Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 9 aprile 2011

Decrescere o morire?


di John Bellamy Foster. Fonte: sinistrainrete

Nel paragrafo introduttivo del suo libro del 2009 Storms of My Grandchildren, James Hansen, principale climatologo USA e massima autorità scientifica mondiale sul cambiamento climatico, ha dichiarato: ‘Il Pianeta Terra, il creato, il mondo in cui la civiltà si è sviluppata, il mondo con i modelli climatici che conosciamo e linee costiere stabili, è in imminente pericolo...

La sorprendente conclusione è che il prolungato sfruttamento di tutti i carburanti fossili sulla Terra minaccia non solo gli altri milioni di specie sul pianeta ma anche la sopravvivenza dell’umanità stessa -e i tempi sono più brevi di quanto crediamo’.Facendo questa dichiarazione, comunque, Hansen stava parlando solo di una parte della crisi ambientale globale che attualmente minaccia il pianeta: precisamente la crisi climatica.

Di recente, scienziati di primo piano (compreso Hansen) hanno proposto nove punti-limite planetari, che demarcano lo spazio operativo sicuro per il pianeta. Tre di questi punti-limite (cambiamento climatico, biodiversità e ciclo nitrogeno) sono già stati oltrepassati, mentre altri, come la disponibilità di acqua pulita e l’acidificazione degli oceani, sono falle planetarie emergenti. In termini ecologici, l’economia è ormai cresciuta a una dimensione e un’invasività tali che sta sia travolgendo i punti-limite planetari che facendo a pezzi i cicli biogeochimici del pianeta.

Quindi, quasi quarant’anni dopo che il Club di Roma ha sollevato il tema dei ‘limiti alla crescita’, la crescita economica idolatrata dalla moderna società sta nuovamente affrontando una sfida formidabile.
NO TO THE NATO WAR!

US tries to persuade Italy to have an active role in the libyan mess (against the Italian constitution)

venerdì 8 aprile 2011

Guerra in Libia, utile distrazione.


di Immanuel Wallerstein (il manifesto del 06/04/2011). Fonte: controlacrisi

L'intero conflitto libico del mese scorso - la guerra civile nel paese e l'azione militare diretta dagli Usa contro Gheddafi - non ha niente a che vedere con l'intervento umanitario né con il rifornimento immediato del petrolio mondiale.

Di fatto è solo una grande distrazione - intenzionale - dal conflitto politico principale che si sta consumando nel mondo arabo.

C'è una cosa su cui Gheddafi e tutti i leader politici occidentali di ogni schieramento concordano pienamente. Tutti vogliono rallentare, incanalare, cooptare, limitare la seconda rivolta araba e impedirle di trasformare le realtà politiche di fondo del mondo arabo e il suo ruolo nella geopolitica del sistema-mondo.

Per rendersene conto bisogna seguire gli eventi in sequenza cronologica. Anche se nei vari stati arabi il ribollire dello scontento e il tentativo di svariate forze esterne di appoggiare l'uno o l'altro elemento all'interno dei diversi stati hanno rappresentato una costante ormai da tempo, il suicidio di Mohamed Bouazizi il 17 dicembre 2010 ha innescato un processo radicalmente diverso. Si è trattato a mio parere di una ripresa dello spirito della rivoluzione mondiale del 1968. Nel 1968, come in questi ultimi mesi nel mondo arabo, il gruppo che ebbe il coraggio e la determinazione di lanciare la protesta contro l'autorità costituita fu quello dei giovani.

A motivarli c'erano una serie di ragioni: l'arbitrarietà, la crudeltà e la corruzione delle leve del potere, il peggioramento delle loro condizioni economiche e soprattutto la rivendicazione del diritto morale e politico di essere protagonisti del proprio destino politico-culturale.

Protestavano anche contro tutta la struttura del sistema-mondo e il modo in cui i loro leader erano stati subordinati alle pressioni delle forze esterne.

MI DIMETTO DA ITALIANO.


di Dino Nardi * - Giovedì 07 Aprile 2011 Fonte: aise

Sì, il pensiero di dimettermi da italiano per me e, credo, per tanti altri cittadini della Repubblica che viviamo all’estero è ormai molto forte e sempre più frequente, purtroppo.

Anche per chi, come il sottoscritto, pur dopo tanti anni di emigrazione e di residenza in Svizzera non ha mai pensato, finora, nemmeno di scalfire la cittadinanza italiana chiedendo quella elvetica per diventare doppio cittadino.

Oggi, confesso, la tentazione di dimettermi da italiano è, tuttavia, quasi irresistibile con le notizie e le immagini che dall’Italia ci raggiungono quotidianamente in ogni parte del mondo, tramite i giornali, le tv ed internet.

Notizie ed immagini che ci espongono tutti alla berlina della gente che ci circonda nella nostra vita quotidiana e ci fanno veramente vergognare di essere italiani mettendoci, oltretutto, in grande imbarazzo soprattutto con i nostri figli.

Non bastavano le immagini de L’Aquila, una città morta ed ancora transennata a due anni dal terremoto; il bunga-bunga e le vicende giudiziarie del capo del governo; lo sfregio dei leghisti al Tricolore ed all’Unità d’Italia; le scene orribili degli ospedali psichiatrici giudiziari che ci riportano al medioevo. No, non bastavano quelle immagini, adesso abbiamo perfino dei teatranti che a pagamento, in una trasmissione di successo di una tv di proprietà del presidente del consiglio, si spacciano per dei veri terremotati de L’Aquila lodando l'operato del governo Berlusconi e dando L’Aquila ormai per ricostruita; abbiamo nel parlamento le risse da taverna con il Ministro della difesa che manda un plateale vaffa….. al Presidente della Camera dei Deputati; parlamentari della maggioranza che se la prendono con una deputata diversamente abile; abbiamo le immagini pietose di Lampedusa a testimonianza dell’assurdità di un Paese di 60 milioni di cittadini, pur ricco e considerato tra i più importanti al mondo, che va in tilt per l’arrivo (peraltro ampiamente previsto dallo stesso Ministro dell’Interno) di qualche migliaia di immigrati disperati; immagini dell’isola accompagnate da quelle del capo del governo che elargisce alla popolazione arrabbiata di Lampedusa, come fece anche a L’Aquila, le sue solite bufale tranquillizzanti (in questo caso: Lampedusa zona franca, apertura di un casinò e la promessa del nobel della pace per l’isola, ecc.), riuscendo perfino a farsi applaudire da qualche sprovveduto o, forse, da qualche prezzolata comparsa, chissà!

Che vergogna, che tristezza. C’è solo da sperare che tutto questo sia solo un brutto sogno e che finisca presto, molto presto ed è proprio questa speranza che, evidentemente, dà la forza al sottoscritto ed a tanti altri emigrati di non tramutare in realtà il pensiero assillante di dimetterci da italiani.

(dino nardi*\aise) * consigliere Cgie
OBAMA CANDIDATE AGAIN

1. To export democracy where there is petrol.


2 .more military bases abroad (we will take back la maddalena,in sardinia)


3 . guantanamo is still there. private manning is experimenting abu ghraib in the states


4 . national health worse than before; poor people poorer, rich richer


5 . while we are firmly in afghanistan and, not officiallly, in irak, I started my personal little war in libya.

giovedì 7 aprile 2011

CINQUE MANIERE PER ELIMINARE SILVIO BERLUSCONI.


di Moreno Pasquinelli. Fonte: Vecchia talpa

Chi ci segue sa quanto grande sia la distanza che ci separa dalle forze sistemiche che a vario titolo si considerano antiberlusconiane. Le ragioni di questa distanza sono evidenti.

Queste forze, osservate dal punto di vista della qualità delle loro proposte politico-sociali generali, non sono affatto migliori del nemico che dichiarano di voler defenestrare. Ove riuscissero a salire al potere un’altra volta, Dio ce ne scampi!, non farebbero nulla di diverso da quanto hanno già fatto.

Da questa premessa, dal disprezzo verso l’accozzaglia antiberlusconiana, alcuni amici ne deducono che … tanto vale tenersi il pataccaro. Giusta la premessa, sbagliata la conclusione.

La ripulsa verso gli antiberlusconiani non giustifica affatto una posizione indifferentista o, peggio, d’indulgenza verso il governo di centro-destra e il suo stregone. La misura è colma da tempo. Occorre eliminare Silvio Berlusconi, prima è, meglio è.

Ma come? Prendiamo in esame le diverse possibilità contemplate dal senso comune, seguendo un ordine di efficacia decrescente. A seguire i giudizi di merito.

Prima soluzione: metodo D’Alema

Il governo, temendo di andare in minoranza e quindi di cadere, pone la fiducia su uno dei suoi innumerevoli decreti ad personam. Viene battuto per due voti poiché alcune decine di parlamentari passano con l’opposizione. Napolitano da l’incarico a Casini, che forma un nuovo governo. Accadrebbe in questo caso a Berlusconi quanto già gli accadde nel dicembre del 1994, e quanto capitò il 9 ottobre 1998 a Romano Prodi.

Seconda soluzione: metodo detto di Agrippina

Libia. La discarica dei missili all’uranio impoverito.


Nelle prime 24 ore di bombardamenti gli alleati volonterosi hanno sganciato 45 bombe, mille chilogrammi l'una, testate che contengono uranio impoverito, lo stesso uranio che arriva coi missili Cruise. Proprio come a Baghdad dove Al Jazeera ha calcolato su case, strade e giardini 200 tonnellate di materiale radioattivo. Il ministro degli esteri inglese aveva annunciato: "Andiamo in Libia per proteggere le zone abitate da civili". Gli amici scommettono che per i prossimi 4,5 miliardi di anni il ministro non se la sentirà di visitare Tripoli avvelenata.

di David Wilson. Fonte: arcoiris

“I missili che sono dotati di testate all’uranio impoverito si adattano perfettamente alla descrizione di una bomba sporca… Io direi che è l’arma perfetta per uccidere una gran quantità di persone”. Marion Falk, un’esperta in fisica chimica (in pensione), Laboratorio Lawrence Livermore, California, USA.

Nelle prime 24 ore dell’attacco contro la Libia, i B-2 degli Stati Uniti hanno sganciato 45 bombe da 2 libbre ciascuna [poco meno di 1.000 kg]. Queste grosse bombe, assieme ad i missili Cruise lanciati da aerei e navi britanniche e francesi, contenevano ogive all’uranio impoverito. L’uranio impoverito [o più esattamente uranio depleto] è il prodotto di scarto del processo di arricchimento dell’uranio.

Riforma della giustizia: Berlusconi vuol trasformare i giudici in funzionari obbedienti.


È vero che è un provvedimento epocale, ma non è originale. In passato c'era già chi, come Licio Gelli, parlava di separazione delle carriere, stravolgimento del Csm e modifiche all'uso della polizia giudiziaria. Tutto questo è - non da oggi - a qualsiasi idea liberare, nonostante quello che dicono presidente del consiglio e ministro della giustizia.


Berlusconi ha ragione quando afferma che la riforma della giustizia, o meglio, della magistratura è “epocale”, anche se non del tutto originale (qualcosa del genere era già stato scritto più trent’anni fa da un tal Licio Gelli). Epocale lo è perché modifica profondamente tutti gli articoli della Costituzione promulgata nel 1947 ed entrata in vigore nel 1948.

Anche se “epocale”, non è del tutto originale perché la bozza della Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema, predisposta da Boato e fatta saltare con tutto il banco da Berlusconi, l’aveva largamente anticipata, se non nelle virgole, nella impostazione.

Prima di entrare nel merito degli articoli più significativi è opportuno fornire una valutazione generale della riforma dell’attuale governo per capire alcune questioni fondamentali. Anche se il titolo IV non è più magistratura ma giustizia, in realtà, la proposta del governo, della giustizia non si occupa affatto.

La giustizia, infatti, è il servizio che lo Stato fornisce ai cittadini e oggi quel servizio non funziona ma non certo per le ragioni che hanno indotto il governo a presentare la riforma. Non funziona e non perché, come prevede la Costituzione, le carriere dei magistrati non sono separate; i giudici rispondono solo alla legge; c’è un solo Consiglio Superiore della magistratura; il ministro della giustizia ha meno poteri di quanti gliene da la riforma Berlusconi- Alfano; i magistrati sono inamovibili.
L'AQUILA 2011 THE STONES ARE WORDS Two years after the earthquake, and the Berlusconi promises, l'Aquila is stll a pile of rubbish

mercoledì 6 aprile 2011

Omar Barghouti. Vi auguro un Egitto: lettera aperta alle persone coscienziose in Occidente.


di Omar Barghouti. Fonte: serenoregis

Vi auguro un Egitto! Vi auguro lo slancio per resistere; per lottare per la giustizia sociale ed economica; per conquistare la vostra vera libertà e uguali diritti.

Vi auguro la volontà e la capacità di evadere dalle vostre mura di prigione ben nascoste. Vedete, nella nostra parte del mondo, mura di prigione e spesse porte inviolabili sono anche troppo evidenti, ovvie, insopportabili, soffocanti; ecco perché restiamo indocili, ribelli, irati, e sempre attivi nel preparare il nostro giorno di libertà, di luce, quando metteremo insieme una massa critica di potere popolare sufficiente ad attraversare tutte le linee rosse categoriche.

Allora potremo sbriciolare le vecchie, brutte, fredde, pesanti catene arrugginite che ci hanno imprigionato mente e corpo per tutta la nostra vita come il lezzo incontenibile di un cadavere putrescente nella nostra claustrofobica cella carceraria.

Le vostre celle sono invece del tutto diverse. I muri sono ben nascosti per non provocarvi la volontà di resistere. E non hanno porte: potete aggirarvi “liberamente” intorno, senza mai riconoscere la prigione più vasta nella quale siete pur sempre confinati.

Vi auguro un Egitto, di modo che possiate decolonizzare la vostra mente, perché solo allora riuscirete a visualizzare la vera libertà, la vera giustizia, la vera uguaglianza, e la vera dignità.

Vi auguro un Egitto, per poter stracciare il foglio con la domanda a scelta multipla “che cosa vuoi?”, giacché tutte le risposte che vi sono date sono sbagliate in pieno. La vostra unica scelta sembra fra un male e un male minore.

Vi auguro un Egitto, perché possiate gridare come i tunisini, gli egiziani, i libici, i bahrainiti, gli yemeniti, e certamente i palestinesi, “No! Non vogliamo scegliere la risposta meno sbagliata. Vogliamo una scelta del tutto altra, che non è nel vostro dannato elenco”. Data la scelta fra schiavitù e morte, noi univocamente optiamo per la libertà e una vita dignitosa — niente schiavitù e niente morte.

Vi auguro un Egitto, perché sappiate ricostruire collettivamente, democraticamente, e responsabil-mente le vostre società; ristabilire regole che servano alla gente, non al capitale selvaggio e al suo braccio bancario; porre fine al razzismo e a ogni sorta di discriminazione; guardare più avanti e vivere in armonia con l’ambiente; eliminare guerre e crimini di guerra, anziché posti di lavoro, sussidi e servizi pubblici; investire nell’istruzione e nella sanità, non in combustibili fossili e ricerca sugli armamenti; rovesciare la tirannia repressiva delle multinazionali; e sparire dall’Afghanistan, dall’Iraq, e da tutti gli altri luoghi dove sotto la cappa della “esportazione della democrazia” le vostre ipocrite crociate hanno diffuso disintegrazione sociale e culturale, povertà estrema e disperazione senza fondo.

Vi auguro un Egitto, di modo che possiate adempiere agli obblighi legali e morali dei vostri paesi per aiutare a ricostruire le economie e le società violentate, de-sviluppate delle vostre ex- o attuali – colonie, di modo che i loro giovani possano trovare la propria patria di nuovo vitale, vivibile e amabile, anziché rischiare la morte — o peggio — in alto mare per raggiungere i vostri litorali avvolti nel miraggio, abbandonando i loro cari e luoghi che hanno chiamato casa.

Vedete, loro sono “qui” perché voi foste là… e sappiamo tutti che cosa avete fatto là!

Vi auguro un Egitto, perché possiate ravvivare lo spirito della lotta anti-apartheid sud-africana, rendendo Israele responsabile di fronte al diritto internazionale e ai principi universali dei diritti umani, adottando il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, invocati da una schiacciante maggioranza della società civile palestinese.

Non c’è modo più efficace, nonviolento per por fine all’occupazione, alla discriminazione razziale e al rifiuto pluridecennale da parte d’Israele del diritto sancito dall’ONU al ritorno dei profughi palestinesi.

La nostra oppressione e la vostra sono intimamente interrelate e intrecciate — non è mai una partita a somma zero! La nostra lotta per i diritti e le libertà universali non è un nostro mero slogan auto-gratificante; è piuttosto una lotta per una vera emancipazione e auto-determinazione, un’idea il cui tempo è rumorosamente arrivato.

Dopo l’Egitto, è la nostra volta. È la volta della libertà palestinese e della giustizia. È la volta di tutta la gente di questo mondo, particolarmente la più sfruttata e calpestata, per riaffermare la nostra comune umanità e reclamare il controllo sul nostro comune destino.

Vi auguro un Egitto!

Omar Barghouti è un attivista palestinese per i diritti umani, ex-residente in Egitto, e autore di Divestment and Sanctions (BDS): The Global Struggle for Palestinian Rights (Haymarket Books, 2011) (Boicotaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS): la lotta globale per i diritti palestinesi). 23 marzo 2011

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis Titolo originale: I WISH YOU EGYPT: AN OPEN LETTER TO PEOPLE OF CONSCIENCE IN THE WEST NENA-NEWS: L’Informazione Indipendente dal Vicino Oriente

Berlusconi e i suoi gerarchi. La protesta democratica li può mandare a casa.



ROMA – L’avvocato Niccolò Ghedini ha molti pregi ma il principale, secondo noi, è che ogni tanto gli sfugge dal suo accortissimo vocabolario qualche frase di troppo. Si ricorderà certamente quando nelle prime fasi dell’inchiesta che vedeva il suo principale cliente accusato di frequentazioni di allegre donnine, lui lo giustificò con la celebre frase: “In ogni caso, si tratterebbe dell’utilizzatore finale”.

Fu una sorta di brocardo, destinato ad entrare nei testi ermeneutici della dottrina giuridica. Oggi, la sua creatività lessicale ha fatto sfoggio di un altro capolavoro semantico. Ai giornalisti che gli chiedevano come si regolerà la Procura di Milano dopo che la Camera ha approvato la richiesta di conflitto di attribuzione da inviare alla Consulta, nel tentativo di insabbiare il “processo Ruby”, ha risposto: “Tanto quelli fanno sempre quello che vogliono”.
BERLUSCONI GVT IN A MOVE TO CANCEL THE LAW BANNING FASCIST APOLOGY

martedì 5 aprile 2011

Appello per una Manifestazione Nazionale contro la guerra in Libia a Napoli il 16 aprile.



L’Italia che a parole ripudia la guerra si è lanciata in una nuova aggressione militare a senso unico, come le precedenti, questa volta contro la Libia che rappresenta la “nostra” quarta sponda. La quinta in vent’anni, la terza nel giro di un decennio in cui si è persa ogni remora nei confronti dell’intervento bellico.

Ma a differenza delle altre occasioni pochi sembrano indignarsi, pochi alzano la voce per gridare che questa, come già altre guerre, ha dei motivi ben precisi: le immense ricchezze del sottosuolo libico, il gas, il petrolio, gli affari delle grandi aziende e della grande finanza.

Motivi che stanno causando già centinaia di morti fra i libici, e che ne causeranno ancora di più, appena l’uranio impoverito, sganciato in quantità, comincerà a fare effetto.

Motivi che potrebbero portare, co me già successo nei Balcani, in Afghanistan o in Iraq, alla devastazione della Libia, alla fine della sua sovranità, all’occupazione militare di un territorio-chiave per controllare e addomesticare tutte le rivolte che stanno agitando il Nord Africa e il mondo arabo.

Come al solito, la prima vittima della guerra è stata la verità: per giustificare l’uso della forza abbiamo visto squadernarsi tutte le retoriche guerrafondaie, nelle varianti di destra e di “sinistra”. Da un ritrovato e sfacciato spirito colonialista (“dobbiamo intervenire perché la Libia è casa nostra”) al ritornello della guerra umanitaria (“dobbiamo proteggere la popolazione contro il tiranno”), passando ovviamente per i cliché razzisti (“dobbiamo intervenire per portare la democrazia ai popoli sottosviluppati”).

Soprattutto si è cercato di neutralizzare l’impatto emotivo di una nuova guerra, di farla sparire dalla nostra percezione, di inserirla nel tessuto della quotidianità, parlando di “no-fly zone”, “pattugliamento umanitario”, “sostegno ai ribelli”.

Dovremmo sapere bene cosa si nasconde dietro questi eufemismi: il profitto delle multinazionali dell’energia, il desiderio delle potenze occidentali di accaparrarsi, anche dopo il disastro nucleare giapponese, risorse preziose in tempo di crisi, la voglia di controllare un pezzo di mondo che si è risvegliato e cerca da sé la sua libertà. Si interviene in Libia proprio come si sono sostenuti fino alla fine i regimi di Ben Alì o Mubarack, o come si appoggia la repressione dei movimenti popolari in Bahrein o nello Yemen…

Ancora una volta il “diritto internazionale” si rivela nei fatti solo la legge del più forte. Giusto otto anni fa, contro analoghe menzogne, eravamo in milioni a scendere in piazza. Oggi il silenzio dei pacifisti e dei movimenti è assordante, mentre la sinistra istituzionale si nasconde dietro ad una risoluzione ONU scritta, come già altre volte, ad uso e consumo di USA, Gran Bretagna e Francia, mentre a spingere per l’intervento ci sono in prima fila il PD ed il Presidente Napolitano…

Ad “opporsi” alla guerra c’è solo la destra estrema della Lega, che parla di “invasione dei clandestini”, lascia marcire i profughi a Lampedusa, crea strumentalmente un’emergenza umanitaria, esaspera l’odio contro i più deboli e i “dannati della terra” per rastrellare voti sotto elezioni.

Forse è giunto il momento di riscattare questa vergognosa Italia, che dal baciamano a Gheddafi, il “nostro miglior alleato”, è passata alle bombe, per paura di perdere i propri affari in Libia.

È giunto il momento di dire la nostra, mentre riscrivono la storia del Mediterraneo attraverso le bombe, la violazione dei diritti dei migranti e la continua militarizzazione del nostro e del loro territorio.

È giunto il momento di affermare che non esistono interessi “nazionali”, ma solo gli interessi degli sfruttati e dei dominati di tutto il mondo contro quelli dei dominanti e dei regimi di tutto il mondo.

È giunto il momento di proclamare che i popoli, e lo hanno scritto in questi giorni proprio i tunisini e gli egiziani in rivolta, o si liberano da soli o non si liberano affatto.

Tutto questo lo vogliamo dire chiaro e forte proprio a Napoli, dove è appena passato il comando dell’operazione ora a guida NATO.

Ed è per questo che facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai comitati, alle forze politiche e sindacali, a tutti i pacifisti coerenti ed a tutti i cittadini a far crescere in tutta Italia la mobilitazione contro la guerra e costruire insieme una grande manifestazione nazionale proprio a Napoli, sabato 16 aprile.

Una manifestazione che, schierandosi a fianco del popolo libico e di tutte le popolazioni in rivolta dell'area, chieda:

• La fine immediata dei bombardamenti e dell'aggressione militare;

• La fine di ogni ingerenza straniera, compresa l’ipotesi di embargo e di sequestro dei beni libici non meno criminale dell’aggressione militare;

• Il diritto d'asilo per tutti i profughi e i migranti in fuga;

• Il taglio delle spese militari e l’utilizzo di fondi e mezzi per le vere priorità sociali di un’Italia in crisi: casa, lavoro, servizi sociali, reddito garantito, provvedimenti a difesa del territorio e dell’ambiente;

Chiediamo a tutte e tutti di diffondere e sottoscrivere quest’appello, per cercare nelle due settimane che abbiamo davanti di costruire insieme una grande e determinata manifestazione contro la guerra! Nel caso questo appello dovesse incontrare come speriamo, il sostegno delle più significative realtà impegnate nella lotta contro la guerra proponiamo di tenere il giorno successivo alla manifestazione, domenica 17 aprile, una Assemblea nazionale del movimento contro la guerra per discutere insieme come proseguire la lotta contro questa infame politica che va a seminare in nome dell’umanità e della democrazia morte e distruzione presso altri popoli, con la vigliacca consapevolezza che questi paesi non hanno nemmeno le armi per potersi difendere adeguatamente di fronte alle micidiali armi di distruzione di massa utilizzate. ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO LA GUERRA Per info, adesioni e contatti: assembleanowar.na@gmail.com Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

BRUNO AMOROSO: Capitali congelati, un furto «umanitario”.



La nuova aggressione contro la Libia e il mondo arabo delle potenze militari occidentali fornisce alcune conferme e nuovi insegnamenti. Tra le conferme: l’ipocrisia imperialistica dell’Europa che con questa guerra mette una pietra tombale sulla proclamata partnership euro-mediterranea; la sempre risorgente vocazione al colonialismo socialista della sinistra europea mossa dall’istinto di sciacallaggio di poter attingere al dividendo politico delle imprese militari (la retorica nazionalista dell’inno e della bandiera) per far cadere il governo Berlusconi; l’inservibilità accertata di una Costituzione che come accade per il «lavoro», la «partecipazione» e l’«equità sociale» (evitiamo la parola «giustizia» perché è troppo sputtanata), rivela ancora una volta come le dichiarazioni di principio sul «ripudio della guerra» (art 11 della Costituzione) possono liberamente e autorevolmente essere estese dal presidente della repubblica a iniziative delle organizzazioni internazionali volte non a questo scopo, ma a legittimare iniziative «di guerra».

Ma le novità più interessanti sono sul piano dell’economia. Nel corso degli ultimi anni di fronte a una situazione economica e sociale acuta, ai gravi deficit democratici che questi comportano in Europa, ai numerosi episodi di economia criminale gestiti da sistemi finanziari e bancari nazionali e internazionali, ci è stato ripetutamente spiegato che non si poteva fare nulla, perché l’«economia di mercato» non consente interventi sui mercati e sulla finanza: avremmo spaventato i mercati, gli investimenti.

L’ULTIMA LEGGE DELL’APARTHEID DI ISRAELE.


di Ilan Pappe* Fonte: guerillaradio

Molti di noi vecchi compagni di lotta per la pace e la giustizia in Palestina ci siamo sentiti a volte particolarmente frustrati per non essere riusciti a promuovere nelle istituzioni politiche e nei mezzi di comunicazione occidentali il necessario sostegno contro la brutale occupazione della Cisgiordania e lo strangolamento di Gaza. Credevamo che la chiara evidenza dell’oppressione e delle ben visibili politiche criminali esplose dopo il 1967 avrebbe dovuto suscitare una reazione internazionale perlomeno analoga a quella che si è ora messa in moto contro la Libia, se non maggiore.

Conosciamo tutti, però, perché questo non è accaduto, né accadrà. Probabilmente, abbiamo trascurato una ragione particolare, di fatto una manovra felice del campo della pace israeliano, che sembra aver fatto abortire l’embrione di qualunque tentativo di questo genere. I sionisti liberali sono fermamente convinti che esistano due distinte entità - una in Israele e un’altra dall’altra parte della linea verde del 1967 - che hanno ben poco in comune.

L’accettazione di questa linea come una cruda realtà è la principale giustificazione dell’Occidente per la passività nei confronti di Israele (sostenuta anche da alcuni dei migliori amici della Palestina e, naturalmente, dall’Autorità palestinese). La linea non costituisce soltanto un confine politico ma, soprattutto, un confine morale. Tutto quel che sta succedendo nel mondo occupato è diametralmente opposto alla vita democratica di Israele e, perciò, l’argomento è che considerando Israele uno Stato paria si pregiudicherebbe la “parte buona”, lo Stato precedente il 1967.

La prigione mortale del diritto.



Ventidue anni, in carcere già dai sedici, si impicca e ora è in condizioni disperate. Vittima delle violenze del personale del minorile di Lecce dal 2003 al 2005, aveva trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa. Depresso. Abbandonato.

La sessantaduesima morte suicida in carcere dall'inizio dell'anno sarà Carlo Saturno, originario dell'ormai nota Manduria. Si è impiccato giovedì scorso nel carcere di Bari. Ora è al Policlinico del capoluogo pugliese in condizioni disperate, attaccato alle macchine, encefalogramma piatto. Ventidue anni, Saturno era stato arrestato per furto in minore età, poi condannato e trasportato al minorile di Lecce.

Aveva sedici anni, quando divenne una delle vittime di una squadra interna fra polizia penitenziaria e altro personale del minorile, che abusarono di lui e altri due detenuti.

Il nostro tempo è adesso... scusate ma ce lo riprendiamo.


di Giuseppe Morrone*. Fonte: paneacqua

Oggi mi alzo, mi vesto e manifesto. Diceva, più o meno così, una strofa della tarda adolescenza. Ed è attraversando un fervore che s'espande e si moltiplica, che sabato 9 aprile scenderemo per le piazza d'Italia.

Come giovani, come non giovani, come precari, come lavoratori, come studenti, come tutte queste essenze insieme, frullate e ricomposte Saremo nelle piazze perché l'indignazione - questa volta contro quel cancro sociale ed umano che si chiama precarietà - ci muove, ma, accogliendo la lucida arguzia di Pietro Ingrao, non ci basta.

Bisogna fare politica, a tutti i livelli.

Perché costruire relazioni può contribuire a cancellare un pezzo di questa ventennale notte delle coscienze e ad immaginare orizzonti fecondi e giusti. Perché se non riprendiamo in mano l'onere del pensiero critico e delle buone pratiche - individuali e collettive - potremo sempre e solamente subire lo stato di cose esistente.

lunedì 4 aprile 2011

Gli incidenti nucleari in Francia


Intervista a Charlotte Mijeon. Fonte: beppegrilloblog


Il Blog ha intervistato Charlotte Mijeon dell'associazione francese "Sortir du nuclear", una federazione di 875 gruppi francesi anti nuclearisti a cui sono associate più di 35.000 persone. E' in Francia che si vince o si perde contro il nucleare. Francia senza nucleare equivale a Europa senza nucleare. Il meccanismo adottato in Francia per convincere i cittadini della ineluttabilità del nucleare è lo stesso adottato di recente in Italia: balle su balle raccontate da venduti e soldi su soldi per la pubblicità e per foraggiare i giornali. Fukushima sta facendo impallidire Chernobyl, non si possono seppellire i morti, il raggio di suolo radioattivo si sta estendendo lentamente verso Tokyo e le falde sotto i reattori registrano livelli di radioattività "abnormi", come ha dichiarato la stessa Tepco, un tasso di iodio radioattivo ben 4.385 volte superiore al limite legale è stato rilevato in mare. Di fronte a questo immane disastro, le cui conseguenze non sono ancora comprensibili, i giornali italiani, finanziati dalle nostre tasse, tacciono e inseriscono Fukushima dopo la ventesima pagina.

Southern Mistral 2011.


Southern Mistral 2011 Fonte: ilfattoquotidiano

Allora adesso sappiamo che la guerra alla Libia è stata preparata, attraverso un’esercitazione militare, ai primi di novembre del 2010, quando ancora la cosiddetta “rivolta popolare” non era ancora nemmeno cominciata. Chi vuole può sincerarsene andando su questo link.Sbalorditivo, ma ce lo raccontano loro stessi.

Il paese è, in codice, Southerland, terra del sud. Il dittatore non viene nominato, ma gli strateghi di Parigi e Londra avevano già previsto quello che sta accadendo: e cioè che sotto i loro bombardamenti “umanitari” la famiglia del dittatore sarebbe stata costretta a trattare la resa.Le previsioni dei generali di Sarkozy erano davvero molto precise (quando si dice la lungimiranza!).

L’attacco era stato previsto nei giorni tra il 21 e il 25 marzo 2011. Circa quattro mesi di anticipo. Complimenti!Perfino la “copertura delle Nazioni Unite” era stata prevista. Unico “errore”, ma davvero veniale, il numero della risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Nella realtà è stato il numero 1973, nella esercitazione sarebbe stato il numero 3003.

Così adesso sappiamo anche come si può torcere il braccio delle Nazioni Unite, senza che nemmeno emettano un gridolino di dolore.

Le preoccupazioni “umanitarie” non facevano parte del piano, visto che ancora non c’erano manifestazioni nelle piazze.

Dunque le ragioni dell’aggressione erano “altre”. Quali? E’ aperto il concorso per la migliore risposta.

Cerchiobottismo e disarmo ideologico.


di Pietro Ancona. Fonte: medioevosociale

Sarebbe interessante per un sociologo analizzare i cortei per la pace che si svolgeranno oggi (sabato 2 aprile) in alcune città italiane. Oramai è chiaro che il colore prevalente non è più nè il rosso nè l'arcobaleno .

Arcobaleno distrutto da quasi un decennio di polemiche contro i "pacifinti", la diserzione della CGIL, delle organizzazioni cattoliche e del PD. L'ultimo corteo pacifista fu raggiunto a metà percorso da Fassino il quale marciò per un po' di strada e poi si ritirò per non parteciparvi mai più.

Era il 2004. Il PD si porta a casa oggi la condanna di Gheddafi che costituisce il suo grande regalo agli americani. In futuro forse qualcuno del PD parteciperà ancora a cortei di pacifisti, forse alla marcia Assise-Perugia, oramai entrata tra le "feste comandate" della Repubblica, costruita attorno ad un cosidetto tavolo della pace al quale fanno capo i volontari di Santo Egidio che non disdegnano tuttavia donazioni, se del caso, anche da fabbricanti di armi.

Il corteo di oggi sarà disertato da alcuni degli esponenti più autorevoli del PD che non vogliono destare sospetti all'Ambasciata USA proprio mentre lavorano per approntare una alternativa di governo al centro-destra italiano. Nel PD si è sollevato un vespaio di polemiche. Moltissimi non ci saranno e coloro che andranno al corteo vi daranno una connotazione "gentile", alcune parole non ci saranno più, tra queste: guerrafondai, imperialismo, colonialismo, capitalismo..parole oramai obsolete e veterotutto.

Inverecondo pasticcio all'ONU.


di Giuglietto Chiesa - «La Voce delle Voci», aprile 2011. Ha scritto molto bene il generale Fabio Mini, su Repubblica (20 marzo 2011), che stiamo assistendo, senza accorgercene, alla «trasformazione del Nord Africa in una confederazione di compagnie petrolifere», che andrà dalla ex Mauritania all’ex Egitto, all’ex Sudan, fino alla Penisola Arabica (finché continuerà a chiamarsi così).

I nuovi “stati” si chiameranno - chissà? - Total, BP, Exxon, Mobil, Chevron. Sicuramente nell’elenco non ci sarà ENI, che si è comportato male. E non ci saranno neppure Gazprom, Lukoil, perchè Putin e Medvedev hanno votato male (cioè si sono astenuti) la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha permesso “tutte le misure necessarie” contro la Libia.

Quello che è accaduto al Palazzo di Vetro sarà ricordato, senza dubbio, come il più inverecondo pasticcio mai cucinato dall’Onu in tutta la sua non sempre onorata carriera. Cioè l’Onu ha approvato un documento che viola appunto una serie di fondamentali principi dell’Onu. Cioè ancora, l’Onu si è sparato nei piedi.

domenica 3 aprile 2011

La sfida dei migranti all’ispettore Clouseau.


di Alessandro Robecchi. Fonte: voisietequi Pubblicato in Il Manifesto.


Chiedo scusa ai critici cinematografici de Il manifesto, ma sono costretto a rubargli il lavoro. Recensione. I tunisini sfidano l’ispettore Clouseau (Italia, 2011, con Roberto Maroni, Silvio Berlusconi e qualche migliaio di comparse). L’ispettore Clouseau (Roberto Maroni) strilla da mesi che il paese sarà invaso da pericolosissimi immigrati clandestini, ma quando gli immigrati previsti arrivano, l’ispettore Clouseau viene colto di sorpresa: “Siete sgià qui? Tropo velosci!”. Con una mossa di rara astuzia li lascia senza cibo, seduti su un molo a Lampedusa. Poi arriva il suo principale (Silvio Berlusconi) e dice che lì deve fare un campo da golf e un casinò, quindi bisogna spostare i clandestini. L’ispettore Clouseau appronta in fretta e furia una tendopoli dove deporta migliaia di clandestini. Quelli, con mossa astuta, scavalcano la rete metallica e se ne vanno. “Maledisione! Non sci avevo pensato!”. Allora l’ispettore Clouseau appronta altre tendopoli in tutta Italia, manda i pompieri su è giù come pendolari, ma sindaci e governatori gli fanno chi marameo, chi il gesto dell’ombrello, altri ridono. Infuriato, l’ispettore Clouseau parla di respingimenti. Stavolta ridono i giovani tunisini. Allora, mossa a sorpresa, Clouseau va in Tunisia con Berlusconi e un po’ di soldi per chiedere alla Tunisia di riprendersi i tunisini. Interessa un campo da golf? Interessa un casinò? E se mi compro una villa a Tunisi? Ridono anche in Tunisia. Si chiude in un tramonto mediterraneo, con Clouseau e il suo capo che chiedono un passaggio a un barcone per tornare in Italia. Il film appare sconclusionato, senza regia e piuttosto improvvisato. Unica nota positiva, lo straordinario talento comico del protagonista (azzeccati gli occhialini rossi), mentre la sua spalla, Silvio Berlusconi, sembra imbolsita e stanca. Ottime, invece, le comparse tunisine: molte di loro non hanno avuto nemmeno il cestino per il pranzo, hanno capito che il cinema italiano è in crisi e vogliono andare in Francia.

Boicottare i guerrafondai.


di Marinella Correggia su il manifesto del 02/04/2011.


Hanno una lunga storia gli appelli al boicottaggio economico contro i guerrafondai e i colonizzatori. Famoso il rifiuto delle merci inglesi da parte del movimento guidato da Gandhi per l'indipendenza dell'India. Negli anni 1950 l'economista gandhiano C. J. Kumarappa suggerì - in una conferenza internazionale - alle nazioni con volontà di pace di boicottare in massa le produzioni degli Stati Uniti per interromperne la politica imperialista (era in corso la guerra di Corea).

In seguito gli appelli al boicottaggio si sono rivolti ai popoli, più che alle nazioni e ai governi (i quali hanno piuttosto praticato embarghi, e sempre da posizioni di forza). Ma hanno avuto poco seguito.

Eppure, se le cause delle guerre sono economiche e geo-strategiche, il colpire economicamente i responsabili diretti e indiretti ha un senso e sicuramente un'utilità maggiore rispetto alle manifestazioni anche oceaniche e alla vendita ed esposizione di milioni di bandiere per la pace (nel 2003, quando la «seconda superpotenza mondiale», il movimento pacifista, non scalfì i piani sull'Iraq).

E' tornato il popolo pacifista!


Grandi manifestazioni in tutta Italia per chiedere il rispetto della Costituzione.

Alla ricerca della pace possibile.

Oggi (2 aprile) a Roma torna la PACE. Il Parlamento di guerra, dove la maggioranza favorevole alle bombe sulla Libia è trasversale e coinvolge (purtroppo non è la prima volta... e temiamo non sarà nemmeno l'ultima) anche il centrosinistra, potrà avere oggi una bella lezione di democrazia da un popolo che chiede al governo e alle istituzioni tutte di adoperarsi per una soluzione negoziale e per fare tacere subito il rombo dei Tornado che partono dalle nostre basi. Noi siamo parte di questo popolo, noi ci saremo! Per la pace, per la democrazia, contro ogni governo di guerra!

Libia-USA. Quando Gheddafi era un amico.


di Manlio Dinucci * Fonte: lavecchiatalpa

Le relazioni tra Washington e Tripoli non sono andate come avrebbero voluto gli ultimi presidenti americani. Soprattutto per ciò che riguarda l’accesso delle multinazionali Usa all’oro nero libico.

«Sono molto contenta di dare il benvenuto al ministro Gheddafi qui al Dipartimento di stato. Apprezziamo profondamente le relazioni fra Stati uniti e Libia. Abbiamo molte opportunità per approfondire e allargare la nostra cooperazione. E desidero ardentemente sviluppare le nostre relazioni. Quindi, Signor Ministro, le do il più caloroso benvenuto»: con queste parole, il 21 aprile 2009, la segretaria di stato Hillary Clinton accoglieva Moutassim Gheddafi, uno dei figli di Muammar Gheddafi, in veste di consigliere per la sicurezza nazionale.

E si faceva fotografare mentre, sorridente, gli stringeva calorosamente la mano tra le bandiere statunitense e libica. Senza preoccuparsi tra l’altro della pessima fama di Moutassim, ricco playboy internazionale e violento con la moglie.

Non sono passati nemmeno due anni, e la stessa Clinton «scopre» che quella di Gheddafi e della sua famiglia è una dittatura e ne chiede l’immediata destituzione in nome della «democrazia». Che cosa è cambiato? Le relazioni con la Libia, evidentemente, non sono andate come avrebbero voluto a Washington. Soprattutto per ciò che riguarda l’accesso delle multinazionali Usa all’oro nero libico.

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