di Dino Greco in Liberazione.
Dalla “nuova destra” che vuole disarcionare il Cavaliere, fino all’opposizione riformista si ode un coro solo, che inonda senza requie i talk show e martella i tramortiti cittadini, divenuti utenti, piuttosto che protagonisti di una democrazia ormai solo catodica.
Il coro dice: questo governo è sì guidato da un capo impresentabile, malato di vizi privati che egli condivide con uno stuolo di cortigiani corrotti, a lui “avvinti come l’edera”, ma il problema più grave non sono i miasmi emanati da questa cancrena morale che sta contaminando il Paese.
Il problema - si dice - è che questo governo «non fa niente», «non affronta i problemi», o ancora, «è sordo di fronte alle grida di dolore che salgono da un Paese stremato». Insomma, si sentenzia: colui che ama presentarsi sul proscenio come l’uomo del «fare», in realtà è una macchietta impotente, prigioniero di spot propagandistici ai quali neppure lui crede, illusionista persuaso di poter sopravvivere in eterno in forza di uno strapotere economico, politico, mediatico che in questi anni ha corroborato il suo delirio onnipotente.
C’è, ovviamente, del vero in tutto questo. Del resto, le condizioni in cui versa l’Italia mettono ormai a dura prova qualsiasi operazione mimetica, rendendo grottesca la rappresentazione ottimistica che Berlusconi spaccia con sempre più scarso successo. Dunque, non indugeremo anche noi a sottolineare cose che sono di un’evidenza solare.
C’è del vero - dicevo - ma c’è un’omissione, insistita e perciò non casuale, rivelatrice di quale sia il “campo” entro i cui confini si svolge la contestazione mossa al Caudillo.
L’omissione non riguarda ciò che il governo di centrodestra ha trascurato di fare, bensì ciò che esso ha fatto senza posa nel corso del suo lungo regno e ancora sta facendo, con martellante determinazione, in questi forse ultimi scampoli di legislatura. Qui una bussola, molto ben orientata, si è vista e il ministro Sacconi ne ha rappresentato la punta di lancia.
Il titolare del welfare, interprete delle più segrete pulsioni confindustriali, si è reso protagonista assoluto dello sbaraccamento del diritto del lavoro, dando forma legale alle deroghe individuali ai contratti collettivi, sostituendo con l’arbitrato stragiudiziale il ruolo costituzionale del giudice, proteggendo la gerarchia apicale d’impresa negli infortuni sul lavoro, aumentando l’età pensionabile e portando quella delle donne a 65 anni, assecondando il progetto padronale di demolire il diritto di coalizione dei lavoratori; ed ora - in articulo mortis - colpendo lo Statuto dei lavoratori, ultimo sopravvissuto lascito delle grandi lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta. In perfetta continuità strategica, il suo compare, titolare della funzione pubblica, Renato Brunetta, è nel frattempo riuscito nel disegno di decontrattualizzare i rapporti di pubblico impiego, ha introdotto norme vessatorie per i dipendenti dello Stato e della Pubblica amministrazione, ne ha alleggerito l’organico di 70mila unità, ha promesso un ulteriore e persino più grande salasso entro i prossimi due anni, ha ostacolato il rinnovo delle rappresentanze sindacali previsto dalla legge.
L’ineffabile ministra della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, ha invece prodotto, nell’arco di soli due anni, la più gigantesca spoliazione della scuola mai avvenuta, manomettendo i programmi curriculari, tagliando, a sua volta, decine di migliaia di posti di lavoro e contribuendo con i suoi partners di governo ad una devastante precarizzazione del lavoro.
Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha perfettamente incarnato un razzismo istituzionale materializzatosi nella indecente campagna di respingimenti e nell’introduzione del reato di clandestinità che, combinato alla legge Bossi-Fini, ha polverizzato qualsiasi progetto di integrazione, sostituito dalle manganellate inflitte, da Rosarno a Brescia, ai migranti in lotta per uscire da una condizione di schiavitù. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, per la verità aiutato dall’ipocrita e in realtà corriva acquiescenza del centrosinistra, ha reso esplicita e formale la partecipazione attiva dell’Italia alla guerra in Afghanistan.
Tremonti, il superministro delle Finanze e del Tesoro ha varato una politica di bilancio fatta di tagli orizzontali, indiscriminati, tali da colpire reddito, consumi e servizi sociali facendo crescere vorticosamente il numero delle persone che vivono sotto la soglia della povertà, mentre il regime tributario, fra uno scudo fiscale e un condono, ha letteralmente massacrato il lavoro dipendente. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si è invece esclusivamente dedicato - con la preziosa supervisione dell’avvocato Niccolò Ghedini - a sfornare leggi salvacondotto per il presidente del Consiglio, del tutto incurante delle gravi vulnerazioni inferte alle prerogative della magistratura inquirente e alla libertà di informazione.
Questo breve viaggio nei mis-fatti del governo, impressionante e tuttavia per nulla esaustivo, dà conto di come la destra abbia usato con infaticabile impegno e non minore efficacia il proprio potere per mutare i rapporti sociali e cambiare volto al Paese.Di questo occorrerebbe parlare, senza distrazioni, senza peli sulla lingua, senza approssimazioni elusive che servono solo a mascherare intenzioni, programmi politici di cui molti hanno interesse a tacere o a tenere basso il profilo. Al punto in cui siamo, è bene che il sipario si chiuda presto su questa stagione politica, perché la prolungata agonia del governo può portare ulteriori danni.
Senza passare per governi di transizione che di solito si incaricano - senza padrini apparenti - di fare il lavoro sporco per chi verrà dopo. Meglio andare al più presto al voto chiedendo ad ogni soggetto politico di dire con assoluta chiarezza cosa vuole fare e con chi.
Dino Greco
in data:13/11/2010
Dino Greco
in data:13/11/2010
Nessun commento:
Posta un commento