Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 20 luglio 2012

Una «Syriza italiana»?

di Leonardo Mazzei - sinistrainrete -

Può formarsi in Italia una coalizione alla greca?Potrà nascere in Italia qualcosa che assomigli (pur senza mitizzarla, che anzi l'abbiamo a più riprese criticata) alla coalizione greca di Syriza? E' una domanda che si vanno ponendo in molti. E' una domanda importante oltre che legittima. Cerchiamo perciò di dare qualche risposta.

1. Meriti e limiti di Syriza
Il merito principale di Syriza è stato quello di aver saputo incanalare e raccogliere, almeno elettoralmente, la forte radicalizzazione che attraversa la società greca. Da quasi tre anni la Grecia vede in piazza un potente movimento sociale. Un movimento che non è riuscito a fermare le scelte del blocco dominante, a sua volta eterodiretto dalle istituzione europee e dal Fmi, ma che non ha mai abbassato la testa. L'immagine di questo movimento è quella della capitale in fiamme, nel pomeriggio di domenica 12 febbraio (vedi La disfatta e la (possibile) riscossa), mentre il parlamento approvava i nuovi sacrifici imposta dalla troika (Ue, Bce, Fmi).
I limiti risiedono in una linea che ad un no chiaro al Memorandum imposto dall'Europa, fa corrispondere un programma assai evanescente. Syriza si è presentata alle elezioni del 6 maggio, e poi a quelle decisive del 17 giugno, con l'illusione della «rinegoziazione del debito» in un'Europa «più a sinistra», anche alla luce della vittoria di Hollande in Francia. I suoi dirigenti, a partire dal leader Alexis Tsipras, hanno sempre sostenuto di non voler uscire dall'Unione e dall'euro, ma di volervi invece rimanere, solo con qualche sconto sui sacrifici richiesti.
Pur augurandoci il suo successo elettorale, abbiamo segnalato negativamente questa impostazione prima del voto di giugno (vedi, ad esempio, La sinistra greca alla prova del fuoco). Ed una critica analoga è stata espressa, dopo il voto, anche da Emiliano Brancaccio nell'articolo Syriza? Paga per la sua ambiguità.
Syriza non è dunque quel che molti in Italia pensano, basti pensare alla sua accettazione della Nato. E tuttavia la domanda di una «Syriza italiana» è comprensibile, visto lo stato comatoso in cui versa la cosiddetta sinistra radicale, sia nella sua componente governista e Pd-dipendente, sia in quella antagonista e di opposizione.

2. Una differenza decisiva: l'alternatività alla sinistra del capitale
Quel che differenzia la sinistra greca (oltre a Syriza, il Kke e le altre formazioni minori) dalla sinistra italiana, è l'alternatività rispetto alle forze di quella che possiamo definire come «sinistra del capitale», in Grecia il Pasok, in Italia il Pd. Questa differenza sarà anche dipesa dalla diversa strutturazione dei sistemi politici, ma alla fine è proprio questo il punto decisivo che rende così difformi i panorami politici dei due paesi.
La sinistra greca non si è compromessa nelle alleanze di «centrosinistra», esattamente il contrario di quel che ha fatto la sinistra italiana. Le formazioni che hanno preso vita dopo lo scioglimento del Pci del 1991 (Prc, Pdci, Sel), non hanno invece mai avuto un orizzonte strategico che guardasse oltre l'alleanza con il carrozzone Pds-Ds-Pd. Si pensa forse che vent'anni di politica opportunista possano essere cancellati con un colpo di spugna? A qualcuno potrebbe oggi tornar comodo, ma non si riconquista in breve tempo la credibilità perduta in un tragitto così lungo. Del resto le tre formazioni di cui sopra si sono alleate con il partito di Bersani perfino alle amministrative del maggio scorso, dunque non con un Pd all'opposizione del governo Berlusconi, bensì con un Pd impegnato a sostenere con convinzione l'esecutivo Monti, cioè il governo più antipopolare della storia repubblicana.
Tra l'altro, se oggi il dissenso e la rabbia popolare dirige i suoi consensi su Grillo, oltre che sull'astensionismo, la ragione principale sta proprio in questa subalternità strutturale di una sinistra che si vorrebbe «radicale», ma che è invece giustamente percepita come gregaria ed interna ad un sistema politico complessivamente asservito alle oligarchie dominanti. Il grillismo ha attecchito in Italia proprio per mancanza di alternative a questo sistema, mentre in Grecia le cose sono andate diversamente grazie all'esistenza di una sinistra credibilmente alternativa.
Ecco un punto che chiamerebbe alla riflessione chi di dovere, perché è davvero illuminante il fatto che la ventennale storia del Prc abbia portato nell'attuale vicolo cieco, con il minimo di forza ed influenza politica nel momento massimo della crisi sistemica. Sarebbero andate così le cose se Rifondazione avesse quanto meno evitato di impaludarsi nelle alleanze di centrosinistra? La domanda è retorica e la risposta la conoscono tutti, ma finché i diretti interessati eviteranno come il peccato ogni seria riflessione ci vediamo costretti a riproporla.

3. Una «Syriza degli esclusi»?
Se una coalizione alla greca - radicale nella sua alternatività alla sinistra del capitale, anche se subalterna rispetto al Moloch europeo - può essere esclusa, sembra invece affacciarsi l'ipotesi di una sorta di «Syriza degli esclusi». Il motore di questa ipotetica costruzione non sarebbero tanto le forze che ne farebbero parte, quanto il meccanismo escludente messo eventualmente in moto dal Pd.
Ognuno capisce quale sarebbe la forza, meglio dire la debolezza, di una siffatta coalizione. Essa non sarebbe un «fronte del rifiuto» (rifiuto dei diktat europei e delle forze che li traducono in atti politici in Italia), bensì un'accozzaglia del «non possiamo fare altro».
Paolo Ferrero, ora che vede messa in dubbio (dal Pd, beninteso) la propria tradizionale politica delle alleanze elettorali, scopre Syriza, così come due mesi fa lanciava appelli a fare il Front de Gauche come in Francia. Evidentemente, più che un giudizio di merito la ricerca è quella - assai disperata - di un'ancora di salvataggio. Leggiamo l'ex ministro del governo Prodi: «Per la prima volta una forza di sinistra contro le politiche di austerità europee, dichiaratamente antiliberista e anticapitalista, raggiunge una percentuale del 27% e complessivamente le forze della sinistra antiliberista arrivano attorno al 40%. Lo fa in nome di un’altra Europa, di una Europa democratica basta sui diritti sociali e civili, dove il rovesciamento delle attuali politiche europee non è finalizzato ad un nuovo nazionalismo ma ad una nuova Europa».
Da notare il doppio richiamo all'Europa - l'altra Europa, una nuova Europa - contrapposti al «nazionalismo», ovviamente evocato per negare anche solo una discussione sul tabù della sovranità nazionale. Altrettanto ovviamente, Ferrero evita ogni riflessione autocritica. Bisogna fare una Syriza italiana solo perché oggi questa sembra l'unica possibilità per rimettere piede nelle aule parlamentari.
Se questo è Ferrero, potete immaginarvi Vendola. Costui ha reagito all'asse Bersani-Casini accoppiandosi con Di Pietro. Bersani (ed anche Casini) lo vorrebbero come copertura a sinistra del montismo nella prossima legislatura. Di Pietro invece non lo vogliono. A volte è un populista, parla male l'italiano e sputacchia mentre impreca in molisano: non può entrare nel salotto della sinistra capitalista, il galateo lo impedisce.

CON I MESI CONTATI

Eugenio Benetazzo - 20 Luglio 2012 - cadoinpiedi -

In Spagna il settore pubblico è in ginocchio. Un'insegnante che guadagnava 1300 euro ora ne prende 900. E noi siamo i prossimi. L'Italia non uscirà indenne da questa depressione. Il settore bancario sta dando i primi segnali preoccupanti

CON I MESI CONTATI
            La Spagna sta vivendo in questo momento una profonda crisi di natura sociale, dovuta, sostanzialmente, al collasso della classe media borghese. Nello specifico dobbiamo prendere in considerazione proprio quello che sta colpendo, quello che sta caratterizzando tutto il settore pubblico spagnolo che ha visto contrarsi, in misura considerevole i propri livelli reddituali a seguito dei tagli che hanno caratterizzato gli stipendi e i salari dei dipendenti pubblici. E questo è stato fatto in misura trasversale, andando a toccare tutte le mansioni, tutti i lavori tipici che vengono riconosciuti a un'attività statale o parastatale, per cui si va per esempio dal pompiere alla maestra d'asilo o di scuola elementare, al postino fino all'infermiere che lavora all'ospedale.
Il personale dipendente dello Stato ha subito una contrazione della propria capacità di reddito piuttosto consistente in quanto per 3 volte consecutive sono stati tagliati i livelli di reddito. Solo la settimana scorsa il Governo ha decurtato di un ulteriore 7% i precedenti livelli. Pensate che un'insegnante che prima guadagnava quasi 1300 Euro al mese in Spagna, oggi dopo la fase di implementazione delle prime procedure di austerity, si trova con 900/950 Euro. Quindi, sul piano economico vi è un contenimento sostanziale poi della capacità di reddito e questo impatta profondamente sulla vita delle persone normali. Ognuno di noi costruisce la propria pianificazione familiare e personale sulla base della sua capacità di reddito, questo spiega anche poi la difficoltà di continuare a mantenere i propri impegni: mutui, prestiti personali etc.

I fenomeni di sommossa popolare che stiamo vedendo sono legati soprattutto a forme di protesta, se non addirittura di guerriglia civile, portate avanti proprio da impiegati dello Stato che sono letteralmente in rivolta con una violenza che non si è mai vista prima, nei confronti degli attuali politici, dell'attuale governo che si sta prestando a sforbiciare continuamente sui costi degli apparati statali. Oltre al taglio dei livelli reddituali sono stati previsti per il 2012 anche per esempio il congelamento delle tredicesime, questo proprio per aiutare le casse del Paese spagnolo a essere in grado di sostenersi. Ricordiamo le esternazioni del Ministro delle Finanze, il quale ha allarmato e impressionato tutte le comunità finanziarie con quella spiacevole affermazione, forse mal gestita sul piano dialettico, in cui ha ricordato che senza gli aiuti sovranazionali la Spagna sarebbe già in default.
In questo momento si sta assistendo a un'impennata di richieste di alloggi sociali, persone che prima lavoravano e che a seguito anche di questi tagli consistenti sono obbligate a abbandonare l'abitazione principale, non sono più in grado di sostenere per esempio gli affitti e tentano di ricorrere a un alloggio sociale.

La probabilità che questo tipo di scenario si verifichi anche in Italia è notevolmente elevata, per ragioni di somiglianza. Il percorso pare chiaro: prima la Grecia (abbiamo visto cosa ha dovuto digerire e metabolizzare), poi la Spagna e poi, per ragioni di analogia, toccherà anche a noi intraprendere questo tipo di medicina o di cura.
Ricordo che ci sono delle similitudini tra Spagna e Italia che sono impressionanti. La Spagna ha vissuto anche essa sopra le sue possibilità negli ultimi 5 anni e ha un peso sulla popolazione complessiva di quasi 3 milioni di dipendenti statali. In Italia siamo a oltre 3,4 milioni. La necessità di risanare il sistema bancario spagnolo l'abbiamo conosciuta dai media. Ma in parte la stiamo vedendo anche in Italia. I processi di riorganizzazione e di ristrutturazione dei grandi gruppi bancari italiani sono preoccupanti. Fino a qualche anno fa nessuno ipotizzava tutto ciò, per la cosiddetta solidità e grado di tutela che aveva il panorama bancario italiano. Oggi si parla di esuberi in tutti i grandi gruppi bancari italiani, a cominciare anche da dismissioni non solo di attività, ma anche di chiusura di sportelli. Questo fa capire il grado di pericolo a cui stiamo andando incontro.

Purtroppo non c'è la via d'uscita, non c'è un pulsante da premere per riportare tutto alla normalità. Le aspettative che dobbiamo avere tutti quanti sono quelle di una nuova grande depressione economica che non colpirà solo l'Unione Europea, ma tutto il mondo perché ormai i mercati, purtroppo, sono strettamente collegati e una fase di contrazione, di profonda recessione di un'area continentale, impatta profondamente sulla vita degli altri, ed è quello che sta accadendo. La crisi del debito sovrano che sta adesso diventando la crisi della classe media borghese per l'aumento della tassazione, la diminuzione del riverbero dello stato sociale con le problematiche finanziarie per il risanamento degli stati, hanno come prima ripercussione un ridimensionamento del livello dei consumi su scala europea, i quali poi diventano conseguenti a problematiche economiche di paesi che in questo momento hanno puntato tanto sull'esportazione di output produttivo come per esempio la Cina e l'India, oppure di materie prima come il Canada, Brasile e l'Australia. Questa nuova, grande, depressione economica non so quanti anni potrebbe durare e temo che neanche l'intervento degli organismi sovranazionali sarà in grado di tamponare questo momento epocale in cui ci troviamo a vivere. 

Fiscal Compact

CINQUE RIGHE E MEZZA! - byoblu
Cinque righe e mezzo

Cinque righe e mezza! Sembra incredibile, ma tanto ha dedicato il Corriere della Sera, nell'edizione di oggi, all'approvazione del Fiscal Compact e del Mes. Cinque e righe e mezza all'interno di un articoletto in fondo a pagina 7, riuscendo perfino a non nominarli nè nel titolo ("Sì alle regole di bilancio Ue e al Fondo salva Stati. Assalto alla spending review") né tantomeno nel sottotitolo, dove addirittura i due trattati vengono relegati allo stesso rango di migliaia di altri interventi ("al Senato 1800 emendamenti al taglia-spese").
il Fiscal Compact ci obbligherà a sostenere almeno 50 miliardi all'anno di tasse e tagli per vent'anni. Il Mes, invece, ci porterà via immediatamente 15 miliardi, ci indebiterà per almeno 125, ma anche per qualunque altra cifra ci verrà richiesta in futuro, e non prevede per nessun governo successivo a questo la possibilità di uscirne. Ma per saperlo, i lettori del Corriere della Sera dovrebbero conoscere questo blog, perché perfino le cinque righe e mezza sepolte in fondo a pagina 7 si limitano a dire:
"ROMA - Approvati in aula definitivamente gli strumenti europei del Fiscal compact, le regole europee di bilancio varate in primavera, e del nuovo fondo salva Stati, ossia lo European Stability Mechanism (Esm)"
In Germania, su questi argomenti, si chiama in causa la Corte Costituzionale, che deciderà il 12 settembre prossimo. In Italia si scrivono cinque righe e mezza, a pagina 7, il giorno dopo. Finché i giornali non spariranno, non avremo mai nessuna speranza.


COSE NOSTRE
After 20 years from the "bombing season" and the murders of judges  Falcone and Borsellino, collusion State-Mafia is still very nebulous.

giovedì 19 luglio 2012

Le tre sorelle del mercato finanziario

Fonte: il manifesto | Autore: Enrico Grazzini
        La riforma del rating, con un’autorità di controllo europea che tagli il filo del conflitto di interessi tra le agenzie e i loro clienti Una bussola pubblica per fermare la speculazione e orientare gli investimenti. Anche così si può invertire la rotta d’Europa
Le tre agenzie private di rating Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch rappresentano le bussole della finanza: orientano flussi di migliaia di miliardi da parte degli investitori e possono così fare vivere o morire aziende e nazioni. Finora però hanno sbagliato spesso (vedi per esempio i casi clamorosi di Enron e Lehman Brothers considerati molto affidabili poco prima di fallire) e di fatto alimentano la speculazione contro gli stati europei più in difficoltà con il rischio crescente di farli fallire. Per avere una bussola più affidabile suggeriamo che in Europa lo European Securities and Markets Authority, ESMA, l’organismo europeo che vigila sul sistema finanziario, crei un’autorità pubblica indipendente per sovraintendere e certificare autonomamente le attività di rating sui titoli di debito.
Le agenzie di rating valutano l’affidabilità delle aziende, degli enti, degli stati e giudicano se sono in grado di ripagare o meno i loro debiti. Se un’azienda o uno stato vengono classificati come buoni debitori, allora gli investitori corrono a finanziarli prestando loro denaro a bassi tassi di interesse. Se invece le aziende o gli stati vengono giudicati come poco affidabili e rischiosi, gli investitori si tengono alla lontana o prestano denaro a tassi di interesse elevati (come accade attualmente all’Italia e agli altri paesi del sud Europa). Il ruolo delle agenzie è fondamentale nel mercato finanziario che si basa sulle informazioni e sulle scommesse sul futuro.
Tuttavia le tre agenzie di rating sono criticate per molti motivi: perché costituiscono un monopolio mondiale, dal momento che insieme controllano circa il 95% del mercato. Perché sono in prevalenza americane e sono considerate la longa manus della speculazione anglosassone; perché guadagnano profitti enormi e generalmente hanno un margine superiore al 50%. Perché hanno clamorosamente sbagliato assegnando valori massimi di affidabilità a titoli spazzatura o addirittura tossici – come nel caso dei derivati dei subprime -. Perché hanno dato il voto massimo (tripla A) a Lehman Brothers pochi giorni prima che la banca d’affari fallisse trascinando quasi tutto il mondo nella crisi. Perché continuano ad abbassare il rating degli stati che cercano di rimettere i loro conti a posto, esponendoli sempre più a rischio, fino a condurli quasi al fallimento, come nelle profezie che si autoavverano.
La critica maggiore e più eclatante riguarda però il rapporto incestuoso con i loro clienti: infatti le agenzie sono notoriamente pagate da chi giudicano, cioè dai venditori di titoli di debito e non dai compratori.
In effetti i problemi principali da affrontare sono tre: 1) le agenzie di rating sono società private orientate al profitto e pagate da chi dovrebbero controllare e valutare, in palese conflitto di interessi; 2) i loro criteri di valutazione non sono trasparenti e condivisi; 3) le loro valutazioni hanno valore ufficiale anche per le istituzioni pubbliche, come la Bce. Per affrontare questi tre problemi è indispensabile creare un’autorità pubblica indipendente europea.
Il primo problema di base è che le agenzie di rating sono bussole orientate da chi le paga. E’ come se gli editori pagassero anche le recensioni dei libri che pubblicano. Il conflitto di interessi è tanto più clamoroso considerando che le agenzie fanno capo a società finanziarie private. Capital World Investors, una delle più grandi società di gestione del risparmio negli Stati Uniti, ha una quota di poco superiore al 12% sia in Standard & Poor’s che in Moody’s. E Moody’s ha tra i primi soci di riferimento la Berkshire Hathaway, che a sua volta è in mano a Warren Buffet, il notissimo finanziere ottantenne tra i primissimi nella lista degli uomini più ricchi del mondo.

In attesa della Troika.

Il Presidente e la Costituzione
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di Giorgio Cremaschi - Rete28Aprile
Secondo il palazzo politico e mediatico, il Presidente della Repubblica nel suo ricorso alla Corte Costituzionale contro i giudici di Palermo avrebbe agito per difendere la Costituzione Repubblicana.
Facciamo un breve riassunto. Dal novembre dell'anno scorso abbiamo un governo di emanazione presidenziale, che fonda il suo programma su una lettera che due banchieri, Draghi e Trichet, inviarono al governo Berlusconi nell'agosto precedente.
Sulla base di quel programma sono state scardinate le pensioni, abolito l'articolo 18, stabilito un regime di austerità che ha portato l'Italia alla più grave crisi economica del dopoguerra. Sono state cancellate definitivamente le autonomie locali, vincolate al patto di stabilità, mentre si annuncia la vendita all'incanto dei beni pubblici e si è tentati di abolire 25 aprile e Primo Maggio.
Infine è stata cambiata la Costituzione formale nell'articolo 81, con l'obbligo del bilancio in pareggio, che non casualmente i padri costituenti non avevano inserito.
D'altra parte questa scelta ha semplicemente introdotto nella nostra Carta un articolo contenuto in quella tedesca. Così pure il parlamento si prepara a votare il fiscal compact, cioè l'adesione ad un patto leonino che ci vincolerà per venti anni nella riduzione del debito pubblico, con costi economici e sociali insopportabili.
Tutte queste scelte sono state esplicitamente pretese e sostenute dal Presidente della Repubblica. Che non solo ci ha abituato ai suoi interventi su qualsiasi tema di governo, ma recentemente si è spinto anche oltre.
Giorgio Napolitano infatti ha recentemente affermato che chiunque governi dopo le prossime elezioni, sarà tenuto a continuare il programma di Monti. Il programma del suo governo.
Così siamo entrati in una repubblica presidenziale che ambisce a diventare una monarchia. E si capisce perché, allora, lo stesso Napolitano sia giunto a chiedere la convocazione di una assemblea costituente.
Ora, dopo questo metodico smantellamento della costituzione materiale e di quella formale, improvvisamente si scatena un sussulto in difesa della nostra Carta. Sono i giudici di Palermo impegnati sul fronte della mafia, sono loro che minacciano la Costituzione.
Non è nuova questa particolare sensibilità costituzionale, è la stessa che fu di Craxi e Berlusconi, di cui nel passato l'attuale Presidente fu noto estimatore.
(18 luglio 2012)

La sinistra italiana che non ha futuro. Perché non ha passato.

 



di Sergio Di Cori Modigliani

E’ una calda domenica d’estate, afosa e noiosa. Il che può indurre a derive narcisistiche. Da cui la scelta di estendere pubblicamente una confessione intima della mia esistenza.

Ieri notte, a letto, chiacchierando con la mia compagna, a un certo punto le ho detto, con disperata sincera amarezza: “Io odio la sinistra italiana, li odio davvero tutti. Io sono uno di sinistra, da sempre. Come me la metto?”.

E’ il paradosso della mia esistenza, sezione passione civile. Per il momento non ha soluzione.

Mi auguro che questa confessione venga condivisa da qualcuno, mi farebbe sentire meno perverso. Altrimenti, va bene uguale. Vi invidio nelle vostre sicurezze.

Mi sono interrogato a lungo sui perché la sinistra italiana sia la più squallida d’Europa e del mondo occidentale. Vado spesso a spulciare nei siti e bloggers della sinistra democratica, di cui mi fido, in Germania, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Portogallo, Olanda, Argentina, Usa, Colombia, Peru, Uruguay. Leggo cose diverse, opinioni molto spesso contrastanti, su alcuni aspetti discordo, su altri concordo, ma l’aspetto per me –in quanto italiano- più avvilente e triste consiste sempre nel dover registrare l’esistenza di una notevole intelligenza attiva, priva di vanità e narcisismo auto-referenziale. Usano argomentazioni elaborate e pertinenti alla loro specifica situazione locale. Come mai? Perché loro sì e noi no? Qual è la differenza tra loro e noi?

Soltanto gli italiani sono mitòmani. Questa è una caratteristica della nostra etnia che è chiaramente borderline: si eccita e si risveglia soltanto quando arriva la necessaria scarica di adrenalina socio-politica nell’intravedere l’orlo del precipizio (vero) che li fa arrapare tutti (per l’appunto “the border”, da cui il nome diagnostico); a quel punto, si viene presi da una intensa eccitazione che provoca di solito, come ogni bravo psichiatra sa, delle inconsulte reazioni ciclotimiche le quali, inevitabilmente, portano (quando va bene) verso una specie di apparente equilibrio ma che la stessa sinistra provvederà poi a squilibrare totalmente per riavvicinarsi a passi da gigante verso il proprio suicidio. Quando va male, invece, sfociano in derive inconsulte, popolate di allucinazioni, fantasmi, isterismi che producono un comportamento collettivo patologico.

Mi sono chiesto. “come mai?”.

Che cos’è che da noi, non va?

Ho chiesto anche ad altri di cui apprezzo l’intelligenza e cultura. Ho ricevuto diverse risposte, nessuna delle quali mi ha mai soddisfatto. Vi propongo, quindi, la mia.

Rispetto alle altre nazioni civili occidentali, la sinistra italiana ha un ritardo (se va bene) di circa 60 anni, davvero molto. Se lo traducete in tempi storico-sociali, sarebbe come dire che un francese si accorge che c’è stata la rivoluzione e hanno ghigliottinato il re soltanto nel 1849. Si accorgono che hanno scoperto l’America nel 1552 e ancora non sanno che la scienza è stata in grado di spedire un uomo sulla Luna e riportarlo indietro. Ecc,ecc.

Che cos’è che ha provocato questo ritardo che altri non hanno?

MOVIMENTO NO DEBITO: LETTERA APERTA ALLE OPPOSIZIONI


Ci rivolgiamo a tutte le organizzazioni, movimenti, persone che in questi mesi hanno maturato o hanno confermato un'opposizione di fondo al governo Monti e alle controriforme da esso fatte, in atto o annunciate. A chi si oppone a tutta la politica di austerità europea che ispira il governo e rifiuta il pareggio di bilancio nella Costituzione, il *fiscal compact*, i patti di stabilità che distruggono lo stato sociale.Ci rivolgiamo a chi sinora ha lottato e lotta contro le terribili conseguenze sociali e civili della politica del governo. Ci rivolgiamo a chi rifiuta l'idea di una democrazia sospesa e in via di esaurimento e quella di un governo sottoposto al voto dello spread e dei mercati, invece che a quello dei cittadini La nostra proposta è di incontrarci per costruire in autunno una grande manifestazione nazionale che abbia lo scopo di mostrare in Italia ed in Europa che l'opposizione al governo Monti esiste e che, senza sottovalutare la portata e l'effetto dei colpi subiti, non intende rinunciare alla lotta, ma anzi vuole ripartire.

Oramai è chiaro che la politica del governo è destinata a continuare. Il Presidente della Repubblica, verso il quale fortissima è la nostra critica, ha già affermato che chiunque vinca le prossime elezioni, il programma di austerità che produce il massacro sociale dovrà continuare e nessuna delle forze politiche che sostengono il governo ha detto cose diverse. Lo stesso pretendono la Bce, il Governo tedesco, la finanza e il grande capitale multinazionale.
Per questo non si può pensare che ci sia solo da aspettare che finisca la nottata: senza la ripresa di un movimento sociale e politico di opposizione essa non finirà, mentre oggi la mobilitazione in Italia contro la politica unica europea è tra le più basse del continente e della nostra storia.
Per questo proponiamo un incontro che abbia come discriminante netta il no alle politiche di austerità in Italia e in Europa e al governo Monti e dunque l'indipendenza e l'opposizione rispetto a tutte le forze politiche che lo sostengono. Questo in unità con tutti coloro che, a partire dalla Grecia e dalla Spagna, le combattono e in collegamento con l'assemblea dei movimenti prevista a Madrid per settembre.
Sappiamo che il 15 ottobre del 2011 ha prodotto divaricazioni e rotture ancora non ricomposte ed è evidente che per superarle ed evitare che si ripetano occorrerà un confronto leale e con garanzie reciproche che nessuno eserciterà primogeniture, egemonie, forzature.
Conosciamo e viviamo le difficoltà, ma chiediamo di provarci.

Rovesciare Assad con la violenza? Le due risposte di padre Dall'Oglio

- ildialogo -
di Patrick Boylan

Mercoledì, 11 luglio, il padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, fondatore del monastero di Deir Mar Musa in Siria ed ora, da un mese, persona non più gradita dal governo siriano per via del sostegno morale e materiale che ha offerto apertamente ai rivoltosi, ha tenuto a Roma due importanti interventi sull'insurrezione in corso nel paese levantino, prima al Campidoglio e poi alla Città dell'Altra Economia.
In entrambi c'è stato, sullo sfondo, l'annosa questione dibattuta nei media da oltre un anno: per cambiare il governo autoritario del Presidente Bashar al-Assad, è legittimo il ricorso alla violenza da parte dei rivoltosi siriani, inizialmente pacifici ma da tempo ben armati dagli Stati Uniti e dai loro alleati? E se la rivolta dovesse impantanarsi come spesso avviene, sarebbe legittimo un intervento militare internazionale, anche senza mandato ONU, per far vincere i giovani rivoltosi o comunque per porre fine alle violenze che essi subiscono?
Le due domande non sono oziose e aprono scenari inquietanti. Se dovessimo rispondere di sì ad entrambe – come fa gran parte dei media occidentali -- cosa diremo un domani se l'Iran e la Russia (o la Cina e l'India) rispondessero di sì anche loro? Cosa diremmo, ad esempio, se la popolazione dell'Arabia Saudita (il cui monarca-dittatore Abdullah viene considerato da Amnesty Internazionale assai più feroce e tirannico di Assad) o se la popolazione del Bahrein, oppressa e martoriata dal re-dittatore Ali Khalifa, dovessero chiedere armi alla Russia o all'Iran per rovesciare il loro regime ed instaurare la democrazia? Considereremmo legittime queste rivolte armate? Considereremmo legittima anche la creazione di “corridoi umanitari” da parte dell'Iran o della Russia, “per proteggere i civili” sauditi e bahreiti e per consentire alle loro guerriglie di agire indisturbate? E cosa diremmo se il popolo cambogiano si ribellasse contro il regime autoritario ventennale di Hun Sen, avvalendosi del sostegno della Cina o dell'India sotto forma di forniture d'armi e in seguito di interventi militari “umanitari”, come la creazione di una “zona d'interdizione aerea” sopra la Cambogia e il ricorso a bombardamenti “chirurgici” per aiutare i ribelli, come ha fatto la Nato in Libia?
In una parola, dove cominciano e dove finiscono i principi della “Responsabilità di Proteggere” (norma ONU emergente) e della “guerra umanitaria” (dottrina attribuita a Václav Havel). Questi principi valgono solo quando siamo noi paesi occidentali ad invocarli per poter rovesciare dittature a noi non gradite? O valgono anche quando vengono invocati dai nostri rivali, per allargare la propria sfera d'influenza geopolitica rovesciando le dittature filo-occidentali? Ora che è iniziata la corsa tra Est ed Ovest per impossessarsi delle ricchezze dei paesi africani, la domanda è tutt'altra che oziosa.
Ed ecco perché la crisi siriana è diventata il terreno di scontro che deciderà le regole del gioco nelle relazioni internazionali del futuro.
Sullo sfondo di tutti questi interrogativi, il padre Dall'Oglio ha preso la parola nella prestigiosa Protomoteca del palazzo del Campidoglio, graziosamente messa a disposizione dall'amministrazione Alemanno (senz'altro d'intesa con la Farnesina), per rivolgersi ad una platea in larga misura preventivamente a favore di un intervento militare occidentale in Siria. Il convegno capitolino è stato infatti indetto dall'associazione “Siria libera e democratica” il cui Presidente Feisal al-Mohammed, dissidente siriano residente in Italia da 40 anni, è stato in passato promotore di diverse iniziative anti-Assad (e, in sordina, pro-intervento Nato) nella Capitale.

Shock alla radio francese (RMC): un siriano racconta la verità sulla Siria

mercoledì 18 luglio 2012

QUINTO POTERE


QUINTO POTERE

di Paolo Gila - 4 Luglio 2012

Le agenzie condizionano scientemente non solo i mercati, ma anche la vita politica dei Paesi. Nel caso dell'Italia, S&P's ha pubblicato i suoi report con precisione millimetrica prima di eventi di grande significato politico. Il vero obiettivo? Spostare liquidità dall'area Euro all'area dollaro, allo scopo di sostenere il debito pubblico americano

Si usa denominare quarto potere la capacità dei mass media di influenzare le opinioni e le scelte dell'elettorato. È questo un uso metaforico del termine potere, ispirato alla teoria giuridica della separazione dei poteri fondamentali (legislativo, giudiziario, esecutivo) dello Stato. Con la crisi economica le agenzie di rating sembrano essersi rivelate una sorta di "quinto potere".

Accuse pesantissime quelle formulate dai pm di Trani nei confronti di Standard & Poor's. Secondo la ricostruzione dei magistrati, tra Maggio 2011 e Gennaio 2012 l'agenzia di rating americana avrebbe intenzionalmente "manipolato i mercati azionari causando all'Italia un danno patrimoniale ingente".
Perché l'inchiesta di Trani è così importante e cosa sta trasferendo di nuovo all'opinione pubblica? L'abbiamo chiesto a Paolo Gila, coautore con Mario Miscali, de "I signori del rating" (Bollati Boringhieri).


"Ciò che sorprende nell'inchiesta di Trani è intanto la compilazione di una documentazione molto robusta, sono 4500 pagine fitte di trascrizioni, dichiarazioni che derivano da intercettazioni telefoniche e da controlli di posta elettronica, dunque non ci sarebbero solo indizi, ma anche prove consistenti.
Esemplare in questo senso è il dialogo telefonico tra alti dirigenti dell'agenzia Standard & Poor's tra New York e Milano, protagonisti l'allora Presidente dell'agenzia Deven Sharma e Maria Pierdicchi, amministratore delegato di Standard & Poor's in Italia. Il brogliaccio è imponente, c'è davvero molta carne al fuoco, il PM del Tribunale di Trani chiede di procedere per manipolazione del mercato pluriaggravata e continuata. Adusbef e Federconsumatori, autori e firmatari dell'esposto alla magistratura per i 4 report pubblicati da Standard & Poor's dal maggio 2011 al gennaio 2012, avevano chiesto addirittura di esplorare l'ipotesi di grave attentato all'integrità dello Stato. Al centro della vicenda non c'è solo il giudizio tecnico da parte dell'agenzia alla contabilità dello Stato italiano, ma anche precise critiche alla politica, al governo Berlusconi prima, nell'agosto 2011 e poi a quello di Mario Monti nel gennaio 2012.

IL CAVALLO DI TROIKA

- byoblu - Tra le molte misure che il memorandum della Troika (BCE, UE, FMI) ha imposto alla Grecia, ci sono le privatizzazioni. Tenetevi forte: vi leggo uno stralcio tratto da "La guerra dell'Europa" (p.63) di Monia Benini: " Uno degli allegati che si riferiscono al programma di privatizzazioni fornito dal Fondo Monetario a marzo di quest'anno assomiglia a un bollettino di guerra, anzi all'inventario del bottino di guerra combattuta senza armi. Ricorda il programma di cento punti affidato dagli Usa al generale che guidava l'esercito di occupazione dell'Iraq che, un po' più dettagliatamente, recava anche i nomi delle multinazionali alle quali assegnare il bottino. Si va dal Gas pubblico (DEPA e DESFA) alle scommesse sul calcio, dal sistema di difesa ellenico (EAS) alla Hellenic Petroleum (HELPE); per poi passare al servizio idrico di Atene (EYDAP) e di Thessalonica (EYATH), alla Compagnia Mineraria e Metallurgica (LARCO), alle Poste Greche, alla Compagnia per l'Elettricità (PPC), alle ferrovie, all'aeroporto di Atene, alle autostrade. E ancora sono in elenco le lotterie di stato, i porti e i grandi beni immobili statali. Una totale spoliazione ". Se è vero che le guerre non si fanno più con i carrarmati, è altrettanto vero che per fare un golpe non serve più l'esercito. Basta lavorare sui media e farli titolare "FATE PRESTO!", all'unisono. Il volgo cresciuto a colpi di "Ok, il prezzo è giusto!" si beve tutto. La Troika in Italia, almeno formalmente, non è mai arrivata. Non ne ha avuto bisogno: abbiamo fatto tutto da soli. Non abbiamo avuto neanche la dignità di costringere l'invasore alla conquista. Servi, ruffiani e leccaculo hanno confermato il ruolo che storicamente ci appartiene. I traditori hanno aperto i portoni al cavallo di troika e l'hanno tirato dentro, dove lentamente sta eseguendo la confisca del nostro benessere e delle nostre cose. Eni, Finmeccanica e il resto seguiranno. Ogni cosa a suo tempo.

martedì 17 luglio 2012

Il grande spazio per la sinistra c'è


di Paolo Beni
Non c’è dubbio che la vicenda greca offra indicazioni preziose alla sinistra italiana: sulla possibilità di costruire un’alternativa al paradigma liberista, ma anche sui rischi della frammentazione e sulla necessità di aggregare i diversi sociali attorno ad un progetto di cambiamento.
La crisi greca ci squaderna sotto gli occhi uno spaventoso arretramento dei diritti sociali, civili e politici conquistati in decenni di storia europea. La pretesa di liberare il mercato da ogni vincolo sociale sta cancellando l’universalismo dei diritti che le Costituzioni democratiche del dopoguerra…. avevano sancito come principio irrinunciabile.
E’ sempre più chiaro che la vera prospettiva europeista è fuori dal liberismo, in un progetto transnazionale di solidarietà e giustizia sociale, partecipazione e controllo democratico sull’economia e la finanza.
C’è un filo che lega, pur con evidenti diversità, i risultati delle recenti elezioni francesi e tedesche col successo di Syriza in Grecia: in Europa stanno maturando le condizioni per un cambio di rotta. Quando sono chiamati a esprimersi col voto i cittadini europei bocciano le scelte della destra conservatrice e neoliberista di fronte alla crisi; la sinistra raccoglie consensi quando si oppone alle ricette imposte dai tecnocrati del mercato, viene invece punita dagli elettori laddove è subalterna al ricatto dei poteri finanziari.
L’Europa del monetarismo ha fallito e i suoi governi, succubi di fronte all’impunità del mercato, scelgono di scaricare il costo di quel fallimento sui più deboli. Ma le politiche di austerità e rigore a senso unico si dimostrano impotenti ad arginare la crisi e far ripartire la crescita, spingono le economie europee nella recessione, producono il massacro dei diritti sociali e la messa in mora della democrazia. La situazione implode ed è evidente che serve un’alternativa, ma questa non esiste dentro le compatibilità imposte da quegli stessi poteri che della crisi sono i primi responsabili.
Serve una svolta profonda, che parta dalla presa d’atto del fallimento del liberismo e della necessità di rimettere in discussione le basi culturali di quel modello di sviluppo. E’ l’ora di cambiare strada, con scelte nette e rigorose nell’orizzonte di uno sviluppo mirato alla riconversione ecologica dell’economia, alla qualità e alla sostenibilità delle attività produttive, ai beni pubblici e sociali. Non è vero che il risanamento dei conti pubblici sia incompatibile con l’equità, la giustizia sociale, la partecipazione democratica. E’ questione di scelte: rimettere al centro del modello economico e sociale il lavoro, i beni comuni, il welfare pubblico, la sostenibilità ambientale, la cultura e l’istruzione, una vera democrazia al servizio delle persone e delle comunità.
Questa oggi è la vera sfida per la sinistra. Saremo in grado di affrontarla solo se sapremo produrre un grande sforzo culturale. Per alimentare un nuovo progetto serve un pensiero nuovo, che parta dalla critica degli errori compiuti in questi anni in cui l’illusione di mitigare il liberismo e contenerne gli effetti sul piano sociale ha prodotto la più grande sconfitta storica della sinistra. Nella società italiana c’è una domanda di cambiamento che non trova risposte adeguate e solo col rinnovamento della politica potrà avere uno sbocco positivo. In questa situazione c’è un grande spazio per la sinistra, se saprà rappresentare in modo credibile un’altra idea di economia, di società, di democrazia.
La prima condizione è che i partiti non facciano ancora una volta l’errore di confidare nella propria autosufficienza e prendano atto della crisi che li attraversa. Ciò che serve non sono le scorciatoie leaderistiche o le alchimie tattiche, ma ricostruire il rapporto con la società, coinvolgere i soggetti sociali, dare dignità alle diverse forme della rappresentanza. E’ dal basso che può crescere l’alternativa: dai territori e dalle comunità locali, dall’iniziativa civica diffusa che riconquista lo spazio pubblico e ridà senso a un’idea della politica che non è gestione dell’esistente ma processo collettivo di trasformazione.

Europa, una lunga storia dall’Atlantico agli Urali

Fonte: il manifesto | Autore: Nicola Cipolla
        Non c’è, nella sinistra anticapitalista, la consapevolezza della centralità della crisi ambientale, uno dei tre flagelli che il capitalismo infligge all’umanità. In Italia, creati 60 mila posti di lavoro con le energie rinnovabili
Monica Frassoni nell’articolo: «Occupy Europe» sul dibattito aperto con l’iniziativa di manifesto, Verdi e Sbilanciamoci di Bruxelles, del 28 giugno scorso, afferma che per uscire dalla crisi occorre lasciar perdere le centrali a carbone e petrolio e le spese militari, tra cui i costosissimi F35 americani, per finanziare l’efficienza energetica le rinnovabili e lo sviluppo della cultura. Rossana Rossanda aveva dato notizia che a Bruxelles erano intervenuti gli eredi delle posizioni di Spinelli e dei gaullisti dell’Europa delle patrie. Così ecco il ricordo dei vecchi tempi.
Dal 1969 al 1976 ho fatto parte, sotto la direzione di Giorgio Amendola, della pattuglia di deputati comunisti entrati al parlamento europeo dopo che finalmente era stata eliminata la discriminazione antisocialista e anticomunista delle prime due legislature. Denunciammo i vizi d’origine della costruzione europea. Da un lato un’unione regionale, in violazione degli accordi di Yalta, nel quadro della politica Nato e del sistema di Bretton Woods,e dall’altro, sulla base dei Trattati di Roma, una concezione mercantilistica e privatizzatrice contraria ad ogni forma di intervento pubblico e di stato sociale.
L’Spd tedesco di Schumacher aveva definito la Ceca, l’Euratom e poi la Cee come infeudate alle quattro k: kapitalism, klericalism (Schumann, Adenauer e De Gasperi erano tra i promotori dell’Unione) korservatorism, kartellen.
Ancora più forte era l’opposizione di De Gaulle che fece uscire la Francia dall’organo militare della Nato, diede il via all’autonomia atomica, con la force de frappe (affossando così L’Euratom), e con il Piano Fouchet propose una “unione delle patrie” in contrapposizione a quella degli apatrides di Bruxelles e soprattutto neutrale tra i due blocchi contrapposti Usa – Urss, donde la formula: l’Europa dall’Atlantico agli Urali.
Spinelli proponeva, invece, una Europa federale ma sempre all’interno dello schema monnettiano a soggezione atlantica. Il gruppo comunista diventò il centro dell’opposizione concreta alla politica della Commissione e si sforzò di stabilire rapporti, non solo con i partiti socialisti e socialdemocratici, sulle questioni sociali ma anche, in molte occasioni, con il potente gruppo gaullista che votò persino, in alcuni casi, le proposte che partivano dal gruppo comunista mettendo in minoranza la Commissione con grande dispetto dello stesso Spinelli che era allora Commissario in quota socialista. Amendola propose, al convegno sull’Europa promosso dal gruppo comunista al parlamento europeo e dal Cespe, di riprendere la parola d’ordine: l’Europa dall’Atlantico agli Urali suscitando l’opposizione di Bufalini e di altri miglioristi che volevano, dopo essere stati fedeli al mito dell’Urss, far cambiare la linea del Pci di 180° alla ricerca del Washington consensus.

La finanza non cambia, la società va difesa

di Claudio Gnesutta - sbilanciamoci -

"Non esistono soluzioni facili e immediate alla crisi". Nella relazione della Banca dei regolamenti internazionali, una conferma del fatto che la crisi è strutturale e che non ci sono margini nel sistema per riattivare la crescita. È per questo che l'unica strada è cambiare strada

“Chi spera in una soluzione facile e immediata continuerà a essere deluso: soluzioni di questo tipo non esistono.” L’affermazione è della Banca dei Regolamenti Internazionali (82a Relazione annuale, 24 giugno 2012, p. 8), istituzione internazionale il cui compito è di promuovere la collaborazione tra le banche centrali.
L’interpretazione delle Bri è di particolare interesse poiché scaturisce da un’analisi attenta e convincente del processo in atto. Il punto cruciale del quadro interpretativo è individuato – in modo non inedito – nel fatto che la crisi sia una crisi di indebitamente generalizzato e che il processo in atto e le prospettive future derivano dai comportamenti “normali” dei singoli soggetti indotti a privilegiare a ricostituire il proprio equilibrio patrimoniale. Non è certo una novità che le famiglie siano indebitate e siano costrette a risparmiare per rientrare dai loro debiti; che le imprese utilizzino i loro profitti per ridurre l’indebitamento piuttosto che finanziare nuovi investimenti; che il settore pubblico sia sotto pressione per realizzare avanzi correnti e ridurre il debito accumulato nel passato; che le banche e le altre istituzioni finanziarie, appesantite da titoli tossici e dalla perdita di valore di crediti e titoli, siano indotte a utilizzare i redditi correnti per ammortizzare le perdite prima di pensare ad espandere il credito all’economia. Il fatto che tutti i settori dell’economia registrino la medesima situazione segnala che non vi sono margini all’interno del sistema in grado di riattivare la crescita; la crisi è sistemica, di un intero sistema economico e sociale dai carenti meccanismi autoregolatori.
Non si tratta certamente di una novità, se non per il fatto che proviene da un’autorevole istituzione mainstream. Non dovrebbe sorprendere nemmeno l’implicazione che “lentezza del processo di deleveraging in tutti i maggiori settori dell'attività economica contribuisce a spiegare perché la ripresa nelle economie avanzate sia stata così debole”. È evidente che “i tentativi di aggiustamento di ciascun gruppo peggiorano la posizione degli altri” dato che “il settore finanziario esercita pressioni sui governi e rallenta la riduzione dell'indebitamento da parte di famiglie e imprese. I governi, a causa del deterioramento della loro affidabilità creditizia e dell'esigenza di risanare conti pubblici, stanno minando la capacità di recupero degli altri settori. Infine, il processo di deleveraging di famiglie e imprese incide negativamente sulla ripresa di governi e banche”. Una crisi da indebitamento generalizzato comporta inevitabilmente una compressione generalizzata della domanda e quindi dei redditi creando una situazione paradossale in cui l’obiettivo prioritario di ridurre l’indebitamento comporta una compressione dei redditi che impedisce la riduzione del debito. Un’osservazione che, ampiamente sviluppata per il debito pubblico, vale per tutti i settori generando non uno ma “molteplici circoli viziosi.” Un messaggio più chiaro di così non si potrebbe avere per una classe dirigente europea che, incapace di vedere gli effetti complessivi del meccanismo in atto, si trincera dietro a giudizi moralistici (talvolta fondati) sulla correttezza dei comportamenti altrui e propone (in maniera infondata) come prioritario un intervento per mettere ordina in casa propria.
Le difficoltà non si esauriscono qui, poiché nonostante quanto è successo vi è la preoccupazione che le principali banche continuino “ad accrescere la leva finanziaria” (espandendo le operazioni in derivati, ovvero le loro posizioni speculative) “senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile fallimento”. Pare che stiano “gradualmente riassumendo il profilo di elevata rischiosità che le caratterizzava prima della crisi”, ovviamente sempre nella convinzione che, qualsiasi cosa succeda, sarà il settore pubblico a farsi carico della loro insolvenza.
Dall’analisi presentata, tre aspetti dovrebbero balzare immediatamente all’attenzione di qualsiasi autorità di politica economica.

Europa, ancora un vertice quasi inutile.

di Vincenzo Comito

Dopo l'euforia di Bruxelles, qualche riflessione a freddo induce al pessimismo. Più che per il poco che si è fatto, il vertice sarà ricordato per quel che non ha fatto per bloccare la speculazione e avviare davvero la crescita

“…il piano dell’Unione Europea (concordato a Bruxelles) è una soluzione decisiva che usa dei soldi che non esistono per comprare dei titoli che non verranno ripagati e questo attraverso un meccanismo sul quale bisogna ancora mettersi d’accordo…”
Vincent Cignarella, dal Wall Street Journal
Premessa
Può essere utile cercare di analizzare i risultati degli ultimi accordi di Bruxelles diversi giorni dopo l’evento, dopo in particolare che la fretta presente nei commenti a caldo di molti osservatori può ormai lasciare il campo ad una riflessione più analitica e più consapevole. Nel frattempo, la presunta vittoria di Monti al vertice ha persino apparentemente fermato una possibile crisi di governo in Italia, mentre la altrettanto presunta sconfitta della Merkel sta suscitando le ire di una parte dell’opinione pubblica tedesca, del partito cristianodemocratico bavarese, nonché dei governi olandese e finlandese. In realtà a noi sembra che si sia trattato, alla fine, dell’ennesimo vertice sui problemi dell’euro che lascia ancora una volta le cose come stavano; questo, salvo qualche non decisivo passo avanti, che serve a fermare per qualche giorno o al massimo per qualche mese una crisi che sembra sul fondo inarrestabile – qualcuno ha parlato di un treno che avanza lentamente verso il burrone- e continua ad essere senza sbocchi apparenti.
Lo scudo anti-spread
Monti si è recato al vertice di Bruxelles chiedendo un intervento automatico del fondo salva- stati nel caso in cui i tassi di interesse sui titoli pubblici di un paese superassero certi livelli predefiniti. In realtà, c’è da ricordare che questa possibilità di intervento esisteva già prima anche se non era mai stata usata e quindi da questo punto di vista non si è in realtà discusso di niente di sostanzialmente nuovo.
Tanto rumore per nulla, dunque? In gran parte sì. Ma almeno apparentemente le condizioni fissate per l’intervento sembrano a prima vista meno pesanti di prima, almeno secondo l’interpretazione di Monti, cosa che peraltro non è ancora certo sicura; i paesi nordici e forse anche la stessa Germania sembrano poco inclini ad accettare tale interpretazione. In ogni caso, per accedere operativamente al programma, l’Italia sarà soggetta al monitoraggio della Commissione Europea e della BCE.
Ma ci troviamo poi di fronte ad un ulteriore e difficile passo. Il fondo salva stati non avrà certamente le risorse necessarie per intervenire adeguatamente sul mercato in caso di necessità, tanto più dopo gli impegni nei confronti di Grecia, Portogallo, Irlanda ed ora Spagna e Cipro, forse anche con la Slovenia in un prossimo futuro. Bisogna ricordare che il totale dei debiti pubblici italiani e spagnoli si aggira intorno ai 2800 miliardi di euro e che quindi il fondo salva stati, per essere credibile, dovrebbe avere una dotazione di almeno 2500 miliardi e/o avere la possibilità di accendere prestiti per importi molto rilevanti presso la BCE, cosa cui i paesi nordici si oppongono fortemente. Nelle attuali condizioni il fondo potrebbe avere a disposizione, per intervenire sul mercato dei titoli, si e no 150 miliardi di euro, un’inezia. A questo proposito P. De Grauwe, della London School of Economics, ha mostrato nei giorni scorsi come le decisioni prese potrebbero persino destabilizzare gli stessi mercati dei titoli pubblici di vari paesi.
Alla fine, come ha anche scritto W. Munchau sul Financial Times, per l’Italia non è cambiato niente e, aggiungiamo noi, non ci sono in ogni caso soldi per salvare l’Italia e le conseguenze dell’accordo potrebbero essere per altro verso persino catastrofiche.

THE CASTE
the Goldman Sachs & Madoff

I primi due mesi di governo di Francois Hollande

- chatait -
1) Abolizione del 100% delle auto blu
"Un dirigente che guadagna 650.000 euro all’anno, se non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il proprio guadagno meritato, vuol dire che è troppo avaro, o è stupido, o è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre figure."

2) Con i 345 milioni di euro risparmiati, apertura il 15 agosto 2012 di 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia, assumendo 2.560 giovani scienziati disoccupati “per aumentare la competitività e la produttività della nazione”.

3) Abolizione dello scudo fiscale (definito “socialmente immorale”) ed emanazione di un urgente decreto presidenziale per un'aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno.

4) Assunzione di 59.870 laureati disoccupati, di cui 6.900 dal 1 luglio del 2012, e poi altri 12.500 dal 1 settembre come insegnanti nella pubblica istruzione.

5) Eliminazione di sovvenzioni statali alla Chiesa Cattolica per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano licei privati esclusivi, e varo (con quei soldi) un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari avviando un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture nazionali.

6) Istituzione del “bonus cultura” presidenziale, un dispositivo che consente di pagare tasse zero a chiunque si costituisca come cooperativa e apra una libreria indipendente assumendo almeno due laureati disoccupati iscritti alla lista dei disoccupati oppure cassintegrati, in modo tale da far risparmiare parecchi quattrini della spesa pubblica, dare un minimo contributo all’occupazione e rilanciare dei nuovi status sociali.

7) Abolizione di tutti i sussidi governativi a riviste, giornali, fondazioni e case editrici, sostituite da comitati di “imprenditori statali” che finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate.

8) Agevolazioni fiscali alle banche che offrono crediti agevolati ad aziende che producono merci francesi; tassa supplementare su chi offre strumenti finanziari.

9) Decurtazione del 25% dello stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800mila euro all’anno.

10) Con quella cifra (circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a “donne mamme single” in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni, finché il bambino non va alle scuole elementari, e per tre anni se il bambino è più grande.

Tutto questo senza toccare il pareggio di bilancio. Lo spread addirittura è sceso, arrivando a 101. L’inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la prima volta da tre anni a questa parte.

Hollande, Qualcosa di Sinistra.

lunedì 16 luglio 2012

Roubini: nel 2013 banchieri avidi "impiccati nelle strade"

Roubini: nel 2013 banchieri avidi "impiccati nelle strade"
Banchieri avidi. Lo sono sempre stati. Nulla cambierà a meno di sanzioni legali. Il problema spread continuerà a intensificarsi. Necessaria una monetizzazione illimitata e non sterilizzata da parte della Banca centrale europea. Purtroppo impossibile. Ecco che il 2013 sarà un altro anno difficile, con la possibilità che si abbatta una "tempesta perfetta globale": crollo dell’Eurozona, nuova recessione negli Stati Uniti, guerre in Medio Oriente, pesante crollo della crescita in Cina e nei grandi mercati emergenti.
Questa la visione pessimista del noto professore di economia Nouriel Roubini. Dr. Doom è tornato.
"Nulla è cambiato dalla crisi finanziaria. Gli incentivi per le banche sono per agire in modo truffaldino - fare cose che sono o illegali o immorali. L'unico modo per evitare questo è rompere questo grande supermercato finanziaro. Non ci sono muraglie cinesi e massicci conflitti di interesse".
I banchieri
"I banchieri sono avidi - lo sono stati per 1000 anni".

Sulle sanzioni

"Dovrebbero esserci sanzioni penali. Nessuno è andato in prigione sin dalla crisi finanziaria globale. Le banche fanno cose che sono illegali e nel migliore dei casi vengono schiaffeggiate con una multa. Se alcune persone finiscono in carcere, forse sarà una lezione per qualcuno - o qualcuno verrà impiccato per le strade".

Banche troppo grandi per fallire

"Ci sono più conflitti di interesse oggi di quattro anni fa. Le banche erano già troppo grandi per fallire, ora sono ancora più grandi. Le cose vanno peggio - non migliorano".

Sul Summit Ue

"Il vertice è stato un fallimento. I mercati si aspettavano molto di più. O si ha una qualche sorta di debito comune (per ridurre lo spread), o si ha una monetizzazione del debito da parte della BCE, o il bazooka dei fondi EFSF / ESM deve essere quadruplicato - altrimenti gli spread su Italia e Spagna salterebbero in aria giorno dopo giorno. In caso contrario si avrà un'altra crisi più grande non in sei mesi da oggi, ma nelle prossime due settimane".

Sulla Bce che salva il mondo

"Il solo ente capace di fermare questo è la BCE, che ha bisogno di fare una vera e propria monetizzazione non sterilizzata in quantità illimitata, che è politicamente scorretto da dire e costituzionalmente illegale da fare".

Sul debito in comune

"Non è solo la Germania a dimostrarsi un paese forte, ma anche altri principali tra cui i Paesi Bassi, Austria e Finlandia. La Finlandia non vuole nemmeno accettare la mutualizzazione indiretta delle passività (fondi EFSF / ESM)".

Trascinarsi i problemi

"Entro il 2013 la capacità dei politici di rimandare le soluzioni ai problemi diminuirà, e nella zona euro il treno non deraglierà più a rilento, ma a grande velocità. Gli Stati Uniti sembrano vicini a una fase intermedia tra stallo della crescita e recessione economica. La Cina sembra prossima a quanto definito un atterraggio duro, mentre i grandi emergenti (BRIC: Brasile, Russia, India e Cina) registrano un forte calo della crescita. E infine c’è il pericolo di una possibile guerra tra Israele, Stati Uniti e Iran - che raddoppierebbe il prezzo del petrolio nel giro di una sola notte".

Il 2013 sarà peggio del 2008

"Peggio perché come nel 2008 ci sarà una crisi economica e finanziaria, ma a differenza del 2008 si è a corto di contromisure. Nel 2008 si potevano tagliare i tassi di interesse, fare QE1, QE2, varie misure di stimolo fiscale, e tanto altro. Oggi i QE stanno diventando sempre meno efficaci perché il problema è di solvibilità, non di liquidità. I disavanzi di bilancio sono già troppo grandi e non è possibile salvare le banche, perché 1) c'è una forte opposizione politica, e 2) i governi sono prossimi a essere insolventi - non possono salvarsi da soli, figuriamoci salvare le banche. Il problema è che siamo a corto di conigli da tirare fuori dal cappello".

COME SI ESCE DALL'EURO? Intervista a Claudio Borghi

Non paghi il canone? Resti al buio!

Non paghi il canone? Resti al buio! - byoblu
Alberto Bagnai Economia Economics
Non paghi il canone Rai? Ti tagliano l'elettricità. Questa la nuova proposta che da Palazzo Chigi potrebbero lestamente tramutare in legge per recuperare 5-600 milioni di supposta "evasione", con la scusa che, in questo modo, la Rai potrebbe abbandonare la competizione pubblicitaria con Mediaset e tornare a fare contenuti di qualità. Tutto chiaro, signori? L'ennesima scommessa, un gioco d'azzardo: "facciamo schifo e lo sappiamo, ma ora vi costringeremo a pagare, precettandovi come i peggiori delinquenti e arrivando a lasciarvi al buio anche se è inverno e fa freddo, bambini compresi, e poi vi promettiamo che faremo buon uso dei vostri soldi, in un qualche futuro lontano e ideale, tornando a fare TG che informano, trasmissioni culturali che istruiscono, talk non pilotati, smettendo di mandare via le voci produttive ma scomode.". Sì, e noi crediamo alla Befana!
Il Servizio Pubblico c'è già: si chiama internet e ce lo costruiamo da soli. Non abbiamo bisogno della vostra spazzatura dorata. Volete tagliarci la luce se abbiamo un monitor e ci rifiutiamo di pagare alla Enel il corrispettivo aggiuntivo per tenere in vita un carrozzone di intrallazzoni faccendieri dediti all'inciucio, al mantenimento in caldo della poltrona, al servilismo d'accatto, alla distruzione dell'informazione? E questa sarebbe l'austerity? Lo spread tra la rete e la televisione pubblica, in Italia, non sta a 400 punti, ma a quattrocentomila! Noi siamo il mercato, siamo la vostra troika, e i soldi non ve li diamo, a meno che non operiate una serie di riforme "lacrime e sangue" (leggi "cultura e informazione") tali da lasciare in mutande tutto l’establishment della vostra macchina propagandistica e da rendervi meri nastri trasportatori di idee, senza deformazioni, senza storpiature ad uso e consumo del potente di turno, del colletto bianco che ha il potere di darvi uno stipendio e ricoprirvi di oro e di potere.

Noi vogliamo un servizio pubblico dove la parola "pubblico" stia ad indicare che è di nostra proprietà ed afferisce alle nostre esigenze di informazione, come una volta sanciva il Trattato di Amsterdam, non che sia costruito per rubare risorse e destinarle all'indottrinamento del popolo-pecora.

Noi vogliamo un servizio pubblico che sia simile, così tanto simile a internet, che allora basterebbe destinare tutti questi soldi allo sviluppo delle infrastrutture di rete e all'incentivazione delle nuove forme di veicolazione della cultura, come blog, videoblog e web-tv, che guarda caso, per funzionare, hanno proprio bisogno dell’elettricità che volete tagliare.

Che ne è, piuttosto, del progetto di portare internet nelle case usando l'infrastruttura delle linee elettriche? Che ne è della banda larga? Che ne sarebbe di voi, se l'informazione non fosse ostaggio delle testate giornalistiche che pagate profumatamente con centinaia di milioni di euro di fondi pubblici? Che ne sarebbe di voi, se solo una parte infinitesimale di queste risorse arrivassero a blog come questo, per istituire un dibattito vero, ampio, paritario tra le forze intellettuali oneste di questo paese?

Ma voi andate avanti così, non preoccupatevi: vedrete che prima o poi ve la daremo noi, l'austerity. Più prima che poi..


AFTER THE FAKE CIVILIAN'S MASSACRE ...
... It worked for Irak

Versailles

di Elisabetta Teghil - sinistrainrete -

Il primo alleato della Francia socialdemocratica è l’Italia di Monti. L’avversaria dichiarata di entrambe, al di là delle manifestazioni di facciata, è la Germania di Merkel.

Forse, le chiavi di lettura che abbiamo utilizzato finora si rivelano inadeguate per capire quello che sta succedendo in Europa.

Se vogliamo leggere gli avvenimenti europei attuali, dovremmo cominciare da due punti fermi.

Uno ci riguarda da vicino. Monti, alla sua età, fa quello che sa fare e che ha fatto in tutta la sua vita, cioè il funzionario delle multinazionali anglo-americane e l’uomo di fiducia degli organismi sovranazionali che, delle prime, sono espressione ed emanazione.

L’altro è che è in atto una guerra per la ridefinizione dei rapporti di forza fra Stati e multinazionali che vede gli Stati Uniti e l’Inghilterra alleati all’offensiva.

Il motivo occasionale nell’immediato, è il profondo deficit statale e privato che gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno accumulato.

L’altro motivo, quello di fondo, è il carattere specifico del capitalismo che è autoespansivo e che ha bisogno, non solo di distruggere le forme economiche altre, ma anche di sottomettere gli amici/rivali.

Nella realizzazione compiuta dell’autoespansione non ci potrà essere che uno Stato del capitale e una multinazionale per settore o ambito.

Questo è il senso di quello che sta succedendo in Europa, dell’attacco all’Europa, alla sua, sia pur incompiuta, sovranità e della “scoperta” di un debito che pure c’è sempre stato, ma che oggi assume un’importanza che non ha mai avuto nel passato e che, comunque, è irrisorio se paragonato a quello anglo-americano.


La vittoria di Hollande a Parigi sta a Berlino come la caduta di Trebisonda sta a Bisanzio.

L’obiettivo finale è la Germania perché, è vero, è quella che dà l’imprinting all’Europa.

Perciò, disarticolare l’Europa passa, necessariamente, attraverso l’assoggettamento economico della Germania.

Quest’ultima è una potenza economica, ma è un paese occupato militarmente dagli Stati Uniti e i costi delle numerose basi americane sono a carico dei tedeschi, come, del resto, in Italia.

Si vuole sconfiggere la Germania e ,attraverso questa, l’Europa e si portano a pretesto le nequizie del sistema economico e bancario tedesco che terrebbe in scacco e sotto ricatto tutto il resto dell’Europa.

Non sta a noi difendere la Germania, però troviamo stridenti gli argomenti, portati a sostegno dell’attacco nei suoi confronti, di quelli che pure dicono di essere keynesiani, perché, se c’è un paese dove questi principi sono applicati è proprio la Germania. Tradotti in parole povere , stipendi alti e forte presenza del welfare in cambio della pace sociale.

Allora vediamo che il vero contendere è la natura asimmetrica della politica tedesca rispetto agli interessi anglo-statunitensi.

domenica 15 luglio 2012

E se l'Italia fosse una banca?

- sbilanciamoci -
di Andrea Baranes
Recessione, spread, disoccupazione? Ecco come venirne fuori, in un attimo e senza sacrifici. Aboliamo l'Italia. Tutto qui. Chiudiamo una volta per tutte lo Stato, con tanto di inno e bandiera, e trasformiamoci in una banca. Ecco alcuni dei primi vantaggi.
1. L'Italia ha dovuto inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione. Le banche non hanno nessun vincolo del genere.
2. Per eludere i pochi accordi esistenti (vedi Basilea), le banche possono cartolarizzare i loro attivi e spostarli nel sistema bancario ombra. Basterebbe quindi spostare metà del debito pubblico italiano in un sistema statale ombra, per avere per magia un rapporto debito/Pil al 60% e rientrare nei parametri di Maastricht.

3. Prima ancora, mentre gli Stati si sono impegnati al 60% di rapporto debito/pil, molte banche europee lavorano tranquillamente e da anni con leve finanziarie superiori anche a 40 a 1, ovvero con debiti che sono il 4.000% del loro patrimonio.
4. Secondo le nuove regole europee, se l'Italia non rispetta gli impegni va punita e multata. Nessuna banca responsabile della crisi ha ad oggi pagato un euro di multa.
5. Le banche hanno ricevuto liquidità illimitata all'1% dalla Bce. Gli Stati per finanziarsi devono rivolgersi ai mercati, ai tassi decisi dagli speculatori. Per statuto, la Bce non può aiutarli.
6. Non è solo la liquidità della Bce. Le banche in difficoltà vengono inondate di soldi. Quanti aiuti europei sono diretti a contrastare la disoccupazione o sostenere il welfare? Il vertice di fine giugno ha previsto 120 miliardi di euro per tutta l'Ue, in gran parte soldi già stanziati. Bruscolini rispetto alle migliaia di miliardi ricevuti dalle banche dal 2008 a oggi.
7. Soldi, aiuti e piani di salvataggio per le banche arrivano senza nessuna condizione, né a bloccare la speculazione, né su cosa finanziare (ad esempio le rinnovabili e non i combustibili fossili). Nel caso (molto più raro e difficile) in cui gli Stati ottengano qualche aiuto, al contrario, questo arriva a condizioni durissime, com'è avvenuto in Grecia nei mesi scorsi.
8. Le banche possono immettere nel sistema quantità illimitate di denaro, in particolare grazie ai derivati, che oggi rappresentano oltre il 70% del circolante. Agli Stati aderenti all'euro è proibita l'emissione di denaro.
9. Da mesi stiamo combattendo per abbattere lo spread e ridurre il tasso sui titoli di Stato. Le banche il tasso se lo fissano da sole, manipolandolo all'occorrenza (per informazioni, rivolgersi alla Barclays).
10. L'unico obiettivo degli Stati è quello di dare fiducia ai mercati e di compiacerli. Al contrario banche e finanza non hanno nessun vincolo e nessun impegno verso governi o cittadini. Devono unicamente massimizzare i propri profitti.
Per riassumere, da Stato italiano a Italia Bank Ltd., e da domani si fa festa. Finché le cose vanno bene moltiplichiamo i profitti, quando vanno male, per continuare a garantire profitti in doppia cifra e alimentare la speculazione basta spremere i cittadini e il pubblico. Ah, già, quale pubblico?

da Sbilanciamoci

APPELLO: Una rottura democratica per l’Europa

In meno di due anni le classi dirigenti europee, per fronteggiare la crisi economico-finanziaria, hanno centralizzato a passo di carica i poteri decisionali dell’UE costruendo una governance che non rivela tanto il tradizionale deficit democratico quanto una vera e propria fuga dalla democrazia. Chi decide nell’UE?
Per avere una risposta basta leggere le Conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo e si vedrà, per prendere un solo esempio, che a preparare le prossime tappe dell’Unione economica e monetaria sarà un gruppo formato dal Presidente del Consiglio Europeo, da quello della Commissione, dell’Eurogruppo e della BCE.
Essi prepareranno le misure indicando modi e tempi della loro attuazione – si legga il punto 4 delle Conclusioni. Gli stessi Stati, che Dieter Grimm ha sempre definito essere i ‘signori dei trattati’, saranno solo consultati così come consultato sarà il Parlamento europeo.
Nell’Unione Europea decide ormai una vera e propria oligarchia, che risponde ai ‘voti’ del mercato finanziario. Per modificare disposizioni fondamentali non si ricorre neppure alle procedure semplificate dell’articolo 48 del Trattato di Lisbona, secondo cui un ‘qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti’ di modifica.
Ora perfino queste disposizioni vengono disattese perché si attiva un gruppo di tecnocrati che proporranno loro al Consiglio europeo se e quali modifiche apportare ai Trattati che gli Stati avranno il solo compito di presentare ai Parlamenti per la ratifica.
Chi decide le sorti dei popoli europei non può e non deve essere un’oligarchia, bensì i cittadini europei. Su questa torsione oligarchica non stupisce il silenzio della Commissione (essendone parte), stupisce il silenzio del Parlamento Europeo che accetta di essere ancora una volta declassato al ruolo di organo consultivo. Tutto questo ci spinge a lanciare un vero e proprio allarme democratico.
Il Consiglio Europeo ha confermato e rafforzato la costruzione, ormai in stato di forte avanzamento, di un edificio che, senza precedenti nella storia delle democrazie, ha distrutto le fondamenta dello stesso Stato borghese, quelle costruite sulla base del “ no taxation without rapresentation “.
Si sta realizzando un sistema monetario, fiscale e bancario in funzione di un’economia di mercato che deve essere altamente competitiva sulla scena del capitalismo globalizzato. E se ne affida la direzione ad una struttura tecnocratica del tutto priva di un mandato popolare e sottratta a ogni forma di controllo, anche delle istituzioni rappresentative.
Con l’approvazione del Fiscal Compact un altro passo decisivo si va compiendo dopo quelli realizzatisi con il Semestre Europeo, il Patto euro plus, il Six pack, e ora con le nuove misure del two pack tese ad imporre una sempre più stringente disciplina fiscale.
Finanche l’ideologia del modello sociale europeo viene giudicata obsoleta – come ha dichiarato ripetutamente Mario Draghi -, e le politiche liberiste, per destrutturare i fondamenti della condizione materiale e dei diritti del lavoro, per demolire il welfare, per privatizzare i beni comuni, richiedono la distruzione della democrazia, anche di quella rappresentativa.
Le stesse elezioni non avvengono più in un clima di garanzie dato che si svolgono sotto il permanente ricatto della crisi dei ‘debiti sovrani’ e del minaccioso andamento dei mercati finanziari.
Il voto in Grecia si è tenuto sotto il ricatto del Memorandum della troika e della minaccia di fallimento dello Stato. Il metodo intergovernativo, ispirato dal funzionalismo, ha portato alla costruzione di una tecnocrazia autoritaria al servizio dei mercati.
L’opposizione alle scelte economiche e sociali imposte sotto spada di Damocle del debito − ingiuste e inefficaci, se per inefficaci ci si riferisce al benessere sociale e non a quello dei predatori − deve accompagnarsi ad una altrettanto forte mobilitazione per non subire un ulteriore vulnus nella vita democratica dei popoli europei.
È necessaria una rottura democratica. Rottura democratica che si basa sulla contestazione della tecnocrazia e delle sue imposizioni, a partire dal Fiscal Compact, e sull’attivizzazione di un processo Costituente Democratico di un’altra Europa. Questo processo si realizza attraverso la costruzione storica del demos che, come afferma Etienne Balibar, è necessariamente un demos sociale aperto e non etnico e che, dunque, si nutre di una democrazia innervata di diritti sociali e di libertà delle persone.
Facciamo appello perché si costituisca una vasta coalizione di forze associative, politiche, sindacali, ma anche di singoli cittadini, che si riconosca nella domanda di democrazia europea e che trovi in un’assemblea − da tenere nell’ambito di Firenze 10+10 – una sede in cui far confluire attorno ad un nucleo di rivendicazioni concrete la pluralità di voci che in questi mesi si sono levate.
Importante che tale schieramento sia realmente transnazionale, ricordando in particolare l’importanza dell’Europa centrale e orientale, e che contribuisca ad innovare le pratiche politiche di movimenti, partiti, e sindacati.
Perché la democrazia non dipende solo dalle istituzioni, ma anche dalla capacità di sviluppare nuove pratiche politiche transnazionali da parte della cittadinanza attiva.
Vogliamo anche rivolgerci a quegli esponenti della istituzioni locali che si battono contro le misure di austerità perché prendano parte a questa coalizione per la democrazia europea. Si potrebbe così avviare un percorso per costituire una Convenzione europea dei Cittadini in grado di spezzare la passività e di provocare una permanente e democratica contestazione dei metodi tecnocratici e autoritari. Anche le elezioni del 2014 possono essere utilizzate per sottrarre all’oligarchia di Bruxelles e Francoforte la ‘signoria sui Trattati’, e per affidare al PE un mandato per l’elaborazione di una Carta guidata dai principi del costituzionalismo democratico, da sottoporre a referendum europeo.
Tommaso Fattori, Lorenzo Marsili, Roberto Morea, Roberto Musacchio, Franco Russo, Patrizia Sentinelli

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