Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 4 maggio 2013

Leon: “L’Italia guidi i paesi indebitati”

Fonte: il manifesto | Autore: Antonio Sciotto                             
 
Intervista a Paolo Leon , economista
L’economista Paolo Leon propone che l’Italia, invece di presentarsi in condizione di inferiorità davanti a Germania e Ue, si allei a Cipro, Grecia, Spagna e Portogallo per avere più voce. E la Bce? Dovrebbe comprare i debiti.
«Il governo Letta ha avuto una apertura di credito dalla Ue, ma pur sempre molto limitata. I margini sono stretti: non si può escludere che il Pil non peggiori, e con esso il deficit, richiedendo nei prossimi mesi nuove misure». L’economista Paolo Leon non è fiducioso rispetto alla capacità di contenimento del bilancio, a differenza della Commissione Ue e del neo ministro Fabrizio Saccomanni. Inoltre, suggerisce che l’Italia cambi il suo modo di rapportarsi all’Europa: «Dobbiamo capire che in questo momento andare in Germania è come andare negli Usa: di fatto la Ue non esiste, siamo di fronte a interessi nazionali contrapposti. Io fossi stato in Letta avrei incontrato i grandi affiancato dal ministro degli Esteri. E mi farei sentire di più ai tavoli europei: siamo la terza economia dell’euro, e se andiamo male noi crolla tutto; possiamo dire qualche no. E aggiungo un’idea: coalizziamo i paesi in difficoltà, Cipro, Portogallo, Spagna e Grecia. Avremmo molto più potere negoziale, perché i paesi ricchi sono interessati a che noi non ci sottraiamo al pagamento dei debiti».
Quindi nonostante si vada verso la fine della procedura di infrazione Ue, la situazione resta grave.
La situazione rimane gravissima. Perché non ci sono segnali di aumento della domanda, nè dai consumi nè dagli investimenti. Un po’ forse si potrebbe muovere l’export, grazie al taglio dei tassi della Bce. Ma questo forse contribuirà più a favorire i tedeschi rispetto agli italiani.
La Ue però, seppure rinvii la ripresa all’anno prossimo, sembra dare fiducia al governo Letta.
Sì, c’è indubbiamente un’apertura di credito, per quanto molto limitata. Diciamoci anche che le valutazioni sul deficit, con uno 0,2% in più o in meno, sono anche molto tarate sul fatto che un governo sia gradito alla Ue e in particolare alla Germania. Ci vedo in quelle valutazioni poca scientificità e molta politica.
È gradito, cioè, come lo era quello di Monti. Ma possiamo parlare di un bis di Monti senza Monti?
È un misto, un cocktail. Non è certo Monti, che aveva una sola direzione, quella del rigore. Questo governo ha bisogno di consenso popolare, perché è molto difficile da tenere insieme. Berlusconi fin dall’origine era per sfondare i tetti Ue, per avere crescita sufficiente. Il Pd – visto come il «partito delle tasse» – si rende conto che se si conferma l’attuale tasso di disoccupazione non si può reggere. C’è dunque una convergenza dei due partiti per far passare misure che creino un qualche consenso, ma non hanno la cultura sufficiente per agire con efficacia.
E inoltre al momento sono divisi tra l’Imu e le tasse sul lavoro.
Sono due prospettive diverse. L’Imu vorrebbe aiutare la domanda, ma le cifre che si lascerebbero in tasca alle famiglie sono talmente esigue che si avrebbero ben pochi effetti. Io piuttosto credo che il Pdl insista per far cadere il governo prima o poi, o per farsi ripagare in termini politici, ad esempio con la presidenza della Convezione a Berlusconi. Dal lato del Pd c’è la solita ottusità di chi continua a vedere il problema nell’offerta, e non nella domanda. Pensano che abbassando il costo del lavoro si passi a produrre di più: ma per vendere cosa a chi, se la domanda è ferma? Senza contare che per avere riduzioni notevoli, ci vorrebbe il triplo delle risorse di cui si parla. Il vero cambiamento sarebbe invece quello di trasformare alcune spese da improduttive a produttive.
Può farci qualche esempio?
Le grandi opere, come la Tav o il Ponte, sono stupidaggini che non danno lavoro a breve. Con quei soldi finanziamo piccole opere locali.
Aiuterebbe rimodulare le aliquote fiscali? O una patrimoniale?
Se riuscissimo a evitare la fuga dei capitali sì, ma è difficile che con nuove tasse non si freni la domanda. Bisogna ridurle, le imposte, perché determinino domanda.
Luciano Gallino, ieri sul nostro giornale, proponeva che i paesi europei chiedessero un prestito di 100-200 miliardi alla Bce per un grande piano del lavoro e delle infrastrutture. Dall’altro lato Mario Draghi taglia i tassi. Sono ricette efficaci per rilanciare lo sviluppo?
Sono due ipotesi diverse, e mi trovo d’accordo con quella di Gallino. Prendiamo gli Usa: é vero che tengono i tassi bassi, ma la crescita l’hanno riacchiappata grazie al primo mandato di Obama, che ha iniettato molti miliardi nell’economia. Il taglio del costo del denaro, da solo, non basta: è anzi, direi, del tutto inutile, e dannoso per la Bce, che stampa nuova moneta, subito sterilizzata per l’assenza di domanda. Le banche non prestano perché le regole di Basilea vietano di dare finanziamenti se non hai capitali adeguati; ma il capitale delle banche è costituito dagli stessi prestiti: quindi è un cane che si morde la coda. La Bce deve finanziare i disavanzi o gli investimenti pubblici: comprare il debito corrispondente agli investimenti, come si è sempre fatto nei momenti di crisi, come faceva Delors. Manca il coraggio e la cultira per farlo: era un’idea comunissima fino al 1985, ma si è perduta perché paesi come Germania e Olanda, mercantilisti e protezionisti un po’ come lo erano nel Medioevo, non ci credono. I paesi ricchi, in surplus, sono forse più responsabili della crisi che non quelli indebitati: l’austerità nasce dal fatto che chi è in surplus non ha aumentato la propria domanda quanto necessario per mettere gli altri paesi nelle condizioni di vendere loro le merci.
Un Paese indebitato come l’Italia, dunque, come dovrebbe agire?
Io credo che Letta debba pazientare almeno fino alle elezioni tedesche. La Germania e l’Olanda giocano il loro consenso interno alimentando l’egoismo verso i paesi indebitati, nascondendo che lo sviluppo verrebbe, al contrario, proprio facendo ripartire la domanda da parte loro, e l’export di chi è indietro. Noi però sbagliamo a considerare i rapporti con questi paesi come se la Ue contasse qualcosa: quando Letta incontra Merkel, siamo al contrasto puro tra due interessi nazionali, come poteva essere negli anni Trenta. Perciò io, fossi stato in lui, sarei andato con il ministro degli Esteri. E ai consigli d’Europa puoi dire qualche no, visto che se l’Italia o la Spagna non pagano i debiti, per gli altri è un disastro. Io lancerei una «alleanza dei poveracci», guidata dall’Italia, che contrasti e faccia da contrappeso alla cattiveria dei paesi ricchi.
Una «Lega dei Piigs», potremmo dire. Come vede la nuova squadra di governo? Potrà essere efficace?
Sono ottimista di natura. Certo, una volta distrutto il Pd e la rappresentanza a sinistra, è dura che si possa fare qualcosa di ragionato. Ma persone come Saccomanni o Giovannini, in posti nuovi, potrebbero caratterizzarsi proprio per voler fare qualcosa di inedito. Sulla riforma Fornero, ad esempio, io non andrei a liberalizzare ancora: questo non aumenta i salari nè i posti. Piuttosto, cerchiamo di rilanciare l’economia, e puntiamo sulla produttività, ma nei contratti nazionali. Positivo mi sembra anche il nuovo ministero Kienge, contro le discriminazioni.
Che ne pensa del reddito minimo garantito? Lo si deve introdurre?
Penso che sia necessario, soprattutto in fase di alta disoccupazione e inoccupazione. Difficile però che ricchi e medio-ricchi la accettino, perché di fatto aumenta la progressività delle imposte. Inventeranno un nuovo sussidio o metteranno insieme quelli già esistenti? Vedrei favorevolmente questa ultima ipotesi, anche per razionalizzare il welfare. Ma è una misura che ha senso solo se si autoesautora nel tempo, se il governo lavora per superare la crisi e realizzare la piena occupazione. Idealmente preferirei che una persona lavorasse, e che non avesse bisogno di aiuti: a questo dovremmo tendere.

L’austerity uccide

Fonte: Il Fatto Quotidiano | Autore: Daniele Guido Gessa
“10mila suicidi e 1 milione di depressi”
L’austerity ci sta letteralmente uccidendo. È la conclusione di uno studio di due ricercatori, uno britannico e uno americano, che questa settimana pubblicheranno un libro sugli effetti della crisi economica e delle politiche di contenimento della spesa pubblica sulla salute collettiva di europei e statunitensi. Secondo un economista dell’Università di Oxford, David Stuckler, e un medico epidemiologo dell’Università di Stanford, Sanjay Basu, alla stretta dei conti sarebbero imputabili, dal 2009 a oggi, oltre 10mila suicidi e un milione di casi di depressione. Ma non è tutto. A causa dello stop alle politiche preventive in Grecia, nel Paese ellenico, dal 2011 a oggi, le infezioni da HIV sono aumentate del 200% e per la prima volta dopo decenni è ricomparsa la malaria. Così, allo stesso modo, in Europa e Stati Uniti, l’aumento della disoccupazione unito al taglio alle campagne sociali ha visto l’abuso di droghe da parte dei giovani aumentare del 50%. Niente di strano, dice ora il team della ricerca, soprattutto considerando che, a causa della crisi, cinque milioni di americani hanno perso in questi ultimi anni l’assistenza sanitaria e oltre 10mila famiglie, nel Regno Unito, sono diventate ufficialmente senza fissa dimora.
Lo studio di Stuckler e Basu sta già tuttavia sollevando le prime critiche relative a un eccessivo “allarmismo”. L’agenzia di notizie Reuters ha dedicato un lungo speciale alla ricerca, che è arrivata anche sul tavolino del governo del Regno Unito guidato dal conservatore David Cameron. Fonti governative hanno cercato di minimizzarne la portata, ma da parte di Stuckler e Basu sono arrivate le conferme dei loro risultati. “Anche perché – ha detto Basu – quello che emerge è che un peggioramento della salute collettiva non è un’immediata conseguenza della crisi economica, ma spesso è il frutto di una precisa scelta politica da parte di chi ci governa”. Come a dire, a volte la crisi può anche far bene alla salute, ma se la crisi viene affrontata con l’austerity, le cose peggiorano. I due ricercatori, infatti, hanno citato un altro studio, pubblicato non molto tempo fa dall’Università di Madrid. A Cuba, dopo la fine dell’influenza sovietica e del relativo contributo economico che arrivava dalla Russia, la popolazione dimagrì e fu anche a rischio di denutrizione. Ebbene, ricordano Stuckler e Basu, l’Università di Madrid ha fatto notare come una diminuzione del peso, in media, di 5 chili a persona abbia portato a un abbattimento del diabete, delle malattie cardiache e coronariche. “A volte, quindi, essere poveri fa bene alla salute”, la conclusione dei due.
Eppure, nel caso attuale, la politica ci ha messo lo zampino. “Basti pensare a che cosa è avvenuto in Svezia. Le politiche sociali e di welfare di quel Paese, in seguito all’ultima recessione, hanno fatto diminuire drasticamente l’alto numero di suicidi. Cosa che invece non è avvenuta nei Paesi vicini che non hanno attuato le stesse politiche. Così, allo stesso modo, in Grecia si è visto che tagliare le spese di prevenzione non ha fatto altro che far aumentare in modo esponenziale l’incidenza dell’HIV, mentre la mancanza di denaro per serie disinfestazioni da insetti ha persino fatto tornare la malaria”. I soldi, insomma, quando sono pochi andrebbero investiti meglio, è il suggerimento dei due ricercatori, perché anche e soprattutto in periodi di crisi bisogna salvaguardare la salute collettiva. Infine, lo studio ha messo in luce anche come la depressione “generalizzata” abbia portato a un aumento di uso e abuso di alcool e sostanze stupefacenti. “Tutte condizioni che fanno abbassare la guardia e anche per questo, non solo in Grecia, si sta notando un aumento delle infezioni da HIV”.

L’Europa vista con gli occhi dell’est

di Paolo Rumiz

Anticipazione

Anticipiamo un brano dalla prefazione di Paolo Rumiz al libro di Paolo Bergamaschi “L’Europa oltre il muro” sui paesi dell’Est tra sconvolgimenti economici e crisi sociali, tra conflitti e integrazione

Sta per arrivare in libreria “L’Europa oltre il muro. Venti anni di viaggi nei Paesi dell’Est” di Paolo Bergamaschi, prefazione di Paolo Rumiz, postfazione di Daniel Cohn-Bendit, Infinito edizioni (176 pp., 13 euro), la storia di vent’anni di viaggi nell’Europa orientale in nome e per conto del Parlamento europeo di un pacifista incidentalmente consigliere parlamentare europeo – ma anche musicista e cantautore – dalla caduta del Muro di Berlino a oggi, dall’Atlantico all’Asia Centrale. Presentiamo un’anticipazione dalla prefazione di Paolo Rumiz.
Dura lavorare per la politica estera di una potenza disarmata, un gigante economico senza esercito. Un dannatissimo affare rappresentare una Babele indecisa e condannata a rincorrere le crisi che bussano alle sue frontiere. L’avete capito, è l’Unione europea. E chi scrive è di quelli che la conoscono meglio, il più vecchio dei consiglieri (“senior adviser” si dice) nella commissione esteri del Parlamento a Bruxelles. Diciott’anni di carriera dal tempo della dissoluzione jugoslava all’incendio del Maghreb, con in mezzo l’orrore ceceno, l’Ossezia, l’Abchazia, il Nagorno-Karabakh, per non parlare della mina inesplosa di Cipro, del Kosovo e della guerra civile macedone.
È la storia di un italiano, nato sulle sponde del grande fiume monosillabico. Un uomo di nebbia e musica, pieno di passione civile e inquietudine nomadica, uno che dal tempo dell’infanzia non ha smesso di tirare sassi nello stagno, dribblare i meandri, studiare l’espansione dei cerchi concentrici sulla superficie dell’acqua ferma nelle lanche, e soprattutto di giocare con la corrente dei fiumi e della storia. Diciott’anni di viaggi dall’Atlantico all’Asia Centrale, un’esperienza unica e irripetibile, a esplorare focolai di crisi nella ricerca di dare all’Unione le premesse di una politica di sicurezza comune più veloce, coerente e assertiva di quanto non permetta l’assemblaggio dei suoi 27 componenti.
Eppure da questo diario di viaggio esce che l’Europa esiste eccome, è un paesaggio, un retroterra comune, una sensibilità che ci rende diversi. Lo so da sempre quanto è dolce tornare nella Terra del Tramonto, là dove le identità si addensano e – dopo due catastrofi mondiali – non hanno alternativa alla convivenza; conosco bene quanto è rassicurante gustare i frutti dei suoi settant’anni di pace, riempirsi gli occhi del verde dei suoi boschi, assaporare la sicurezza del suo welfare, ascoltare la sua musica e le parole dei grandi che l’hanno formata da Roma in poi, attraverso il tempo dei Carolingi fino a quello dei padri fondatori dell’Unione. Lo capisci bene solo se vieni dalle terre polverose della dittatura, quelle dove la vita non vale nulla e la spietatezza è la regola (…).
Ma dietro all’inquietudine migratoria di chi scrive, dietro all’infinito viaggiare che lo obbliga a fare i conti col mondo in un estenuante pendolarismo fra l’argine del fiume natio e le complicate frontiere dell’Est, non c’è solo l’istinto insopprimibile del partire. C’è anche la scuola di un grande italiano di nome Alexander Langer, colui che per primo lo volle a Bruxelles, lasciandogli tracce indelebili nell’anima. Langer, che di lì a pochi mesi si sarebbe tolto la vita per l’incapacità di reggere al cinismo di troppi che gli lavoravano al fianco. Langer, il “viaggiatore leggero”, uno dei massimi statisti del dopoguerra; un vero europeo, ascoltato con reverenza a Bruxelles, ma snobbato nel suo Paese natale. Questo libro porta il suo segno, ed è al tempo stesso un riconoscimento nei suoi confronti.

venerdì 3 maggio 2013

Smettiamola di vivere per lavorare

- Comuneinfo -

La festa dei lavoratori è un’occasione non solo per pretendere il rispetto dei diritti di tutti i lavoratori del mondo, ma anche per ripensare la nostra relazione con il lavoro. Per sottrarre linfa al capitalismo molti tentano di riequilibrare i tempi di vita tra attività retribuita e non, e sperimentano una divisione diversa e più equa del lavoro. E’ la strada per ridurre la nostra impronta ecologica e per ricordarci che nessuno vive per lavorare
di Florent Marcellesi*
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La crescita degli anni Novanta era insostenibile. Così insostenibile che con la scoppio della bolla immobiliare, la Spagna ha registrato il secondo tasso di disoccupazione più alto dell’Unione europea (soltanto la Grecia lo sorpassa) e vive come se avesse a sua disposizione più di tre pianeti. Pertanto, nell’ambito del lavoro, è necessario fornire soluzioni in grado di combattere la disoccupazione e di ridurre drasticamente il nostro impatto sull’ambiente.
In questo contesto di crisi strutturale, la riparizione del lavoro e la riduzione dell’orario di lavoro sono misure fondamentali verso una maggiore equità e sostenibilità. Infatti, soddisfano tre obiettivi: rafforzare la giustizia sociale, preservare il pianeta e costruire un’economia di prosperità senza crescita:
Riequilibrare i tempi di vita tra lavoro retribuito e non
Uno. In una società in cui l’occupazione è un valore così radicato, la divisione del lavoro consente di includere gruppi sociali ed economici che sono fortemente colpiti dalla disoccupazione di massa (in particolare i giovani, le donne, gli anziani o i lavoratori a basso reddito). Allo stesso tempo, la riduzione dell’orario di lavoro è un impegno per riequilibrare i tempi di vita tra lavoro retribuito e non retribuito. Questa diventa una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per consentire una migliore inclusione delle donne nel mercato del lavoro, evitando il «doppio turno», e di ridistribuire il lavoro domestico e di cura tra le donne e gli uomini.
Rompere l’abitudine di vivere per lavorare
21_horas2Due. Passare a una settimana lavorativa molto più breve aiuta a rompere l’abitudine di vivere per lavorare, lavorare per guadagnare denaro, e guadagnare i soldi per consumare (un vero problema), la causa principale della nostra eccessiva impronta ecologica. Si sta progettando una società nella quale siamo meno legati a iper-attività intensiva e più attenti alle attività sostenibili dal punto di vista energetico, aperte alla partecipazione sociale e civica, all’autogestione e alla sfera non commerciale.
Superare il consumismo
Tre. Come ha spiegato l’economista Peter Victor, la divisione del lavoro è «la soluzione più semplice e nota per mantenere l’occupazione, senza aumentare la produzione». Inoltre, è dimostrato che le persone che lavorano meno ore è più produttiva, e una società più coesa ed equa è ecologicamente ed economicamente più forte.
Per essere credibile, questa visione sistemica comporta di pensare al tempo stesso a una più equa distribuzione del reddito (reddito di base e ad alto), una politica di formazione attiva, ma anche un cambiamento nel modello di produzione (green jobs) e un cambiamento culturale per superare la logica sociale del consumismo.

*Florent Marcellesi, coordinatore di Ecopolítica e membro della Rivista Ecología Politica, è un ricercatore ed ecologista francese, residente in Spagna, autore di numerose pubblicazioni. Comune-info è il sito italiano al quale invia periodicamente i suoi articoli. Il pezzo di questa pagina è stato pubblicato anche su Alternativas Económicas (traduzione di Comune-info). Altri interventi di Marcellesi sono QUI.
Letture consigliate:
Lavorare meno e viver meglio (Florent Marcellesi)
Nei movimenti spagnoli di resistenza all’austerity si ragiona della proposta di riduzione dell’orario di lavoro a ventuno ore e di reddito di cittadinanza. I lavoratori vanno tutelati ma l’idea di lavoro va ripensata. Attività domestiche, di volontariato, artistiche, sociali: c’è vita oltre la crescita
La crisi siamo noi (John Holloway)
La crisi del capitalismo è il nostro rifiuto di diventare macchine. Siamo noi i responsabili della crisi di un sistema che distrugge l’umanità. Il capitale non è solo il sistema di sfruttamento in cui viviamo, è una costante aggressione alle persone. Possiamo dire No.
Il reddito e il tempo di vita (Diversamente occupate)
Il reddito di cittadinanza permette a tutti, donne e uomini, di riappropriarsi della propria forza di contrattazione e del proprio corpo, non più a disposizione, a qualunque costo, dei ritmi e delle richieste dettati da altri e dal mercato. «Riprendiamoci il corpo, riprendiamoci un tempo di vita». La ribellione delle Diversamenteoccupate
Il non-lavoro è un modo di fare la rivoluzione? No, di viverla (Philippe Godard)
Abbiamo interiorizzato il lavoro da non poterlo più mettere in discussione, se non ragionando sul senso della vita. Ebbene, è ora di farlo

giovedì 2 maggio 2013

Europa, il Primo maggio contro la precarietà. "Quest'austerità uccide"

        
Nel giorno della festa del lavoro l'Europa, messa in ginocchio dalla crisi, è scesa in piazza per gridare ancora una volta contro l'austerità e il precariato. ovunque allora questa giornata si è svolta per continuare a lottare a favore dei lavoratori, contro i governi che li stanno privando di diritti e dignità.

13.000 persone in piazza ad Atene e Salonicco, ma sono i dati della polizia perché i sindacati in sciopero per 24 ore non danno i loro. A proporre la "mobilitazione di massa" sono stati i principali sindacati ellenici, lo Gsee e l'Adedy, con l'obiettivo di rivendicare la fine dei tagli a stipendi, dei posti di lavoro e anche la fine degli aumenti delle tasse. Sono in modo particolare i dipendenti pubblici ad aver aderito, quelli dei trasporti e degli ospedali. I commercianti invece hanno tenuto aperti i negozi per celebrare la Pasqua ortodossa che cade il 5 maggio, e sciopereranno il prossimo martedì.

Ad Atene i manifestanti hanno deciso di radunarsi davanti al Parlamento. ''Il nostro messaggio oggi è molto chiaro: basta con queste politiche che danneggiano le persone e rendono i poveri piu' poveri'', ha dichiarato Ilias Iliopoulos, segretario generale di Adedy.

In Francia un primo maggio che ha riempito le piazze. I sindacati francesi infatti sono risuciti a mobilitare dai 120.000 ai 150.000 manifestanti partendo da piazza della Bastiglia con uno striscione con la scritta: ''Basta austerità e precarietà ''.

Diverse migliaia di manifestanti anche a Madrid per difendere il lavoro e contro l'austerità, dal momento che la disoccupazione in Spagna supera il 27%. Sui cartelli e sugli striscioni le scritte "parlano chiaro": ''6.200.000 disoccupati, no all'austerita' '', ''Piu' democrazia, meno austerita' '', ''Questa austerità rovina e uccide''.
Un sfilata in atto per chiedere ''un cambiamento radicale nelle politiche economiche'' e ''sottolineare il fallimento totale delle politiche d'austerita' imposte dalle istituzioni europee''.

Italia, il Primo Maggio vive di proteste. "Oggi è solo un funerale dei lavoratori"

- controlacrisi -
Siamo vicino all'Europa che è scesa in piazza oggi, anzi, siamo dentro questa Europa che è quella delle strade affollate, dei lavoratori agitati, scesi rabbiosi con cartelli alla mano e pronti a strillare contro il governo. Siamo l'Italia che oggi ha dato voce a chi lotta ogni giorno, con fatica e coraggio e che mentre ha riempito le piazze di cortei e manifestazioni ha anche messo a disposizione un palco, a Taranto dove musica, artisti a lavoratori sono insieme per i conflitti dei lavoratori.

La protesta e la festa, quella del primo maggio del 2013, va allora ricordata per tutti quelli che si riconoscono nei tre lavoratori di Pomigliano, in cassa integrazione da 4, che volevano salire sul palco, a far sentire la loro voce.
''Se questo e' il palco dei lavoratori perche' non ci fanno parlare? - Dicono Mimmo Mignano, Marco Cusano e Antonio Montella - noi viviamo con neanche 500 euro al mese e abbiamo delle famiglie. Vogliamo delle risposte dai sindacati e chiediamo che venga rivisto l'accordo sottoscritto in Regione Campania, un accordo che ha escluso i tremila cassaintegrati, tra cui 316 'deportati' a Nola e gli ex Ergom rimasti in mezzo ad una strada. Questa non e' una festa dei lavoratori ma e' soltanto un funerale dei lavoratori - hanno aggiunto - siamo disperati''.

Primo maggio di lotta anche per gli ex lavoratori della Italcementi di Muros che sono stati messi in mobilità dall'azienda dal primo aprile 2013 dopo mesi di lotta. Due operai dell'ex cementificio alle porte di Sassari questa mattina sono saliti, per diverse ore sul tetto del Duomo di Sassari, che già a settembre scorso ha ospitato la loro protesta per una settimana. ''Oggi e' la festa del lavoro - hanno detto i due operai - ma non c'e' proprio niente da festeggiare. Oggi per noi e' il 2 novembre del lavoro''. Dopo la chiusura dello stabilimento di ''Scala di Giocca'' 16 operai sono rimasti senza lavoro e da mesi attendono di essere ricollocati in altre aziende. ''A settembre - hanno spiegato gli operi - la Regione ci aveva chiesto di scendere dal tetto del Duomo di Sassari con la promessa di trovare una soluzione. Ci dissero di firmare la mobilita' con la rassicurazione che avrebbero trovato una soluzione in poco tempo e invece sono passati sette mesi e siamo ancora così".In Emilia-Romagna, in piazza c'erano anche Vasco Errani, a quello di Legacoop Bologna Gianpiero Calzolari e il presidente di Unindustria, Alberto Vacchi e sono stati una trentina di ragazzi, tra i giovani di Rifondazione Comunista e quelli dei centri sociali a ribadire che alla festa dei lavoratori in Piazza Maggiore il leader degli industriali felsinei non poteva di certo essere un ospite gradito.
"Quella del Primo Maggio - ha poi dichiarato il segretario cittadino Cgil, Danilo Gruppi, ''è e rimane la festa storica dei lavoratori, ma occorre cercare delle soluzioni condivise nella convinzione che da una situazione cosi' grave nessuno e' in grado di uscirne da solo e se ne esce solo attraverso un concerto di forze e responsabilita'''.

A queste proteste, solo alcune che oggi hanno visto in piazza i lavoratori, non possiamo avvicinare quella che sta avvendendo a Taranto con il "contro-concerto" del Primo Maggio di piazza San Giovanni. Si tratta de concertone che vede almeno 20mila persone che stanno assistendo nel parco archeologico di Taranto aquello che è stato chiamato il "Primo maggio di lotta - Si' ai diritti, no ai ricatti: politica dal basso e musica'.
Sul palco dalle 14,00 si sono esibiti molti artisti, intervallati però dalle testimonianze di persone che vivono ogni giorno il dramma dell'inquinamento che proveine dall'Ilva e dall'area industriale e delle malattie che ne conseguono. Hs parlato anche un giovane divenuto operaio dell'Ilva che poi per necessità ha dovuto abbandonare le terre della sua Ginosa, a 60 chilometri da Taranto. Un applauso di consenso ha poi raccolto anche uno degli allevatori che ha visto abbattere tutti suoi capi di bestiame perche' contaminati dalla diossina fuoriuscita dall'Ilva.

E' questa una parte importante delll'Italia che oggi ha dato voce al primo maggio e che non smetterà di gridare.

Crisi, ricerca Usa-Uk: “L’austerity uccide: 10mila suicidi e un milione di depressi”

    
Crisi, ricerca Usa-Uk: “L’austerity uccide: 10mila suicidi e un milione di depressi”

di Daniele Guido Gessa -
L’austerity ci sta letteralmente uccidendo. È la conclusione di uno studio di due ricercatori, uno britannico e uno americano, che questa settimana pubblicheranno un libro sugli effetti della crisi economica e delle politiche di contenimento della spesa pubblica sulla salute collettiva di europei e statunitensi. Secondo un economista dell’Università di Oxford, David Stuckler, e un medico epidemiologo dell’Università di Stanford, Sanjay Basu, alla stretta dei conti sarebbero imputabili, dal 2009 a oggi, oltre 10mila suicidi e un milione di casi di depressione. Ma non è tutto. A causa dello stop alle politiche preventive in Grecia, nel Paese ellenico, dal 2011 a oggi, le infezioni da HIV sono aumentate del 200% e per la prima volta dopo decenni è ricomparsa la malaria. Così, allo stesso modo, in Europa e Stati Uniti, l’aumento della disoccupazione unito al taglio alle campagne sociali ha visto l’abuso di droghe da parte dei giovani aumentare del 50%. Niente di strano, dice ora il team della ricerca, soprattutto considerando che, a causa della crisi, cinque milioni di americani hanno perso in questi ultimi anni l’assistenza sanitaria e oltre 10mila famiglie, nel Regno Unito, sono diventate ufficialmente senza fissa dimora.

Lo studio di Stuckler e Basu sta già tuttavia sollevando le prime critiche relative a un eccessivo “allarmismo”. L’agenzia di notizie Reuters ha dedicato un lungo speciale alla ricerca, che è arrivata anche sul tavolino del governo del Regno Unito guidato dal conservatore David Cameron. Fonti governative hanno cercato di minimizzarne la portata, ma da parte di Stuckler e Basu sono arrivate le conferme dei loro risultati. “Anche perché – ha detto Basu – quello che emerge è che un peggioramento della salute collettiva non è un’immediata conseguenza della crisi economica, ma spesso è il frutto di una precisa scelta politica da parte di chi ci governa”. Come a dire, a volte la crisi può anche far bene alla salute, ma se la crisi viene affrontata con l’austerity, le cose peggiorano. I due ricercatori, infatti, hanno citato un altro studio, pubblicato non molto tempo fa dall’Università di Madrid. A Cuba, dopo la fine dell’influenza sovietica e del relativo contributo economico che arrivava dalla Russia, la popolazione dimagrì e fu anche a rischio di denutrizione. Ebbene, ricordano Stuckler e Basu, l’Università di Madrid ha fatto notare come una diminuzione del peso, in media, di 5 chili a persona abbia portato a un abbattimento del diabete, delle malattie cardiache e coronariche. “A volte, quindi, essere poveri fa bene alla salute”, la conclusione dei due.
Eppure, nel caso attuale, la politica ci ha messo lo zampino. “Basti pensare a che cosa è avvenuto in Svezia. Le politiche sociali e di welfare di quel Paese, in seguito all’ultima recessione, hanno fatto diminuire drasticamente l’alto numero di suicidi. Cosa che invece non è avvenuta nei Paesi vicini che non hanno attuato le stesse politiche. Così, allo stesso modo, in Grecia si è visto che tagliare le spese di prevenzione non ha fatto altro che far aumentare in modo esponenziale l’incidenza dell’HIV, mentre la mancanza di denaro per serie disinfestazioni da insetti ha persino fatto tornare la malaria”. I soldi, insomma, quando sono pochi andrebbero investiti meglio, è il suggerimento dei due ricercatori, perché anche e soprattutto in periodi di crisi bisogna salvaguardare la salute collettiva. Infine, lo studio ha messo in luce anche come la depressione “generalizzata” abbia portato a un aumento di uso e abuso di alcool e sostanze stupefacenti. “Tutte condizioni che fanno abbassare la guardia e anche per questo, non solo in Grecia, si sta notando un aumento delle infezioni da HIV”.
dal Fatto quotidiano

mercoledì 1 maggio 2013

Torino 1o maggio

La nuova opposizione al lavoro



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Ieri alla Camera è accaduto un fenomeno unico. Deputati che non devono rendere conto a nessuna lobby o partito si sono "permessi" di criticare le scelte dei ministri, hanno fatto i nomi di inciuciatori ventennali, chiesto conto di leggi anti-costituzionali, richiamato l'attenzione sulle parentele illustri e sui sostegni ai comitati d'affari. Cittadini liberi hanno restituito il nome alle cose e dignità al Parlamento. Hanno fatto opposizione. Un evento straordinario per il Parlamento italiano. "Dopo quanto esposto negli interventi del MoVimento 5 Stelle e sopratutto dopo i disastrosi risultati di questa classe politica alla quale voi appartenete da numerosi anni, come si può dare fiducia a questo Esecutivo? Negli ultimi decenni si è ammessa da più parti la mancanza di credibilità di questa classe politica che ora chiede la fiducia per l'ennesima volta, come se questa squadra di Governo venisse dalla luna, come se non fosse responsabile o corresponsabile di quanto finora avvenuto. Secondo noi tutto quello che oggi si prospetta agli Italiani, nasce da quella famosa frase: "Lo sa lui e lo sa l'onorevole Gianni Letta“ pronunciata da Luciano Violante durante un discorso alla Camera nel quale afferma di aver garantito, dal 1994, le televisioni di Silvio Berlusconi e di conseguenza di tutti i suoi interessi. Da allora tutti noi ci siamo posti le seguenti domande: Perché mai non si è fatta una SERIA legge anti-corruzione? Perché mai non si è votato nella giunta per le elezioni l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi? Perché costantemente aumentavano i rimborsi elettorali arrivando a cifre da capogiro senza che nessuno si opponesse, e il tutto in completo disprezzo del referendum del 1993 che aboliva definitivamente il finanziamento pubblico ai partiti? Perché mai i manager delle grandi aziende pubbliche sono appartenuti sempre alle aree di riferimento di questi due partiti e hanno sempre lavorato con stipendi d'oro, liquidazioni astronomiche ed in cambio ci hanno lasciato aziende distrutte e svendute in barba alla fatica dei nostri genitori e dei nostri nonni? Perché non è stata mai, e dico mai, discussa alcuna legge di iniziativa popolare in Parlamento? Perché nel silenzio generale molto spesso l'esito dei referendum non viene rispettato? Perché mai il TAV, il Ponte sullo Stretto di Messina, la Gronda, tutte opere economicamente e ambientalmente insostenibili, hanno l'appoggio di questi due partiti? Vogliamo ribadire che noi NON siamo l'emergenza democratica di questo Paese, noi siamo la conseguenza della finta democrazia di questo Paese. Da oggi le emergenze si dovranno chiamare prima di tutto “conseguenze”, perché le conseguenze prevedono delle responsabilità da individuare. A proposito di responsabilità, vogliamo dire a tutti voi e agli Italiani e non che ci stanno ascoltando, che voteremo, favorevolmente quei provvedimenti che riterremo utili per il bene comune, quelli di reale cambiamento. Per il resto faremo un'opposizione seria, costruttiva, propositiva." Riccardo Nuti, M5S Camera

Cremaschi: si è arresa anche la Fiom, fine del sindacato?

Scritto il 01/5/13 • 


«Se in un contratto nazionale o aziendale si aumenta l’orario di lavoro, si abbassano le qualifiche, si toglie ai lavoratori il diritto ad ammalarsi, e se la maggioranza dei rappresentanti sindacali e dei lavoratori accetta, la minoranza non può più opporsi. Non può fare sciopero, non può andare in tribunale, non può neanche tutelare quei lavoratori che non ci stanno. Altrimenti è fuori». In puro “sindacalese” questo si chiama “esigibilità”: ed è esattamente la clausola-capestro che ora ha accettato anche la Cgil, con la sola opposizione della componente “Rete 28 aprile”, alla stipula del nuovo patto sulla rappresentanza. Risultato: insieme a Cisl e Uil, anche la Camusso firma con Confindustria. D’ora in avanti, lo stesso Landini può scordarsi una “resistenza” come quella ingaggiata a Pomigliano, quando la Fiom trascinò la Fiat di Marchionne in tribunale. Fine dell’ultimo brandello di radicalismo sindacale: per Giorgio Cremaschi, è una capitolazione storica. Addio sindacato.
Maurizio Landini«Ovunque ci sia una lotta o una ribellione vera allo sfruttamento – scrive Cremaschi sul sito di “Rete 28 aprile” – il sindacato dev’essere preventivamente esigibile». Già oggi, invece, «le lotte sindacali più importanti e partecipate della Lombardia, Trenord e San Raffaele, vedono Cgil, Cisl Uil ostili ed estranee, come accade alla lotta dei lavoratori migranti della logistica e a tanti altri». Il problema degli accordi separati è superato, aggiunge l’ex leader della Fiom. «Tutti gli accordi sono preventivamente unitari perché non esiste più il diritto a non firmare ciò che non piace: si supera il problema del dissenso cancellando il diritto a dissentire, come la Fornero che ha superato la divisione tra chi è o non è tutelato dall’articolo 18, togliendo l’articolo 18 a tutti». Questo accordo, aggiunge Cremaschi, costituisce un esproprio di quella tanto auspicata legge sulla rappresentanza, che avrebbe dovuto finalmente garantire ai lavoratori il diritto alla democrazia sindacale, realizzando al contrario «una privatizzazione corporativa di questo loro diritto».
Del resto, questo è ciò che le “parti sociali” ricercano su un piano ben più ampio: i gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Confindustria hanno visto travolti dalle elezioni i rispettivi progetti politici. E le presidenziali, con la catastrofe del Pd, hanno scatenato l’angoscia tra i quadri della Cgil, i cui più anziani hanno già vissuto la crisi del Pci e la distruzione del Psi. I grandi sindacati confederali, accusa Cremaschi, escono da vent’anni di concertazione, di moderatismo rivendicativo, di istituzionalizzazione. «Tutta la struttura è stata selezionata da queste basi. Come si fa a cambiare? Così ci si aggrappa ad una Confindustria anch’essa colpita da crisi di rappresentanza ed efficacia. E si rilancia il patto corporativo tra i produttori, che oggi più che mai è prima di tutto una patto di sopravvivenza tra grandi burocrazie in crisi».
Susanna CamussoE ora, mentre tutti i riflettori sono concentrati sul “governissimo” di Napolitano, sindacati e Confindustria «stanno definendo il governissimo sindacale».
La Cgil, continua Cremaschi, aderisce al patto sulla rappresentanza con il concorso determinante di Maurizio Landini: senza il suo apporto, la segreteria di Susanna Camusso non avrebbe avuto oggi la forza politica di andare avanti. Perché? Si sprecano le analisi sui retroscena, mettendo in secondo piano il vero problema: Landini ha dato speranza e coraggio al mondo del lavoro, acquisendo fama e prestigio, con il “no” a Pomigliano, non firmando un accordo accettato dalla maggioranza dei sindacati e dei lavoratori. «Ora quel “no” diventa un “sì”, attraverso l’accettazione della esigibilità». Landini, insiste Cremaschi, «ha il dovere di spiegare questo ribaltamento della sua posizione e di quella della Fiom, senza sotterfugi, senza inutili sprechi di retorica». In ogni caso, «contro questo accordo che normalizza e centralizza autoritariamente tutte le relazioni sindacali, bisognerà lottare: tutte le forze e le esperienze sindacali che non ci stanno – dice Cremaschi – debbono organizzare la disobbedienza, il contrasto, la crisi del patto corporativo sulla rappresentanza». Bisogna reagire subito, perché «un regime sindacale degli “esigibili”, quando su tutti pesano i danni e i ricatti della disoccupazione di massa, è un altro macigno che precipita sul mondo del lavoro».

Primo Maggio Sempre. "Il sindacato? Corporazione di fatto. Basta precariato, ne va la dignità"

Autore: fabio sebastiani
                                
In occasione del Primo Maggio, controlacrisi ha intervistato un lavoratore precario, ora disoccupato, che vive a Roma, Luca Cerra.
Un Primo Maggio che la tradizione vuole ancora dedicato al lavoro cozza contro una realtà costituita da tanto “non-lavoro”, ovvero dal dilagare del precariato.
"E’ chiaro che il tema del lavoro rimanda a una tradizione che ormai è superata. Il tema del lavoro è cambiato, bisogna che ce ne convinciamo tutti", sottolinea Luca. "Il nodo fondamentale resta quello delle condizioni lavorative, dei compensi e dei diritti. Lavorare da precario e accettare qualsiasi impiego non è propriamente un risultato per una società che si pregia del titolo di paese industrializzato. Il lavoro ormai è solo uno strumento per sopravvivere".
Il primo maggio è una festa che identifica fortemente l’organizzazione sindacale. Eppure è proprio lì che c’è un nodo da sciogliere.
Mi ricordo gli anni settanta e le lotte dei lavoratori, le loro importanti conquiste. Ho percepito cosa potesse significare. E’ stata una delusione cocente poi dover accettare che non hai diritto ad essere rappresentato. Ogni rivendicazione, anche minima, deve essere portata avanti da solo o con chi condivide la tua stessa condizione. E’ una cosa brutta che ti fa sentire tutta la tua debolezza contrattuale nei confronti del datore del lavoro, e quindi il suo potere di ricatto. E il fatto di non trovare le organizzazioni sindacali dalla tua parte è difficile da digerire. Si capisce, perché rispondono a determinati criteri che oggi non sono più veri Quando nello statuto del sindacato leggo scritto che tutela i lavoratori e non gli iscritti al sindacato e poi vedere che non solo non difende i lavoratori ma nemmeno i più deboli, mi chiedo se non siamo in presenza di una corporazione. Anche chi, tra i precari, ha contratti che consentono l’acceso al sindacato poi si ritrova in un sindacato che è una corporazione di fatto, chiusa nelle burocrazie e preda degli interessi di piccolo cabotaggio.
Cosa ti ha insegnato la tua esperienza di lotta?
La mia esperienza di lotta non mi induce a un grande ottimismo. L’unico modello che è utile a far uscire le rivendicazioni passa per un’autorganizzazione. Una autorganizzazione che parte da chi ha più buona volontà a far uscire il disaggio e cerca di creare una rete. La mancanza di punti di riferimento forti come poteva essere il sindacato scoraggia molti, però. Chi sta al potere sa benissimo come dividere i precari. E usa tutta la sua forza e il suo potere per farlo. Occorre creare nuovi modelli di aggregazione e di rete. Tenere le differenze e riuscire nello stesso tempo a dare rappresentanza a chi non ce l’ha. La dimensione della lotta rappresenta comunque una grande speranza Pur con tutte le difficoltà e il pessimismo, nei momenti in cui si riesce a costruire qualcosa per quanto minimo a farsi sentire la fiducia cresce. Poi viene facilmente castrata perché le risposte della controparte pesano per la loro negatività. Ma anche solo il fatto di mettersi insieme e fare un comunicato già dà una grande speranza. Anche perché tutti vivono la propria condizione come una colpa. E lavorare per migliorare qualcosa serve e sconfiggere questo sentimento.
La politica non è estranea a questa critica. Cosa pensi?
E’ chiaro che la politica deve dare delle risposte. A me sembra evidente che fino ad oggi ha risposto ad esigenze che vanno nella direzione di abbassamento del costo del lavoro. A livello più diretto va bene qualsiasi politica posto che la nostra società ci impone certe scelte di politica economica comunque la politica una qualche tipo di risposta la dovrebbe dare ad una società ridotta in questo stato comatoso. Mi sembra che il percorso per un reddito garantito, per esempio, sia sicuramente una battaglia importante. L’Italia è rimasta molto indietro. Passare da un reddito mensile a zero vuol dire non poter pagare più le bollette e non poter più vivere. E’ una questione di dignità dare il diritto di vivere a chiunque.
Se potessi scrivere un appello alla sinistra cosa scriveresti?
Direi di tornare nei luoghi dove si lavora ed essere presenti nelle lotte dei lavoratori e dei precari. Quello che vedo io è che sia la sinistra in generale sia quella radicale che l’altra sono partiti molto verticistici e un po’ intellettualoidi che vengono a chiederti il voto ma si tengono lontani quando i lavoratori hanno più bisogno di loro.

Primo maggio sempre. Come minimo... vogliamo il massimo!

           
COME MINIMO...
- l’immediata approvazione della Proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito: 600 euro al mese per tutte le disoccupate e i disoccupati, gli inoccupati, i precariamente occupati che non superino gli 8000 euro annui. È una misura di redistribuzione del reddito, fattibile e presente in quasi tutti i paesi d’Europa, fondamentale per uscire dalla recessione e dalla crisi. Vogliamo garantire il diritto all’esistenza, in tempi in cui precarietà, disoccupazione e povertà negano il presente e il futuro a donne e uomini, giovani e non.
- l’istituzione di un salario orario minimo, a prescindere dal tipo di contratto, perché non è più accettabile che tante lavoratrici e lavoratori precari abbiano retribuzioni da fame. Perché noi vogliamo che ad uguale lavoro corrisponda uguale salario.
- la riduzione dell’orario di lavoro, a partire da contratti di solidarietà espansivi. Lavorare meno, lavorare tutti. Vogliamo redistribuire il lavoro e il reddito contro le forme di ipersfruttamento e auto sfruttamento prodotte dalla logica della competizione
- un piano per il lavoro, che attraverso l’intervento pubblico crei nuova occupazione nella riconversione ecologica dell’economia, nel riassetto idrogeologico, nella conoscenza, nella cultura e nella cura delle persone. Vogliamo il blocco dei licenziamenti, il rifinanziamento immediato degli ammortizzatori sociali e la stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione e nei settori della sanità e della conoscenza.
…VOGLIAMO IL MASSIMO!
perché oggi è la festa delle lavoratrici e dei lavoratori e anche di chi il lavoro non ce l’ha.
buon primo maggio!
rifondazione comunista, giovani comunisti, forum delle donne

#REGENERATION

TUTTA COLPA DEGLI ITALIANI

DI ALESSIO MANNINO
ilribelle.com

Italiani di destra e sinistra, vi meritate tutto questo. Vi meritate un governo che non è nient’altro che un Monti bis, solo più furbesco (la ministra di colore, la Convenzione per riforme eterne incompiute, qualche taglietto ridicolo agli stipendi ministeriali) ma ugualmente scientifico nel perseguire la politica economica e sociale dettata dai mercati e dall’Eurocrazia (con la disgustosa retorica del “buon padre di famiglia” evocata dal premier Letta: come se non ricordassimo che fu proprio il suo maestro, Andreatta, l’autore della privatizzazione della Banca d’Italia, che diede la stura istituzionale al debito inestinguibile contrattato nella bisca dei titoli).
Ve la meritate, questa ennesima conferma sfacciata dell’assoluta identità di fondo dei partiti difensori della Repubblica oligarchica. Siete voi che siete andati ancora una volta a legittimare col vostro voto chi non può fare a meno dell’ammucchiata conservatrice, per mantenere il potere e le comode posizioni di privilegio personale e di casta, obbedienti ai padroni Usa e Ue, voi i responsabili oggettivi della cappa di pensiero unico, e ora, nuovamente, di governo unico che ci ritroviamo sulla testa.
Voi che, ragliando beatamente e beotamente gli inni della illusoria guerra elettorale, avete infilato la vostra brava scheda nell’urna, come al solito sperando che la vostra squadra del cuore vinca, ma non vince mai perché la partita è truccata in partenza (leggi elettorali inguardabili, interessi trasversali, patti per tutelarsi a vicenda). Vi fate sempre fregare, e così anche questa volta siete rimasti fregati.

martedì 30 aprile 2013

Intervista che non vedremo mai in TV

La fiducia arriva dagli Usa

    
La fiducia arriva dagli Usa

Pubblicato il 30 apr 2013

di Manlio Dinucci -
Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell’Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l’Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l’attacco all’Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l’Italia continuerà a inviare forze militari all’estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l’Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l’Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull’ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c’è una forza multinazionale» e che «un’occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c’era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l’11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all’Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell’istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»?
il manifesto 30 aprile 2013

PROFILO DI ENRICO LETTA, ALIAS MONTI JUNIOR

Italia DI ANDREA ALIPRANDI
comedonchisciotte.org

“Io ce la metterò tutta perché gli italiani non ce la fanno più dei giochetti della politica.”
Enrico Letta

Al di là del volto pulito, dei 47 anni ben portati e dei modi più o meno galanti di Enrico Letta, è bene conoscere alcune cose sul suo passato recente e remoto, per capire che cosa ci riserva il futuro.

Posizioni politiche ed economiche:

- Appoggio incondizionato a Napolitano-Monti, suoi compagni nella loggia segreta (“mega-P2 globale”) Gruppo Bilderberg e nella loggia semi-segreta e super-esclusiva creata da Rockefeller: la Commissione Trilaterale;

- Euro sì. Morire per Maastricht, titolo e sottotitolo del suo libro edito da Laterza ( http://www.ibs.it/code/9788842052487/letta-enrico/euro-si-morire.html); Letta dunque è un eurocrate di lunga data, peraltro poco lungimirante, non avendo avvertito i pericoli dell’area euro; curiosamente, il “giovane” eurocrate Letta ha “trascorso parte dell'infanzia a Strasburgo http://it.wikipedia.org/wiki/Strasburgo dove frequenta la scuola dell'obbligo http://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_dell%27obbligo” (dalla sua pagina di Wikipedia);

- Pro austerity di Monti. Letta dice, il 9 ottobre 2012: “Noi abbiamo voluto per primi Monti, caricandoci anche responsabilità non nostre. Noi rivendichiamo la giustezza di quella scelta. La condivisione profonda di quanto è stato compiuto e la necessità di una continuità programmatica nel prossimo governo è sancita, peraltro, dalle conclusioni della Carta d’intenti, ribadite e votate dall’Assemblea di sabato all’unanimità” (http://www.liberoquotidiano.it/news/1094581/Nel-Pd-volano-stracci--Fassina-Monti-%C3%A8-da-rottamare--Letta-%C3%A8-in-contrasto-col-partito.html );

- Chi critica l’austerity di Monti è cattivo. Per Letta, Fassina con le sue critiche a Monti, compagno di merende di Letta nel Bilderberg e nella Trilaterale, “ha passato il segno” ( http://www.liberoquotidiano.it/news/1094581/Nel-Pd-volano-stracci--Fassina-Monti-%C3%A8-da-rottamare--Letta-%C3%A8-in-contrasto-col-partito.html ); poco importa se oggi Letta si dichiara contrario all’austerity: ha già ampiamente dimostrato di essere ondivago e poco lungimirante.

- La nomina di Mario Monti è stata “un miracolo” (v. sotto, sezione “Amicizie e parentele”, voce Monti);

- Goldman Sachs è coraggiosa. “Goldman Sachs” “sembra avere più coraggio e lucidità di analisi” rispetto a “tanti rappresentanti dei poteri economici italiani che paiono timorosi nei confronti di una prospettiva di centrosinistra” ( http://www.asca.it/news-Pd__E_Letta__da_Goldman_Sachs_conferma_di_vocazione_europeista-1199195-POL.html ); NB: Mario Monti e lo zio Gianni Letta sono consiglieri per conto della Goldman Sachs. Goldman Sachs, la più grande banca d’affari statunitense (e del mondo), già nel 2007 è stata al centro di una inchiesta della Procura di Pescara per una frode al fisco per almeno 202 milioni di euro ( http://espresso.repubblica.it/dettaglio/banche-daffari-e-di-truffe/1629089; http://www.adusbef.it/consultazione.asp?Id=5770& , http://www.adusbef.it/consultazione.asp?Id=5770& ). Goldman Sachs è ritenuta corresponsabile della crisi greca ed è stata additata come responsabile del crollo della lira agli inizi degli anni ’90, “dapprima annunciandone la sopravvalutazione ed indicando nel livello di 1000 lire al marco il tasso di cambio che essa riteneva realistico, poi buttandosi a vendere lire per contribuire a ottenere quel risultato.” ( http://www.movisol.org/draghi4.htm)

- Privatizzazioni selvagge. Privatizzare tutto. Pro bono della Goldman Sachs. Letta annuncia: “È arrivato il momento di cominciare a parlare di privatizzazioni. Penso a Poste, Ferrovie, Eni, Enel, Finmeccanica e alle 20 mila aziende partecipate degli enti locali” ( http://vocialvento.com/2011/07/12/i-repubblichini/ ); anche in questo senso le privatizzazioni di Letta saranno in continuità con i metodi del suo maestro Andreatta e del suo idolo Monti (consigliere per la Goldman), a favore di Goldman Sachs, in combutta con lo zio Gianni e quindi in pieno conflitto di interessi ( http://affaritaliani.libero.it/economia/privatizzazioni-il-tesoro-sceglie-goldman-sachs-e-soc-generale-valutazione-quote.html ); in caso di uscita dell’Italia dall’euro, con la conseguente svalutazione, e tramite il suo funzionario Letta, Goldman Sachs potrà acquisire i gioielli nazionali a prezzo molto ribassato. Il sogno di privatizzare l’Enel e altri gioielli nazionali, in parte realizzato, era già di Andreatta ( http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1993/03/13/Altro/PRIVATIZZAZIONI-ANDREATTA-2_184900.php).

- Affidare a Goldman Sachs la valutazione delle partecipazioni statali ad aziende per vedersi ridurre poi drasticamente i bond italiani che aveva in portafoglio. Questo infatti è accaduto con il governo Monti: lui ha affidato a GS le valutazioni su “Fintecna, Sace e Simest in vista della cessione alla Cdp” e GS ha ridotto del 92% i bond italiani che aveva in portafoglio,” portandoli da 2 miliardi di euro a una misera quota di 155,2 milioni di euro. In pratica, le collusioni di Monti con Goldman Sachs sono controproducenti da ogni punto di vista e anche in prospettiva futura, perché invia un fortissimo segnale di sfiducia agli investitori. Lo stesso, si deve presumere, avverrà con il prossimo governo Napolitano-Letta ( http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-08-09/doccia-fredda-goldman-sachs-160710.shtml?uuid=Abtzo0LG ). Del resto appare chiaro a cosa potrebbero essere mirate quelle riduzioni di portafoglio: a una svalutazione di tutto il patrimonio industriale nazionale, che poi verrà acquistato a prezzi di favore dalla stessa Goldman Sachs.

Letta, Grillo, Berlusconi e le dieci bugie oggi di moda

“E’ tutta colpa di Grillo”. E’ sempre colpa di Grillo. Se cade il governo, se piove, se c’è il sole. La tesi autossolutoria del Pd – il cui elettorato tende incredibilmente a ingoiare di tutto, passando dalla fregola per l’iper-democrazia al giubilo per l’abbraccio mortale con Berlusconi – è ora quella di ripetere che “il governissimo c’è perché Grillo ci ha portato a farlo”. Sarebbe vero se non ci fosse stata l’apertura Rodotà. Ma quell’apertura c’è stata. Nel gioco delle percentuali, il Pd ha il 70% delle colpe e l’ortodossia di Grillo il 30%. Il M5S ha sbagliato a non fare un nome al secondo giro di consultazioni (non sarebbe cambiato nulla, ma avrebbe tolto alibi al Partito Disastro), ma da Rodotà in poi è stato impeccabile: appoggiate questo nome (più vostro che nostro) e faremo un percorso insieme. A dire no è stato il Pd. Perché? Perché ha sempre voluto – nella maggioranza dei suoi parlamentari – l’inciucio. Infatti è stato scelto Enrico Letta, lo zio di suo zio. Quello che “è meglio votare Berlusconi che Grillo”.
“Su Rodotà non c’era maggioranza”. Bugia a metà. C’era la maggioranza degli elettori del Pd, ma non della maggioranza dei parlamentari piddini. Ciò significa, inequivocabilmente, che tra elettorato e rappresentanti c’è una scollatura drammatica. I Boccia non rappresentano nessuno, se non se stessi. Però decidono.
“Rodotà non è stato eletto Presidente perché scelto solo da 4mila persone”. Macché. Le Quirinarie sono state fantozziane, ma se i modi risultano discutibili non lo sono (stati) i contenuti. Per quanto raffazzonate, hanno portato alla scelta di un nome condiviso da milioni di italiani: la piazza reale, non virtuale (quella piazza che tanto terrorizza i giovani vecchi del Pd, tipo Speranza, uno che non merita quel cognome. Un po’ come se Ghedini si chiamasse Figo). Rodotà è stato il treno del cambiamento perso. Perso dal Pd e solo dal Pd: non da altri. Di questa colpa risponderà alla storia e, per il momento, agli elettori (infatti è un partito morto, che può vincere solo se si affida a ribelli come Serracchiani). Rodotà non è stato votato perché: 1) è stato proposto da Grillo (motivazione-asilo Mariuccia); 2) è troppo di sinistra; 3) è troppo laico (cioè “mangiapreti”); 4) è troppo intelligente, quindi libero e non irreggimentabile; 5) è troppo antiberlusconiano (e questo, per il Pd, è davvero inaccettabile).
“Sì, ma 4mila persone sono proprio poche”. Certo che lo sono. Ma sono comunque molto più delle persone (una) che avevano scelto Marini e poi (seicento) Napolitano.
“Non faremo mai il governissimo”. Per due mesi, o poco meno, Bersani e la sua ghenga tragicomica hanno ripetuto che il governissimo non l’avrebbero mai fatto. Qualche esempio (antologizzato stamani da Civati nel suo blog). «Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013). «Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013). «I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio). «Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013). Eccetera. Adesso avviene il contrario (e chi osa ricordarlo è un disfattista). Perché? Perché il Pd è bravissimo a sbagliare. E perché senza Berlusconi il Pd non esiste: ne è la più grande polizza assicurativa. Così facendo, il Pd imploderà (e questo tutto sommato è un bene) e regalerà a Berlusconi una nuova vittoria (e questo decisamente è un disastro).
“Letta ha vinto lo streaming”. Questa non è una bugia. E’ la verità. Che non stupisce. Letta fa politica da quando ha sei mesi. E’ nato vecchio, un Benjamin Button che mai diventerà Brad Pitt. Nella supercazzola democristiana (parlare e parlare senza dire nulla) nessuno lo batte. Con Crimi e Lombardi, che continuano a sbagliare tutto, ha usato la Tecnica-Asciugo: li ha intortati con una grandinata di nulla politichese. E li ha storditi. Quando si è trovato in difficoltà (Rodotà), ha detto al Duo Harakiri che “dovevate votare Prodi”. Sarebbe bastato rispondere: “Prodi non l’avete votato neanche voi, forse neanche lei. Con quale faccia incolpate noi?”. Ma non l’hanno detto. Come nulla o quasi hanno detto su conflitto di interessi, leggi ad personam, franchi tiratori, incoerenza sul no-inciucio. E via così. Letta ha vinto per mancanza di avversari. Esaurita tale erezione triste per la vittoriuccia di Pirro di Benjamin Letta, vorrei però che i giubilanti di adesso tenessero bene a mente che il loro hero sta lavorando per un governo con i D’Alema, gli Amato e i Brunetta. Un’apocalisse farebbe meno male.
“Non ci sono alternative”. No. C’erano: bastava votare Rodotà. Ma non è stato fatto. Ora il governissimo – il vero obiettivo di Pd e Pdl, sin dall’inizio – viene spacciato come “governo di salvezza nazionale”. Ma de che? Cosa può fare un governo che contempli contemporaneamente Civati e Mussolini? Al massimo una legge elettorale anti-M5S, atta anzitutto a disinnescarli. Berlusconi sta al senso dello Stato come Robinho alle quadriplette. Opera per salvare se stesso e in questo è un fenomeno. Il governo Letta sarà un tirare a campare. Un ulteriore arroccarsi dei politicanti nel Parlamento-bunker. Mi si dirà: “L’alternativa è andare al voto, ovvero un’oscenità”. No: persino andare subito al voto sarebbe più onesto. Anche con la stessa legge elettorale. Un pareggio non ci sarebbe, non stavolta. Vincerebbe Berlusconi, si ridimensionerebbe Grillo, crollerebbe il Pd. Brutta prospettiva? Sì. Ma è l’Italia, baby. E quantomeno avremmo un governo Berlusconi evidente e dichiarato, senza questa ipocrisia nauseabonda delle “larghe intese”.
“Il Movimento ha abbassato i toni”. Ma figuriamoci. Dopo lo schiaffo in faccia ricevuto su Rodotà, il M5S farà solo e soltanto opposizione. I toni sono stati abbassati unicamente da Pisolo Crimi e Simpatia Lombardi, che ieri dormivano (e un po’ li capisco) mentre parlava Benjamin Letta. Dopo il caso Rodotà, la rottura tra M5S e Pd è definitiva. Insanabile. Eterna.
“Il Movimento 5 Stelle è in calo”. Bugia a metà. In Friuli la tramvata è stata evidente, pur con tutte le attenuanti, ma agli occhi di molti elettori 5 Stelle la trama degli ultimi giorni ha confermato che Pd e Pdl pari sono o giù di lì. I sondaggi (Swg) li danno al 27 percento. Se questo è un calo, il Pd è già allo stadio di decomposizione. E’ però vero che il M5S è percepito da molti come una forza che sa dire solo di no. E questo, per loro, è un male. Aggiungo poi che esiste nel Movimento un problema di rappresentanza. L’anomalia non è che Mastrangeli sia stato (giustamente) espulso, ma che sia stato (clamorosamente) prima scelto e poi eletto. E a proposito di espulsioni, che – secondo quasi tutta la stampa – sono giuste se le decide il Pd e sinonimo di fascismo se le appluica il M5S: caro Civati, prendi atto che nel Pd sei un corpo estraneo e vola altrove. Magari nel “cantiere della sinistra” a cui sta lavorando Vendola, ampolloso e barocco come sempre ma tra i pochi ad essere risultato coerente e coraggioso negli ultimi giorni. Questa “critica dall’interno” è sterile , pleonastica e alla lunga pure noiosa.
“La stampa deve cooperare”. E’ l’ultima trovata di Re Giorgio e dei suoi prodi discepoli (quasi tutti), Scalfari e derivati in testa. L’intoccabilità di Napolitano ha ormai del leggendario. Ho rispetto della persona, e della sua età, come lo ho per la memoria storica. Il migliorista Napolitano è sempre stato un “comunista di destra”. Gaber, quelli come lui, li chiamava “grigi compagni del Pci”. Napolitano è quello che appoggiò i cingolati sovietici contro la rivolta ungherese (salvo poi dire decenni dopo che “Mi sono sbagliato, aveva ragione Nenni”), quello che attaccò Berlinguer (Enrico) sulla questione morale, quello che a fine 2011 ci ha imposto Monti allungando la vita politica di Berlusconi (e rafforzando involontariamente Grillo); è quello del “non ho sentito il boom”, delle telefonate a Mancino, delle firme alle leggi vergogna. Capisco la stima, ma Pertini era un’altra cosa. Come lo è il giornalismo. Che non deve “cooperare”, ma raccontare e talvolta denunciare. L’invito a cooperare di Napolitano, dopo l’orrore dello scorso weekend (tra i più neri nella storia della Repubblica italiana), mi ricorda l’adagio del “ci pisciano in testa e poi dicono che piove”. Si ha la sensazione che qualcuno ci abbia conficcato ben bene l’ombrello di Altan. E che quel qualcuno, adesso, ci dica “Ehi, non lamentarti, altrimenti sei un irresponsabile”. Un po’ troppo, come masochismo.

domenica 28 aprile 2013

Quelle consorterie riservate di Enrico Letta

di Valerio Valentini (@valentinivaler) - byoblu -

Tra i tanti cambiamenti che questa fase di rinnovamento avrebbe dovuto portare “per riavvicinare il Palazzo ai cittadini”, ci si sarebbe potuti attendere soprattutto una cosa: che mai più un alto rappresentante dello Stato appartenesse a consorterie riservate. E invece, ancora una volta, tocca constatare che in Italia tutto cambia affinché tutto rimanga esattamente com’è. Terminata la sciagurata esperienza del governo tecnico, presieduto da quel Mario Monti membro del Bilderberg, dell’Aspen e della Commissione Trilaterale, si è passati al governo di Enrico Letta. Che sarà anche giovane, ma ha la stessa abitudine del suo anziano predecessore a frequentare le combriccole di illuminati, nelle quali si discute di tematiche politiche ed economiche rigorosamente “a porte chiuse”.

Enrico Letta, infatti, è membro di Aspen Italia, la succursale nostrana dell’Aspen Institute, un’organizzazione no-profit fondata nel 1950 da un gruppo di imprenditori e affaristi di Chicago sotto la guida di Walter Paepcke. L’obiettivo dichiarato dell’Aspen è, fin dalla sua fondazione, quello di “promuovere una leadership illuminata, un’ampia diffusione di idee e valori validi in ogni tempo e un dialogo di ampio respiro sulle tematiche contemporanee”. Aspen Italia invece è nata nel 1984 e a fondarla ha contribuito principalmente Gianni Letta, l’eterno sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi. Ne è presidente Giulio Tremonti, mentre il vicepresidente è proprio il futuro primo ministro italiano, quell’Enrico Letta che sembra tenace e determinato nel non voler sfigurare di fronte a suo zio.

Tra l’altro non è a tutti noto che la carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è quella che gestisce sottobanco tutte i panni sporchi, mentre l’uomo front-end gira per convegni e conferenze stampa. In altre parole, è a questa carica ombra che relazionano i servizi segreti. E chi si è preso, costantemente, tutti i sottosegretariati alla Presidenza del Consiglio, dai primi governi Berlusconi ad oggi? In dipendenza dal colore politico, due nomi: Gianni Letta e Enrico Letta, che si sono avvicendati l’uno all’altro in un’eterna ruota della (s)fortuna. Se volete sapere qualcosa, qualsiasi cosa sui segreti che sono custoditi nei fascicoli ufficialmente inesistenti, dovete chiedere alla famiglia Letta. Magari sanno anche se la vostra fidanzata vi tradisce.

Ma andiamo avanti. Scorrendo l’elenco del Comitato Esecutivo Aspen, si trovano tuttavia altri nomi davvero interessanti, appartenenti al mondo della politica, del giornalismo, dell’imprenditoria e dell’economia: si va da Giuliano Amato a Lucia Annunziata, da Fedele Confalonieri a Umberto Eco, da John Elkann a Jean-Paul Fitoussi, da Franco Frattini a Emma Marcegaglia, da Paolo Mieli a Lorenzo Ornaghi, da Mario Monti a Romano Prodi. Anche tra i “Soci sostenitori” di Aspen figura gran parte del gotha economico-finanziario italiano (sia pubblico che privato) e internazionale: Acea, Brembo, Aeroporti di Roma, Mondadori, Allianz, Assicurazioni Generali, decine di banche (tra cui MPS, BNL, UniCredit, Popolare di Milano, Credit Suisse, Deutsche Bank), Confindustria, la Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato, Fiat, Fincantieri, Finmeccanica, Impregilo, Lottomatica, Mediaset, la Rai, RCS, Google, Microsoft Italia ecc.

Quali sono  gli obiettivi che Aspen Italia persegue? “L’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni”. Il tutto, ovviamente, attraverso “il confronto e il dibattito a porte chiuse”, come la stessa organizzazione ci tiene a specificare: “attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva”.

Ora, è evidente che finché non vengono dichiarate illegali, tutte le associazioni hanno diritto di esistere, e di essere frequentate da chi vi è ammesso. Ed è altrettanto indiscutibile che “riservatezza” non è sinonimo di massoneria deviata o terrorismo occulto. Tuttavia, il problema qui non è di tipo legale: il problema è politico. Può un ministro della Repubblica, o addirittura un Presidente del Consiglio, partecipare a riunioni riservate, in cui si affrontano temi di importanza strategica per il Paese, senza renderne conto al popolo? E chi ci garantisce che la sua attività di servitore dello Stato non venga condizionata dalle decisioni prese all’interno di quelle consorterie di cui non si sa praticamente nulla, se non che esistono? Tra l’altro, ad ogni persona dotata di un minimo di spirito critico il sospetto sorge spontaneo: praticamente, se si esclude D’Alema, tutti i premier dal 1996 a oggi (Amato, Prodi, Monti, Enrico Letta) sono membri del Comitato Esecutivo di Aspen, a cui vanno aggiunti ben 4 ministri o strettissimi collaboratori (Gianni Letta, Confalonieri, Frattini, Tremonti) dell’altro principale protagonista dell’ultimo ventennio italiano, Silvio Berlusconi. Delle due l’una: o Aspen Italia è infallibile nel reclutare le persone giuste nel momento giusto, oppure, forse, la capacità di influenzare le scelte politiche del nostro Paese gli va riconosciuta.

Non siete ancora convinti? Allora date un’occhiata alla lista dei membri di VeDrò, il think thank di Letta che ogni anno si riunisce a Dro, nel trentino. Toh, ci sono sia il neo Ministro per l’Agricoltura Nunzia De Girolamo, fedelissima di Berlusconi ma anche del marito piddino Francesco Boccia (fedelissimo a sua volta di Enrico Letta, per la serie “tutto in famiglia“), sia il neo Ministro per l’Ambiente Andrea Orlando, ma anche il vice designato di Letta, quell’Angelino Alfano che sembra stare a Berlusconi come Ambra Angiolini stava a Boncompagni, e pure il nuovo sottosegretario alla presidenza del consiglio Filippo Patroni Griffi, così come il nuovo Ministro per lo sport Josefa Idem, e pure il neo Ministro per le infrastrutture e per i Trasporti Maurizio Lupi. Mamma mia quante singolari coincidenze! E quella è solo la lista palese (forse anche da aggiornare)…

Reddito minimo garantito, la proposta di legge d’iniziativa popolare

- sbilanciamoci -

La consegna alla Camera della proposta di legge d’iniziativa popolare sul Reddito minimo garantito apre una fase nuova nel rinnovamento delle politiche sociali e di tutela del reddito in Italia. Sbilanciamoci.info apre una discussione
Il 15 aprile 2013 è stata una giornata speciale nella lunga storia di rivendicazioni che hanno attraversato il nostro paese sul tema del reddito garantito. Nel corso degli anni si sono tenute assemblee, manifestazioni, cortei; gruppi di precari hanno preso la parola e si sono organizzati per narrare la loro condizione sociale; montagne di studi e pubblicazioni si sono accumulate per evidenziare le carenze del nostro sistema di protezione sociale. L’Italia, in breve, aspetta da almeno vent'anni risposte e forme di regolamentazione nuove, adatte a fornire tutela al cittadino nell’epoca della crisi e della così detta “produzione flessibile”.
Il 15 aprile si è aggiunto un ulteriore tassello: una folta delegazione in rappresentanza di oltre 170 tra associazioni, comitati e partiti si è recata a Piazza Montecitorio e ha consegnato alla Presidenza della Camera le oltre 50.000 firme a sostegno del disegno di legge di iniziativa popolare per l'istituzione del Reddito minimo garantito (www.redditogarantito.it/#!/home).
La proposta è modellata su quanto previsto nella legge n. 4/2009 della Regione Lazio che, seppure solo in via sperimentale, ha introdotto una misura di reddito garantito dalle caratteristiche fortemente innovative, che molti osservatori hanno salutato come possibile momento di svolta per le politiche sociali del nostro paese.
Sulla scia di quanto previsto in tale legge regionale, e in accordo con le migliori prassi in vigore nei paesi europei, la proposta di legge prevede che l’erogazione (consistente in 600 euro mensili, oltre a integrazioni in beni e servizi a carico delle Regioni) abbia carattere individuale (e non familiare, come molte prestazioni assistenziali del nostro welfare) e sia destinata non soltanto ai soggetti irrevocabilmente esclusi dal mercato del lavoro, bensì anche ai soggetti in cerca di prima occupazione o ai lavoratori precariamente occupati o a basso reddito.
La gestione della misura è demandata sul piano amministrativo ai centri per l’impiego, seguendo in ciò la “buona prassi” avviata dalla Regione Lazio. I centri per l’impiego hanno la dimensione territoriale ottimale e gli strumenti operativi adeguati per situare l'erogazione del beneficio in una più vasta strategia d'intervento e, eventualmente, per favorire l'attivazione del beneficiario con proposte adeguate di tipo lavorativo o formativo. La misura non è rivolta in via esclusiva a soggetti esclusi dal mondo del lavoro. La procedura amministrativa è strutturata secondo criteri di speditezza, semplificazione, buon andamento; è stabilito che la domanda possa essere presentata anche on line e si prevede la rapida capacità del sistema di registrare mutazioni della situazione di fatto del beneficiario che possano comportare di volta in volta un diverso atteggiarsi del diritto al reddito garantito.
La previsione di obblighi più o meno stringenti di attivazione da parte del beneficiario è un punto particolarmente sensibile in qualsiasi legislazione in tema di reddito minimo. Una subordinazione troppo netta del beneficiario alle indicazioni e ai desiderata dell’ente erogatore della misura rischia di porsi in frontale contrasto con gli obiettivi perseguiti dalla legge. Va scongiurata la formazione di un mercato del lavoro destinato a soggetti di serie B, indirizzati verso impieghi di scarsa qualità, dietro minaccia più o meno esplicita di essere privati di ogni residuo sostegno. Le esperienze in Italia dei lavoratori socialmente utili negli anni Novanta, così come quelle del così detto workfare in alcuni paesi europei hanno dato pessima prova di sé e sono decisamente da non replicare. La proposta di legge fissa dunque un punto di equilibrio tra contrapposte esigenze, stabilendo che non opera la decadenza dal beneficio nell’ipotesi di non congruità della proposta di impiego eventualmente offerta, ove la stessa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto interessato, della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e informali in suo possesso certificate dal Centro per l’impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un bilancio di competenze. La logica del provvedimento è in definitiva quella di imporre un obbligo di qualità delle proposte di attivazione formulate dai centri per l'impiego.
Completano il disegno di legge tre deleghe da affidare al Governo in tema di salario minimo orario, di riordino della spesa assistenziale e di riforma degli ammortizzatori sociali. Ci si propone così di raggiungere una certa coerenza tra i livelli di reddito nei vari momenti della vita lavorativa della persona, con una modulazione razionale delle forme di protezione nei casi di disoccupazione di breve o di lunga durata.
Questa in sintesi è la proposta che i cittadini e la società civile organizzata hanno lanciato al Parlamento, si apre ora una fase nuova, che richiederà forme di mobilitazione e di intervento convenienti allo scopo finale della trasformazione della proposta in legge dello Stato. La parola passa adesso agli eletti: c'è da auspicare che il Parlamento sappia rivendicare una propria centralità anche nei confronti dell'agenda di Governo (che si preannuncia piuttosto tiepida su questa tema). Occorre attivarsi affinché questa misura sia adottata con urgenza, sia al più presto avviata la discussione del disegno di legge di iniziativa popolare e si giunga finalmente anche in Italia all’introduzione di una misura di reddito minimo garantito.
***
La Relazione sulla sostenibilità, costo e finanziamento di un reddito di base incondizionato in Italia, curata da Andrea Fumagalli, è disponibile qui
www.bin-italia.org/pdf/Breve%20relazione%20costo%20e%20finanziamento%20RBI-%20dic%202011%20(3).pdf

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