di Riccardo Orioles e Fabio D'Urso. Fonte: ucuntu
Adesso dobbiamo scegliere, un'altra voltaScoppia la guerra, salgono le Borse. Dimenticato il Giappone. La guerra fa volare i listini.
Cernobyl è in pieno svolgimento. Ma sta nelle ultime notizie.“Terremoti punizione di Dio, come a Sodoma e Gomorra”.
Di tutte queste notizie (moderno, postmoderno, medioevo) non è che ilSistema non vi informa: il Sistema non occulta più quasi niente. Ma nenasconde il contesto, le affoga nel flusso indistinto del villaggioglobale. Perciò, concretamente, ve le sta nascondendo.
Al tuo bambino, non a un bambino qualunque dall'altro lato delloschermo, cominciano ad avvelenare il latte, nella “normalità”. La guerra è soldi, non nei regimi imperiali dell'Ottocento ma ora, nelsoffice lieve mondo dei Nintendo e degli i-Pad. E Galileo Galilei (di“punizione di Dio” parla il vicecapo degli scienziati italiani, DeMattei del Cnr) se tornasse passerebbe i suoi guai anche oggi.
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E' urgentissimo, è anzi la cosa più urgente e più vitale di tutte,ripristinare almeno un minimo di informazione. L'informazione non esiste più, è quasi tutta infotaiment o rumore di fondo. Oscura senzamentire apertamente, mescolando accortamente le priorità e i contesti,agendo cioè non più (come una volta) con la censura ma con unacompatta egemonia culturale. (Certo, la censura c'è ancora: internetalla cinese è il sogno di tutti i governi, nostro compreso. Ma non èpiù essenziale).
Il Grande Fratello ora è una cosa “simpatica”, da “consenso”; quellovecchio di Orwell, in confronto, era primitivo. Ma questo funzionaassai meglio, ci separa ancor più dal mondo vero, illudendoci distarci dentro. I contenuti, in altri termini, sono sempre più “loro”.
In questa situazione non è più la singola notizia strappata, lo scoop,che fa la differenza; né il giornalista singolo può illudersi diservire a qualcosa. Se scopre una verità, lo applaudono e gliela usano(Saviano è un esempio) nel contesto loro. Controllando il contesto,tutto il resto – al massimo – diventa fiore all'occhiello.
Vi mostrerei – se fossi Philip Dick - il guerriero apache che corre disperatamente contro il fortino, brandendo il suo arco e le frecce, con sovrumano coraggio; e a sua insaputa lo riprende una webcam, lo mette in rete, e un regista lo monta – a sua insaputa – nella fiction del Wild West che va in onda ogni sera su Fox: “che romantici gliindiani!”. E cade anelante ai piedi del fortino, felice di averscagliato un'ultima freccia piumata, mentre negli schermi tv la suafigura ansante già sfuma nello spot del McDonald che chiude lapuntata.
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Non basta essere giornalisti, bisogna fare i giornali. “Giornale” oggiè una parola larghissima, che va dall'Asahi Shinbun (il più grandequotidiano del mondo, che decontestualizza dodici milioni digiapponesi al giorno) all'ultimo filmato di Youtube, passando pertutti i modelli di media vecchi e nuovi (compreso il nostro), senzache ci sia più una tecnologia egemone a dargli un senso. “Giornale”, oggigiorno, è essenzialmente un contesto. Che per noi è umanistico,per gli altri è commerciale.“Ucuntu” (o un raduno di Libera, o un coro alpino) è un esempio dicontesto. “Repubblica” (o una pubblicità di McDonald, o un master ineconomia aziendale) un altro. I primi son molto piccoli,“ininfluenti”; ma hanno radici umane. I secondi sono (qui ed era)egemoni; ma sono dei prodotti industriali. Ma nella storia è successomolte volte che dei contesti piccoli, “isolati”, siano alla fineconfluiti in un contesto nuovo, generale.
Questo è il nostro lavoro. Non diamo (solo) informazioni; apriamosoprattutto spiragli su qualcosa che intuiamo oscuramente, di cuisappiamo solo che è molto grande - e che è già in noi.
Per questo crediamo tanto nella rete - tanti contesti piccoli checonfluiscono in un fiume solo - e nelle tecnologie, che ci danno lapossibilità concreta ed economica di diffondere dappertutto questaidea. Non si è mai data, nel corso della storia, una tale occasione.
Non la possiamo sprecare.
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Così, nelle modeste cose che ci tocca ogni giorno di fare, non devemai smarrirsi questa prospettiva. A Catania - ad esempio - noilottiamo in questo momento sia per salvare le povere scuole deibambini di quartiere (il Gapa, l'Experia, gli scout di Librino) cheper imporre ai potenti di ritirare le mani dal Palazzo di giustizia,che di giustizia dev'essere e non di potenti.
Abbiamo storie lunghissime, su entrambi i fronti; il Gapa di SanCristoforo lavora lì da oltre vent'anni; di una Procura estranea allacittà dei poteri un uomo come Scidà parlava già – perseguitato giàallora – da metà anni Novanta.Due lotte diversissime, di persone diverse, tipicamente “locali”.
Eppure, vivendole insieme e collegandole alle decine di analoghe, allecentinaia e alle migliaia di persone che in qualche parte d'Italia sibattono per esse, otterremo alla fine (e questa è l'unica viarealistica, non certo quella giocata nei palazzi) qualcosa di largo egenerale; intravediamo un'Italia ben diversa; un contesto.
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Esseri umani disperati, a migliaia; la fame, la paura. La soluzione?"La soluzione? Föra di ball!" sghignazza, con un gesto osceno, il politico numero uno. “Vengano nella mia terra: noi li accoglieremo”azzarda timidamente il politico numero due.
Chi ha ragione dei due, e in che contesto? In uno, ma a forza dibombe, si può “mandar via”, e vivere tutti quanti nella paura.
Nell'altro, con il lavoro e la carità, si può vivere stretti all'inizio, ma in modo sempre più accettabile e più umano.Possono crescere, i bambini, bianchi e neri; oppure tirare a sorte (“tu sì tu no tu no tu forse”) il loro eventuale avvenire. Fra i due contesti diversi, l'Europa ha già dovuto scegliere altre volte. Scelgadi nuovo, adesso; sperando che stavolta possa vincere la banalità delbene.
Riccardo Orioles e Fabio D'Urso
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