Raccolta di gesti e rumori dal mondo virtuale, per comprendere il mondo reale.
Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας. Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute.... .... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ... (di classe) :-))
Francobolllo
Francobollo. Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.
Fonte: micromega Bisogna ringraziare prima di tutto i sindaci di Firenze e di Milano che, seguendo la moda dello spirito bipartisan con cui in Italia si approvano le peggiori nefandezze, hanno deciso che il Primo Maggio i lavoratori del commercio dovranno lavorare. Bisogna ringraziare questi sindaci di centrodestra e centrosinistra, perché così hanno contribuito a chiarire che il Primo Maggio è ancora, come si scriveva sull’Avanti nel 1914, “una giornata di festa e di lotta”.Fu l’Internazionale dei lavoratori a decidere che il Primo Maggio, in ricordo dei militanti socialisti e anarchici impiccati a Chicago, sarebbe stato un appuntamento di lotta e festa, in particolare nella battaglia per le 8 ore. Oggi che l’orario di lavoro è di nuovo totalmente in discussione. Oggi che l’Unione Europea, tra le sue tante porcherie, propone orari fino a 65 ore settimanali, e che i contratti separati firmati in Italia, dalla Fiat al commercio, impongono il taglio delle pause e la brutale flessibilità degli orari, oggi il Primo Maggio ridiventa fino in fondo una giornata di lotta per la libertà delle lavoratrici e dei lavoratori.
di Danilo Zolo. Fonte: matteobartocci (editoriale del manifesto del 30 aprile 2011)
Ho recentemente sostenuto che la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, relativa alla guerra civile in Libia, è priva di fondamento sul piano del diritto internazionale. La Carta stessa delle Nazioni Unite, all’articolo 2, esclude che qualsiasi Stato membro possa «intervenire in questioni di competenza interna di un altro Stato». Ed è ovvio che questa norma vieta a maggior ragione che possa essere usata la forza per intervenire all’interno di una guerra civile in corso. Ciò è tanto più evidente se si tratta di una guerra civile di ridotte proporzioni, come è il caso della Libia. In casi come questo la pace internazionale non è in pericolo e questo esclude la competenza del Consiglio di sicurezza ad attribuire a qualsiasi Stato membro il diritto di usare la forza.
Insisto su questo argomento per una ragione di notevole rilievo: l’intervento militare contro la Libia, voluto dagli Stati Uniti e condiviso da alcuni paesi europei, è stato improvvisamente passato alla competenza della Nato. Nulla può essere giuridicamente più discutibile visto che la Nato è un’organizzazione militare nordatlantica che non può usare la forza al servizio delle Nazioni Unite senza un’esplicita decisione del Consiglio di sicurezza. Non si dovrebbe dimenticare che la Carta delle Nazioni Unite, nel suo capitolo VII, attribuisce ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Russia, Cina – il compito di dar vita a un Comitato di Stato Maggiore alle sue dipendenze e responsabile della direzione strategica di tutte le forze armate messe a sua disposizione. La Nato dunque non ha la minima competenza.
di Mattia Toaldo * - Fonte: esserecomunisti su il manifesto del 30/04/2011 Per decenni il 51% è stato un miraggio per la sinistra italiana. Eppure, è la percentuale che raggiungerebbe, oggi in pieno declino berlusconiano, un programma di sinistra.
L'ultima conferma viene dall'Osservatorio Politico del Centro Italiano Studi Elettorali (Cise, cise.luiss.it), un gruppo interuniversitario cui collaborano ricercatori e studiosi sia della Luiss che dell'Università di Firenze. La prima buona notizia è che la scala delle priorità degli italiani sembra essere molto vicina alla sinistra: l'immigrazione preoccupa l'8,5% degli intervistati, mentre il 54,9% ritiene che il maggiore problema sia il lavoro e, tra questi, quelli che guardano al centrosinistra per risolverlo sono il doppio di quelli che si rivolgono al centrodestra. La grande maggioranza pensa però o che le due coalizioni si equivalgano oppure che nessuna possa dare una soluzione al problema. Qui sta forse una delle ragioni dell'astensionismo: non solo l'antipolitica ma la sfiducia nelle capacità della politica di dare una risposta ai problemi della vita.
(Economista statunitense. Nel 2008 ha ricevuto il premio Nobel per l’economia. Scrive sul New York Times.)
- Fonte: internazionale Cos’è successo al presidente Obama? Che ne è del grande ispiratore che i suoi sostenitori pensavano di aver eletto? Chi è quest’uomo scialbo e timido che non sembra rappresentare niente e nessuno? Mi rendo conto che con la camera controllata dai repubblicani Obama non può fare molto. Forse l’unica cosa che gli è rimasta è la possibilità di parlare dall’alto della sua carica. Ma non sta facendo neanche questo, o meglio, lo sta facendo per rafforzare le tesi dei suoi avversari. Le sue osservazioni dopo il recente accordo sul bilancio tra la Casa Bianca e il congresso sembrano confermarlo. Forse questo accordo vergognoso in cui i repubblicani hanno finito per ottenere più di quanto avevano chiesto all’inizio è stato il migliore che potesse strappare. Ma a me sembra comunque che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui il presidente negozia. Prima contratta con se stesso, facendo concessioni preventive, poi prosegue con un secondo round di negoziati con i repubblicani e fa ulteriori concessioni. Inoltre questa è stata solo la prima delle molte occasioni che avranno i repubblicani di usare il bilancio come ostaggio per fermare i lavori del governo. Cedendo al primo round, Obama ha aperto la strada a compromessi ancora maggiori nei prossimi mesi.
Autore: Viale, Guido. Fonte: eddyburg Ecco che cosa siamo, e perché non ce lo togliamo di dosso. Il manifesto, 29 aprile 2011 In nessun paese la piaga del servilismo è prospera come da noi. Grazie anche ai comportamenti di questo governo e alla cultura che passa attraverso dei media sempre più asserviti È il trionfo della sistematica rinuncia alla propria dignità. Ma la voglia di affermarla torna a farsi strada nelle lotte che animano la scena sociale
La piaga che affligge il paese è il servilismo. Non è una piaga esclusivamente nostrana; è diffusa in tutto il mondo, e per ragioni strutturali che poco hanno a che fare con i "valori" propugnati da chi lo pratica. Ma in nessun paese è così pervasiva, consolidata e ostentata come da noi. Non è un fenomeno esclusivo del nostro tempo; è vecchio come il mondo. Gli antichi Greci disprezzavano gli schiavi - prigionieri catturati in guerra o comprati e venduti - perché avevano preferito servire invece di morire. Il feudalesimo - un regime da non rimpiangere, per molti versi riproposto da alcuni tratti della nostra epoca - era fondato su un patto personale che implicava l'asservimento a tutti i livelli gerarchici. Ma quella fedeltà era regolata da un codice che impegnava tanto il signore che il vassallo. Oggi invece il servilismo è "nomade": si offre di volta in volta a seconda delle convenienze: la compravendita di deputati con cui l'Italia si governa e fa mostra di sé al resto del mondo ne è una delle manifestazioni più esplicite.
Parla lo scrittore che nel 1971 si firmava Dedalus. "Berlusconi è unabile, geniale piazzista, ha capito gli umori del mercato e la naturaprofonda degli italiani, che non si sono mai identificati con lo Stato".Raccontami come è cominciata, già il 28 aprile del 1971, la tuacollaborazione al manifesto.La mia prima risposta è molto banale: è venuto Pintor a casa mia e mel’ha chiesto e poiché era tanto simpatico gli ho detto di sì.
Ma c’era un’altra ragione.
C’era una situazione tipica di una certa sinistra diallora, anche di quella di antiche origini cattoliche come la mia, chenon riusciva a identificarsi col Partito comunista italiano. Specie noi della cosiddetta neoavanguardia del Gruppo 63, se eravamo certamente orientati a sinistra, stavamo per così dire sulle scatole alla culturaufficiale del Pci, ancora guttusiana, pratoliniana, con la sua idea di intellettuale organico che non era compatibile, tanto per fare un esempio, con gli eretici come Vittorini, diffidente verso tante nuovetendenze culturali emergenti, quasi sempre bollate come trucchiinsidiosi del neocapitalismo.
Bombardamenti italiani in Libia: nuovo strappo alla Costituzione Grave l'appoggio di Napolitano, Berlusconi e PD a un'operazione che viola sia la risoluzione ONU sia l'articolo 11 della Costituzione Italiana di Alessandro Marescotti - Fonte: peacelink
Il 25 aprile Berlusconi non ha partecipato alle commemorazioni della Resistenza ma ha proclamato che occorreva passare dai sorvoli ai bombardamenti italiani in Libia.
Oggi a questa nuova opzione militare - sollecitata dall'amministrazione USA - si accodano Napolitano e il PD.
E' davvero incredibile come tali scelte, invece di esser condivise in ambito ONU, vengano decise in telefonate fra capi di governo, senza alcuna consultazione democratica.
«La guerra in Libia? Un caso riuscito di disinformazione» di Tonino Bucci su Liberazione del 27/04/2011
Intervista a Lucio Caracciolo, direttore di "Limes"
Prima di combatterle nei cieli e in terra, le guerre si preparano con la comunicazione. La guerra in Libia - come tutti i conflitti del XXI secolo - ci dimostrano che il controllo della narrativa è un potere fondamentale. «A determinare le scelte dei decisori - o presunti tali - nelle nostre democrazie ipersensibili ai media - ha scritto qualche giorno fa su Repubblica il direttore della rivista Limes, Lucio Caracciolo - sono sempre meno concezioni strategiche o anche solo considerazioni di medio periodo, ma reazioni immediate a notizie inverificabili o volutamente inverificate». La disinformazione è solo uno dei temi trattati nell'ultimo Quaderno speciale di Limes in edicola, dedicato alla Libia.
A un mese dall'inizio delle operazioni militari possiamo vederci più chiaro. L'informazione ha distorto la realtà?
Gli eventi sono frutto dell'incrocio di tre fattori: il tentativo interno di un colpo di stato che stava maturando, il tentativo francese di cavalcarlo - forse anche inglese - e l'esplosione di una rivolta a Bengasi - una delle tante rivolte di Bengasi. Siccome nessuno di questi tre processi isolatamente - e neppure in combinazione tra loro - era in grado di far fuori Gheddafi, ci siamo trovati in una situazione di stallo. L'intervento internazionale ha trovato una fonte di legittimazione nell'emergenza umanitaria.
Nei primi giorni abbiamo ascoltato notizie di fosse comuni e di diecimila morti. Un'invenzione?
Senza dubbio. L'emergenza umanitaria non c'era e, se c'era, non era delle dimensioni che ci sono state raccontate. La rappresentazione della realtà in quei termini è stata un'operazione voluta da Al Jazeera e da altri media che hanno ripreso acriticamente quello che ci raccontavano le tv satellitari arabe. Anche gli americani ci sono cascati "naturalmente". Ma non appena hanno capito che Gheddafi non cadeva, altrettanto naturalmente se ne sono lavati le mani e hanno affibbiato la patata bollente a noi europei. Diciamo che la rappresentazione fornita dai media è stata determinante nel convincere gli americani a dare una copertura all'operazione militare. Francesi e inglesi, da soli, non avrebbero potuto far passare una risoluzione Onu che legittimasse un loro intervento. Senza il via libera degli americani non si sarebbe mosso nessuno. In questo momento però il carico dell'operazione è tutto sulle spalle di Francia e Gran Bretagna.
Scritto da Giulietto Chiesa - Fonte: megacipdue Se esistiamo è perché il livello di radioattività alla superficie della terra è compatibile con noi. Per meglio dire noi , esseri umani e esseri viventi in generale, siamo nati compatibili con un determinato livello radioattivo. Il fatto è che noi umani abbiamo esteso la tavola di Mendeleev, aggiungendo altri elementi, tutti variamente radioattivi. Poi abbiamo fatto anche di peggio, creando centinaia di sostanze che in natura non esistono, molecole che la natura non riconosce. Come tali queste sostanze, che continuiamo a immettere nella natura, non possono essere riciclate, perché la natura ricicla se stessa e non prevede le nostre follie. Dunque resteranno per sempre, fino a che soffocheranno l'ecosistema.
Se non si tiene presente questi “dettagli” la discussione sul nucleare non ha molto senso e rischia di avere poca efficacia, o di ridursi a una questione di economia, o di energia. Non è così.
Coloro che continuano a sostenere il nucleare, nonostante Fukushima, non provano paura. Noi, invece, dobbiamo in certo qual senso alzare il livello di paura. Lo affermo con decisione, pur sapendo che la paura è un sentimento, una emozione, e in genere non aiuta a prendere decisioni razionali. Cercherò tuttavia di dare un contributo all'innalzamento della paura perché temo che sia l'unico modo per aumentare le possibilità di sopravvivenza.
Per dieci anni la Mayday Parade è stata il primo maggio dei precari e delle precarie: l’espressione della nostra creatività, il luogo dove ci siamo riconosciuti, dove abbiamo coltivato le nostre relazioni e i nostri desideri e dove abbiamo reso visibili la nostra gioia e la nostra rabbia. Decine di migliaia di precari l’hanno animata, colorata, gridata e partecipata. Dopo undici anni sappiamo che la Mayday come spazio di espressione e visibilità, come momento di inclusione e ricomposizione della precarietà, ha vinto: oggi persino il papa e il sindacato confederale parlano di precarietà, mentre nelle piazze la generazione precaria esplode di rabbia. È tempo di esigere che i nostri desideri diventino realtà.
Stiamo cavalcando la tigre della precarietà, perché viviamo ogni giorno nell’incertezza ma anche perché sappiamo qual è la nostra forza. Il governo e l’Europa ci impongono privatizzazioni, licenziamenti, austerità, tagli, sacrifici. Non temporaneamente, per effetto della crisi, ma come politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire. Di contro, la condizione precaria è diventata un soggetto politico autonomo, che crea azione politica: pone domande, individua soluzioni e sviluppa conflitto.
Fukushima punto di non ritorno. Dall'era atomica all'era solare. di Gianni Mattioli e Massimo Scalia - su il manifesto del 26/04/2011 - Fonte: esserecomunisti Qualcuno ha osservato che la vera bomba atomica è stato l'accelerato accrescimento, rispetto ai tempi biologici, della massa cerebrale, che dall'Homo abilis a noi - Homo sapiens - è aumentata di più di due volte in appena un milione di anni. Prima, l'Homo abilis ha passato circa un milione di anni a scheggiare la pietra per tirarne fuori un lato più aguzzo e tagliente per uccidere gli altri animali, o sezionarli per cibarsene o forse anche per sfruttare le loro pelli. Insomma, unico, a quanto sembra, tra i primati e gli altri animali ha usato la sua abilità per dotarsi di maggiore capacità di offesa e di aggressione.
E la mente va alle famose immagini con le quali Kubrick, in 2001: Odissea nello spazio, ritrae la perdita dell'innocenza dei nostri avi ancestrali: con gli strumenti di cui si è impadronito, l'Homo abilis può uccidere il suo simile. E su questa strada ha continuato con una velocità e dei «successi» incredibili, si potrebbe aggiungere, se si pensa che sull'arco dei brevissimi tempi storici è riuscito a realizzare la possibilità di autodistruzione della sua specie e, allo stesso tempo, di tutta la biosfera: la potenza della fissione nucleare, la bomba termonucleare.
Ma poi, anche se ci si è andati più vicino di quanto immaginino gli attuali quarantenni, quell'esito non c'è stato.
Lo storico Angelo Del Boca (Fonte: nuovaresistenza) è quasi incredulo davanti alle ultime notizie sulla disponibilità dell'Italia a bombardare Tripoli. Secondo Del Boca il dibattito parlamentare sulle decisioni del governo in Libia è necessario e «ci vorrebbe una discussione ampia per analizzare tutti gli aspetti.
Sui raid l'opposizione dovrebbe dire un 'no' assoluto come ha fatto la Lega e almeno discuterne in sede parlamentare». Lo storico sottolinea anche che «il problema è che torniamo a svolgere una funzione neocolonialista che, da storico del colonialismo italiano, non mi sarei mai aspettato». «Speravo che questa decisione non sarebbe stata presa: essendo la Libia una nostra ex colonia con la quale abbiamo sottoscritto trattati di pace e di amicizia potevamo uscire dal conflitto e defilarci ancor più della Germania.
Sul piano interno infine, quella della Lega mi sembra una dichiarazione di guerra e dunque abbiamo un governo fragile per il quale non escludo una rottura totale». Inoltre, secondo Del Boca, in Libia «stiamo arrivando a una situazione di stallo che potrebbe durare settimane se non mesi e dunque si continuerà una guerra infausta: un pantano da cui sembra difficile emergere». Del Boca poi evidenzia come l'Italia abbia deciso per i raid non su pressione francese ma su pressione americana: «pressione pesante da parte di un Paese che fa fare le guerre agli altri: una decisione grave per chi ha ricevuto un Nobel per la pace».
ITALIAN PRESIDENT GIORGIO NAPOLITANO TO THE ALTAR OF THE FATHERLAND
WASHINGTON -(Dow Jones)- World Bank President Robert Zoellick Thursday said he hopes the institution will have a role rebuilding Libya as it emerges from current unrest. Zoellick at a panel discussion noted the bank's early role in the reconstruction of France, Japan and other nations after World War II. "Reconstruction now means (Ivory Coast), it means southern Sudan, it means Liberia, it means Sri Lanka, I hope it will mean Libya," Zoellick said. On Ivory Coast, Zoellick said he hoped that within "a couple weeks" the bank would move forward with "some hundred millions of dollars of emergency support."( By Jeffrey Sparshott, Of DOW JONES NEWSWIRES –full article here - http://tinyurl.com/3hj8yyp .)
We listen to U.S. spokespeople try to explain why we’re suddenly now entangled in another Middle East war. Many of us find ourselves questioning the official justifications. We are aware that the true causes of our engagement are rarely discussed in the media or by our government.
While many of the rationalizations describe resources, especially oil, as the reasons why we should be in that country, there are also an increasing number of dissenting voices. For the most part, these revolve around Libya’s financial relationship with the World Bank, International Monetary Fund (IMF), the Bank for International Settlements (BIS), and multinational corporations.
di Giulia Innocenzi. Fonte: espresso Quelli che vedete qui sotto non sono ragazzi di qualche gruppo neofascista, ma esponenti della Giovane Italia, l'organizzazione giovanile del Popolo della Libertà. E quello a sinistra è Alessandro Benigno, coordinatore provinciale di Vicenza (26 aprile 2011) Hanno pensato di festeggiare così il 25 aprile i ragazzi di Vicenza della Giovane Italia, il movimento giovanile del Pdl, con tanta sobrietà: bandiera della Repubblica Sociale Italiana (la Repubblica di Salò, per intenderci), e saluto romano. E quello indicato con la freccia è Alessandro Benigno, il coordinatore provinciale della Giovane Italia, che sempre con la stessa sobrietà pochi giorni fa ha proposto di cambiare il nome del museo cittadino (leggi qui), dedicato al "Risorgimento e alla Resistenza", in "Concordia nazionale".
Fonte: beppegrillo Gli animali di Fukushima sono rimasti all'interno della zona contaminata di 30 km. I loro padroni sono fuggiti. Tutti gli animali sono radioattivi, nessuno può più uscire dall'area. Tremila mucche, trentamila maiali, 600mila polli e un numero imprecisato di animali domestici. I cani sopravvissuti si avvicinano alle rare macchine autorizzate in cerca di cibo. Intorno a loro c'è un silenzio irreale e abitazioni abbandonate. Quasi tutto il pollame è morto. Le mucche e i vitelli, dove non vi sono fattorie con alimentatori automatici, sono morti di fame e di sete. Secondo le autorità giapponesi il 70% dei maiali e il 60% del bestiame è morto. I proprietari degli allevamenti hanno chiesto di portar fuori dal terreno radioattivo gli animali, o di entrare per praticare una forma di eutanasia. Le richieste sono state negate per la paura di contaminazione. Alcuni hanno ignorato il divieto e sono entrati nella zona proibita per portare in salvo i loro cani, condannando però anche sé stessi. L’acqua del mare a 30 chilometri dalla centrale nucleare ha una concentrazione di Iodio-131 di 88,5 becquerels per litro, il valore più alto registrato finora. La radioattività è 2,2 volte il limite massimo ammesso per le acque di scarico delle centrali nucleari. La fauna ittica presente nelle acque del Pacifico per decine di chilometri di fronte a Fukushima è contaminata. La radioattività si diffonderà in modo esponenziale quando le piccole prede saranno mangiate da altri pesci. Dovremo andare al supermercato con il contatore geiger. Ci abituereremo anche a questo.
Fonte: Greenpeace Com’è andato in fumo il mito della sicurezza nucleare occidentale. Venticinque anni dopo il disastro di Cernobyl, il mondo – e in particolare il popolo giapponese – vive di nuovo sulla sua pelle un incidente nucleare che potrebbe essere ancora più serio. Come Cernobyl, l’incidente della centrale Fukushima-Daiichi è stato classificato al n.7, il più alto della scala INES della IAEA che definisce il livello di gravità degli incidenti nucleari. Greenpeace ha dichiarato che si trattava di un incidente di livello INES n.7 già il 24 marzo, ma ci sono volute altre tre settimane al governo del Giappone per giungere alla stessa conclusione. È un ritardo inaccettabile ma che ben si comprende considerando con quale difficoltà le autorità del Giappone hanno accettato la realtà di questo incidente. Per l’industria nucleare, l’IAEA e i loro sostenitori nei governi, un incidente di livello 7 non dovrebbe mai capitare nei loro reattori. Un’altra Cernobyl non era considerata ammissibile, non in un Paese sviluppato come il Giappone. Il botto dei reattori General Electric/Toshiba/Hitachi a Fukushima- Daiichi ha fatto saltare per aria questo mito. Per il Giappone, la terza economia planetaria e una delle più avanzate dal punto di vista tecnologico, ammettere di avere un incidente come quello di Cernobyl era, ed è, uno shock notevole per tutta la società. E da subito, dopo aver dichiarato il livello 7, le autorità del Giappone e in particolare la NISA (Nuclear Information Safety Agency), e, ovviamente, l’industria nucleare (in Giappone come nel resto del mondo), hanno tutti dichiarato che Fukushima non è Cernobyl.
La cosa più triste della guerra, come scriveva Terzani, è che ci si abitua... oggi andiamo a bombardare con i nostri aerei ... ogni bomba che sganciamo sulla Libia si traduce in morti innocenti per loro e in tagli ai servizi sociali (non ci son soldi) per noi.. Eppure il tutto acccade in mezzo ad un'assordante silenzio e con l'appoggio della finta opposizione parlamentare (ancora una volta dimostra che questa opposizione non è un'alternatiava berslusconi ma è la faccia più pulita -ma altrettanto schifosa- della stessa medaglia). Continuiamo pure a elogiare la costituzione a parole .... e a stuprarla ogni giono con i fatti!! Ciao Fabio
============================ Da Peacereporter.net EMERGENCY: VIA DA MISURATA, POLEMICA CON IL GOVERNO ITALIANO L'unico team chirurgico occidentale presente in Libia costretto a lasciare: "L'ospedale, i suoi pazienti e i medici che li curano sono diventati un bersaglio della guerra. Per questa ragione lunedì 25 aprile la direzione sanitaria ci ha dato l'ordine di evacuare".
25 aprile Comunicato di EMERGENCY
"Il governo italiano continua a delinquere contro la Costituzione e sceglie la data del 25 aprile per precipitare il Paese in una nuova spirale di violenza. Le bombe non sono uno strumento per proteggere i civili: infatti non sono servite a proteggere la popolazione di Misurata. La città di Misurata, assediata e bombardata da oltre due mesi, nelle ultime 24 ore ha vissuto sotto pesantissimi attacchi che hanno raso al suolo quartieri densamente popolati, anche per l'impiego di missili balistici a medio raggio".
"Ancora una volta a farne le spese è la popolazione civile. Tra sabato e domenica, sono arrivati all'ospedale Hikmat, dove dal 10 aprile lavorava il team chirurgico di Emergency, duecento feriti e oltre sessanta morti. Negli ultimi giorni i combattimenti sono arrivati alle porte dell'ospedale. L'ospedale, i suoi pazienti e i medici che li curano sono diventati un bersaglio della guerra. Per questa ragione lunedì 25 aprile la direzione sanitaria ci ha dato l'ordine di evacuare. I settemembri del team di Emergency sono in questo momento in viaggio verso Malta in attesa di poter riprendere l'intervento umanitario in Libia".
"Misurata dimostra ancora una volta la vera faccia della guerra. I civili e il personale umanitario sono privi di qualunque protezione. Emergency chiede all'Onu di negoziare un cessate il fuoco e garantire un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile".
“il tempo, il tempo, insomma, porta via…porta via la memoria, porta via le immagini, porta via un po’ tutto…ma come si fa a dimenticare? Non puoi dimenticare. Non puoi dimenticare perché noi abbiamo passato anni … anni atroci.” Giacomina Ercoli, partigiana Parliamo di memoria, una memoria di sessanta e più anni, una memoria che si fa consapevolezza quanto più appare opaca e stanca, memoria che vogliamo riconsegnare nuovamente viva al futuro proprio in un’epoca in cui assistiamo con rabbia alla sistematica distruzione e distorsione di immagini, fatti e ricordi legati ad una fase cruciale della storia dell’Italia contemporanea, quale quella che corre dalla marcia su Roma alla caduta del regime fascista, dalla grottesca e sanguinaria appendice di Salò alla guerra di Liberazione e alla nascita dello stato democratico. Memoria che ci propone somiglianze e analogie con il presente che non dobbiamo e non possiamo sottovalutare, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda la donna, la sua collocazione e il suo peso nella società. Di solito il discorso sulla partecipazione delle donne alla Resistenza tende a concentrarsi sulle diverse forme, sulle attività, gli spazi e i ruoli che le donne hanno praticato tra il 1943 3 il 1945, in montagna, nelle fabbriche, nelle città e nelle campagne, lasciando forse un po’ in ombra tutte quelle esperienze di opposizione quotidiana e resistenza politica alla costruzione di un ordine sociale attraverso il quale, dalla fine della I guerra Mondiale alla caduta della Repubblica di Salò, il regime fascista ha voluto determinare il destino delle donne.
di Maria R. Calderoni (Liberazione del 24/04/2011) Cantate "Bella Ciao" e vi farete riconoscere. Un identikit. Un target. Una dichiarazione. "Bella Ciao" è quella. E' la storia e il senso della storia, uno solo. «E le genti che passeranno ti diranno che bel fior/ e questo è il fiore del partigiano morto per la libertà», impossibile fraintendere. Ed è rimasta quella, la canzone della Resistenza più cantata in assoluto; immutata ed evocatrice, ieri come oggi, oltre sessant'anni dopo. Woody Allen è venuto a Roma appena un mese fa a presentare il suo nuovo film e nel corso del concerto all'Auditorium ha suonato una strepitosa "Bella Ciao" in versione jazz. Ormai canzone internazionale, nota in tutto il mondo. C'è anche una versione cinese; a Cuba è cantata nei campeggi giovanili, con la parola partigiano sostituita da guerrillero; nel Chiapas in molte comunità zapatiste. Ed è nota in quasi tutti i paesi europei; diffusissima negli anni Cinquanta a Berlino, Praga, Vienna, al seguito dei famosi Festival mondiali della gioventù. Una canzone-epopea, immortalata in Francia da Yves Montand e in Italia dalla nostra irripetibile "cantastorie" Giovanna Daffini. Mai oscurata, mai fievole, sempre trascinatrice. Dalla storica incisione del Nuovo Canzoniere Italiano, che è del 1965, "Bella Ciao" l'hanno cantata Milva, Duo di Piadena, La Banda Bassotti, Modena City Ramblers, Thomas Fersen, Giorgio Gaber, Francesco De Gregori, Yo Yo Mundi; anche, in versione italiana, il Coro dell'Armata Rossa. In sostanza "Bella Ciao" come inno ufficiale della Resistenza; ma un posto speciale nel cuore di tutti lo tiene anche "Fischia il vento", il canto «travolgente, una vera e propria arma contro i fascisti», come Beppe Fenoglio lo definisce nel suo libro Il partigiano Johnny. Come tutte le canzoni partigiane, è nata sul campo, in battaglia. Un soldato italiano, Giacomo Sibilla, la sente nell'estate del 1942, mentre è a combattere sul fronte russo; è una canzone d'amore e si chiama Katjusha; se la ricorda quando, dopo l'8 settembre, quel soldato, col nome di battaglia Ivan, entra a far parte della banda partigiana operante nella zona di Imperia. E lì in montagna fa rinascere sulla sua chitarra quelle note lontane; su di esse un altro partigiano ligure - Felice Cascione, che è un medico ma anche un poeta - scrive le parole. Quelle struggenti di un canto che nasce con la Resistenza stessa, nel settembre del '43. Anche "Fischia il vento" ha avuto innumerevoli incisioni; è per sempre lì, tra le canzoni immortali. «Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar, a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sol dell'avvenir». Ma lui, Felice Cascione, non fa in tempo. Muore in uno scontro a fuoco coi fascisti il 24 gennaio 1944. Partigiano, comunista, medaglia d'oro della Resistenza: il ragazzo che ha scritto le parole di "Fischia il vento" - ha solo 26 anni quando è ucciso - ha una storia che merita di essere raccontata ancora una volta. Nasce ad Imperia da una famiglia modesta; la madre maestra elementare; il padre, Giobatta, fonditore di campane, viene ucciso in guerra nel '18, quando Felice ha pochi mesi. Antifascista attivo dal 1940, si laurea in medicina a Bologna nel 43; quando viene l'8 settembre, Felice Cascione è appena laureato, ma non ha esitazione: dopo la Repubblica di Salò entra nella Resistenza, a capo di una improvvisata brigata partigiana, la prima della zona, nome di battaglia u mégu, (il medico). C'è uno scontro - la battaglia di Montegrazie - e gli uomini di Cascione catturano due militi delle brigate nere; si decide di eliminarli, ma u mégu ha un cuore generoso, interviene e ne impedisce l'esecuzione. In seguito i due riescono a fuggire e, raggiunti i loro camerati, danno l'assalto alla formazione partigiana. Accerchiato e ferito, il giovane comandante si lancia allo scoperto nel tentativo di salvare uno dei suoi uomini, ma cade crivellato di colpi. La sua brigata diventerà la Divisione Garibaldi "Felice Cascione", la stessa cui subito dopo aderirà Italo Calvino. Dal 27 aprile 2003 un monumento lo ricorda nel luogo in cui è caduto. «Se ci coglie la crudele morte». Canzoni partigiane, se ne contano oltre 100. Sono povero ma disertore. Con la guerriglia. Dopo tre giorni di strada asfaltata. Dalle belle città. Dai monti di Sarzana. La Brigata Garibaldi. Pietà l'è morta. I partigiani di Castellino. Noi della Val Camonica. L'Armata del popolo. Camicia rossa. Non ti ricordi quel 25 maggio. Sui monti di Valtrebbia. A morte la Casa Savoia. Compagni fratelli Cervi. Cosa rimiri mio bel partigiano. Marciam marciam (e tanti altri titoli). «I canti della Resistenza italiana rappresentano il momento di più viva presenza del canto sociale e politico della storia postfascista», scrive Cesare Bermani; per Roberto Leydi «segnano, nella loro complessa e quasi disordinata prospettiva, il carattere degli uomini e dei movimenti che alla guerra contro i fascisti presero parte. In questa misura, ancora una volta, il canto spontaneo si definisce come mezzo d'indagine di un'epoca e di una situazione, più preciso e spietato, forse, di altri strumenti storiografici». Canzoni «come riflesso dello spettro sociologico ampio dei nostri partigiani, che andava dallo studente, all'operaio e al contadino». Canzoni assai differenti, dunque, sia per i testi che per la musica. «I prodotti musicali che la canzone d'uso partigiana ha modificato - scrive sempre Cesare Bermani - sono i più disparati: canzoni narrative popolari o popolaresche, canti risorgimentali o quarantotteschi, repertori della prima e della seconda guerra mondiale, canti sociali legati al movimento operaio e alle organizzazioni rivoluzionarie del periodo prefascista, motivi in voga e canzonette di consumo, canzoni assunte da repertori di altri paesi (in particolare russe), canzoni goliardiche». Poche le canzoni d'autore (è di Franco Antonicelli, "Un giorno Mussolini andò al balcone"; il testo di "Pietà l'è morta" è di Nuto Revelli); ma quelle partigiane sono essenzialmente canzoni appunto «nate per l'uso, non per il consumo o lo spettacolo. Tutti canti pervasi da quella particolare tensione felicemente ricordata nel ritornello di una canzone di Calvino, musicata da Sergio Liberovici: « Avevamo vent'anni e oltre il ponte/ oltre il ponte che è in mano nemica/ vedevam la riva, la vita/ tutto il bene del mondo oltre il ponte/ Tutto il male avevamo di fronte/ tutto il bene avevamo nel cuore/a vent'nni la vita è oltre il ponte/oltre il fuoco comincia l'amore». Oltre il ponte. «Da quei briganti neri fui catturato/ in una cella oscura fui portato/ Potete pure mettermi in una cella oscura/ io sono un partigiano/ non ho paura...Quelli che m'han portato alla tortura/ m'han detto se conosco i miei compagni./ Sì sì che li conosco/ ma non dirò chi sia/ io sono un partigiano/ non una spia. La povera mia mamma/ piangeva forte/ vedendo il suo partigiano/ andare a morte...»: canta Agostino Vebbia, ex combattente della Brigata Zelasco, Divisione Coduri, zona d'operazione Liguria. E c'è anche un "Inno delle donne" («o donne d'Italia, o madri, o ragazze/ su presto, accorriamo, su tutte le piazze»; anche "Insorgete!"(sull'aria dell'"Inno del Komintern", «lasciate le fabbriche, le scuole, le case, correte correte uniti all'attacco»; e perfino "Su comunisti della capitale", «è giunto alfin il dì della riscossa /quando alzeremo sopra il Quirinale/bandiera rossa».
Fonte: controlacrisi - Ugo Mattei - il manifesto Confindustria parla ed il governo, zelante esegue. O almeno ci prova. Oggi per tutti gli italiani il referendum sul nucleare non c’è più. Una gran parte ne erano comunque ignari, grazie alla strategia del silenzio. Un’altra parte ha letto sui giornali che oltre al referendum sul nucleare salteranno anche quelli sull’acqua, perché il ministro Romani ha dichiarato ad una trasmissione radiofonica che una soluzione legislativa per scongiurare il voto sull’acqua sarebbe auspicabile.
Difficile immaginare, alla luce dei nostri principii costituzionali, una soluzione tecnica di questo contraddittorio dilemma che consenta davvero al governo di far saltare i referendum. Confindustria ha l’acquolina in bocca per le grasse commesse del capitalismo nucleare.
Deve inoltre garantire ai suoi associati i profitti sicuri della gestione privata di un monopolio naturale come l’acqua. A tal fine Confindustria teme che una clamorosa vittoria referendaria del Sì, il 12 13 giugno, produca un inversione di rotta tale da renderle irraggiungibile il succulento boccone. Tutto ciò naturalmente non riguarda solo l’acqua ma anche gli altri servizi pubblici che il decreto Ronchi ha arraffato (trasporti, spazzatura…).
VITTORIO (ARRIGONI,THE PACIFIST MURDERED IN GAZA) "Borders are the first form of enslavement. Who says borders says fetters. Abolish borders, remove the custom officers, send the soldiers away, in other words be free. The peace will follow" Victor Hugo