Euro tunnel/3 Una moneta senza Stato, la Bce che protegge la finanza dall'inflazione, salva le banche fallite e non protegge dalla recessione. Ma cosa accadrebbe se si tornasse alle valute nazionali?
Se guardiamo indietro, abbiamo venticinque anni di politiche monetarie sbagliate, che hanno fondato su mercato e moneta unica l’intera costruzione europea, abbandonando via via occupazione, modello sociale, diritti, democrazia. Appena dietro di noi abbiamo la più grave crisi del capitalismo dal 1929, da cui nasce la depressione attuale. I paesi che hanno provato a uscirne – Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone – l’hanno fatto creando nuove bolle speculative per la finanza, alimentate dall’introduzione di un’enorme liquidità nell’economia mondiale. Se guardiamo avanti, il buio è fitto. Le promesse di ripresa dell’economia sono state finora illusorie e riguardano soprattutto pochi paesi del nord Europa. A Bruxelles, Berlino e Francoforte la politica resta immutabile: per la periferia d’Europa austerità fiscale, un debito insostenibile anche se gli spread calano, politica monetaria rigida, mano libera per la finanza. Ci muoviamo in un lunghissimo tunnel da cui sembra impossibile uscire.
È il tunnel dell’euro, di una moneta senza stato, di una Banca centrale che protegge la finanza dall’inflazione ma non sa affrontare la recessione, che salva le banche fallite ma rifiuta di sostenere il debito degli stati. È il tunnel di un’Europa asimmetrica nelle forze produttive e nel potere politico, che produce squilibri e ne scarica i costi sulle periferie, costrette a imitare l’impossibile modello d’esportazione della Germania. Il tunnel di una politica – anche quella del nuovo governo di Matteo Renzi, al centro dello speciale della settimana scorsa – che ripete annunci illusori sulla fine della crisi e sui tagli alle tasse, ossessionata dall’austerità quando la disoccupazione giovanile arriva al 40%, una politica che di fronte alle reazioni anti-europee sceglie di cavalcare anch’essa le pulsioni populiste.
Guardando fuori d’Europa il buio è ancora più vasto. L’inizio della restrizione monetaria negli Usa ha già provocato in molti paesi emergenti fughe di capitali, recessione, svalutazioni. Nei confronti del dollaro, nell’ultimo anno la valuta del Brasile si è svalutata del 17%, quelle di India, Indonesia, Russia e Sudafrica di circa il 20%, la lira turca del 22%, il peso argentino del 60%. Sono tutti paesi inondati di capitali dai paesi ricchi che ora si trovano indebitati con l’estero, debiti da rimborsare in valute più costose e a tassi d’interesse crescenti: si direbbe che si prepara una nuova versione della crisi del debito del Terzo mondo degli anni ’80. Facile immaginare che se in Italia avessimo nuovamente la lira, anch’essa sarebbe in balìa della speculazione, con i prezzi delle importazioni gonfiati dalla svalutazione, l’export depresso dalla crisi internazionale, i capitali in fuga da un paese che non cresce da vent’anni.
Non ci sono scorciatoie – come la nostalgia per la lira per uscire dal tunnel. Al di là degli errori commessi sull’euro – che Sbilanciamoci! denunciava già nel suo Rapporto 2002 – il tunnel in cui siamo rinchiusi è cementato dal potere lasciato alla finanza e dall’ideologia del mercato, traccia il trentennio liberista che ci ha portato alla depressione. Se ne può uscire soltanto con un cambiamento profondo del modello economico e dell’orizzonte politico.
È nel mezzo di questo tunnel che andremo al voto alle elezioni europee. Un tentativo di procedere a piccoli passi è quello che propone nell’intervista a pagina due di questo speciale Martin Schultz, candidato socialdemocratico alla presidenza della Commissione europea. Troppo poco e troppo tardi, a sei anni dall’inizio della crisi. L’alternativa di Sbilanciamoci! e della Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen) è presentata a pagina tre: un’unione monetaria da ricostruire con nuove regole per la Banca centrale europea, una garanzia comune sul debito pubblico con l’emissione di eurobond e forme di controllo sui movimenti di capitali, limitando la libertà d’azione della finanza. E, naturalmente, meno poteri ai banchieri e a Berlino, e più democrazia nelle scelte economiche, aprendo la strada alla fine dell’austerità e a politiche industriali e del lavoro disegnate per uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale.
Sono le proposte di cambio di rotta che saranno discusse il 19 marzo al Forum "Un’altra strada per l’Europa" al Parlamento europeo, che qui presentiamo. A discuterne – con esperti, movimenti e sindacati – ci saranno europarlamentari e politici della sinistra – Syriza compresa – verdi e socialdemocratici. Un’occasione per risvegliare la politica, a Bruxelles come a Roma, dare contenuti al dibattito sul voto europeo, e cercare davvero l’uscita dall’euro-tunnel.
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È il tunnel dell’euro, di una moneta senza stato, di una Banca centrale che protegge la finanza dall’inflazione ma non sa affrontare la recessione, che salva le banche fallite ma rifiuta di sostenere il debito degli stati. È il tunnel di un’Europa asimmetrica nelle forze produttive e nel potere politico, che produce squilibri e ne scarica i costi sulle periferie, costrette a imitare l’impossibile modello d’esportazione della Germania. Il tunnel di una politica – anche quella del nuovo governo di Matteo Renzi, al centro dello speciale della settimana scorsa – che ripete annunci illusori sulla fine della crisi e sui tagli alle tasse, ossessionata dall’austerità quando la disoccupazione giovanile arriva al 40%, una politica che di fronte alle reazioni anti-europee sceglie di cavalcare anch’essa le pulsioni populiste.
Guardando fuori d’Europa il buio è ancora più vasto. L’inizio della restrizione monetaria negli Usa ha già provocato in molti paesi emergenti fughe di capitali, recessione, svalutazioni. Nei confronti del dollaro, nell’ultimo anno la valuta del Brasile si è svalutata del 17%, quelle di India, Indonesia, Russia e Sudafrica di circa il 20%, la lira turca del 22%, il peso argentino del 60%. Sono tutti paesi inondati di capitali dai paesi ricchi che ora si trovano indebitati con l’estero, debiti da rimborsare in valute più costose e a tassi d’interesse crescenti: si direbbe che si prepara una nuova versione della crisi del debito del Terzo mondo degli anni ’80. Facile immaginare che se in Italia avessimo nuovamente la lira, anch’essa sarebbe in balìa della speculazione, con i prezzi delle importazioni gonfiati dalla svalutazione, l’export depresso dalla crisi internazionale, i capitali in fuga da un paese che non cresce da vent’anni.
Non ci sono scorciatoie – come la nostalgia per la lira per uscire dal tunnel. Al di là degli errori commessi sull’euro – che Sbilanciamoci! denunciava già nel suo Rapporto 2002 – il tunnel in cui siamo rinchiusi è cementato dal potere lasciato alla finanza e dall’ideologia del mercato, traccia il trentennio liberista che ci ha portato alla depressione. Se ne può uscire soltanto con un cambiamento profondo del modello economico e dell’orizzonte politico.
È nel mezzo di questo tunnel che andremo al voto alle elezioni europee. Un tentativo di procedere a piccoli passi è quello che propone nell’intervista a pagina due di questo speciale Martin Schultz, candidato socialdemocratico alla presidenza della Commissione europea. Troppo poco e troppo tardi, a sei anni dall’inizio della crisi. L’alternativa di Sbilanciamoci! e della Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen) è presentata a pagina tre: un’unione monetaria da ricostruire con nuove regole per la Banca centrale europea, una garanzia comune sul debito pubblico con l’emissione di eurobond e forme di controllo sui movimenti di capitali, limitando la libertà d’azione della finanza. E, naturalmente, meno poteri ai banchieri e a Berlino, e più democrazia nelle scelte economiche, aprendo la strada alla fine dell’austerità e a politiche industriali e del lavoro disegnate per uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale.
Sono le proposte di cambio di rotta che saranno discusse il 19 marzo al Forum "Un’altra strada per l’Europa" al Parlamento europeo, che qui presentiamo. A discuterne – con esperti, movimenti e sindacati – ci saranno europarlamentari e politici della sinistra – Syriza compresa – verdi e socialdemocratici. Un’occasione per risvegliare la politica, a Bruxelles come a Roma, dare contenuti al dibattito sul voto europeo, e cercare davvero l’uscita dall’euro-tunnel.



Si è anche illustrato per una serie organica e precisa, certosina anzi, di proposte capaci di razionalizzare l’intero meccanismo della giustizia, dalle notifiche al sistema carcerario. La spiegazione dei famosi “ambienti del Quirinale”, e degli editorialisti di regime sempre in “pole position” per il servo encomio, è che la presenza di un magistrato a via Arenula sia inopportuna. Che mestiere faceva però Filippo Mancuso, il droghiere, il broker finanziario? E Nitto Francesco Palma, l’imbianchino, l’ingegnere nucleare? Erano entrambi magistrati. Ma avevano corpose attenuanti: il primo si scatenò nella persecuzione contro il pool Mani pulite, il secondo era (ed è) un pasdaran di Berlusconi. Gratteri è invece un magistrato-magistrato, che prende sul serio l’idea della “giustizia eguale per tutti” e possiede anche le competenze tecnico-amministrative rispetto al funzionamento della macchina. Contro tanta minaccia, “per fortuna che Giorgio c’è”, come ebbe a gorgheggiare Berlusconi or non è guari.
In realtà una non-menzogna nel governo Renzi c’è, e fa rabbrividire. La discontinuità rispetto al governo Letta di un impegno che questi aveva ventilato (in un raptus di tatticismo, sia chiaro. Ma “voce dal sen fuggita …”), e cioè la legge sul conflitto di interessi, che renderebbe impraticabile non solo per Berlusconi e tutti i suoi eredi, ma anche per tanti altri potenti dell’economia, la commistione tra affari e politica che è incompatibile con la democrazia poiché inocula in essa dosi mortali di “governo dei patrimoni” anziché “governo dei cittadini”. Con l’uomo che confonde la democrazia con un’azienda (sua, ovviamente), e che è ormai patentato come criminale, e che se avesse dati anagrafici differenti (non per l’età, per il nome) sarebbe in galera o al massimo a stringenti domiciliari, Renzi ha invece contratto un patto di cui noi conosciamo la punta di iceberg (comunque indecente) e Denis Verdini la sommersa massa agghiacciante.