La vicenda greca parla a tutti i popoli d’Europa sotto diversi punti di vista.
Da una parte è la più lampante dimostrazione di come lo “shock” del debito sia stato artatamente costruito per ridisegnare il comando sociale dei grandi capitali finanziari sul mondo del lavoro e sull’intera vita delle persone.
La Grecia è infatti il Paese che più pedissequamente si è sottoposto ai diktat della “Troika” e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: drastica caduta delle condizioni di vita, disoccupazione di massa, precarietà generalizzata, espropriazione di beni comuni e servizi pubblici, sottrazione di democrazia.
Dall’altra è l’altrettanto chiara dimostrazione di come la mobilitazione sociale costante e su contenuti chiari sia pagante e possa far uscire un intero popolo dalla frammentazione e dalla disperazione per iniziare a costruire un’alternativa : da questo punto di vista l’esperienza di Syriza è illuminante e densa di indicazioni.
Lo scontro sociale che la crisi ci consegna è - e sempre più sarà - senza quartiere: da una parte l’ossessione delle politiche liberiste chiede continuamente nuovi “assets” su cui riversare i capitali finanziari, dentro un modello capitalistico in condizioni di cronica sovrapproduzione; dall’altra, i movimenti sociali indicano nell’inversione di rotta e nella definanziarizzazione della società la possibilità di un altro modello sociale.
E’ come se, dopo aver per oltre due decenni affermato “privato è bello”, cercando di convincere le persone, oggi i poteri forti finanziari dicano molto più semplicemente - e ferocemente – “privato è obbligatorio e ineluttabile”.
Da questo punto di vista, il nuovo paradigma dei beni comuni che ha attraversato tutte le lotte e le mobilitazioni sociali, in particolare nel nostro Paese, diviene il luogo principale dello scontro in atto, tra la riappropriazione collettiva di ciò che a tutti appartiene e il definitivo esproprio di diritti e democrazia.
Su questo terreno - la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua dello scorso anno lo dimostra - è possibile costruire un altro linguaggio e un nuovo protagonismo sociale che sappiano uscire dalla pur generosa minorità per parlare all’intera società.
Un terreno che sposti l’asse dell’azione collettiva dall’intervento “a valle” dei processi all’assalto “a monte” degli stessi: che passi dal “consumo critico” alla critica della produzione, dalla lotta contro le privatizzazioni alla riappropriazione partecipativa di beni e servizi, dal terreno de “i soldi non ci sono” alla risocializzazione del credito, dalla democrazia formale alla democrazia reale.
Da questo punto di vista - e conoscendo tanto i drammatici limiti delle forze politiche in Italia quanto le insufficienze dei movimenti sociali - sarei molto cauto nell’immaginare una deterministica riproduzione italiana dell’esperienza di Syriza.
Innanzitutto perché quell’esperienza nasce dalla mobilitazione sociale reale che in quel paese ha assunto livelli di radicalità - più di 15 scioperi generali - attualmente impensabili in Italia; inoltre la crisi della rappresentanza nel nostro Paese - dopo due decenni in cui il modello Berlusconi ha plasmato trasversalmente la società - ha assunto livelli di drammaticità, difficilmente riscontrabili in altri Paesi europei.
L’Italia è un Paese tutt’altro che pacificato, ma l’insufficienza delle mobilitazioni sociali rispetto allo scontro in atto è purtroppo un dato ancora evidente; l’Italia è un Paese denso di rivendicazioni collettive, ma la frammentazione delle stesse è purtroppo sotto gli occhi di tutti.
Prima di affrontare il delicatissimo tema della rappresentanza, occorre a mio avviso dedicare tutte le possibili energie alla costruzione della precondizione della stessa: una forte, radicale, unitaria e inclusiva mobilitazione sociale su alcuni obiettivi chiari e comunicabili, che sappiano tessere la rete delle relazioni sociali e ribaltare l’agenda politica di un Palazzo ormai “autistico”.
Il rischio è che, in mancanza di un livello adeguato di mobilitazione sociale, la scorciatoia della rappresentanza venga ancora una volta dai più percorsa, nell’illusione di costruire dall’alto ciò che è complicato far emergere dal basso.
Ben venga Syryza, dunque, se serve a camminare. Ma con la consapevolezza dei passi da compiere.
*Forum italiano dei movimenti per l’acqua
Da una parte è la più lampante dimostrazione di come lo “shock” del debito sia stato artatamente costruito per ridisegnare il comando sociale dei grandi capitali finanziari sul mondo del lavoro e sull’intera vita delle persone.
La Grecia è infatti il Paese che più pedissequamente si è sottoposto ai diktat della “Troika” e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: drastica caduta delle condizioni di vita, disoccupazione di massa, precarietà generalizzata, espropriazione di beni comuni e servizi pubblici, sottrazione di democrazia.
Dall’altra è l’altrettanto chiara dimostrazione di come la mobilitazione sociale costante e su contenuti chiari sia pagante e possa far uscire un intero popolo dalla frammentazione e dalla disperazione per iniziare a costruire un’alternativa : da questo punto di vista l’esperienza di Syriza è illuminante e densa di indicazioni.
Lo scontro sociale che la crisi ci consegna è - e sempre più sarà - senza quartiere: da una parte l’ossessione delle politiche liberiste chiede continuamente nuovi “assets” su cui riversare i capitali finanziari, dentro un modello capitalistico in condizioni di cronica sovrapproduzione; dall’altra, i movimenti sociali indicano nell’inversione di rotta e nella definanziarizzazione della società la possibilità di un altro modello sociale.
E’ come se, dopo aver per oltre due decenni affermato “privato è bello”, cercando di convincere le persone, oggi i poteri forti finanziari dicano molto più semplicemente - e ferocemente – “privato è obbligatorio e ineluttabile”.
Da questo punto di vista, il nuovo paradigma dei beni comuni che ha attraversato tutte le lotte e le mobilitazioni sociali, in particolare nel nostro Paese, diviene il luogo principale dello scontro in atto, tra la riappropriazione collettiva di ciò che a tutti appartiene e il definitivo esproprio di diritti e democrazia.
Su questo terreno - la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua dello scorso anno lo dimostra - è possibile costruire un altro linguaggio e un nuovo protagonismo sociale che sappiano uscire dalla pur generosa minorità per parlare all’intera società.
Un terreno che sposti l’asse dell’azione collettiva dall’intervento “a valle” dei processi all’assalto “a monte” degli stessi: che passi dal “consumo critico” alla critica della produzione, dalla lotta contro le privatizzazioni alla riappropriazione partecipativa di beni e servizi, dal terreno de “i soldi non ci sono” alla risocializzazione del credito, dalla democrazia formale alla democrazia reale.
Da questo punto di vista - e conoscendo tanto i drammatici limiti delle forze politiche in Italia quanto le insufficienze dei movimenti sociali - sarei molto cauto nell’immaginare una deterministica riproduzione italiana dell’esperienza di Syriza.
Innanzitutto perché quell’esperienza nasce dalla mobilitazione sociale reale che in quel paese ha assunto livelli di radicalità - più di 15 scioperi generali - attualmente impensabili in Italia; inoltre la crisi della rappresentanza nel nostro Paese - dopo due decenni in cui il modello Berlusconi ha plasmato trasversalmente la società - ha assunto livelli di drammaticità, difficilmente riscontrabili in altri Paesi europei.
L’Italia è un Paese tutt’altro che pacificato, ma l’insufficienza delle mobilitazioni sociali rispetto allo scontro in atto è purtroppo un dato ancora evidente; l’Italia è un Paese denso di rivendicazioni collettive, ma la frammentazione delle stesse è purtroppo sotto gli occhi di tutti.
Prima di affrontare il delicatissimo tema della rappresentanza, occorre a mio avviso dedicare tutte le possibili energie alla costruzione della precondizione della stessa: una forte, radicale, unitaria e inclusiva mobilitazione sociale su alcuni obiettivi chiari e comunicabili, che sappiano tessere la rete delle relazioni sociali e ribaltare l’agenda politica di un Palazzo ormai “autistico”.
Il rischio è che, in mancanza di un livello adeguato di mobilitazione sociale, la scorciatoia della rappresentanza venga ancora una volta dai più percorsa, nell’illusione di costruire dall’alto ciò che è complicato far emergere dal basso.
Ben venga Syryza, dunque, se serve a camminare. Ma con la consapevolezza dei passi da compiere.
*Forum italiano dei movimenti per l’acqua