Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 2 aprile 2011

Sono insorti, le prime 15 vittime “ufficiali” dei bombardamenti NATO.


di Marco Cedolin. Fonte: ilcorrosivo Stando a quanto riportato da giornali e TV, fin dall'inizio dell'insurrezione le truppe di Gheddafi (leggasi esercito libico) bombarderebbero i civili, facendone scempio indiscriminatamente.

Nonostante nessuna di queste stragi sia mai stata documentata e contestualizzata oggettivamente e le truppe libiche possiedano un arsenale (oggi privo anche dei pochi caccia ormai distrutti) estremamente modesto, se confrontato con quello messo in campo dalle potenze occidentali.

Gli alleati volenterosi hanno già lanciato centinaia di missili da crociera, dal potere distruttivo enorme, usano cacciabombardieri di ultima generazione, sparano proiettili e missili all'uranio impoverito, ma stampa e TV raccontano che vengono colpiti solo obiettivi strategici militari e soldati dell'esercito libico che in quanto tali non hanno diritto di assurgere allo status di martiri carbonizzati, ma solo quello di appartenere alle infrastrutture militari inanimate.

La TV libica ha a più riprese documentato molti bombardamenti, fra i quali quello di un ospedale, che hanno fatto stragi fra la popolazione civile di ben più ampia portata rispetto a quelle attribuite a Gheddafi. E la cosa non dovrebbe in fondo stupire più di tanto, alla luce dell'armamentario pesante usato dalla coalizione occidentale.....

Di nuovo in campo, più che mai, contro la guerra!


di Massimo Rossi* (Liberazione del 2 aprile 2011) Fonte: controlacrisi

C’è ancora più bisogno che in passato di una reazione forte e capillare contro questa maledetta cultura della guerra delle tante persone che, anche questa volta, non si sono fatte arruolare nella nutrita schiera dei “se” e dei “ma”. Un’esigenza che scaturisce dall’inevitabile constatazione che farlo oggi è certamente più dura che in passato.

E’ infatti una cultura perversa, quella contro la quale oggi scendiamo in piazza; che si insinua, complice il senso di sconfitta e di impotenza, fin dove appena qualche anno fa, non si sarebbe neppure immaginato. C’è ancora più bisogno di riaffermare che non può esistere “guerra umanitaria” perchè, come prova indiscutibilmente la storia degli ultimi decenni, i diritti umani non si difendono proprio con la guerra.

E che la guerra, lungi dal risolvere i problemi, certamente li moltiplica e li esaspera. Inoltre, contrariamente a quanto alcuni affermano, la scelta della guerra è stata esattamente la sciagurata alternativa all’unica possibilità di affermazione delle migliori istanze di quella ribellione esplosa anche in Libia sull’onda della salutare primavera magrebina.

venerdì 1 aprile 2011

Due disastri provocati dall’uomo: Giappone e Libia.


di Johan Galtung - Fonte: unimondo

Madre Terra, arrabbiata o no, ha mostrato la sua forza. Le placche tettoniche del Pacifico si muovono sotto quella del Giappone e gli urti hanno provocato il più grave terremoto della recente storia giapponese, di magnitudine 9.0. Non inatteso, ma senza essere ancora capaci di prevedere esattamente quando e dove.

Sembrano saperlo gli animali, ma con un breve margine d’avviso. Sono stati costruiti, mediante tonnellate e tonnellate di acciaio e cemento, edifici di grande altezza e 55 impianti elettronucleari di basso profilo, capaci di piegarsi come i rami del ciliegio che fanno scivolare via la neve fradicia. Flessibili e robusti. Ovunque edifici che possono oscillare a bassa ampiezza e bassa frequenza, ma alla fine ritti e illesi come prima, eccetto che per le cose cadute da armadi, scaffali e simili. Edifici che oscillano su terreno oscillante per non esserne spazzati via.

Un bel lavoro, fino a un certo punto. Ma gli ammonimenti di coloro che soffrirono il genocidio nucleare in due città, Hiroshima-Nagasaki, caddero nel vuoto. Costruirono quelle centrali per lo più lungo le spiagge per un facile accesso all’acqua del mare per il raffreddamento, ora più che mai necessaria. Questo nel paese che ha dato il nome alla super-onda del mare, tsunami. Ground Zero – una parola che come il terremoto oscura i maremoti – era a 130 Km dalla costa.

Lo tsunami – alto fino a 7 metri e alla velocità di 700 Km/h – ha colpito 650 Km di litorale. Avanzando lentamente, distruggendo tutto sul percorso, uccidendo, demolendo nell’entroterra la città di Sendai da un milione d’abitanti, rifluendo piano, trascinando con sé case, auto, camion, bus, aerei, fabbriche, cadaveri, esseri viventi allo stremo, spezzando ponti e strade e depositando il tutto donde veniva.

Fuori dagli interessi dei governi, una voce indipendente.


Guerra in Libia: dire “no” all'intervento militare di Mirko Misceo. Fonte: controlacrisi

Sputa fuoco la bocca avida della borghesia occidentale. Avida di risorse energetiche: di gas e petrolio per le industrie della globalizzazione, di affari lucrosi nel paese che mai fu – e forse mai sarà – del popolo libico. Fuoco e bombe, e tanta ipocrisia. La guerra in Libia è l'ennesima dimostrazione di un imperialismo che ha scelto, ancora una volta, la via dell'azione personale, con i caccia e con i missili: il solo appoggio strategico-militare e la fornitura di armi ai ribelli avrebbe permesso a questi ultimi di combattere con le proprie mani contro il dittatore, ma non avrebbe assicurato che le risorse energetiche sarebbero andate ai paesi occidentali, in caso di vittoria.

E se i ribelli non avessero vinto? E allora bisognava intervenire, ognuno a modo suo, facendo a gara a chi per primo sganciava le bombe e mandava delle truppe di terra – forze speciali – per mettere fuori uso i sistemi di lancio dei missili terra aria dell'esercito libico, portare aiuto ai piloti nel caso i jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid, e dare supporto strategico e militare ai ribelli, come confermano le notizie dell'ultim'ora.

L'economia che riparte dal noi.


Fonte: laterza

Dai gruppi d'acquisto alla collaborazione in rete, dal cohousing alle imprese dell'innovazione sociale, dalla finanza solidale all'open source. E' in libreria "L'economia del noi", un viaggio-inchiesta nell'Italia che condivide. (Laterza, 2011).

Pubblichiamo qui l'introduzione Introduzione al libro "L'economia del noi. L'Italia che condivide", in libreria dal 31 marzo 2011. La grande recessione ha portato via con sé parecchie certezze. Oltre a milioni di posti di lavoro, case, mutui, pensioni, sanità, scuole e università; oltre a molte imprese e qualche banca; oltre a molte vite umane; oltre al mito della stabilità e della crescita come elementi naturali del sistema; oltre al castello di carte dell'economia finanziaria e a un bel pezzo dell'economia reale, la grande crisi ha fatto cascare anche una certa concezione dell'economia.

Ossia, quel corpus di idee e teorie prevalenti che hanno dominato sulla scena politica, culturale e accademica negli ultimi trent'anni. I segnali di questa crisi sono parecchi. Ha cominciato subito la regina Elisabetta, con la sua celebre domanda naif agli attoniti economisti della London School of Economics circa la mancata previsione del crollo (“come mai non se n'era accorto nessuno?”).

giovedì 31 marzo 2011

Boomerang libico per un fragile Occidente.


di Raffaele Sciortino. Fonte: sinistrainrete

È dunque tornata la guerra umanitaria. Entrata nel sistema dell’informazione e di qui nell’immaginario collettivo, non c’è neanche più bisogno di virgolettarla. Ritorna però in un contesto del tutto mutato rispetto agli anni Novanta. Ieri, sull’onda lunga della caduta del Muro e con la finanziarizzazione in piena ascesa, gli States avevano in mano saldamente l’iniziativa e potevano elargire promesse ai nuovi arrivati nel consesso delle democrazie occidentali.

Oggi siamo dentro una crisi globale che è un aspetto dello smottamento profondo e strutturale dei meccanismi di riproduzione della vita sociale complessiva (vedi Fukushima). L’interventismo umanitario non ha l’iniziativa.

La guerra alla Libia è reazione. Reazione alla prima fase della sollevazione araba. Reazione di poteri voraci ma in affanno contro i possibili passaggi di radicalizzazione di un moto ampio e profondo in pieno svolgimento che sta intrecciando, dal basso, istanze di dignità, potere e riappropriazione. E che non ha bisogno di “aiuti” ma piuttosto rimanda un messaggio di possibile costruzione di un percorso comune di lotta e emancipazione.

Confitto di narrazioni

È da questa visuale - rovesciando la narrazione “democrazia”/tirannide o pro/contro Gheddafi - che è possibile sfuggire alla trappola-ricatto del dispositivo Onu “a protezione dei civili” sbandierato dall’”onesto” Napolitano e dalla macchietta Berluska, e all’ipocrita giustificazione dell’intervento da parte di chi voleva mandare i poliziotti francesi contro le piazze tunisine, come Sarkozy, o come Obama si muove con il double standard di sempre rispetto ai governi da sostenere o disarcionare e, ancor più cinicamente, ai morti buoni o cattivi.

Se l'Italia va a puttane, voglio andarci anch'io!!


Berlusconi testimonial al negativo per la TV pubblica tedesca. E da noi?


di Gianni Rossi. Fonte: articolo21 E’ ancora lontano il Primo di Aprile, eppure in Germania hanno preparato un bello scherzetto al nostro presidente del consiglio Berlusconi (quello che faceva “Buh alla Merkel da dietro una colonna o che la faceva aspettare, perché impegnato al telefonino), alla vigilia delle importantissime elezioni regionali di questa settimana nel Baden-Würtenberg, Renania Palatinato e Sassonia- Anhalt. Si tratta della campagna promozionale, organizzata dalla Serviceplan di Berlino, per conto delle due reti pubbliche radiotelevisive ARD e ZDF, a favore del canone di abbonamento (circa 216 euro l’anno, tra i più alti in Europa, il doppio della RAI), che, utilizzando la foto di un Berlusconi sorridente senza mezzi termini proclama: “Una democrazia è tanto forte come i suoi media”.

E poi spiega che: “La Germania ha un panorama televisivo tra i più ricchi e variegati al mondo. Siamo noi tutti che lo rendiamo possibile grazie al canone che paghiamo. Una democrazia funziona non solo quando ci sono elezioni libere, ma anche quando i media non sono sottomessi al potere politico”. Altro che l’Italia, dove il presidente del consiglio controlla le sue 3 reti private e tutta la RAI.

JOE BAGEANT (1946 - 2011): «Sono un redneck e vi racconto cosa c'è nella pancia dell'America»


Fonte: Controlacrisi.org ricorda il grande compagno, giornalista e scrittore americano con le sue stesse parole riproponendovi la bella intervista di Guido Caldiron uscita su Liberazione nell'ottobre 2010. «Sono un redneck e vi racconto cosa c'è nella pancia dell'America» Joe Bageant Giornalista e scrittore americano cresciuto a Winchester in Virginia autore di "La Bibbia e il fucile. Cronache dall'America profonda" Guido Caldiron «L'America è una sorta di grande teatro, dove tutto ruota intorno alle illusioni dei più deboli e alle rappresentazioni distorte e interessate della realtà che vengono offerte loro da chi intende manipolarli per i propri fini politici».

Nato nel 1946 a Winchester, in Virginia, Joe Bageant si definisce con orgoglio "un redneck", il termine dispregiativo utilizzato negli Stati Uniti per designare soprattutto i campagnoli un po' zotici del Sud, ma che i poveri bianchi sudisti rivendicano come una sorta di segno identitario. "Redneck", letteralmente "collorosso", vale a dire più o meno contadino, è per i proletari bianchi delle aree rurali del paese quasi un sinonimo di gran lavoratore, gente tutta d'un pezzo che si spacca la schiena per tutto il giorno, la sera si gode una buona birra con gli amici e la domenica si ritrova nelle chiese del fondamentalismo battista.

Un'«America - spiega Bageant - che lavora, suda, beve e prega» e che, per quanto paradossale possa apparire, non potrebbe essere più lontana dalla cultura progressista, quella che si prefigge di parlare soprattutto proprio al mondo della working class. «Il proletario americano, l'uomo che lavora usando le mani e il corpo, fabbrica cose o le rimette in funzione, vive in una nazione a parte, popolata da una tribù a parte. - sottolinea ancora Bageant - Vive in un mondo parallelo e misconosciuto rispetto a quello dei progressisti colti di città.

La censura anticomunista come metodo.


di Dino Greco in Liberazione. Fonte: controlacrisi

Per il servizio televisivo pubblico, per la Rai, il Prc, la Federazione della Sinistra, i suoi esponenti non si devono né vedere né sentire. E’ un imperativo categorico, un mandato editoriale ferreo. I dati ufficiali che documentano questa totale cancellazione sono di una spettacolare evidenza. La crociata anticomunista, che dopo l’89 e ancor più dopo l’uscita della sinistra dal Parlamento ha assunto le dimensioni di uno tsunami, è divenuta, nel tempo, il viatico di un oscuramento sostenuto da una compulsiva campagna di disinformazione.

Tanto la maggioranza quanto la minoranza parlamentare, avvinte dal modello bipolare prodotto dal sistema elettorale maggioritario, condividono solidalmente questa conventio ad excludendum. Con poche sostanziali differenze: l’una parte perché caratterizzata da una viscerale avversione per tutto ciò che sa di sinistra, l’altra perché impegnata a dimostrare di essersi depurata di tutte le scorie della precedente appartenenza politica.

Questa convergenza di intenti ha agito potentemente, condizionando i media e permettendo che si erigesse una vera e propria cortina intorno a tutte le iniziative che hanno per protagonista la sinistra comunista. Per non stare sul vago e non inclinare nel vittimismo basta un esempio, il più recente a portata di mano: la grande manifestazione di sabato scorso per l’acqua pubblica.

mercoledì 30 marzo 2011

Approfondiamo il discorso di pace.


Autore: Burgio, Alberto. Fonte: eddyburg

Che cosa c’è dietro le divisioni della sinistra sulle “guerre umanitarie”. Forse una diversa percezione dell’imperialismo?

Il manifesto, 30 marzo 2011

Se la prima vittima della guerra è la verità, la seconda, nel caso della guerra che infuria in Libia, rischia di essere quel che ancora resta dell'unità della sinistra anticapitalista in Italia e in Europa.

Mai come in questo caso le differenze di valutazione sono apparse profonde, sino a tramutarsi in una sorta di conflitto intestino. Vale la pena invece, proprio in occasione dell'appuntamento contro la guerra «umanitaria» del 2 aprile, di riflettere su questo stato di cose.

Perché la mancanza di chiarezza può contribuire all'estinzione di un un campo di forze critiche e alla dissoluzione di culture politiche che in questi vent'anni hanno orientato la lotta dei movimenti contro le «guerre democratiche» e la cosiddetta globalizzazione neoliberista. Parlando di una inversione di ruoli (la sinistra sarebbe diventata interventista, la destra pacifista) la stampa alimenta la confusione.

Ovviamente le cose non stanno così. Il centrosinistra ha una lunga tradizione guerresca (sin dai primi anni Novanta, quando contribuisce alla elaborazione del «nuovo concetto strategico» che trasforma in chiave offensiva la politica estera italiana e che mira a fornire una formale legittimazione all'intervento armato nei Balcani) mentre il centrodestra non è per nulla contrario alla guerra (la Lega ha brontolato solo per rafforzare la propria immagine di baluardo della «Fortezza Europa»).

Non è la guerra che salva i popoli, ma la solidarietà attiva.


di Francesco Bellina. Fonte: sinistraeuropea

E’ trascorsa poco più di una settimana dall’invasione neocoloniale in Libia e già possiamo renderci conto delle prime disastrose conseguenze. Non bastano le fantasie belligeranti dei padroni dell’Europa e del mondo, non si sono ancora stancati delle scuse e degli eufemismi utili a classificare una sporca guerra come “missione di pace” o “aiuto alla resistenza del popolo libico”. I veri motivi di questa guerra e li conosciamo tutti: petrolio, gasdotto, leadership internazionale, Total. Eppure si continua, anche nel centro-sinistra, a dividere le guerre in buone e cattive o giuste e ingiuste, dimenticandosi che una guerra non può mai essere né giusta né necessaria.

Ci si dimentica anche, a pochi giorni dal famoso 17 Marzo (giorno in cui in tanti si sono ricordati della Costituzione italiana), l’esistenza e il contenuto dell’articolo 11 della Costituzione.

E così, un giorno parte del centro-sinistra manifesta con la Carta Costituzionale in mano e, pochi giorni dopo, vota l’intervento in Libia. Ma l’obiettivo del Governo Berlusconi e delle destre, in questo caso, è più becero del solito: non è solo la guerra nella sua accezione propria, intesa come intervento militare; questa volta c’è di più!

BANALITÀ DEL BENE E VECCHIA EUROPA.


di Riccardo Orioles e Fabio D'Urso. Fonte: ucuntu

Adesso dobbiamo scegliere, un'altra voltaScoppia la guerra, salgono le Borse. Dimenticato il Giappone. La guerra fa volare i listini.

Cernobyl è in pieno svolgimento. Ma sta nelle ultime notizie.“Terremoti punizione di Dio, come a Sodoma e Gomorra”.

Di tutte queste notizie (moderno, postmoderno, medioevo) non è che ilSistema non vi informa: il Sistema non occulta più quasi niente. Ma nenasconde il contesto, le affoga nel flusso indistinto del villaggioglobale. Perciò, concretamente, ve le sta nascondendo.

Al tuo bambino, non a un bambino qualunque dall'altro lato delloschermo, cominciano ad avvelenare il latte, nella “normalità”. La guerra è soldi, non nei regimi imperiali dell'Ottocento ma ora, nelsoffice lieve mondo dei Nintendo e degli i-Pad. E Galileo Galilei (di“punizione di Dio” parla il vicecapo degli scienziati italiani, DeMattei del Cnr) se tornasse passerebbe i suoi guai anche oggi.

E tutte queste cose succedono, ma ormai quasi nessuno ci fa caso.

SAVING THE PLANET


Fukushima... live plutonium. Tripoli... spent uranium

martedì 29 marzo 2011

La traiettoria del capitalismo storico e la vocazione tricontinentale del marxismo.


di Samir Amin. Fonte: lernesto -e su altre testate del 13/03/2011 da Monthly Review - http://www.monthlyreview.org%20traduzione/ dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

-Prima parte (1 di 2) - La lunga ascesa del capitalismo

La lunga storia del capitalismo si compone di tre fasi distinte e successive: (1) una lunga preparazione - la transizione dal modo tributario [*], la forma consueta di organizzazione delle società pre-moderne - che durò otto secoli, dal 1000 al 1800; (2) un breve periodo di maturità (XIX secolo), durante il quale l’ “Occidente” ha affermato il proprio dominio, (3) il lungo “declino” causato dal “Risveglio del Sud” (per usare il titolo del mio libro, pubblicato nel 2007) in cui i popoli ed i loro Stati hanno riguadagnato l’iniziativa nella trasformazione del mondo e la cui prima ondata ha avuto luogo nel XX secolo. Questa lotta contro un ordine imperialista, che è inseparabile dalla espansione globale del capitalismo, è di per sé il potenziale fattore operante nel lungo cammino di transizione, oltre il capitalismo, verso il socialismo.

Nel XXI secolo, assistiamo ora agli inizi di una seconda ondata di iniziative indipendenti da parte dei popoli e degli Stati del Sud.Le contraddizioni interne che erano caratteristiche di tutte le società avanzate nel mondo pre-moderno - e non solo quelle specifiche dell’Europa “feudale” - spiegano quelle successive ondate di innovazione socio-tecnologica che avrebbero costituito la modernità capitalistica.

La ondata più antica è giunta dalla Cina, dove i cambiamenti cominciarono nell’era Sung (XI secolo) con ulteriori sviluppi nelle epoche Ming e Qing, che diedero alla Cina un vantaggio in termini di creatività tecnologica e produttività sociale del lavoro collettivo - che l’Europa non supererà fino al XIX secolo. L’onda “cinese” doveva essere seguita da una “mediorientale”, che ha avuto luogo nel califfato arabo-persiano e poi, attraverso le Crociate e le loro conseguenze, nelle città dell’Italia.

La perfetta metafora di Rita.



Sul sito di Forum, al momento, la vicenda della figurante assoldata da Mediaset per assicurare che a L’Aquila si sta benissimo è a zero scuse e a zero rettifiche. Qui si scommette quel che vi pare che finirà anche a zero dimissioni, siamo in Italia e quelli sono al potere.

Uno potrebbe dire un bel chissenefrega, naturalmente. Eppure quello che colpisce in questa vicenda – così come in altre bufale confezionate a Cologno – è proprio la sensazione di impunità assoluta dei padroni del vapore televisivo. Voglio dire, Internet esiste da vent’anni e non è più una nicchia di smanettoni sfigati che la sera si attacca al pc invece di portare fuori la fidanzata.

E ormai lo sanno anche i bambini – e i vecchietti – che il controllo diffuso delle notizie da parte degli internauti è un meccanismo che bene o male funziona, perfino in Italia, e che rende il Web un cane da guardia del potere (incluso quello mediatico) dal ruolo inestimabile, con buona pace dei vari Lanier e Morozov. Eppure, questi, se ne fottono.

Continuano a spacciare le loro balle orwelliane con l’indifferente sicumera di chi sa che tanto ‘passano’, se le bevono, svolgono insomma il loro ruolo nella creazione e nel mantenimento del consenso. Non è che sono stupidi, se vanno a farsi beccare così. E’ che semplicemente non gli importa nulla di essere sbugiardati.

Il ‘debunking’ infatti verrà letto da una percentuale irrisoria di telespettatori di Forum. Tutti gli altri, la pancia di questo Paese, non ne verrà mai a conoscenza. Per i tanti motivi che sappiamo, e cioè la frequentazione ridottissima dei giornali e del Web a fronte di una massa enorme che guarda solo la tivù. Insomma, la messinscena ha comunque funzionato. L’obiettivo di fabbricare il consenso è stato raggiunto. E pazienza se qualche accigliato lettore di blog o di quotidiano aggiungerà un’altra briciola alla sua inutile indignazione.

Il tutto, in fondo, è una perfetta metafora dello stato della democrazia e dell’informazione in Italia. Non è vero che non c’è libertà di stampa, ce n’è quanta ne vogliamo. Quello che conta, tanto, è che lo sbugiardamento dei media del potere raggiunga una quota molto minoritaria di popolazione.

Quindi, per la grande massa degli italiani, «in Abruzzo Berlusconi non ha fatto mancare niente», come dice la figurante di Forum. E, ovviamente, contro di lui è in atto una persecuzione giudiziaria, le feste di Arcore erano cene eleganti, il premier non si è mai occupato di diritti tivù, la Consulta è comunista, Ruby poteva benissimo essere la nipote di Mubarak e la Santanchè ha un master.

SUMMIT IN LONDON. Sorry, no bunga-bunga.

lunedì 28 marzo 2011

Sciopero precario.


San Precario incontra Toni Negri. Fonte: precariaorg

VOGLIA DI SCIOPERO PRECARIO IN PREPARAZIONE DEGLI STATI GENERALI DELLA PRECARIETA’, ROMA, 16-17 APRILE 2011 GIOVEDI’, 24 MARZO 2011, h. 21.00, TEATRO I

Quando della precarietà se ne parlava sottovoce, negli angoli bui delle camere del lavoro o delle sedi sinda-cali, noi sparavamo 10.000 watt d’impianto per le strade di Milano.

Quando tutti dicevano che era una congiuntura, noi si affermava certi che “precario è per sempre” e poi ci hanno detto che era una congiura dei più cattivi, dei più scorretti e noi abbiamo dimostrato che era regola.

Quando ci hanno detto che la precarietà poteva essere abolita cancellando la legge trenta, noi abbiamo ricordato la Treu, la Bossi-Fini e la Turco-Napolitano rispondendo che no, la precarietà è sociale, diffusa radicata.

Quando ci han detto che era sufficiente diminuire i contratti lavorativi abbiamo riso, e abbiamo raccontato di come la precarietà c’entri poco con i contratti atipici e tanto con il profitto delle aziende. Abolire la precarietà è colpire il profitto delle aziende: sì, ci piace, abbiamo detto, ma a chi aveva iniziato il discorso non piaceva più.

Quando ci ammiccano dicendo che abbiamo ragione, ma finché non c’è lo sviluppo, la precarietà non potrà essere combattuta, noi sorridiamo convinti di essere al cospetto di furbettini che sanno bene che è il contrario: finché c’è la precarietà non ci sarà sviluppo.

Ora vogliamo parlare di sciopero precario, vogliamo iniziare a discutere di come sia possibile consentire a tutti/e i/le precari/e di far sentire la propria voce, alzare la testa, sabotare i profitti di chi specula su di noi, precarizzare i precarizzatori.

Ora vogliamo discutere di come rispondere quando, senza più idee, ci si chiede: ma come ne usciremo da questa situazione? Finalmente, una domanda intelligente e una risposta chiara: sciopero precario.

Teatro I, Via Gaudenzio Ferrari 11, 20123 Milano N.B.: LEGGERE ATTENTAMENYTE E MANEGGIARE CON CAUTELA. Incontro in preparazione degli Stati Generali della Precarietà di Roma, 16-17 aprile. Prossimo in(S)contro, mercoledì 4 aprile con GIORGIO CREMASCHI.

I lunedì dell'imputato Berlusconi.



di Marco Travaglio. Fonte: passaparola

Buongiorno a tutti, il tempo di fare le condoglianze a Angela Merkel, l’ultima vittima delle nomination porta sfiga di Berlusconi, sapete che non appena Frattini ha annunciato un’iniziativa comune franco – tedesca sulla Libia, la Merkel ha perso rovinosamente le elezioni, la sua speranza è che si smarchi dalla linea Berlusconi, in modo che potrà garantirsi un sereno e proficuo e meraviglioso futuro politico, il tempo di avvertire che è partita la battaglia per chiudere Anno Zero e quindi altre trasmissioni di approfondimento televisivo per un mese e mezzo con la scusa delle elezioni amministrative, esattamente come era stato fatto l’anno scorso.

Figuranti al Tribunale

Il tempo di domandarsi il perché dello stupore se la Signora Rita Dalla Chiesa a Forum utilizza una figurante, spacciandola per una terremotata de L’Aquila che in diretta spiega ai cittadini italiani come è andata bene la ricostruzione, come è completata la ricostruzione de L’Aquila, mentre basta andare a L’Aquila per rendersi conto del fatto che non hanno ricostruito neanche una capanna, neanche un canile, è tutto un paese di figuranti. Berlusconi questa mattina ne aveva reclutati un certo numero, cioè un suo sottosegretario, un certo Mantovani che via sms aveva lanciato il reclutamento, la chiamata alle armi per assieparsi tutti quanti sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per testimoniare la propria solidarietà a un imputato per reati gravissimi che tra l’altro è anche il Presidente del Consiglio, si sono presentati al suo ingresso in 49 e alla sua uscita, dopo l’udienza preliminare erano arrivati a 100, quindi diciamo che le capacità di reclutamento del Presidente del Consiglio che dice di avere dalla sua parte la stragrande maggioranza degli italiani, sono piuttosto scarsine e probabilmente stasera nei telegiornali ci racconteranno che una folla oceanica ha accompagnato, anzi forse ha portato in trionfo il Premier verso uno dei suoi processi, il processo Mediatrade dove è accusato di frode fiscale e appropriazione indebita, di avere derubato la sua azienda, peraltro quotata in borsa, per mettersi in tasca fondi neri insieme ai suoi manager, utilizzando le triangolazioni tra società estere e società estera nell’acquisto di diritti di film, di programmi televisivi dall’America, fatti rimbalzare da una società all’altra e a ogni rimbalzo gonfiandone artificiosamente il prezzo.

Una primavera di piazze e di scioperi: basterà per liberarsi da questo governo?



Non è solo l’arrivo della nube di Fukushima che ci costringe ad alzare gli occhi al cielo in questo drammatico inizio di primavera e di quaresima. Mentre i telegiornali ci insegnano i nomi degli aerei da combattimento, in pochi ci ricordano che le armi con cui Gheddafi sta massacrando il popolo libico sono targate Finmeccanica.

È sempre antipatico fare i conti con le proprie ipocrisie. Intanto il calendario sembra voler giocare con le coincidenze: la Pasqua di Resurrezione cade il 24 aprile; il giorno dopo, pasquetta, è la festa della Liberazione. Chi si è lamentato perché la festa del 17 marzo avrebbe danneggiato le imprese (Marcegaglia), fingeva di non aver sfogliato i mesi successivi: persino il 1° maggio, quest’anno, cade di domenica. L’unica cosa che non cade è il governo. Sfortune cicliche. Quasi nessuno pare illudersi che il governo più pericoloso della storia repubblicana possa cadere entro il prossimo mese. Sarebbe, senza ombra di dubbio, un 25 aprile indimenticabile. Forse, oggi, a molti elettori di sinistra non basterebbero nemmeno le dimissioni di B per sollevare un umore gravato dal nuovo incubo nucleare, dall’ennesima guerra in cui ci ritroviamo coinvolti e dal lavoro che continua a non esserci.

Davanti ad eventi di tale portata, rischiano di passare inosservati i piccoli tsunami con i quali il governo sta radendo al suolo lo stato di diritto, picconando quotidianamente la casa degli italiani. In attesa della “liberazione”, il calendario dell’Italia civile ci segnala altre tre date importanti: sabato 2 aprile Gino Strada e il popolo della Pace chiama a raccolta tutti coloro che sono contro la guerra “senza se e senza ma”. Il mercoledì successivo, mentre in un’aula del tribunale di Milano qualcuno si ostinerà a fare il proprio dovere – comportandosi come se la legge fosse ancora uguale per tutti -, gli aquilani – e non solo loro – ricorderanno, insieme, il terremoto del 6 aprile 2009.

La verità su Fukushima.

La verità su Fukushima di Beppe Grillo. Quando si saprà la verità sugli effetti di Fukushima forse vorremo cambiare pianeta. Siamo arrivati al livello 7. Il massimo possibile. Il livello 8 nessuno sarà in grado di raccontarcelo. Uno studio commissionato da Greenpeace Germania a un esperto tedesco di sicurezza nucleare, rivela da giorni che l'incidente di Fukushima "ha già rilasciato un tale livello di radioattività da essere classificato di livello 7, secondo l'International Nuclear Event Scale (INES)". È il livello massimo di gravità per gli incidenti nucleari, raggiunto solo da Chernobyl. Secondo Greenpeace, la quantità totale di radionuclidi di iodio-131 e cesio-137, rilasciata a Fukushima tra l'11 e il 13 marzo 2011, equivale al "triplo del valore minimo per classificare un incidente come livello 7 nella scala INES". Ps: Le "Facce da nucleare" dell'opposizione che si sono assentate alla votazione per l'accorpamento del referendum con le elezioni amministrative sono: Capano, Cimadoro, Ciriello, D'Antona, Farina, Fassino, Fedi, Gozi, Madia, Mastromauro, Porcino, Samperi.- Scarica il volantino delle "Facce da nucleare" e diffondilo- Partecipa a "Spegni il nucleare" con il referendum su FB Postato il 27 Marzo 2011 alle 17:36 in Scrivi Ascolta Stampa
NUCLEAR ITALY (postcard from Naples for Prof. Veronesi paladin of nuclear energy)

domenica 27 marzo 2011

I segni della sconfitta della rivoluzione in Libia.

di Saoud Salem. Anarchico libico. Fonte: anarkismo Condanniamo questa risoluzione internazionale. E respingiamo totalmente ogni intervento straniero in Libia, da qualsiasi parte, e specialmente quello francese. Quella Francia, che ha venduto a Gheddafi armi per un valore di miliardi, armi che ora vengono usate per colpire i libici, quella stessa Francia che ha continuato a fare affari con Gheddafi fino a 3 settimane fa. Noi condanniamo questo intervento che trasformerà la Libia in un inferno peggiore. Si tratta di un intervento che ruberà la rivoluzione agli stessi libici, una rivoluzione che sta costando loro migliaia di morti fra uomini e donne. E' un intervento che dividerà la stessa resistenza libica. Ed anche se queste operazioni riuscissero a far cadere Gheddafi (o ad ucciderlo) come fu per Saddam Hussein, vorrà dire che dovremo agli Americani ed ai Francesi la nostra libertà e possiamo stare sicuri che ce lo ricorderebbero ogni istante. Come possiamo accettare questa situazione? Come spiegheremo tutte queste vittime alle generazioni future e tutti quei cadaveri ovunque? Essere liberati da Gheddafi solo per diventare schiavi di coloro che lo hanno armato e lo hanno sostenuto in tutti questi anni di violenza e di repressione autoritaria?

Un po' oltre questa fase.

di Andrea Ermano. Fonte: avvenirelavoratori

“Che ci facciamo noi laggiù?” – chiedono i media britannici al premier Cameron con riferimento alle operazioni militari in Libia. E sembra che già un mese fa da Londra siano partite un bel po’ di truppe speciali per preparare l'insurrezione, riferisce il Sunday Mirror. Un mese dopo, gli insorti di Bengasi sono stati sottratti al “bagno di sangue” ed è senza dubbio un bel risultato umanitario. L'operazione Odissea all’alba non ha sortito effetti specifici sulla tirannia di Gheddafi, causando invece una scossa di assestamento nel “nuovo ordine mondiale”, con il quadrilatero Brasile-Russia-India-Cina (BRIC) che rivendica ormai una sua primazia di affidabilità a fronte dello scoordinamento euro-americano. Ora tutti si appellano alla “soluzione politico-diplomatica”, che prevedibilmente sarà fonte di nuove tensioni. <> Fatichiamo a cogliere l'esatta finalità di tutto questo. Proviamo allora a ripercorrere alcune notizie dell'ultimo anno, apparentemente disparate. Nell’estate scorsa, mentre Mosca si vedeva assediata dagli incendi per siccità, giunse dal Cremlino la notizia secondo cui erano state sospese fino a nuovo ordine le esportazioni di grano, cosa che – diessero subito avveduti commentatori – avrebbe nuociuto all’Egitto, dipendente dalle forniture cerealicole russe.

Sempre nell'estate scorsa, quando Marchionne avviò il suo rilancio condizionato di Pomigliano d’Arco, presero a circolare strategie aziendali sulla nuova area emergente dell’economia globalizzata, che si estenderebbe dall’Iraq al Marocco. In autunno si parlò della strana "campagna d’Africa" che Pechino porta avanti ormai da tempo con l’acquisto massiccio di terreni coltivabili, materie prime, beni alimentari ecc. Sotto Natale siamo stati informati che incombeva sull’Africa e altre regioni povere del mondo uno spaventoso aumento dei prezzi alimentari.

Era il risultato dell’embargo russo e del consumismo cinese nonché delle consuete speculazioni finanziarie (futures ecc.) che i nostri garzoni di borsa moltiplicano per ritagliarsi una fetta di lesso. A febbraio ci siamo svegliati stupefatti: tumulti nel mondo arabo per il pane!

In piazza, perché sull'acqua e il nucleare siamo noi a decidere.


di Alfiero Grandi, Fonte: paneacqua

La scelta di promuovere i referendum per chiudere l'avventura nucleare in Italia e per garantire che l'acqua resti un bene pubblico entra nel vivo. A questo punto l'obiettivo è realizzare il quorum per garantire l'efficacia del referendum e ottenere la maggioranza dei SI per abrogare le leggi sottoposte a referendum La manifestazione di sabato 26 marzo apre di fatto la campagna elettorale per i referendum su nucleare e acqua.

La scelta di promuovere i referendum per chiudere l'avventura nucleare in Italia e per garantire che l'acqua resti un bene pubblico entra nel vivo. A questo punto l'obiettivo è realizzare il quorum per garantire l'efficacia del referendum e ottenere la maggioranza dei SI per abrogare le leggi sottoposte a referendum. E' un impegno di grande rilievo. I referendum non realizzano il quorum da quasi 20 anni, la partecipazione al voto è in caduta libera. Riportare elettrici ed elettori a votare è anzitutto un ricostituente per la partecipazione democratica. Argomenti come il no al nucleare e l'acqua bene pubblico possono essere in grado di convincere elettrici ed elettori che questa volta vale la pena andare a votare e decidere il futuro del nostro paese su scelte di grande rilievo come queste.

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