli italiani hanno subìto per 20 anni l’incubo berlusconiano è anche grazie al Pd e alla sua opposizione inesistente».
Altro che dialogo, ora fra Italia bene comune e Rivoluzione civile volano botte da orbi. La coalizione dà fondo alla sua santabarbara. Se Bersani disdegna la trattativa e chiede «un gesto consapevole» agli elettori, Dario Franceschini su twitter va giù pesante: «Ingroia apre la porta alla destra», «col porcellum ogni voto sottratto al Pd è un voto regalato a Berlusconi e Lega». La polemica si incattivisce. Ne fa le spese Vendola, già obiettivo degli attacchi di Monti perché troppo a sinistra. Dalla parte opposta, se la prende con lui Di Pietro rispolverando l’accusa del tradimento: «Hai svenduto i nostri principi per allearti con i veterodemocristiani e per supportare le politiche inique di un governo che ha fatto pagare la crisi ai lavoratori, agli onesti cittadini, ai pensionati e ai giovani. Sei pronto a fare un compromesso con chi ha salvaguardato gli evasori, le lobby finanziarie e le banche». Parole «davvero tristi», replica Vendola, «mi auguro che il suo codice di interlocuzione non si avvalga di antiche modalità staliniste». E non abbassa i toni: «Ingroia usa il suo volto e la sua storia per coprire quattro piccoli partiti molto litigiosi». Ma l’argomentazione si spunta se a usarla è uno dei leader della coalizione di centrosinistra che proprio in questi giorni comincia a misurare le distanze con l’azionista di maggioranza: sulla guerra in Mali e sulla patrimoniale.
Per non dire sul rapporto post-voto con Monti, che Bersani e i suoi si ostinano a non definire «avversario»: come se i voti dati al professore non fossero sottratti al centrosinistra, né più né meno che quelli dati a Ingroia. E non lo sono, solo a patto di considerarli da subito alleati di un’unica maggioranza di governo. Vendola si destreggia. A Sky Tg24 spiega: «Se Monti fa autocritica e corregge alcune delle sue controriforme è un fatto positivo. Con lui si può costruire un compromesso importante». Ma poi è costretto a spiegare ancora: «L’alleanza con il centro per governo è fantascienza. Con Monti si può costruire un compromesso importante su quello che sarà il carattere prevalente della prossima legislatura, cioè il carattere costituente». Sulle riforme istituzionali, insomma.
Ma se Sparta piange, anche Atene non ride. Quel «ci rivediamo in parlamento» pronunciato da Ingroia suona come una minaccia al Pd. Ma anche come una promessa di riapertura di dialogo, a risultati elettorali acquisiti. Un’eventualità contro cui Paolo Ferrero, il segretario Prc – nell’alleanza rosso-arancione il più distante dalle posizioni del Pd – comincia già il fuoco di sbarramento: «Ingroia chiude al Pd chiarendo che Rivoluzione Civile è e sarà contraria alle politiche neoliberiste». Ferrero esclude in ogni caso un accordo con il centrosinistra dopo il voto? «Noi chiediamo un mandato sulle nostre posizioni. Poi se da parte del Pd e Sel ci sarà un rovesciamento delle politiche della Carta d’intenti, valuteremo», risponde al manifesto.

“UNA RIVOLUZIONE CIVILE PER RICOSTRUIRE IL PAESE” UN PROGRAMMA PER GOVERNARE L’ITALIA

 

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Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana.
Vogliamo realizzare un “nuovo corso” delle politiche economiche e sociali, a partire dal mezzogiorno, alternativo tanto all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti.

VOGLIAMO UNA RIVOLUZIONE CIVILE:
• per l’Europa dei diritti, contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie. Vogliamo un’Europa autonoma dai poteri finanziari e una riforma democratica delle sue istituzioni. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi venti anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica. Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati. Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale;
• per la legalità e una nuova politica antimafia che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politico. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico;
• per la laicità e le libertà. Affermiamo la laicità dello Stato e il diritto all’autodeterminazione della persona umana. Siamo per una cultura che riconosca le differenze. Aborriamo il femminicidio, contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere. Contrastiamo l’omofobia e vogliamo il riconoscimento dei diritti civili, degli individui e delle coppie, a prescindere dal genere. Contrastiamo ogni forma di razzismo e siamo per la cittadinanza di tutti i nati in Italia e per politiche migratorie accoglienti;
• per il lavoro. Non vogliamo più donne e uomini precari. Siamo per il contratto collettivo nazionale, per il ripristino dell’art. 18 e per una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia. Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime. Vogliamo difendere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;
• per le piccole e medie imprese, le attività artigianali e agricole. Deve partire un grande processo di rinascita del Paese, liberando le imprese dal vincolo malavitoso, dalla burocrazia soffocante. Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato. Vanno valorizzate le eccellenze italiane dall’agricoltura, alla moda, al turismo, alla cultura, alla green economy;
• per l’ambiente. Va cambiato l’attuale modello di sviluppo, responsabile dei cambiamenti climatici, del consumo senza limiti delle risorse, di povertà, squilibri e guerre. Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio, archiviando progetti come la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Va impedita la privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua. Va valorizzata l’agricoltura di qualità, libera da ogm, va tutelata la biodiversità e difesi i diritti degli animali. Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico, lo sviluppo delle rinnovabili, la messa in sicurezza del territorio, per una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog;
• per l’uguaglianza e i diritti sociali. Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Vogliamo colpire l’evasione e alleggerire la pressione fiscale nei confronti dei redditi medio-bassi. Vogliamo rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale ed un piano per la non-autosufficienza. Vogliamo il diritto alla casa e il recupero del patrimonio edilizio esistente. Vogliamo un tetto massimo per le pensioni d’oro e il cumulo pensionistico. Vogliamo abrogare la controriforma pensionistica della Fornero, eliminando le gravi ingiustizie generate, a partire dalla questione degli “esodati”;
• per la conoscenza, la cultura, l’informazione libera. Affermiamo il valore universale della scuola, dell’università e della ricerca pubbliche. Vogliamo garantire a tutte e tutti l’accesso ai saperi, perché solo così è possibile essere cittadine e cittadini liberi e consapevoli, recuperando il valore dell’art. 9 della Costituzione, rendendo centrali formazione e ricerca. Vogliamo valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico. Vogliamo una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi la subordinazione al potere economico-finanziario. Vogliamo una legge sul conflitto di interessi e che i partiti escano dal consiglio di amministrazione della Rai. Vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;
• per la pace e il disarmo. Va ricondotta la funzione dell’esercito alla lettera e allo spirito dell’articolo 11 della Costituzione a partire dal ritiro delle truppe italiane impegnate nei teatri di guerra. Va promossa la cooperazione internazionale e l’Europa deve svolgere un’azione di pace e disarmo in particolare nell’area mediterranea. Vanno tagliate le spese militari a partire dall’acquisto dei cacciabombardieri F35;
• per una nuova questione morale ed un’altra politica. Vogliamo l’incandidabilità dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo eliminare i privilegi della politica, la diaria per i parlamentari, porre un tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali e introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. Vogliamo una nuova stagione di democrazia e partecipazione.

mercoledì 16 gennaio 2013

Le buone ragioni di Rivoluzione Civile

Alberto Burgio

 


 Se c’è un elemento caratteristico dell’attuale fase politica, questo è la potenza determinante del sistema mediatico. L’Italia, l’Europa, tutto il mondo capitalistico sono nella morsa di una crisi che sta scomponendo le società. Da una parte, la povertà vera. Strutturale, dilagante, senza prospettive di riscatto. Dall’altra, la concentrazione in poche mani di ricchezze immense, intraducibili in misure concrete. In mezzo, aree sociali precarizzate, che vedono messi a rischio i fondamenti stessi della propria condizione di vita: il reddito, l’occupazione, i diritti essenziali.
Ma se il quadro è di per sé limpido nella sua violenza, l’opinione pubblica non riesce a farsene un’immagine chiara, e non sa intravedere vie d’uscita. Oscilla tra angosce apocalittiche e attese fideistiche di uomini provvidenziali (si pensi alla santificazione di Monti al momento della sua incoronazione), appesa alla girandola di numeri che le viene quotidianamente propinata. Lo spread, gli indici di Borsa, i tassi di cambio, numeri magici della cabala postmoderna. Quando diciamo che il 99% è contro uno stato di cose voluto dall’1%, ci raccontiamo una favola. Bella, ma, come ogni favola, ingannevole. Di certo la stragrande maggioranza è scontenta e spaventata, ma è anche confusa e disorientata. E non sa a che santo votarsi.
La cifra del nostro tempo è questa: la cattura cognitiva dei corpi sociali, imprigionati in una gabbia – davvero un pensiero unico – che ne deforma la visuale, impedendo loro di vedere la situazione in cui si trovano. Non c’è discorso più pertinente di quello che fa Gramsci, nei primi anni Trenta, a proposito dell’«egemonia» come potente strumento di direzione politica. Nella consapevolezza – tratta appunto dalla gestione totalitaria dei mezzi d’informazione – che la produzione di un’immagine univoca della realtà e il convergente occultamento di aspetti rilevanti sono strumenti-chiave dell’organizzazione del consenso «spontaneo» e del controllo autoritario della società.
Ora chiediamoci: tale stato di cose incide nella situazione politica italiana di questi giorni? Influisce sulla campagna elettorale in vista del voto politico del 24 febbraio? Incide eccome. A tal punto che soltanto muovendo da questa premessa sembra possibile capire la posta in gioco nelle elezioni.
Proviamo a dirla così, con una semplificazione che aiuta a cogliere il punto: sotto gli occhi degli italiani viene quotidianamente squadernato un ricco catalogo di banalità utili ad accreditare l’idea che le maggiori coalizioni politiche (i tre poli, di centrosinistra, centro e centrodestra) divergano tra loro in modo significativo. CONTINUA|PAGINA15 L’attenzione pubblica è deviata con cura verso questioni di dettaglio (dalle regole delle primarie all’interscambio trasformistico tra l’uno e l’altro polo), mentre si nasconde che in queste elezioni è in gioco la vita stessa – l’occupazione, il reddito, la salute, l’istruzione – di decine di milioni di cittadini. Agli italiani è così impedito di vedere l’essenziale: il fatto che tutte le maggiori forze politiche concordano sulla lettura della crisi e sulle ricette per affrontarla. E che per questa ragione esse hanno convintamente sostenuto Monti per oltre un anno, rivendicando come necessarie misure che hanno esasperato le ingiustizie (tagliando pensioni, salari e servizi), colpito diritti (l’articolo 18), depresso l’economia e aggravato la situazione debitoria del paese, senza scalfire di un millimetro rendite e grandi patrimoni (anzi, procurando loro ulteriori benefici).

martedì 15 gennaio 2013

Caro Antonio, felice di candidarmi per il rinnovamento

- rifondazione -
ruotolosandrodi Sandro Ruotolo
Caro Antonio, accetto con entusiasmo la candidatura nella lista di Rivoluzione Civile che tu e Luigi De Magistris mi avete proposto.
Ci ho pensato e riflettuto dopo aver firmato l’appello “io ci sto” con il quale donne e uomini della società civile si sono impegnati a sostenere il progetto per costruire un’alternativa di governo al berlusconismo e alle politiche liberiste del governo Monti. Non ho tessere di partito in tasca, l’unica che ho è quella dell’Anpi, dell’associazione nazionale dei partigiani, perché penso al loro sacrificio ogni volta che sento pronunciare la parola Costituzione, “la più bella del mondo” come l’ha definita Roberto Benigni.

Caro Antonio, non ho dubbi quando affermi di voler difendere i valori dei nostri padri costituenti. C’è un articolo della carta costituzionale per il quale mi sono battuto in tutti questi anni e per il quale penso sia necessario battersi ancora: l’articolo 21, quello che garantisce la libertà di pensiero, la libertà di informare e di essere informati.

C’è bisogno di libertà nel nostro Paese ma in gran parte del territorio nazionale questa libertà viene preclusa dalla presenza delle mafie e delle illegalità, dalle cricche che hanno impoverito la nostra terra. Penso alle parole di Norberto Bobbio che, dopo aver visto Samarcanda, scrisse che se non si era liberi in un piccolo paese del Sud non si era liberi nel resto del Paese.

Caro Antonio, una studentessa di Scampìa, il quartiere di Napoli dove i clan di camorra si combattono per il controllo dello spaccio di droga, qualche anno fa mi disse che lei non si sentiva libera, che era stanca di essere considerata cittadina di serie B. Lei dava un senso concreto alla parola di “libertà negata” ricordandomi che non poteva uscire di casa per paura di una pallottola vagante. Penso alle migliaia di ragazze e ragazzi ai quali le mafie hanno tolto la bellezza dell’innocenza.

Il lavoro oggi è negato ad intere generazioni. Quante imprese non investono e non producono ricchezza per le minacce della malavita o per le mazzette che sono costrette a sborsare ai politici corrotti?

C’è un altro diritto sancito dalla nostra Costituzione che voglio ricordare ed è quello alla salute, alla difesa dell’ambiente. Rifiuti tossici nascosti illegalmente, discariche abusive a cielo aperto, inquinano oggi interi territori. Mafie e cattiva politica mettono a repentaglio la vita di milioni di cittadini. Caro Antonio, hai detto bene che occorre oggi sconfiggere la mafia e non solo contenerla.

Ho grande rispetto per coloro che si impegnano nei partiti ma penso anche che i partiti che ci sono adesso non sono quelli a cui pensavano i nostri padri costituenti e che l’antipolitica sia figlia della cattiva politica. L’affermazione di Rivoluzione Civile può significare la nascita di un movimento che porti al rinnovamento generale dei partiti.

Ho sempre pensato e detto che un giornalista deve essere indipendente. Lo penso anche ora che ho deciso di impegnarmi con te e con gli altri in questa battaglia. Con la passione di ognuno di noi. Ci sono questioni sulle quali vale la pena battersi. Mario Monicelli nell’intervista a Raiperunanotte disse che ci voleva una bella rivoluzione che in Italia non c’era mai stata. Ti ricordi quando Libero Grassi diceva: cattivi politici producono cattive leggi, buoni politici, buone leggi? La presenza in Parlamento di Rivoluzione Civile potrà realizzare i sogni di Mario e di Libero.

lunedì 14 gennaio 2013

Ha da venì Baffone!

Fonte: L'Huffington post | Autore: Angela Mauro
          
Intervista a Sandro Ruotolo , giornalista di Serizio Pubblico e candidato in Campania per Rivoluzione Civile: “Monti e Berlusconi sono i nostri avversari e su questo non c’è dubbio. Del primo, è inutile parlare. Su Monti: beh, con lui il paese si è impoverito…”.
Per Sandro Ruotolo quella con Silvio Berlusconi è stata l’ultima puntata di Servizio Pubblico. Da ora, Ruotolo, classe ’55, cugino di Silvia Ruotolo (uccisa dalla Camorra), una vita da reporter nella squadra di Michele Santoro, è candidato con Antonio Ingroia. Una scelta maturata dopo l’adesione del giornalista all’appello ‘Io ci sto’, sottoscritto da diversi esponenti del mondo della cultura, politica e società civile per lanciare l’ingresso in politica dell’ex pm antimafia. Lo intervistiamo dandogli del tu perché non ce la si fa a dare del lei a un collega.
Curiosità: nella puntata con Berlusconi, ti hanno relegato a cronometrare gli interventi. Se lo sono chiesti in molti sui social network. La candidatura era già nell’aria?
Ho sempre messo al primo posto la squadra, per me è stato naturale svolgere quel ruolo, nessun retroscena.
Qualche retroscena sulla candidatura?
E’ nata quando Ingroia è arrivato in Italia dal Guatemala. Alla manifestazione organizzata al Capranichetta ho firmato l’appello per Ingroia come Vauro e tanti altri. E poi con De Magistris e Antonio stesso è maturata la candidatura.
Come sarà la tua campagna elettorale?
La mia storia parla per me. Dalla morte di mia cugina, ma anche prima, ho sempre operato con impegno civile nella professione e ovunque mi chiamassero, in scuole e associazioni. Nella guerra in Serbia firmammo un appello per fermare la guerra, stessa cosa per la prima guerra del Golfo. Poi sono legato alla mia terra.
Napoli, Campania. Dove correrai per la Camera, circoscrizione Campania 2. Stessa circoscrizione di Rosaria Capacchione del Mattino, candidata col Pd ma al Senato.
Comunque io non mi trasformo solo perché ora sono candidato. Ho sempre insistito sui temi della legalità, della libertà di informazione. Ora porto il mio contributo in politica. Ho rispetto per i partiti, ma penso vadano cambiati e mi piace che sia un movimento a farlo, mi piace farne parte anche se da indipendente, mi piace partecipare a questa impresa collettiva.
Sono molti i giornalisti candidati in questa tornata elettorale. Come consideri il fenomeno?
Rosaria era già stata candidata. Lo trovo naturale, non trovo nulla di scandaloso. Si fanno polemiche sui giornalisti o i magistrati candidati: e allora gli avvocati? Non c’è uno scendere né un salire in politica. C’è un continuare a impegnarsi: io ho la tessera dell’Anpi, non penso che credere in dei valori sia disdicevole per un giornalista. Anzi non ho mai creduto alla neutralità del giornalista che si assume l’onere dell’interpretazione, ma deve essere onesto. Anche se nel nostro paese scontiamo ancora il conflitto di interessi che non riguarda Berlusconi ma anche la Rai, dove ci sono ottime professionalità ma pesa l’influenza dei partiti. E io lo so bene, essendo stato assunto in Rai il 12 gennaio 1980. Poi me ne sono andato.
Alleanze: ritieni possibile un’alleanza con il Pd dopo il voto? Vendola dice a Bersani che non bisognerebbe guardare solo a Monti, ma anche agli arancioni.
Monti e Berlusconi sono i nostri avversari e su questo non c’è dubbio. Del primo, è inutile parlare. Su Monti, beh con lui il paese si è impoverito, le persone sono state trattate come numeri, sono state adottate misure economiche contro i soliti noti e in nome di alchimie universitarie e dell’austerità, non sono state considerate le storie e le sofferenze delle persone e non c’è stata alcuna misura di crescita. Per me vale l’immagine di quella persona che si è data fuoco a Bologna l’anno scorso, oppure degli operai dei treni notte in protesta contro i tagli o gli operai del Sulcis e della signora che al supermercato si fa fare il conto provvisorio alla cassa prima di quello finale per paura di non farcela con i soldi. Il dialogo pubblico tra Nichi e Antonio è un segnale bello e positivo.
La puntata di Servizio Pubblico con Berlusconi per te è stata l’ultima. Su quella sera ne sono state dette tante, soprattutto è opinione condivisa che il Cavaliere ne sia uscito vincitore. Tu cosa hai pensato?
Quando avviava Samarcanda, Michele diceva sempre: ‘Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda’. Vale anche ora: ‘Comunque la pensiate, benvenuti a Servizio Pubblico’.

RIVOLUZIONE CIVILE: PER UNIRE LA SINISTRA

14 gennaio 2013- Fonte: lavorincorsoasinistra

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La maggior parte dei sondaggi considera ormai la lista “Rivoluzione Civile” di
Antonio Ingroia in crescita continua e la percentuale da cui si parte non è
quasi mai inferiore al 4%. Tanti, specie sui territori, stanno prendendo
fiducia, riacquistando la speranza smarrita nell’ultimo periodo, ma in diversi
cominciano anche a temerla o a metterla nel novero delle forze con cui
confrontarsi seriamente.
Da qui nasce infatti la richiesta del Pd, di non presentare “Rivoluzione
Civile” nelle “regioni contese”, per consentire alla coalizione guidata da
Bersani di poter ottenere al Senato quella maggioranza, che con la rinascita di
Berlusconi e la presenza di Monti, sembra davvero essere a rischio.
Sembra essersi accorto della presenza del “quarto polo” progressista anche
Nichi Vendola che, a leggere le sue ultime dichiarazioni, pare voglia aprire un’
interlocuzione con coloro che hanno deciso di costruire una presenza elettorale
concretamente alternativa al suo “centro-sinistra” attraverso la lista guidata
da Ingroia.
E’ evidente che se in Parlamento si vorranno riaffermare i valori della
sinistra, del Lavoro e della Costituzione antifascista, bisognerà opporsi all’
agenda Monti e a chi vorrà realizzarla, Pd compreso. Allo stesso tempo
“Rivoluzione civile” può essere quel motore, che finora non c’è stato, che
serve ad unire le forze della sinistra, che fa emergere le coordinate comuni e
valorizza le differenti provenienze.

venerdì 11 gennaio 2013

Cremaschi: caro Ingroia, la vera mafia è quella di Bruxelles

- informarexresistere -

Caro Ingroia, l’antimafia non basta: perché oggi il vero nemico che ci minaccia è molto più pericoloso del potere delle cosche, persino di quelle che si infiltrano nell’economia fino ad avvelenarla. Deve cadere il Muro di Bruxelles, quello che ricatta i popoli dell’Eurozona sulla base dei diktat emanati dalle oligarchie finanziarie, ordini firmati da tecnocrati non eletti da nessuno, a cui – grazie all’attuale personale politico – siamo costretti a sottometterci, per fare la stessa fine della Grecia. Dopo i “garanti” dei movimenti firmatari dell’appello “Cambiare si può”, anche l’ex leader della Fiom Giorgio Cremaschi, vicino ai No-Tav e promotore del Comitato No-Debito e del “No-Monti Day”, prende le distanze dalla lista “arancione” capeggiata da Antonio Ingroia, ipotetico leader del “quarto polo”, sul quale confluiscono i partiti di Di Pietro, Ferrero e Diliberto, insieme ai Verdi di Bonelli.
«Siccome non son mai stato una vittima del nuovo in politica, di quel nuovismo attraverso il quale si sono perpetuate da trent’anni le stesse politiche e le stesse classi dirigenti – premette Cremaschi, in un intervento su “Micromega” – non mi scandalizza che la lista del cosiddetto quarto polo sia diventata l’ennesima lista personale, ove il leader è la sostanza della proposta, né mi sconvolge che i partiti siano alla fine l’architrave della lista». I partiti esistono da sempre, aggiunge Cremaschi, e chi li rifiuta «semplicemente ne sta fondando un altro». Quello che non convince, della coalizione Ingroia, è «l’ordine delle priorità e il messaggio di fondo del programma annunciato dal suo leader», secondo cui l’Italia sarebbe un paese devastato dalla corruzione e dalle mafie, grazie al ruolo attivo di una parte della “casta”, cioè i berlusconiani, e il silenzio-assenso di una componente più debole e subalterna, che va da Monti al Pd.
Secondo Ingroia, a quanto pare, una lotta vera alle mafie e alla corruzione finora non si è fatta per colpa di questa classe politica, e il paese ne paga i costi con la crisi economica. Ergo: mettere al governo una classe dirigente che distrugga davvero le mafie è la necessaria condizione di giustizia per una possibile ripresa economica, non “pagata” dai più poveri. Intendiamoci, ammette Cremaschi: «Il peso della corruzione, dell’evasione fiscale, della criminalità nella nostra economia è da tempo documentato». Tuttavia, aggiunge l’ex dirigente sindacale, «non mi pare che questo possa essere sufficiente a motivare una lista alternativa ai principali schieramenti ed in particolare a Monti», che peraltro «su questo terreno ha nella sua agenda temi e proposte molto vicine a quelle di Ingroia». Anche Monti, infatti, «mette al centro del suo programma liberista l’idea che in Italia una buona economia emergerà dalla distruzione dell’economia corporativa e criminale». E non a caso, dice Cremaschi, il premier “tecnico” «individua in Marchionne l’esempio imprenditoriale da esaltare sulla via delle “riforme”». Curioso: già di per sé, «il liberismo è spesso criminale per i suoi risultati sociali». Nonostante ciò, chi lo propugna può persino «proporsi di combattere l’economia criminale».
«Naturalmente – continua l’ex dirigente Fiom – Monti mette al primo posto della sua agenda la politica di austerità, così come viene definita dai vincoli del Fiscal Compact, del pareggio costituzionale di bilancio, dei trattati europei». La lotta alla criminalità economica e mafiosa sarebbe ancora più stimolata da questi vincoli, perché essi ci imporrebbero di trovare lì i soldi che servono per lo “sviluppo”. Se Ingroia afferma di combattere il montismo, «perché allora non contesta questo punto che è il punto cardine di esso? Perché nel suo discorso d’investitura è assente la critica ai vincoli europei e del capitalismo internazionale, quello formalmente onesto?». Il guaio è che Ingroia, probabilmente, è davvero convinto che la questione sociale ed economica sia solo «una derivata della questione criminale», e Giorgio Cremaschiche quindi «basti essere rigorosi davvero e non a parole, per creare le condizioni economiche per la giustizia e lo sviluppo». Magari fosse così.
«Per affrontare questa crisi economica da una punto di vista alternativo a quello di Monti – afferma Cremaschi – si deve programmare un gigantesco intervento pubblico nell’economia e la rottura di tutti i vincoli europei: o si segue questa strada oppure ci si deve affidare al mercato». Non è un caso che il Pd sia spiazzato dalla candidatura di Monti, «perché ha sinora sostenuto unapolitica di mercato e non ha alcun programma realmente alternativo ad essa». Una politica del pubblico e dell’eguaglianza sociale richiede un forte controllo democratico sull’economia, sottolinea Cremaschi. «E qui diventa decisiva la lotta a mafie e corruzione: perché il liberismo si è sempre alimentato con il corrompimento della classe politica». Infatti, «tutto il sistema delle partecipazioni statali è stato privatizzato sventolando le tangenti e le mazzette dei manager pubblici e dei politici che li controllavano: è lì che è nata l’egemonia, anche a sinistra, dell’ideologia del mercato come antidoto alla corruzione». Come diceva Brecht, «è più profittevole fondare una banca che rapinarla».
Nella crisi attuale, continua Cremaschi, la priorità è la lotta alla disoccupazione e al super-sfruttamento del lavoro e dell’ambiente. «Questa la può fare davvero solo il pubblico, e per questo il potere pubblico dev’essere liberato dalla criminalità e dalla corruzione». Allo Stato di domani, alternativo all’attuale fantasma finanziario costretto a obbedire a Bruxelles, occorre affidare «una nuova politica economica e sociale». L’alternativa a Monti «nasce dalla rottura con le politiche liberiste europee e con quella economia criminale amministrata dalla Troika internazionale che ha distrutto la Grecia, dove oggi trionfa l’economia illegale». La questione sociale comanda sulla lotta alla criminalità e non viceversa, insiste Cremaschi. «Questa è la differenza di fondo tra la lotta alle mafie dei liberali onesti e quella del movimento operaio socialista e comunista: una differenza ancora più vera oggi, se davvero ci si vuol collocare su un fronte alternativo a tutto il quadro politico liberista dominante».

Fonte: http://www.libreidee.org/2013/01/cremaschi-caro-ingroia-la-vera-mafia-e-quella-di-bruxelles

Tratto da: Cremaschi: caro Ingroia, la vera mafia è quella di Bruxelles | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/10/cremaschi-caro-ingroia-la-vera-mafia-e-quella-di-bruxelles/#ixzz2Hh7riiq6
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

martedì 8 gennaio 2013

Cambiare si puo'

Io, movimentista, sto con Ingroia e vi spiego perché
cambiaresipuodi Emilio Molinari
Penso di essere stato tra i primi firmatari di "Cambiare si può", quindi tra i suoi promotori. Non milito in nessun partito da almeno 20 anni, convinto della loro incapacità a rinnovarsi e mettersi in gioco per un progetto unico di sinistra all'altezza dei problemi del nostro tempo. Ho dedicato questi ultimi 20 anni a far crescere movimenti reali o fondarli, come quello dell'acqua che è stato vittorioso, trasversale e portatore di quei nuovi paradigmi di cui oggi tutti parlano. Ho votato telematicamente sì per la lista e ho evitato finora di intervenire nel dibattito in rete.
Ora però permettetemi una considerazione. Il dibattito è stato inizialmente interessante e onesto, anche se poco coinvolgente e altrettanto poco proiettato a "conquistare" nuova militanza e nuove adesioni fuori dal microcosmo dei nostri desideri di ceto più o meno politico.
Poi gli egocentrismi, i rancori e le nostre passate ferite hanno prevalso e generato in rete "furori non più giovanili" e non diversi in quanto a settarismi, autoreferenzialità e volontà autodistruttiva, forse peggiori da quelli degli stessi partiti. In "Cambiare si può" ognuno ha travasato, talvolta con arrogante certezza intellettuale o ideologica, il proprio "sogno", il proprio modello di soggetto politico compiuto e pensato, a prescindere da ogni contesto reale e da ogni considerazione politica. Ha brandito le proprie convinzioni troppo spesso con inaccettabili insulti, per porre discriminanti. Questo ragionare continua ad allontanare le persone interessate, crea scontentezze invece di entusiasmi, allontana compagni ed esperienze invece di caricare la molla dell'impegno.
Anch'io avrei preferito un passo indietro dei segretari di partito, anzi avrei voluto molto di più, che i partiti cogliessero l'occasione per rimettere in discussione sé stessi, facessero i conti con i loro paradigmi e i loro fallimenti ecc... Avrei voluto che Ingroia non occupasse tutta la scena e non parlasse solo di inchieste ma dei grandi problemi sociali. Avrei voluto un soggetto che non avesse l'immagine dei magistrati, avrei voluto tante cose. Ma non posso dimenticare che la ragione principale per la quale ho sottoscritto l'appello e votato sì è un'altra e per me è la più importante. È che penso che nel nostro paese si stiano chiudendo tutti gli spazi della politica. Che i movimenti oggi costruiscono sì la politica vera, ma hanno comunque bisogno di referenti istituzionali che tengano ancora aperte le contraddizioni. Che occorre fermare la monetizzazione dei beni comuni, mantenere viva l'idea di pubblico e di partecipazione e affrontare il nodo del lavoro senza dover inseguire l'improbabile crescita.
Penso che il Pd e Bersani non siano questa cosa, non sono un argine al montismo e all'agonia della politica che si consegna al mercato, ma la sua decennale deriva ne è semmai la causa e che la subiamo da tanto tempo, di volta in volta in nome del voto utile e del pericolo Berlusconi, che non è accettabile che venga ancora riproposta questa prospettiva. Penso che Sel non possa più tenere aperta alcuna contraddizione. Penso che aver agito, sperando di vincere, tagliando sempre a sinistra sia stato fallimentare. Penso infine che la lista che si sta costruendo aiuta tutto ciò che di sinistra sta ancora nel centrosinistra stesso, e può avere un ruolo positivo anche sul Movimento 5 stelle. Tutto questo non è poco e soprattutto è utile al nostro paese. E scusate.... vorrei non essere insultato e ostacolato perché penso tutto ciò.
Il Manifesto - 08.01.13

lunedì 7 gennaio 2013

Ingroia | Prima intervista da candidato Premier: legalità, economia, diritti

- lavorincorsoasinistra -        

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di Fabrizio Leone su Oltremedianews
Nell’intervista andata in onda su tgcom 24 all’ora di
pranzo (ieri), l’ex pm Antonio Ingroia ha affrontato i temi cardine
del suo programma: legalità, economia e diritti.

“Non temo nessuno, ma riconosco che Monti sarà il nostro avversario
più temibile”. “L’entusiasmo crescente attorno alla nostra lista
lascia ben sperare”. “Vogliamo essere credibili e dimostrare agli
italiani che la Rivoluzione Civile non è una velleità retorica, ma
un serio piano di impegno politico volto a riconsegnare all’Italia
la dignità che merita”, con queste parole Antonio Ingroia, nella
sua prima intervista da candidato premier, ha commentato il
programma del suo movimento. Fare la “Rivoluzione Civile vuol dire
rimettere in cima i valori della Costituzione e permettere ai tanti
cittadini per bene di impegnarsi attivamente in politica senza
essere succubi delle logiche di partito. Proprio per questo
chiediamo alla politica professionale di fare un passo indietro. La
nostra rivoluzione non va intesa nel senso novecentesco, a cui sono
collegati spesso violenza e insuccesso, ma ad una ferrea volontà di
cambiamento istituzionale, sociale ed etico”. L’ex pm, in
collegamento dal Guatemala, ha anche sottolineato che la sua non
sarà una marcia giustizialista né una legalità forcaiola, che
spesso sfocia nel populismo, ma un progetto serio e ponderato. A
proposito di ciò ha detto che i militanti stanno lavorando a varie
proposte di legge che verrebbero attuate in caso di vittoria alle
urne. “Se diventassi premier la prima riforma che affronterei
sarebbe quella sul conflitto di interessi, che impedisce la libera
informazione e, di conseguenza, ostruisce l’accesso diretto ai
mezzi democratici. Allo stesso tempo mi impegnerei per ridare
lustro a tutto il settore pubblico, per ripristinare la certezza di
un lavoro e attuerei misure pragmatiche nella lotta alla mafia e
alla corruzione”. Nel prosieguo dell’intervista l’ex magistrato si
è detto assolutamente favorevole ad una patrimoniale per i
super-ricchi e alla promozione della crescita tramite la
defiscalizzazione delle piccole e medie imprese e tramite la lotta
senza quartiere ai patrimoni illegali e all’economia sommersa. Per
quanto riguarda i costi della politica, Ingroia ha detto che è
impensabile prospettare una “politica a costo zero”, dal momento
che questo aprirebbe la strada ai finanziamenti privati, forieri di
interessi personali e intrecci poco puliti. Ciò premesso “ridurremo
gli sprechi patologici della politica, ma con razionalità e senza
derive populiste”. Ultimo tema toccato nell’intervista è stato
quello relativo alla campagna elettorale in corso. Il leader di
Rivoluzione Civile ha detto di non temere nessuno, anche se ha
riconosciuto che Monti è probabilmente l’avversario più autorevole
e insidioso, pur avendo sotterrato l’Italia con politiche di
austerità insostenibile. Non è mancata nemmeno un’affilata stoccata
a Berlusconi, definito come un morbo ventennale contro cui ormai
gli italiani si sono vaccinati. E’ mancato invece ogni riferimento
al Pd e al M5S, con cui la scorsa settimana aveva provato ad
intrecciare un qualche rapporto. Proprio dal movimento di Grillo,
l’esule Favia pare sia pronto a passare tra le file degli Arancioni
e a figurare tra gli illustri personaggi della società civile (La
Torre, Stramaccioni, Ruotulo, Vauro, Lotti, Marano) che appoggiano
la Rivoluzione morale, sociale e culturale promossa da
Ingroia.

sabato 5 gennaio 2013

La sinistra mancata tra antimafia e lavoro

4 gennaio 2013-  lavorincorsoasinistra -     
di Mattia Nesti su il Becco
Pochi passi separano, nel pieno centro di Roma, il Teatro Capranica da Montecitorio.
Pochi passi dal luogo scelto per l’assemblea di lancio della propria candidatura, al ritorno dal Guatemala, che adesso l’ormai ex pm Antonio Ingroia dovrà percorrere, attraverso le elezioni del prossimo 24-25 febbraio, per concretizzare l’intento di portare in Parlamento una rappresentanza credibile delle istanze delle battaglie politiche per i diritti del lavoro e contro le cricche e le mafie, oggi assenti dal “palazzo” e impossibilitate a riconoscersi anche in una coalizione di centrosinistra dal profilo programmatico ancora assai incerto.
La decisione di Ingroia di sciogliere le riserve e impegnarsi in prima persona nell’impresa politica della “Rivoluzione Civile”, esplicitata in occasione della conferenza stampa dello scorso 29 dicembre, rappresenta in questo senso l’occasione di far percorrere un tratto di strada insieme a esperienze politiche (di partito e di movimento) e a istanze programmatiche che, fino ad oggi, si sono volute distinte e spesso incapaci di legarsi reciprocamente.
Il giorno della presentazione del simbolo della lista che raccoglierà esponenti di primo piano dell’associazionismo, il Movimento Arancione di De Magistris, Federazione della Sinistra (PRC e Pdci), Italia dei Valori e Verdi, dai social network si sono levate critiche – anche dai toni particolarmente accesi – rispetto alla scelta di inserire nel segno grafico, per altro in assoluto primo piano, il nome dello stesso Ingroia. E’ evidente, come si è detto in questi giorni anche in autorevoli articoli di giornali della sinistra, che nella personalizzazione dei partiti, nella mediatizzazione estrema e nella logica “dell’uomo solo al comando”, che ha caratterizzato il nostro Paese dal Berlusconi del 1994 al Renzi del 2012, si palesa il tumore che mette, ancora, a rischio la tenuta stessa della democrazia italiana.
Eppure, è bene ricordarlo, la discesa in campo del pm antimafia non esplicita l’intenzione di anteporre un volto ai programmi o di sostituire il singolo personaggio all’impresa politica collettiva; quella di Ingroia, viceversa, si potrebbe definire una candidatura “di servizio”. Solo Ingroia, con questo gesto di coraggio e certo non interessato (anzi), poteva infatti rappresentare il salto in avanti necessario a far riuscire la mediazione fra partiti e realtà assai eterogenee e profondamente diverse fra loro per cultura politica ma, come testimoniato dai fatti degli ultimi mesi, accomunate dall’essersi opposte senza tentennamenti alle politiche del governo Monti e dall’aver sostenuto la battaglia per la verità sulle stragi del ’92-’93 e sulla trattativa Stato-mafia. Prospettare un’uscita dalla crisi pensata a partire dalla ricerca, dall’innovazione, dagli investimenti pubblici, da politica espansive e non di taglio di diritti e salari; far luce sulle pagine buie della storia della Repubblica che hanno avvolto, da Piazza Fontana a Via dei Georgofili, i passaggi decisivi dell’evoluzione (e involuzione) della nostra democrazia.
Questione sociale e questione democratica; questi sono, quindi, i punti essenziali da cui partire per poter ricostruire il Paese dalle macerie del ventennio berlusconiano. Certo, tanto c’è ancora da fare e il tempo a disposizione è assai poco. Ingroia ha dimostrato, però, di saper far tesoro del contributo positivo che ogni soggetto della “Rivoluzione Civile” può esprimere. Gli stessi limiti, evidenti fin dall’inizio, dei dieci punti dell’appello che aveva lanciato l’assemblea del 21 dicembre “Io ci sto”, sono stati superati in positivo: grazie a proposte di modifica avanzate da più parti, nei successivi interventi programmatici ha assunto centralità il tema dell’opposizione alla costruzione europea neoliberista (rifiuto del Fiscal Compact e dell’austerità che aggrava la recessione) e si è rafforzato l’accento sull’urgenza di investimenti strutturali per la scuola, l’università e la ricerca pubblica (eliminando, per altro, un fraintendibile riferimento al “merito”, utilizzato negli ultimi anni in modo propagandistico per giustificare i tagli strutturali al sistema scolastico).
Ancora, il riferimento alla centralità dell’articolo 1 della Costituzione (la Repubblica “fondata sul lavoro”) e ai referendum per il ripristino dell’articolo 18 e del valore della contrattazione nazionale, il sostegno politico alle vertenze della FIOM, la proposta di una legge sulla rappresentanza, qualificano “Rivoluzione Civile” come unica coalizione elettorale capace di dare risposte ai problemi del mondo del lavoro. Perché non basta la legalità e serve la sinistra; e perché, al tempo stesso, sarebbe stata esiziale la scelta di una parte del mondo della sinistra di imboccare la strada del purismo a tutti i costi – che avrebbe portato ad un suicida splendido isolamento – e che, invece, in particolare nell’esperienza di “Cambiare si può”, il voto di migliaia di iscritti ha saputo intelligentemente evitare.
Può nascere allora in questi giorni un processo politico, un cartello elettorale (da non confondersi con un nuovo partito), dove soggetti diversi accettano – tutti – di fare un passo indietro, con reciproco rispetto, per farne due avanti insieme. La sinistra in questo processo può e deve stare, perché nella prossima legislatura – in Italia come nel resto d’Europa – sarà fondamentale la presenza in Parlamento di chi può dire con chiarezza e senza ipocrisie che “la mafia è una montagna di merda” e che la crisi deve pagarla chi l’ha causata. Certo, trascorso l’appuntamento elettorale – il cui risultato avrà un’importanza storica per la possibilità di riaprire o meno lo spazio per una sinistra che abbia l’orizzonte di “abolire” e non di gestire lo “stato di cose presente” – rimane irrisolto, e non poteva essere altrimenti in questo scenario e con queste tempistiche, il nodo della costruzione di un soggetto politico unitario della sinistra, capace di pensare sul medio e lungo periodo e di costruirsi come forza di massa nel mondo del lavoro.
Per quanto “Rivoluzione Civile” sia quanto di più simile a questo, non si vedrà in queste elezioni, per capirsi, quello che il segretario generale della FIOM Maurizio Landini chiamò a fine della scorsa estate con una efficace provocazione un “partito del lavoro”; i partiti della sinistra e del centrosinistra non sono riusciti, e qui sta il loro limite più drammatico, a dare una risposta positiva e credibile ai temi posti dai metalmeccanici in occasione dell’assemblea del 9 giugno scorso quando la FIOM chiamò a raccolta a Roma PD, SEL, IDV, PRC e Pdci. Inoltre vi è un partito – Sinistra Ecologia Libertà – che in questi anni si è posto in netta opposizione al berlusconismo prima e al montismo poi, che può riconoscersi a pieno nelle battaglia per il lavoro e contro la mafia e che, tuttavia, – a differenza della Federazione della Sinistra – non farà parte a questa tornata elettorale del cartello per la “Rivoluzione Civile”. Di più: anche rilevanti parti del Partito Democratico, nella base dei votanti e degli iscritti e finanche nei gruppi dirigenti, senza l’abbraccio mortale di Monti e dei “moderati”, potrebbero e dovrebbero dare un contributo positivo per imprimere un cambio di rotta radicale alle politiche economiche, del lavoro, dei diritti civili dell’Italia. Vi è, insomma, la necessità di non dimenticare che, negli ultimi vent’anni, i momenti di cristallizzazione delle divergenze fra le “due sinistre” hanno prodotto per il Paese, per i lavoratori, le fasi politiche più negative. “Rivoluzione Civile” risponde alla necessità immediata – “viviamo una fase di emergenza” ha detto Ingroia nel suo ultimo intervento – di costruire un punto di riferimento alle elezioni prima e in Parlamento poi per tutti coloro che non accettano di dover scegliere fra tre coalizioni che, tutte, hanno sostenuto il massacro sociale di Monti e il populismo sovversivo di Grillo; per questa ragione è essenziale che tutte le parti migliori del Paese, a partire dal riconoscersi nei dimenticati valori della nostra Costituzione, convergano e lavorino per la riuscita di questo progetto. A noi, ai comunisti e ai partiti della sinistra, il compito di far sì che la riuscita dell’impresa di Ingroia rappresenti solo un primo passo per il riaffermarsi delle ragioni del Lavoro, per la costruzione di un’impresa politica collettiva di lungo respiro, di uno spazio unitario, con un profilo e una cultura politica di sinistra e progressista in Italia e in Europa, capace di incarnare l’alternativa alla barbarie della crisi e di essere autonomo nell’elaborazione teorica e nell’azione dalle socialdemocrazie pur sapendo interloquire con esse. Compito arduo ma, si sarebbe detto un tempo, dobbiamo essere convinti che “la storia è dalla nostra parte”.
Immagine tratta da lapresse.it

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