Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 3 dicembre 2011

Un audit sul debito

Autore: Guido Viale. Fonte: eddyburg
Uscire dalla bolla prima che esploda e distrugga l nostre vite è possibile: cominciamo col chiedere i conti, per comprendere perché siamo a questo punto. Il manifesto, 29 novembre 2011

Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell'ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan).

Il liberismo ha di fatto esonerato dall'onere del pensiero e dell'azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, "i mercati"; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un'attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell'auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un'inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostra vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell'Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai "mercati" ha significato la rinuncia a un'idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra - quella "vera", come la vorrebbero quelli di sinistra - è tutta qui.

Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora "un vero programma" (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.

Siamo sicuri che la democrazia deve essere rispettata quando i nostri soldi volano via?

Dal rigore di Pericle alla disinvoltura di Berlusconi, da Platone ai dubbi di don Milani: "Non c'è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali"

di Giovanni Ghiselli Fonte: arcoiris
In questi giorni la democrazia è stata negata di fatto da un colpo di Stato in nome della tecnocrazia, di quel potere dei tecnici dalla parola e dallo sguardo freddo, gli umbratici doctores, i professori cresciuti nell’ombra dai quali ci aspettiamo rassegnati l’imposizione di quei sacrifici che non abbiamo permesso ci venissero addossati dal ludico, alquanto ridicolo dominus appena tramontato. Costui era un magister ludi che ci ha fatto anche ridere con i suoi innumerevoli cachinni, non sine candidis et nigris puellis.

Questi signori della finanza, se pure negano che ci spremeranno sangue con lacrime, di sicuro non ci faranno ridere. Siedono freddi nell’ombra fredda, e presto, molti uccelli giaceranno spennati ai loro piedi. Uccelli piccoli e deboli del resto. Mi sembra dunque il momento di passare in rassegna pregi e difetti, elogi e biasimi della democrazia, il regime che si fa derivar dalla costituzione e dal governo di quel grande e vero signore che fu Pericle.

Finché questo stratego visse, ad Atene vigeva un’aristocrazia con il consenso della massa, secondo la definizione data da Aspasia nel Menesseno di Platone (238d). Inoltre questo governo era un regime educativo, tale che non escludeva nessuno per debolezza sociale, né per povertà, né per oscurità dei padri; e neppure preferiva alcuno per i motivi contrari. Chi era reputato saggio e onesto, otteneva il consenso e le cariche. Questo era possibile poiché i cittadini nascevano uguali, ossia con le medesime possibilità di sviluppo. Aspasia compose tale discorso encomiastico perché venisse recitato da Pericle, secondo Socrate.

Infatti gli stessi pregi vengono attribuiti alla “sua” democrazia dal grande stratego ateniese nel discorso che Tucidide gli fa pronunciare, in encomio dei caduti nel primo anno di guerra, e in elogio di Atene, la scuola dell’Ellade. Vediamo alcune frasi iniziali del lógos epitáfios di Pericle. “In effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. Di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia: per legge c’è una condizione di uguaglianza per tutti, e uno viene preferito alle cariche pubbliche, secondo la reputazione, per come viene stimato in qualche campo, non per il partito di provenienza più che per il suo valore; né d’altra parte, se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale” (Storie, II, 37, 1).

Tre scenari per l’euro

di Vincenzo Comito. Fonte: sbilanciamoci
Può darsi che la moneta europea tenga, oppure che scappino via i forti paesi del nord, oppure che ci sia un “tutti a casa” generale. Pochi giorni e si vedrà

“…in relazione alla situazione di grande incertezza cui si trovano di fronte i responsabili politici, essi devono essere preparati ad affrontare il peggio…” Ocse, novembre 2011

Premessa

Nell’articolo sulla crisi dell’euro apparso la scorsa settimana su questo stesso sito, veniva paventato un possibile crollo del sistema nell’arco di poco tempo. Tale previsione trova ora conferme sempre più autorevoli e l’orizzonte temporale entro il quale tutta la costruzione della moneta unica, in assenza di interventi politici decisi e adeguati, potrebbe essere messa in discussione viene ormai valutato in appena una decina di giorni. La data limite viene ora stimata essere il 9 dicembre, giorno in cui i leader europei si incontreranno per decidere il da farsi. In mancanza di un accordo convincente in tale occasione, l’euro andrebbe in pezzi.

Le novità più recenti

Cosa è intanto successo di nuovo negli ultimi sette giorni?

Oltre a essere aumentata la consapevolezza della possibile imminenza della tragedia, abbiamo assistito all’avanzare rapido del prosciugamento delle risorse finanziarie disponibili del sistema bancario europeo e alla minaccia di un contagio anche per le banche statunitensi, a nuove previsioni molto negative da parte dell’Ocse sui tassi di sviluppo dei vari paesi europei per il 2012, all’ipotesi, poi smentita, ma che sembra avere comunque una sua plausibilità, dell’intervento del Fondo Monetario Internazionale a favore dell’Italia e forse di altri paesi, alla conferma che il mercato dei titoli di stato dei paesi dell’eurozona non esiste in pratica più e infine al fatto che le grandi imprese internazionali stanno preparando dei piani per far fronte alla possibile rottura della moneta unica. Per altro verso, la stampa e alcuni responsabili politici prefigurano ipotesi di varia natura su come si potrebbe uscire dai guai e si parla in particolare di un piano Merkel-Sarkozy (forse anche con il contributo di Monti) in gestazione. Infine, aumenta il coro delle voci che ipotizzano l’uscita della Grecia dall’euro.

Per quanto riguarda il primo tema, apprendiamo intanto che le banche europee hanno visto in queste ultime settimane prosciugarsi tutte le loro precedenti forme di finanziamento a breve termine, dal mercato interbancario ai prestiti delle istituzioni finanziarie statunitensi. Anche i depositi dei clienti mostrano qua e là segni di cedimento. Resta aperto quasi soltanto il canale della Bce, che appare però limitato a prestiti con scadenza massima a un anno.
Icelandic parliament passes resolution making country the first in western Europe to accept Palestine as an independent state.
RESPECT TO THE GOVERNMENTS THAT GIVE A VOICE TO THE FEELINGS OF ITS PEOPLE

venerdì 2 dicembre 2011

Il super-potere ci condanna: globalizza solo la povertà

Fonte: libreidee
«Il mondo è cambiato drammaticamente: la “globalizzazione della povertà” ha allungato le mani su tutte le principali regioni del pianeta, incluse l’Europa occidentale e il Nord America. Un “nuovo ordine mondiale” è stato instaurato, in deroga alla sovranità nazionale e ai diritti dei cittadini». Il nuovo potere mondiale «si alimenta della povertà umana e della distruzione dell’ambiente naturale, genera l’apartheid sociale, incoraggia il razzismo, lede i diritti delle donne e spesso fa precipitare le nazioni in distruttivi conflitti etnici». Michel Chossudovsky, economista di Ottawa e ispiratore del Global Research Institute, vede nero: «I debiti pubblici sono saliti a spirale, le istituzioni statali sono crollate e l’accumulazione di ricchezze private è aumentata incessantemente». Immense fortune in poche mani: abbiamo globalizzato soltanto la povertà.

Dopo il grande successo della prima edizione del suo saggio sul fallimento dell’economia mondializzata, riletto in chiave criminologica – il “nuovo ordine mondiale” che cospira contro la libertà dei popoli sequestrandone il destino attraverso il ricatto finanziario – la seconda edizione del lavoro di Chossudovsky, datata 2009, anticipa “profeticamente” il baratro sull’orlo del quale ora si trovano l’Europa e il mondo: «Le nuove regole del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio nata nel 1995, garantiscono diritti ben radicati alle banche più grandi del mondo e alle multinazionali». Popoli interi sono caduti in trappola: i governi di tutto il mondo «hanno abbracciato inequivocabilmente l’agenda politica del neoliberalismo». Sotto la giurisdizione dell’Fmi, della Banca Mondiale e del Wto, le riforme creano un «ambiente favorevole» per le banche globali e le società multinazionali, col pretesto delle “riforme strutturali”.

Chi c’è dietro le quinte? Chi opera alle spalle delle grandi istituzioni globali? Chossudovsky non ha dubbi: «I banchieri di Wall Street e i capi dei maggiori conglomerati multinazionali», che concertano ogni mossa con i funzionari dell’Fmi, della Banca Mondiale e del Wto in riunioni riservate, affollate di potenti lobby d’affari. Tra queste la Camera di Commercio Internazionale (Icc) e il Dialogo Transatlantico Economico (Tabd), che ogni anno raduna nei suoi convegni i dirigenti dei più grandi centri d’affari occidentali con politici e funzionari del Wto. E poi il Consiglio degli Stati Uniti per gli affari internazionali (Uscib), il Forum Economico Mondiale di Davos, l’Istituto finanziario internazionale (Ifi) con sede a Washington, che rappresenta le più grandi banche e istituti finanziari del mondo. «Altre organizzazioni “semi-segrete” che giocano un ruolo di primo piano nel modellare le istituzioni del “nuovo ordine mondiale”, sono la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg e il Consiglio per le Relazioni Internazionali».

Viale: crescita per uscire dal debito? Siamo al delirio

Fonte: libreidee
Ultima legge-capestro, il pareggio di bilancio da inserire addirittura nella Costituzione. Norma che il 30 novembre alla Camera è stata votata senza batter ciglio dalle anime morte del Pd e del Pdl, che contro ogni evidenza si ostinano a scommettere sulla manovra di Mario Monti: recuperare il disavanzo con una chimera ormai tragicamente ridicola, la “crescita”, e far pagare a lavoratori e pensionati gli interessi di un disastro perfetto, costruito dalla rendita finanziaria basata sul debito-truffa e dalla più gigantesca evasione fiscale d’Europa. In arrivo una “cura” drastica, ingiusta e soprattutto inutile, protesta il sociologo Guido Viale: per “rimedi” come quelli prospettati da Monti servirebbero tassi di crescita come quelli della Cina, mentre l’Italia è ormai in recessione e il resto dell’Europa sta per entrarci.

Illusione ottica, sperare di “guarire” con lo stesso farmaco che ha causato la malattia: il liberismo. Vendetta storica del grande capitale e risposta vincente alle rivendicazioni democratiche di quarant’anni fa, l’élite industriale-finanziaria «ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale», scrive Viale sul “Manifesto”. Trasferimento epocale, «favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili», ma soprattutto «frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali». Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato investito, se non in minima parte, in attività produttive: «E’ andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato», fino a diventare 10-20 volte più grande del Pil mondiale.

Se la Bce è oggi inerte di fronte alla speculazione sui titoli di Stato, i cosiddetti debiti sovrani, è per via del suo statuto che le vieta di “creare moneta”, per frenare rivendicazioni salariali e spese per il welfare. «Una scelta consapevole quanto miope – scrive Viale – che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto». E mentre la finanza pubblica è alle corde, quella privata tiene in pugno gli Stati, dimissionando esecutivi e creando governi tecnici, forte di quella «montagna di denaro» che si è letteralmente «auto-riprodotto», come in una catena di Sant’Antonio: denaro fittizio ma oggi determinante, che «si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito».

giovedì 1 dicembre 2011

La società dei territorialisti

di PIERLUIGI SULLO. Fonte: democraziakmzero
Esattamente 102 anni fa, Filippo Tommaso Marinetti lanciò il “Manifesto dei futuristi”, al cui punto 5 si leggeva: “Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”. Un secolo dopo, si può constatare che l’asta del volante (dell’automobile, simbolo supremo di modernità per i futuristi) ha effettivamente trafitto la Terra, la cui corsa è arrivata all’orlo della catastrofe. Ed è segnale di un rovesciamento storico che ai “futuristi” oggi si sostuiscano i “territorialisti”, o difensori dei beni comuni, o salvatori del paesaggio, o propagatori del “chilometro zero”. E che in definitiva agli appassionati del dominio della tecnica succedano coloro che spiegano la crisi “perfetta” – che è sì finanziaria ed economica ma allo stesso tempo ambientale, sociale e democratica – con il “divorzio tra natura e cultura”. In altre parole, accade che il territorio, che è il luogo dove viviamo, produciamo e riproduciamo la società, ed è il prodotto storico del rapporto tra uomo e natura, è ormai vittima di una globalizzazione indifferente al reale benessere di chi ci abita e ai cicli riproduttivi naturali.

Giovedì e venerdì, a Firenze (Aula magna dell’università, piazza San Marco 4) si terrà il congresso fondativo di una cosa che si chiama Società dei territorialisti/e, figlia legittima, direi, della Associazione del Nuovo Municipio nata all’inizio del secolo sulla scia del “bilancio partecipativo” di Porto Alegre, reso famoso dal primo Forum sociale mondiale, nel 2001. Promotore principale dell’una e dell’altra cosa è Alberto Magnaghi, che ora, con i suoi sodali, è passato dal sostenere il bilancio partecipativo al proporre l’autogoverno e il “federalismo municipale solidale”, la cui sostanza è quel che i territorialisti chiamano “sviluppo locale autosostenibile”. O ancora, come dice Magnaghi dell’introduzione al congresso, si tratta di capire “come sottrarre spazio all’eterodirezione dei grandi poteri e rinsaldare in un territorio le sinergie fra sistemi produttivi, credito e società locali in progetti di autodeterminazione di regioni e micro regioni, attraverso la valorizzazione dei beni territoriali e delle peculiarità identitarie… Quali politiche e progetti sono in grado di produrre sovranità alimentare, energetica, produttiva, chiusura locale dei cicli ambientali, nuove relazioni sinergiche città-campagna, ripopolamento rurale della montagna, verso l’autodeterminazione e l’autogoverno… Come si allontana la morsa della globalizzazione economica, verso reti federaliste solidali di città, regioni, stati, per una ‘globalizzazione dal basso’”.

Lo scopo della Società dei territorialisti è di creare e promuovere cultura, accompagnare l’aspirazione di un numero crescente di cittadini – molti, come ha testimoniato il referendum sull’acqua e sul nucleare – a riconnettere appunto natura e cultura. Ci lavoreranno, tra molti altri, studiosi come Giacomo Becattini, Franco Cassano, Piero Bevilacqua, Serge Latouche, Ezio Manzini, Anna Marson, Wolfgang Sachs, Giancarlo Paba, per citare solo i nomi più noti ai lettori del manifesto. Tutte le informazioni sono su www.societadeiterritorialisti.it.

L'economia guidata dalle banche

L'economia guidata dalle banche
Il direttore di Altreconomia dedica l'editoriale di dicembre 2011 alla scelta di Mario Monti, che ha affidato i ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture all'ex banchiere di Intesa Sanpaolo Corrado Passera. Una scelta "simbolica" mentre in tutto il mondo le piazze sono piene di persone che non vogliono pagare una crisi che imputano agli istituti bancari.
di Pietro Raitano Fonte: altreconomia
La premessa è che un governo si giudica da quello che fa e dai risultati che ottiene, nel contesto in cui opera. Quindi possiamo con tranquillità giudicare il governo che ha appena terminato il suo mandato. Per la maggior parte, ha prodottomisure inefficaci e inique, quando non sono state pericolose, o addirittura patetiche e ridicole.
Sul giudizio morale di alcuni esponenti del passato governo caliamo -per amor di patria- un velo pietoso.

Seguendo questa logica, non possiamo giudicare il governo in carica mentre scriviamo queste righe. Per la verità, non sappiamo nemmeno se lo sarà ancora quando le leggerete.
Tuttavia -sarà perché è Natale- riteniamo che i simboli siano importanti. Ebbene, nominare come ministro per lo Sviluppo economico e per le Infrastrutture un (ex) banchiere ha una carica simbolica molto potente.

In tutto il mondo milioni di persone protestano perché non vogliono pagare le conseguenze di una crisi le cui cause imputano per la maggior parte agli istituti bancari. Le stesse banche che ora sono in difficoltà e hanno bisogno degli Stati (e dei governi) per non fallire.
Fatte le dovute precisazioni, chi protesta non ha affatto torto.

Nominare un (ex) banchiere a condurre lo “sviluppo economico” di uno Stato sembra quasi voler dire -simbolicamente- che l’economia la guidano le banche.
Un’affermazione che, ancor prima che poco condivisibile, di questi tempi non suscita affatto simpatie. E che trascura del tutto quel mondo (che spesso raccontiamo su queste pagine) fatto di economia reale che, con le banche “tradizionali”, non ha niente a che fare. Quel mondo che a queste preferisce tutte quelle realtà di finanza etica (come le mutue auto gestioni, Mag, o Banca Etica) che a differenza dei colossi finanziari ha creduto nei suoi progetti, nella loro “bancabilità”, nel loro “sviluppo”. Che magari consiste nella filiera corta, nella tutela del territorio e del paesaggio, nel risparmio energetico, nelle fonti rinnovabili.

RIPARTE DA NAPOLI LA SINISTRA CHE C'E'

di stefano galieni. Fonte: controlacrisi
Si apre venerdì, a 20 anni dalla sua fondazione l’VIII, congresso nazionale del Prc.In conferenza stampa il segretario Paolo Ferrero ha sintetizzato in 3 punti gli elementi che caratterizzeranno il dibattito. In primis la crisi «Il Prc avanza delle proposte per uscirne a sinistra – ha affermato – partendo dal presupposto che le soluzioni di marcatamente di destra come quelle proposte dalla Merkell o cosiddette liberal, come quelle di Obama, non funzionano. Ci si avvia verso una già annunciata recessione dopo 4 anni di speculazione galoppante. È ora di sperimentare soluzioni alternative, chi lo ha fatto in passato, si vedano le esperienze latino americane, oggi è in crescita». In seconda istanza nel congresso si definirà la costruzione di una opposizione al governo Monti in quanto prosecuzione delle stesse politiche liberiste di Berlusconi:«Noi ne abbiamo salutato con gioia la caduta – ha ripreso Ferrero – ma volevamo andare immediatamente a libere elezioni. Avremmo avuto un governo probabilmente di centro sinistra. Oggi si confrontano una destra tecnocratica espressa dal governo e una populista e razzista come quella della Lega. Monti sembra alla guida un pullman che sta andando contro il muro della crisi e invece di frenare o cambiare direzione, accelera». Ma il tema fondamentale del congresso deve essere quello della costruzione di una unità della sinistra e anche su questo Ferrero è stato netto:«Rivolgo ancora un appello a tutte le forze della sinistra, politiche e non, a partire da Sel a lavorare su quel 90% che ci unisce e non ad intestardirci su quel 10% che ci divide. Dobbiamo trovare le forme per dar vita ad una sinistra che risponda alla domanda di unità che proviene dalla nostra gente. Chi sostiene Nichi e in generale quel popolo della sinistra che non è affatto minoritario, come hanno dimostrato i referendum, non può ritrovarsi a condividere le scelte di questo governo». Andando poi a definire il congresso nella sua specificità il segretario è partito dal logo, quel “Futura umanità” che allude al fatto che la storia non è finita con il capitalismo e la globalizzazione come predica Fukuyama. Si vive in una grande contraddizione, quella di un mondo ricco e contemporaneamente insicuro, precario in cui non esiste equa distribuzione delle risorse e dei diritti. Ed altra parola chiave sarà, come appare sul manifesto di convocazione “connettiamoci”. Ad indicare che il ruolo del Prc- in una fase che non è di desertificazione ma di complessità e frammentazione dei conflitti- non deve essere quello di avanguardia solitaria ma di divenire nodo nella rete con le tante diverse soggettività, con le diverse forme di agire nella politica – il partito è solo una di queste – e che costituiscono la grande ricchezza di questo Paese. Con queste soggettività si vuole dar vita alla “Costituente dei beni comuni”. L’appuntamento che si apre domani giunge alla fine di un percorso che ha visto congressi in oltre 1100 circoli sparsi nelle 119 federazioni del partito, segno di radicamento forte.Si sono confrontati 3 documenti, quello proposto dalla segreteria ha ottenuto l’81,3% dei consensi, gli altri rispettivamente il 13,4 e il 5,3. Ferrero ha dichiarato di considerare gli altri 2 come un prezioso pungolo da sinistra per il partito. Il congresso inizia alle 14.30 presso il Palazzo della Fiera d’Oltremare a Napoli e terminerà domenica: «Anche la scelta della città è significativa – ha affermato Ferrero- A Napoli si è consumata l’esperienza migliore delle ultime tornate amministrative. Ha vinto non solo un candidato sindaco che verrà al nostro congresso. Ha vinto una scelta di discontinuità con le collusioni di potere e col bipolarismo imposto. Una vittoria che dovrebbe far riflettere». Numerosi gli eventi, una mostra curata da Linda Santilli e Roberto Gramiccia che vedrà fondersi il lavoro di archivio della storia del partito con l’intervento di alcuni artisti che proporranno le proprie opere dal titolo “Provare e riprovare, i volti, i gesti, le parole delle lotte”, una iniziativa, domani alle ore 19, in difesa del pluralismo dell’informazione, della stampa libera e indipendente, curata da Liberazione, e la proiezione di un film di Guido Lombardi, “La Bas, educazione criminale” sulla strage di Castel Volturno. Oltre ai quasi 600 delegati al congresso ci saranno numerosi interventi esterni di carattere internazionale. Esponenti della sinistra greca e degli indignados spagnoli, Sheila Collins del movimento Occupy Wall Street, per la prima volta in Italia e videomessaggi della giovane comunista cilena Camilla Vallejo, simbolo formidabile della rivolta in atto nel proprio paese e di Haidi Giuliani, perché a 10 anni di distanza non si dimentica ed esiste un filo rosso fra il G8 genovese, (voi g8 noi 6. miliardi) e l’attuale “noi 99% voi 1%.

mercoledì 30 novembre 2011

UN AUDIT SUL DEBITO

di Guido Viale. Fonte: ilmanifesto
Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell'ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan). Il liberismo ha di fatto esonerato dall'onere del pensiero e dell'azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, "i mercati"; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un'attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell'auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un'inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostra vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell'Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai "mercati" ha significato la rinuncia a un'idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra - quella "vera", come la vorrebbero quelli di sinistra - è tutta qui.
Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora "un vero programma" (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.

Volete una dittatura illuminata?

d
Fonte: byoblu
Ok. Abbiamo scherzato. Sapete tutta la storiella del popolo che governa? People have the power, insomma. Reset! Kaput! Buttate i libri di educazione civica. Anzi no... Dimenticavo che da quando l'hanno direttamente abolita non li avete più nemmeno dovuti comprare. A proposito, la storia della costituzionalità o meno del governo Monti è una questione di lana caprina. Esercitatevi voi, io mi annoio. Certo, è evidente che questa è (era) una Repubblica Parlamentare. E' evidente che i ministri non li scegliete voi. Ma è anche evidente che non avete scelto voi manco i parlamentari, così come è evidente che non esistono i governi tecnici, così come è evidente che le regole scritte non possono tenere conto di ogni possibile forma di tortuoso aggiramento, altrimenti il governo Berlusconi non avrebbe potuto tenere in scacco il paese per gli ultimi cinque anni infilando tutta una serie di leggi incostituzionali che prima o poi venivano seccate dalla Corte In-Costituzionale ma che, nel frattempo, valevano come qualsiasi altra legge, garantendo di fatto quella stessa immunità che in teoria non esisteva. Fico vero? Una legge che non può esistere, ma che viene applicata per un anno e mezzo alla volta. Cosa mi dite? Che è costituzionale? Bravi, continuate a guardare il dito, ma usereste meglio il vostro tempo su YouPorn.

E così in Europa (e la Commissione Trilaterale) decidono che devono andare verso una totale unione politica e fiscale. Decidono che Berlusconi non va bene e iniziano a ridergli in faccia. Poi, siccome gli italiani non sono svegli abbastanza da mandarlo a casa da soli, gli svalutano le aziende di famiglia e quello finalmente molla il colpo. L'opinione pubblica? Basta parlargli di spread, credit default swap, btp, bund, collateralized debt obligation e si rifugiano subito in X-Factor, terreno su cui si muovono più agevolmente, lasciando campo libero a "quelli che ne capiscono". Il governo De Bortoli, dopo mesi e mesi di preparativi, vede quindi la luce in meno di 24 ore. Colpo di stato? Modo legale di sostituire una nuova élite al posto dell'armata Brancaleone raffazzonata dalla volontà popolare? Chiamatelo come volete, tanto la sostanza non cambia. Perché è vero che è il presidente della Repubblica a verificare la squadra di governo, ma è anche vero che (facendo finta che il porcellum non esista) i ministri sono proposti e, solitamente, scelti dai partiti e tra i parlamentari. Quello è il senso. Vedere i partiti (soggetto costituzionale fondante nel meccanismo di rappresentanza) annichiliti, farsi da parte di fronte all'avanzata dei tecnici, vuoi per incapacità, vuoi per codardia, vuoi per l'assedio dello spread, è uno spettacolo osceno dal punto di vista democratico. E' la luna, non il dito.

Verso la Terza Guerra Mondiale - l'accerchiamento di Russia e Cina

di Stefano Fait
Al Pentagono, nel novembre del 2001, feci una chiacchierata con uno degli ufficiali superiori. Sì, stavamo ancora progettando la guerra contro l’Iraq, ma c’era anche altro. Quel progetto faceva parte di un piano quinquennale di campagne militari che comprendeva sette nazioni: a partire dall’Iraq, per continuare con la Siria, il Libano, la Libia, l’Iran, la Somalia e il Sudan. Il tono era indignato e quasi incredulo […] Cambiai discorso, non erano cose che volevo sentire.
Generale Wesley Clark, ex comandante generale dell'US European Command, che comprendeva tutte le attività militari americane in Europa, Africa e Medio Oriente. Da: Wesley K. Clark, Winning Modern Wars, p. 130).
http://www.amazon.com/Winning-Modern-Wars-Terrorism-American/dp/1586482181.

Circa 10 giorni dopo l'11 settembre 2001 mi sono recato al Pentagono, ho visto il segretario alla difesa Rumsfield e il vice segretario Wolfowitz, sono sceso per salutare alcune persone dello Stato Maggiore che lavoravano per me e uno dei miei generali mi chiamò dicendomi: «Venga, Le devo parlare un momento», io gli dissi «ma lei avrà da fare...» e lui disse «no, no, abbiamo preso una decisione, attaccheremo l'Iraq» . Tutto questo accadeva attorno al 20 di settembre. E io gli chiesi: «ma perché?» e lui: «non lo so», e aggiunse «penso che non sappiano cos'altro fare». Io gli chiesi «hanno trovato informazioni che collegano Saddam Hussein con Al Quaeda?», disse «No, non c'è niente di nuovo. Hanno soltanto deciso di fare la guerra all'Iraq!», e disse «non so la ragione è che non si sa cosa fare riguardo al terrorismo, però abbiamo un buon esercito e possiamo rovesciare qualsiasi governo». Sono tornato a trovarlo alcune settimane più tardi e all'epoca stavamo bombardando l'Afghanistan. Gli chiesi: «bombarderemo sempre l'Iraq?», lui mi rispose «molto peggio!». Prese un foglio di carta e disse «ho appena ricevuto questo dall'alto», sarebbe a dire dall'ufficio del segretario alla difesa. «Questo è un memo che descrive in che modo prenderemo 7 paesi in 5 anni, cominciando dall'IRAQ, poi la SIRIA, il LIBANO, la LIBIA, la SOMALIA, il SUDAN e per finire l'IRAN». Gli chiesi: «è confidenziale?» e lui «si, signore».
http://www.youtube.com/watch?v=fW8mLDtq9Ls&feature=player_embedded

L'esito finale di questa deriva sarà probabilmente un conflitto con l'Iran e con gran parte del mondo islamico. Uno scenario plausibile di uno scontro militare con l'Iran presuppone il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran.
Zbigniew Brzezinski, uno dei massimi esperti di politica internazionale, dichiarazione davanti ad una commissione del senato americano (1 febbraio 2007)
http://foreign.senate.gov/imo/media/doc/BrzezinskiTestimony070201.pdf.

Non possiamo misurare la nostra vita sui giochi delle borse e sul prodotto nazionale lordo

45 anni fa quando era ministro a Washington voleva cambiare l’America: “Il Pil comprende l’inquinamento dell’aria, la distruzione della natura, programmi Tv violenti insaccati nella pubblicità che invita i ragazzi a comprare, e produzione di missili, napalm, gas micidiali. Trascura i valori delle famiglie, la sicurezza nei luoghi di lavoro, compassione e solidarietà per i diseredati che vivono al nostro fianco…”

di Robert Kennedy Fonte: arcoiris

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo. Il prodotto nazionale lordo comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il prodotto nazionale lordo mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la morte della fauna nel Lago Superiore. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, e comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica. [Siamo nel 1968 - ndr]

Il prodotto nazionale lordo si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte nelle nostre città, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

E se il prodotto nazionale lordo comprende tutto questo, non calcola però molte altre cose. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. E’ indifferente alla decenza del luogo di lavoro o alla sicurezza nelle nostre strade. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.

Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il prodotto nazionale lordo non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

martedì 29 novembre 2011

Questo governo era necessario, ma come fanno gli italiani ad applaudire prima che Monti apra bocca?

È la debolezza nazionale: in delirio per le guerre di Mussolini, per il decisionismo di Craxi. Capisco il sollievo per la liquidazione di un Berlusconi impresentabile perfino agli occhi dei suoi “impiegati”. Ecco il sospetto: politica disegnata dal Vaticano. Festeggiamo i 150 anni d’Italia sotto il segno del Papa re. Pensare che da prete volevo morire in uno stato laico

Questo governo era necessario, ma come fanno gli italiani ad applaudire prima che Monti apra bocca?
28-11-2011
di don Paolo Farinella. Fonte: arcoiris

Da anni dico, e nel 150° anniversario dell’unità di Italia ho proposto, di sciogliere il parlamento, abolire il governo e «annettere l’Italia la Vaticano». Avremmo il papa re d’Italia come ai bei tempi e molti vantaggi: saremo clericali evidenti e non sottobanco. Leggi e decreti verranno stilate direttamente in latino preconciliare, come la Messa concessa ai lefebvriani. In tutti i luoghi pubblici, oltre al crocifisso, sarà obbligatorio avere il quadro del Sacro Cuore di Maria, la statua di Padre Pio e quella di Wojtyła. Tre volte al giorno in tutti gli uffici e luoghi pubblici e parapubblici (chiese, oratori, conventi, casa di Vespa, sede della Cei, ecc.) bisognerà cantare l’Alleluja in gregoriano. I funzionari pubblici maschi avranno il titolo di «Monsignore», le funzionarie donne si chiameranno «Madonna mia bella».
1. Il Vaticano è una ipoteca eterna sull’Italia. Non ce ne libereremo mai. Ciò premesso:
2. Risparmieremmo alla grande, sapendo che mangerebbero solo i preti e i laici clericali.
3. Avremmo il vantaggio di sapere dove siamo e con chi avremmo da fare.
4. In caso di necessità, un’assoluzione e via!

Il governo Monti nasce non targato Vaticano, ma in Vaticano: tutta l’impostazione ministeriale sembra pensata al di là del Tevere. La prima uscita, infatti, è stata quella del segretario di Stato Bertone Tarcisio. Dichiara: «E’ un bel governo!» che tradotto in dal liturgico al popolare significa: vi abbiamo fregato tutti. Con questa benedizione, Monti e colline andranno «per pascoli erbosi e acque tranquille» perché Berlusconi potrà fare il gradasso ma non è stupido e non si metterà di traverso contro il Vaticano.

Ho dovuto aspettare 60 anni dalla fine della guerra di Liberazione, per vedere i fascisti al governo e ora il ritorno del Vaticano al governo. A questo punto spero che cambino anche l’inno nazionale e ripeschino l’antico inno dell’Azione Cattolica: «Bianco Padre che da Roma ci sei mèta, duce e guida; su noi tutti tu confida un esercito a marciar». L’82% degli Italiano appoggiano il neo governativo Monti, senza nemmeno aspettare i provvedimenti che prenderà. Gli Italiani sono sempre «preventivi»: lo sono stati con Mussolini, con la guerra, con il Tappo di Arcore e ora con Monti. Santo Iddio, aspettate almeno che cominci a belare, non dategli credito in bianco perché in bianco resteranno le vostre facce terrorizzate. Sono allibito dal vedere passare da un governo all’altro senza nemmeno una pausa di dubbio, di assestamento. Anche i terremoti si assestano per almeno un anno, noi no. Passiamo da Berlusconi a Monti senza soluzione di continuità. Da Berlusconisti a Montiani, con la stessa passione, la stessa stupidità.

Lucio Magri

da la Repubblica
Il suicidio assistito di Lucio Magri
l'addio ai compagni: "Ho deciso di morire"

Il fondatore del Manifesto morto in Svizzera ha deciso tutto con lucidità; dalla fine alla sepoltura vicino alla sua Mara. Gli amici hanno tentato di dissuaderlo ma lui era depresso per la morte della moglie di SIMONETTA FIORI

Lucio Magri con Paolo Bufalini ed Enrico Berlinguer
E ALLA FINE la telefonata è arrivata. Sì, tutto finito. Ora si rientra in Italia. Alle pompe funebri aveva provveduto lo stesso Lucio Magri, poco prima di partire per la Svizzera. Era il suo ultimo viaggio, così voleva che fosse. Non ce la faceva a morire da solo, così il suo amico medico l'avrebbe aiutato. Là il suicidio assistito è una pratica lecita, anche se poi bisogna vedere nei dettagli, se ci sono proprio le condizioni. Ma ora che importa? Che volete sapere? Non fate troppi pettegolezzi, l'aveva già detto qualcun altro ma in questi casi non conta l'originalità.

S'era raccomandato con i suoi amici più cari, quelli d'una vita, i compagni del Manifesto. Non voglio funerali, per carità, tutte quelle inutili commemorazioni. Necrologi manco a parlarne. Luciana si occuperà della gestione editoriale dei miei scritti. Per gli amici e compagni lascio una lettera, ma dovete leggerla quando sarà tutto finito. Sì, ora è finito. La notizia può essere resa pubblica. Lucio Magri, fondatore del Manifesto, protagonista della sinistra eretica 2, è morto in Svizzera all'età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile.

A casa di Lucio Magri, in attesa della telefonata decisiva. È tutto in ordine, in piazza del Grillo, nel cuore della Roma papalina e misteriosa, a due passi dalla magione dove morì Guttuso, pittore amatissimo ma anche avversario sentimentale. Niente sembra fuori posto, il parquet chiaro, i divani bianchi, i libri sulla scrivania Impero, la collezione del Manifesto vicina a quella dei fascicoli di cucina, si sa che Lucio è un cuoco raffinato. Intorno al tavolo di legno chiaro siede la sua famiglia allargata, Famiano Crucianelli e Filippo Maone, amici sin dai tempi del Manifesto, Luciana Castellina, compagna di sentimenti e di politica per un quarto di secolo. No, Valentino non c'è, Valentino Parlato lo stiamo cercando, ma presto ci raggiungerà. In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che Lucio non c'è più.

CONTROCORRENTE: LA SIRIA COME LA LIBIA? UN'ANALISI DA PEACELINK

di Alessandro Marescotti. Fonte: controlacrisi
Google News dà come prima notizia sulla Siria questa: "Dieci di civili, tra cui un adolescente di 14 anni, sono stati uccisi oggi in diverse parti della Siria dalle forze di sicurezza di Damasco: lo riferiscono gliattivisti per i diritti umani". Questo si legge su www.ilmessaggero.it

Ma i giornalisti del Messaggero non hanno alcuna possibilità di verificare la notizia. Eppure circola. Fonte della notizia è l’Osservatorio siriano per i diritti dell’Uomo. Ma quanto sono affidabili simili fonti? Leggete qui questo articolo di Marinella Correggia: www.peacelink.it

In agosto questo osservatorio, che ha sede a Londra, ha denunciato al mondo via Cnn che nella città di Hama diversi neonati erano morti nelle incubatrici perché “Assad aveva ordinato di togliere la corrente”. Lanotizia e la relativa foto si sono poi rivelate una bufala, come diverse altre. Si sta ripetendo lo stesso copione della guerra in Libia. Come potete leggere qui www.peacelink.it

la fonte delle informazioni non verificabili ha una regia: Rami Abdel Ramane, oppositore di lunga data del regime baathista, conosciutissimo in Siria, dove sono noti i rapporti stretti che intrattiene con i Fratelli Musulmani. Lui dirige quell'osservatorio dei diritti umani che ogni giorno alimenta i media di tutto il mondo. Ma come mai proprio un esponente di un'organizzazione estremistica come quella dei Fratelli Musulmani ottiene tanto credito presso i mass media? Basterebbe un intervento del governo americano per mettere in riga i giornalisti creduloni. La spiegazione c'è e la trovate nei rapporti fra CIA e Fratelli Musulmani. E' paradossale ma si è creata un'alleanza per rovesciare il regime siriano. Leggete qui: "Syriahas also refused to allow a building of a oil pipeline fromI raq through Syria to the Mediterreanan and the Muslim Brotherhood has promised the US government to allow the building of such a pipeline".
Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/CIA_activities_in_Syria

Quindi di fronte al rifiuto del regime siriano di far passare un oleodotto ecco la soluzione: la si trova nei Fratelli Musulmani che offrono una "promessa di collaborazione". Sui Fratelli Musulmani, chiave di volta per capire come mai le bufale dell'osservatorio siriano diritti umani diventa oro colato nelle redazionidei giornali allineati, leggete qui La lunga marcia verso il potere dei Fratelli Musulmani www.ilsole24ore.com

L'alleanza fra CIA e Fratelli Musulmani fa pensare all'alleanza fra CIA e AlQaida. Il passato si dimentica in fretta, eppure vale la pena ricordare qualcosa dei giochi di guerra. I primi campi di addestramento dei guerriglieri di Bin Laden sono stati due campi scozzesi, rispettivamente nei pressi di Criffel, nel Dumfries enella remota penisola di Applecross nella Scozia occidentale. La fonte di queste informazioni è "Il Giornale" del 17/9/01 nel quale la corrispondente Erica Orsini da Londra annota: "Soldati impeccabili, con un debole per i western di John Wayne. Così erano i mujaheddin, l'"esercito" segreto di Osama Bin Laden, che fu addestrato ad uccidere nei campi militari britannici, tra le colline ricoperte d'erica della selvaggia Scozia". Ken Connor, eroe dei corpi speciali inglesi fu incaricato di organizzare i vari campi di addestramento, senza il coinvolgimento dell'esercito nazionale. Ken Connor al Sunday Mail ha dichiarato: "Gran parte dell'infinita ricchezza dei Bin Laden è stata costituita da finanziamenti della Cia stanziati per la costituzione di un governo "amico" afghano che combattesse la guerra per conto degli Stati Uniti". I guerriglieri di Bin Laden vennero addestrati molto bene. "Alcuni di loro furono addestrati anche alla guida di elicotteri e all'attacco dei campi d'aviazione". Oggi la storia si ripete?
U.N. INTERNATIONAL DAY OF SOLIDARITY WITH THE PALESTINIAN PEOPLE
64 years of shame for a world that PRETENDS TO BE DEAF

lunedì 28 novembre 2011

Ma che cosa succede se la moneta unica fa crac

di Danilo Taino. Fonte: controlacrisi
Dai contenziosi legali al costo per i singoli cittadini

L'articolo che non si vorrebbe mai scrivere inizia con la coda dei depositanti che urlano davanti a una filiale di banca di una qualsiasi città. Vogliono ritirare i loro euro prima che vengano, qualche ora dopo, trasformati nelle vecchie dracme, nelle vecchie lire, nei vecchi franchi francesi. Ma non possono farlo perché quando un'unione monetaria si rompe le banche abbassano le saracinesche e vanno in vacanza. Tra il dicembre 1932 e l'inaugurazione di F. D. Roosevelt il 4 marzo successivo, le banche di 35 Stati americani andarono in bank holiday, dopo che l'unità monetaria si era di fatto spezzata e un dollaro depositato nell'Illinois valeva molto meno di un dollaro su un conto di New York (con fughe di capitali da Chicago verso la costa Est). Oggi, nemmeno i Bancomat e i conti online funzionerebbero: l'intera liquidità del sistema bancario sarebbe congelata, niente si muoverebbe per giorni, forse settimane.
Lo scenario è orribile ed è teorico. Nel senso che se ne parla solo perché — come riportava con evidenza il «New York Times» di ieri — una serie di banche internazionali sono passate in pochi mesi dal considerare nulla l'eventualità di una rottura dell'Unione monetaria europea a vederla prima possibile e ora probabile. Ragione per cui preparano il piano B — la risposta al disastro — nel caso il piano A — il salvataggio dell'euro — fallisse. Il piano A, per quanto incerto, è comunque operativo e non è affatto detto che finisca in un flop. Sta di fatto che molte istituzioni creditizie, soprattutto anglosassoni, preparano se stesse e i propri clienti al peggio, e di questo occorre tenere conto. Sapendo che una procedura per un abbandono controllato e ordinato dell'euro non esiste, non è mai stata prevista.
Se uno o più Paesi uscissero dall'eurozona il caos sarebbe gigantesco e mondiale. Naturalmente, proporzionato al numero e al peso economico delle Nazioni coinvolte. Nessuno sa calcolare con precisione quali sarebbero i costi di un evento del genere. La banca svizzera Ubs ha provato a fare delle ipotesi e ha stimato che se la Grecia tornasse alla dracma ciò costerebbe a ogni greco tra i 9.500 e gli 11.500 euro nel primo anno, cioè tra il 40 e il 50 per cento del Prodotto interno lordo. Più tre o quattromila euro pro capite per alcuni anni successivi. Le perdite sarebbero il risultato del default del debito pubblico, del collasso del sistema bancario, dei numerosi fallimenti delle imprese, della chiusura delle frontiere con il conseguente blocco del commercio.
Se invece — sempre nell'ipotesi di scuola dell'Ubs — a uscire dall'euro fosse la Germania, cioè il Paese più forte, ciò costerebbe a ogni tedesco, compresi i bambini, tra i sei e gli ottomila euro nel primo anno, cioè il 20-25 per cento del Pil. Poi, altri 3.500-4.500 euro per ognuno degli anni successivi. Per la Germania questo costo dipenderebbe dai fallimenti societari, dalla necessità di ricapitalizzare il sistema bancario e dal crollo delle esportazioni, dal momento che il nuovo marco si apprezzerebbe significativamente rispetto all'euro, al dollaro, allo yen. Se la moneta unica si spezzasse in due blocchi, il costo sarebbe enorme sia per chi resta nella valuta forte sia per chi finisce in quella debole. Una frammentazione totale dell'euro, infine, sarebbe calcolabile nell'ordine delle numerose migliaia di miliardi.

Mario Tronti: la parola Partito

di Mario Tronti. Fonte: controlacrisi
La parola chiave serve per aprire la porta dell’agire politico. Ecco allora la difficoltà. La parola partito sembra oggi non assolvere più a questa funzione. Bisogna capire se è la chiave che si è sverzata nel tempo, o se è la serratura a essere stata cambiata, da qualcuno o da qualcosa. La forma-partito, per continuare a usare questa formula di gergo al tempo stesso burocratica ed eloquente, si è dissolta per consunzione interna, o è stata destrutturata da infiltrazioni climatiche esterne? Ricerca. Prima di tutto ricerca. Questo si vuole dire con questo fascicolo di Democrazia e diritto. E ricerca comparata, tra presente e passato e dentro un presente plurale, fatto di storie diverse, ancora declinate nel solco tradizionale dello Stato-nazione.
Più indagine storico-politica, sociologica, politologica, che teoria. Se si è data una teoria del partito, è difficile pensare che si possa dare ancora, in queste condizioni. È interessante notare questa cosa: chi ha speso più pensiero sul tema dell’organizzazione di partito è stato il movimento operaio. La parte avversa si è più preoccupata di sistemare a livello istituzionale la presenza dei partiti. Il dato di fatto è comprensibile. L’interesse dominante aveva la sua forma funzionale di esercizio del potere in quell’altra forma politica moderna, che si chiamava Stato. L’interesse contrapposto, dei dominati, quando ha dovuto cercare una forma politica che desse rappresentazione di sé a livello generale, come faceva la soluzione statale, l’ha trovata nel partito. La socialdemocrazia classica prima, il movimento comunista poi, hanno ambedue percorso, con intelligenza, questa strada. Hanno armato il proprio campo, il proletariato delle città e delle campagne, e quindi la classe operaia con i suoi alleati, nella loro civile lotta di classe, di un esercito, che come tutti gli eserciti, prevedeva soldati e generali, truppe combattenti e stato maggiore. Parlare di partito non si può senza tornare con il pensiero a questa origine storica.

domenica 27 novembre 2011

Cinque ragioni a favore del default

di Moreno Pasquinelli. Fonte: sollevazione
Si dice che dobbiamo “onorare” il debito, altrimenti, ove lo Stato italiano non pagasse ciò sarebbe non solo "disonorevole" ma causerebbe il default, la bancarotta, la catastrofe economica, la fine del mondo. Si tratta di uno ragionamento che non si sta in piedi, né dal punto di vista politico, né da quello morale e, quel che è peggio, non ha alcun rigore scientifico. E’ uno spauracchio la cui validità è pari a quella della minaccia della dannazione perpetua dell’anima in caso di peccato mortale.


Ad ogni peccato deve corrispondere una espiazione, come nel diritto ad ogni reato una pena. Nell’un caso e nell’altro si tratta di meccanismi per normare la vita associata. Chi decide cosa sia peccato o meno, cosa sia lecito o meno, è sempre un’autorità costituita, sia essa ierocratica o secolare, la quale infine, grazie al monopolio della forza, commina la condanna e obbliga il reo a scontare la pena. Ove l’autorità costituita, pur ostentando la propria terzietà, è invece sempre uno strumento della classe dominante, o di un’alleanza delle classi dominanti.

Lo spauracchio ideologico del default

Lo spauracchio ideologico del default funge oggigiorno da peccato mortale, è il pretesto con cui la potenza dominante, ovvero il capitalismo finanziario globale, minaccia gli stati indebitati che in caso di ripudio essi verranno condannati all’inferno, ove l’inferno è l’esclusione perpetua dai mercati finanziari internazionali. Come se questa esclusione fosse una specie di embargo o di blocco economico. Che si tratti di uno spauracchio, di una pistola scarica, lo dimostra la storia dei numerosi default conosciuti in epoca capitalistica, tra cui la serie di default a grappolo che negli ultimi venti anni hanno riguardato svariati paesi tra cui la Russia, la Turchia, le Tigri asiatiche, quasi tutta l’America latina, fino a quello memorabile dell’Argentina del 2001.

Ma cos’è un default? Esso consiste «... nell’inadempimento da parte di uno stato di un’obbligazione per rimborso di capitale o pagamento di interessi alla data di scadenza (o entro il periodo di moratoria prefissato). Questi episodi includono i casi in cui il debito ristrutturato viene infine estinto a condizioni meno favorevoli di quelle dell’obbligazione originaria». [Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff. Questa volta è diverso, Il saggiatore 2009 p.38]

Esso non equivale quindi, sic et simpliciter, come si vuole far credere, alla bancarotta, al fallimento. E anche ove il default diventasse un fallimento, ciò non può riguardare uno Stato. Come affermò Walter Wriston, presidente del colosso americano Citibank «Gli stati non falliscono», può fallire un’azienda, o una banca, non uno Stato. Un’azienda o una banca vanno in bancarotta quando i debiti accumulati sono tali che non possono essere rimborsati in alcun modo. I creditori, grazie alla decisione dell’autorità giudiziaria, procedono allora a pignorare e confiscare i beni patrimoniali del fallito nel tentativo di recuperare le somme prestate. Il trasferimento di valore dal debitore al creditore che prima sarebbe dovuto avvenire con il pagamento di interessi, avviene ora con un atto forzoso, in base alla regola Mors tua vita mea.

Loretta Napoleoni - Contagio: rischio di default Italia e le vie d'uscita

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