Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 24 settembre 2011

Quelli che... il debito non lo paghiamo.

Comunicato stampa
Quelli che... il debito non lo paghiamo
Anzi, siamo creditori!
Lunedì 26 settembre, alle ore 12,00 in via Nazionale, a Roma, all'angolo con via Milano, sotto la scalinata del Palazzo delle Esposizioni, nei pressi della Banca d'Italia, i firmatari dell'appello “Dobbiamo fermarli” danno appuntamento alla stampa per presentare le caratteristiche e gli obiettivi della campagna: “No all’Europa delle banche, noi il debito non lo paghiamo!”. La campagna verrà lanciata sabato 1° ottobre con un’assemblea nazionale al teatro “Ambra Jovinelli” che intende portare questi temi dentro l'agenda politica.

La proposta di non pagamento del debito pubblico italiano diverrà una campagna di massa in tutto il paese e coinvolgerà posti di lavoro, territori, istanze sociali e culturali con l’intento di rompere il ricatto e respingere le manovre imposte dai diktat della Banca Centrale Europea e di quelli che i firmatari definiscono il “governo unico della banche”.

Con il pretesto di pagare il debito, si stanno distruggendo diritti, servizi e condizioni di vita per lavoratori e cittadini, già stremati da decenni di politiche di tagli.

L'appello lanciato alla fine di luglio, ha raccolto al momento più di 1.500 adesioni in tutta Italia tra delegati sindacali, attivisti sociali, esponenti di movimenti e forze politiche della sinistra alternativa. Tra i firmatari spiccano anche personalità come gli scrittori Andrea Camilleri e Valerio Evangelisti e filosofi come Gianni Vattimo. L'assemblea del 1° ottobre verrà introdotta da Giorgio Cremaschi, che sarà presente alla conferenza stampa.

L'appuntamento per i giornalisti è, dunque, lunedì 26 settembre alle ore 12,00 a Roma, in via Nazionale, all'angolo con via Milano.

Ufficio stampa "non paghiamo il debito"

PS. Il testo integrale dell'appello è reperibile:
https://sites.google.com/site/appellodobbiamofermarli/
Mail: appello.dobbiamofermarli@gmail.com

Per info: 348.8101712

NB. Il presente comunicato rappresenta una parziale rettifica del precedente, in quanto la collocazione là prospettata della conferenza stampa ha trovato il divieto della Questura di Roma, con la quale è stato poi raggiunto un accordo sulla nuova collocazione.

Europa: l’eclisse della ragione e della democrazia.

di Sergio Bruno. Fonte: sbilanciamoci
I miti della politica monetaria, l'ossessione del debito, le porte aperte alla speculazione, i pericoli dell'austerità, il bisogno di ricostruire l'economia reale. E la mancanza di visione dell'Europa.
Tutti i nodi della crisi
Coloro che considerano se stessi quali élites hanno sempre aspirato a governare, possibilmente in un rispettabile ambiente democratico e seguendo le sue regole. Gli ultimi trent’anni hanno conosciuto un tentativo, da parte di varie tecnocrazie, di acquisire una egemonia nelle faccende economiche di maggiore importanza. L’hanno fatto in modo discreto, sicché il processo sottostante è passato inosservato da parte della maggioranza della sfera politica. L’attuale crisi economica offre la possibilità di cominciare ad esplorare questi sottili e surrettizi mutamenti.

Le ragioni del successo degli attacchi speculativi

Il successo che gli attacchi speculativi stanno conseguendo è dovuto ad una sequenza di comportamenti errati da parte dei soggetti di policy, basati su false verità e indotti da cattive analisi. I semi della sequenza perversa che ha condotto a ciò erano stati piantati negli anni 1980, con il trasferimento del potere di signoraggio dagli stati alle banche centrali, e sono stati poi rinforzati, in Europa, “proibendo”, alle banche centrali prima e alla Bce successivamente, di sottoscrivere direttamente i titoli del debito emessi dagli stati membri (Art.101 del Trattato). Protagonisti di questa stravagante commedia sono state le tecnocrazie delle banche centrali – sia a livello nazionale che internazionale – e in una qualche minore misura la Commissione europea. Il ruolo di villains de la pièce l’hanno assunto i governi democraticamente eletti, indipendentemente dai loro orientamenti politici, che hanno passivamente trasferito pezzi di potere, importanti e di rilievo costituzionale, a tali tecnocrazie.

Le “terapie” basate sull’austerità fiscale sono l’ultimo parto generato da tale sequenza. Si dice che esse interromperanno gli attacchi speculativi. Sostengo invece che esse non fanno che preparare il terreno per nuovi attacchi speculativi, che saranno innescati, questa volta, dagli indicatori di recessione e/o dall’assenza di effetti positivi – quanto meno rilevanti – nei rapporti debito/Pil. Vi è invece una sola strada per frustrare gli attacchi speculativi: quella di fare della Bce un prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani, come proposto recentemente (www.voxeu.org) da P. De Grauwe, D. Gros, S. Micossi; in altri termini restaurando una organizzazione istituzionale della politica economica pre-anni 1980. Ma la Bce e i governi europei sono avviati su ben altra strada. Basti in proposito pensare alla stravagante idea di “costituzionalizzare” le disposizioni in materia di pareggio dei bilanci.

15 ottobre: CACCIAMO BERLUSCONI ED IL GOVERNO UNICO DELLE BANCHE

Mi ricordo che, quando ero piccolo, mio cugino mi aveva “fatto entrare in testa” una canzone di Claudio Lolli, un motivetto che recitava così: “ Il nemico marcia sempre alla tua testa”. All'epoca non capivo il testo, e mia madre (stalinista convinta del PCI) mi raccontava che lui, mio cugino, era un estremista. Ripensavo a quella canzone proprio qualche giorno fa, mentre vedevo la tragedia in cui versava la nostra opposizione che accreditava il giudizio degli avvoltoi della speculazione di Standard & Poors nel dibattito politico italiano. Ripensavo a quel motivetto mentre vedevo ergersi niente meno che Emma Marcegaglia ( con l'avallo anche dei sondaggi ) come la Giovanna d'Arco del fronte antiberlusconiano. La mattina dopo con una tempistica da far invidia, Cigl, Cisl e Uil firmavano il patto sociale. Siamo al punto che, Giorgio Napolitano deve decidere come e quando staccare la spina, con la magistratura che scalpita e con la borghesia italiana che freme. Berlusconi però, come Hitler nel Bunker di Berlino resiste fino alla fine, perchè ha capito che il suo destino rischia sempre più di essere simile a quello di Bettino Craxi. Quindi non cede: rinsalda le fila dei servi, e resiste come ha fatto ieri con il voto di Milanese alla camera. C'è insomma un problema nel passaggio di transizione che le classi dominanti italiane hanno in mente di portare avanti, si chiama Berlusconi-crisi, e la montante opposizione sociale che rischia d'incanalarsi anche contro di loro. Il tutto si gioca nel giro di poche settimane, e l'esito di questo non è per nulla scontato. Quello che penso è che in questo frangente il popolo dell'indignazione possa entrare in gioco e ribaltare la partita, cacciando Berlusconi, ma anche -direbbe Veltroni- “il nemico che marcia alla sua testa”. E' evidente che nel fronte anti berlusconiano ci sono forze che hanno più di un punto di contatto con le politiche di Tremonti. In Europa ad esempio moltissimi condividono l'impianto di Mastricht e non dicono una parola sullo sciagurato ruolo che ha assunto e continua ad assumere la BCE nella gestione della crisi per gerarchizzare l'Europa e manomettere i diritti dei lavoratori. A quanto è dato sapere ad esempio in molti, PD in testa, appoggiano l'inserimento del vincolo di bilancio in Costituzione. Qui, se non lo avete capito, con la scusa della crisi del debito ci fanno fare la fine della Grecia, e non conta il governo che verrà, perchè se si entra in questa logica non c'è alternativa ma continuità nell'alternanza.
Conta semmai che da oggi noi iniziamo a dire due cose che possono trovare un punto di caduta in una scadenza che apre un processo di contestazione permanente alle classi dominanti come quella del 15 ottobre:
la prima è che noi scendiamo in piazza per cacciare questo governo di servi delle banche che ha venduto il nostro paese all'austerity europea con la firma dell'Euro Plus Pact e che dalla piazza non andremo via fino a quando Berlusconi non se ne sarà andato; la seconda è che chiunque verrà troverà ancora questa forza indignata a dire che la crisi noi non vogliamo pagarla. Un messaggio chiaro da mandare al Governo unico delle banche, a Mario Draghi, alla Merkel, alla Marcegaglia e a chi pensa di utilizzare il bipolarismo in Italia per cambiare l'orchestra ma non la musica di fondo.

Per la Palestina e i palestinesi ieri, oggi e domani.

di Fabio Amato. Fonte: liberazione
Sono ore di passione all’Onu. In queste ore si consumerà un passaggio storico. Storico ed importante per i palestinesi, prima di tutto, che chiedono di essere riconosciuti come 194esimo stato membro delle nazioni unite. Sanno di avere con loro gran parte dei popoli della terra, persino dei governi, tranne di quelli che però fanno e disfano nel mondo a loro piacimento, come gli Stati Uniti d’America. La musica per loro, con Obama, non è cambiata.
Tante parole al vento, bei discorsi, tutti rimangiati di fronte al ricatto delle potenti lobbies israeliane negli States e insignificanti di fronte alla real politik della potenza imperiale ed imperialista. Che fa la guerra, come Bush, in Libia, ma manda avanti gli alleati. Che protegge Israele, come Bush, ma con eleganti discorsi che alimentano illusioni. Gli Usa, con la pilatesca e vergognosa posizione espressa da Obama, mentono sapendo di mentire. Negare, come ha fatto Obama, la responsabilità internazionale e quella dell’Onu nella tragedia palestinese è ipocrisia infinita. E’ stata l’Onu, con una sua risoluzione, nel 1947, ad avvallare la nascita di Israele. Sul 48% della Palestina storica. Ora, dopo il ’67, quel 48 si è trasformato in 78%. Con gli accordi di Oslo, i palestinesi si erano detti pronti ad accettare la nascita del loro stato su solo il 22 % di quella che era la Palestina storica e da cui erano stati cacciati con la forza. Ma ad Israele questo non è bastato. Ha continuato a colonizzare, ad annettere terre con il muro, a sequestrare la valle del giordano e l’acqua. Netanyahu ringrazia naturalmente. Colui che ha speso tutta la sua carriera politica per vedere naufragare la possibile soluzione del conflitto con i palestinesi è soddisfatto della posizione di Obama. Ma anche se un veto fermerà il riconoscimento della Palestina, Israele sta isolandosi sempre di più agli occhi del medio oriente e del mondo.

venerdì 23 settembre 2011

Decisioni prese nella riunione del Coordinamento 15 ottobre nella riunione del 21 settembre.

Fonte: controlacrisi
La riunione di martedì prossimo approverà in via definitiva il comunicato che trovate qui di seguito e in allegato. Il testo è discusso nella riunione di oggi. Verrà approvato dopo aver sciolto due nodi (sul titolo/slogan della manifestazione e sull’arrivo del corteo) su cui per arrivare a un consenso pieno si è deciso di prendere qualche giorno di tempo.
Si è deciso di dare vita a due gruppi di lavoro del Coordinamento:
1) Comunicazione: nella sua prima riunione il gruppo farà una proposta da approvare nel Coordinamento in merito alle cose relative alla comunicazione che dovranno essere trattate unitariamente e alla metodologia per farlo. Nella riunione sono stati enunciati i seguenti ambiti di possibile lavoro: mailing list e mail dedicata del Coordinamento, blog, uso dei social network e comunicazione virale per le comunicazioni unitarie del Coordinamento. C’è una discussione in merito all’utilità di avere un ufficio stampa unitario del Coordinamento. Questa sarà una manifestazione-convergenza, a ciò bisogna adeguare in modo innovativo le forme della comunicazione.
2) Manifestazione: il gruppo si occuperà dei contatti con la Questura, delle possibili facilitazioni per i viaggi verso Roma, e preparerà la discussione nel Coordinamento in merito alle modalità del corteo, al suo arrivo, alla gestione unitaria della piazza di arrivo sulla base della discussione avvenuta nella riunione del 21 settembre. Poiché la ragione del Coordinamento è preparare la manifestazione-convergenza, è evidente che le scelte sul corteo, dal momento di partenza fino all’arrivo, dovranno essere consensuali e condivise, con trasparenza e responsabilità, fra gli aderenti al Coordinamento.
Le persone interessate a far parte di questi gruppi di lavoro possono direttamente presentarsi alle riunioni di martedì. Coloro che sono interessati a far parte del gruppo comunicazione, possono anche inviare una mail a Marica Di Pierri maricadipierri@asud.net
Ecco il comunicato discusso oggi e che sarà sottoposto all’approvazione nella riunione di martedì:
PEOPLE OF EUROPE, RISE UP
Cambiare l’Italia, cambiare l’Europa
Il Coordinamento 15 ottobre invita a costruire in tutto il territorio la partecipazione italiana alla giornata europea e internazionale “United for global change” e a convergere nella manifestazione nazionale di Roma.

La giornata del 15 vedrà mobilitazioni in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo, contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia compiuta, con le politiche anticrisi, a difesa dei profitti e della speculazione finanziaria.

Anche in Italia è già stata raccolta da tanti soggetti organizzati, alleanze sociali, gruppi informali e persone. Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo continua ad avvicinare. Vogliamo un’altra economia, un’altra società e una democrazia vera.

Il Coordinamento 15 ottobre si mette al servizio della riuscita della mobilitazione. Curerà unitariamente le caratteristiche, la logistica e l’organizzazione della manifestazione nazionale di Roma e ne definirà le sue parti comuni.

Il suo obiettivo è favorire la massima inclusione, convergenza, convivenza e cooperazione delle molteplici e plurali forze sociali, reti, energie individuali e collettive che stanno preparando e prepareranno la mobilitazione con i propri appelli, le proprie alleanze, i propri contenuti.

Ci impegniamo insieme a costruire una manifestazione partecipata, pacifica, inclusiva, plurale e di massa, il cui obiettivo è raccogliere e dare massimo spazio alla opposizione popolare, alle lotte e alle pratiche alternative diffuse nel nostro paese.
La manifestazione partirà alle ore 14.00 da Piazza Esedra e arriverà a Piazza San Giovanni.
Sarà una tappa della ripresa di spazio pubblico di mobilitazione permanente, come si sta realizzando in tutta Europa e nel Mediterraneo, che è necessario mettere in campo per cambiare l’Italia e il nostro continente.
Invitiamo i cittadini e le cittadine, nativi e migranti, i soggetti organizzati, i gruppi, le reti formali e informali a partecipare attivamente al 15 ottobre, a coinvolgere le proprie comunità, a organizzare la partecipazione al corteo di Roma.
Coordinamento 15 ottobre

Prossima riunione a Roma martedì 27 settembre in via dei Monti di Pietralata 16
10.30-13.30 riunione dei due gruppi di lavoro: comunicazione e corteo
14.00-17.00 riunione del Coordinamento

IL FASCISMO MONETARIO DI STARK (bce)

Fonte: controlacrisi
Di una gravità assoluta le parole del membro tedesco (dimissionario) della BCE. Oggi Stark in nome del rispetto dei vincoli di bilancio euroliberisti non trova di meglio che proporre l'amministrazione controllata per gli stati che non rispettano i parametri. Siamo alla negazione assoluta della sovranità democratica. Di questo passo, se la concentrazione del potere economico finanziario, continuerà in questa direzione sotto i consigli di tecnocrati come Stark la democrazia italiana sarà messa seriamente in discussione.

CRISI: BCE,DEBITO SOVRANO METTE A RISCHIO SOPRAVVIVENZA EURO STUDIO BANCA CENTRALE EUROPEA, TRA AUTORI ANCHE STARK (ANSA) - ROMA, 22 SET - La crisi del debito sovrano mette a rischio la sopravvivenza Unione monetaria europea. È quanto su legge in un rapporto della Banca centrale europea che vede tra gli autori anche Juergen Stark, l'esponente dell'esecutivo Bce che lo scorso 9 settembre ha annunciato le sue dimissioni. «L'enorme aumento degli squilibri fiscali nell'area euro nel suo complesso - si legge nel rapporto - e la critica situazione di alcuni singoli Stati membri, rischiano di minare la stabilità, la crescita e l'occupazione, così come la sostenibilità della stessa unione monetaria». Lo studio, intitolato «Patto di Stabilità e Crescita, crisi e riforme» e che - viene precisato - non riflette necessariamente la visione della banca centrale ma solo degli autori, e mette anche in evidenza la necessità di ulteriori misure di governance fiscale definite «essenziali per garantire in futuro un effettivo coordinamento in materia di finanza pubblica». Tra i punti centrali, una sorta di messa in amministrazione controllata per quei Paesi che non rispettano i programmi di correzione dei conti, oltre al principio che i deficit nazionali siano approvati a livello europeo nel caso di quegli Stati che abbiano oltrepassato i livelli di sicurezza e sanzioni automatiche nei casi in cui il deficit superi il 3% del Pil.

Una democrazia in debito Verso il 1 ottobre. Contributo al dibattito.

di Sergio Cararo* Fonte: controlacrisi
La discussione e la campagna politica per il non pagamento del debito si reggono su dati concreti e per molti verso inoppugnabili. L'incontro nazionale del prossimo1 ottobre promosso dai firmatari dell'appello “Dobbiamo fermarli”, contiene le potenzialità politiche, sociali e culturali per avviare una seria controffensiva contro il mattatoio sociale imposto dal Bce e dal governo unico delle banche .

http://www.contropiano.org/it/component/k2/item/3470-una-democrazia-in-debito

E’ stata appena approvata la manovra economica del governo che già Unione Europea e Confindustria tornano di nuovo alla carica invocando la prima misure aggiuntive e la seconda una terapia d’urto che portino l’Italia al di fuori dalla “maledizione” dei Piigs. Contemporaneamente, i reportage dalla Grecia ci descrivono le ferite profonde che le misure imposte dalla Bce hanno già imposto al corpo sociale di quel paese rendendo comuqnue il debito pubblico greco ancora più elevato. La porta girevole delle politiche di aggiustamento dei bilanci pubblici, è ormai un paradosso tanto evidente che più di qualche istituzione insospettabile – dal Fondo Monetario alla Banca d’Italia – sottolinea come non possano che avere effetti recessivi su tutti i paesi euro-mediterranei che sono stati costretti ad adottarle.

L’Italia paga ancora le conseguenze delle terapie d’urto degli anni Novanta (quelle dei governi Amato, Ciampi, Prodi) adottate per entrare nei parametri di Maastricht e poi nell’Unione Economica Monetaria dei paesi europei che hanno adottato l’Euro. Nonostante questo da un lato il debito pubblico non è affatto diminuito ma è aumentato dal 106% del Pil nel 1992 al 120% del 2011, dall’altro le misure antisociali messe in campo in questi ultimi anni hanno devastato servizi sociali strategici come sanità, istruzione, previdenza, trasporti; hanno ridotto del 37,9% in soli dieci anni il potere d’acquisto di salari e pensioni, hanno continuato a trasferire enormi risorse pubbliche e ricchezza dal lavoro e dal risparmio delle famiglie alla rendita finanziaria rappresentata da banche, società di assicurazione, fondi d’investimento italiane e stranieri. (1)

In questo spostamento di ricchezza ci hanno rimesso soprattutto i lavoratori dipendenti, i giovani costretti alla precarietà e alla disoccupazione, i pensionati che hanno dovuto esaurire i loro risparmi per assicurare reddito, abitazioni, finanziamenti alle generazioni successive ormai private di presente e di futuro. Ma in qualche modo ci hanno rimesso anche i profitti generati dall’economia reale basata sulla produzione di beni, soppiantata da una corsa alla rendita speculativa, finanziaria e immobiliare, che ha contribuito alla distruzione degli investimenti e del tessuto industriale del paese.

Sacrifici umani in nome dei mercati.

di Manuel Castells. Fonte: internazionale
Il socialista José Luis Rodríguez Zapatero passerà alla storia come il peggior presidente della Spagna democratica. Il suo predecessore, José María Aznar (del partito popolare), almeno aveva una certa coerenza ideologica. La pantomima dell’ultima riforma costituzionale, che prevede l’inserimento della norma del pareggio di bilancio, è stata orchestrata dai due più grandi partiti del paese con il favore della notte e dell’estate e colpisce al cuore la democrazia e l’autonomia dello stato.

Una riforma necessaria, così ci dicono, imposta da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy per contrastare la sfiducia dei mercati nei confronti del debito spagnolo. Questa sfiducia avrebbe potuto innescare a sua volta la crisi di altri debiti europei, soprattutto di quello italiano, e affondare l’euro. Riportare a galla la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda è difficile. Salvare la Spagna dalla bancarotta è impossibile sia per le finanze tedesche sia per quelle francesi.

Ecco il motivo, dunque, della pressione sul governo spagnolo, che da tempo ha ormai abbandonato qualsiasi velleità di sovranità economica per sottostare alle profezie sul comportamento dei mercati. Un potere supremo e misterioso che dev’essere placato con dei sacrifici umani: i tagli alla spesa sociale colpiscono la sanità, l’istruzione e le pensioni. In altre parole, la vita.

Ma chi sono i mercati? Qualcuno di voi conosce personalmente qualche mercato? I mercati sono gli investimenti gestiti dagli intermediari finanziari. Ma cosa vogliono gli investitori e i loro intermediari? L’equilibrio fiscale? Garantire la solvibilità del debito a lungo termine? No. Il vero motore degli investimenti è il guadagno, puro, semplice e a breve termine. È così che funziona il mondo della finanza. È dal guadagno che dipendono i dividendi degli azionisti, ma soprattutto le commissioni e i bonus degli operatori finanziari.

Ecco la (falsa) scienza economica di chi vuole i poveri derubati dai ricchi.

di Dino Greco. Fonte: liberazione
I professori Alesina e Giavazzi (sul Corriere della sera di lunedì 19 settembre) ci hanno impartito l'ennesima lezioncina riassumibile nella trita formula secondo cui le tasse (depressive) fanno male, mentre i tagli alla spesa pubblica (enfaticamente chiamati riforme) fanno bene. Per cui l'erosione sino ai minimi termini del welfare, l'estinzione delle provvidenze assistenziali, la drastica diminuzione delle pensioni e il prolungamento dell'attività lavorativa non sono, per costoro, taglie sulla povertà, ma tagli virtuosi di spese improduttive, gravami che inceppano lo sviluppo. Naturalmente, sono misure che decurtano, oltre la soglia della sopportabilità, reddito, servizi essenziali per i più deboli. Ma, per un'imperscrutabile ragione, questi interventi che peggiorano la vita di milioni di persone, sarebbero i benvenuti perché portatori di effetti "strutturali", permanenti, tali cioè da guarire il sistema dall'eccesso di spesa pubblica, quella socialmente solidale, ritenuta, non si sa perché, ininfluente sulla dinamica dei consumi, sulla domanda e perniciosa per la tanto invocata "crescita". I mentori di questa immarcescibile fede iperliberista ci spiegano, una volta di più, che «ciò che conta non è il debito in sé, ma il rapporto fra il debito pubblico e il Pil». E tuttavia, da dove possa mai sortire una ripresa di qualche sostanza se si colpiscono così pesantemente i consumi popolari e si impoverisce un'intera nazione, è un dilemma che resta insoluto. In realtà, non serve grattare il fondo del barile per capire dove il duo bocconiano vada a parare. Basta proseguire ancora un poco nella lettura dell'articoletto consegnato al quotidiano di via Solferino. Che sulla tre quarti assesta la stoccata decisiva: «Molti oggi auspicano un'altra tassa, la patrimoniale, che sarebbe nella migliore delle ipotesi un'imposta inutile, nella peggiore fatale». Ohibò! Inutile? Fatale? E sapete perché? «Perché - secondo Alesina&Giavazzi - ridurre il debito senza rilanciare lo sviluppo diffonderebbe la falsa impressione che le riforme non sono poi tanto urgenti». Ma a quali riforme alludono i nostri illustri scienziati? Non lo dicono apertamente, ma non è difficile intuirlo: alle sole che appartengono al loro universo concettuale, quelle che rovesciano il carico da novanta sul lavoro e sul già esangue sistema di protezione sociale che fra stenti sopravvive nel nostro Paese.

I cittadini del 15 ottobre prossimo.

L’Hub Meeting della «democrazia reale» lancia la mobilitazione contro le politiche di uscita dalla crisi. L’intervento degli attivisti tunisini conferma la natura globale di questa agenda di lotta Tre giorni di lavori con la «rete di reti» che ha costruito lo spazio comune del conflitto sociale

di Fulvio Massarelli su il Manifesto - Fonte: univ-aut
«Convochiamo la cittadinanza il prossimo 15 ottobre, perché esprima il proprio rifiuto alle politiche di uscita dalla crisi e rivendichi una reale democrazia», si conclude così, tra gli applausi dei partecipanti, la dichiarazione dell’Hub Meeting di Barcellona che nel tardo pomeriggio di domenica ha terminato i lavori durati più di tre giorni.
Workshop, assemblee plenarie e tavoli di discussione tematici hanno intrecciato narrazioni di lotte e condiviso saperi tra le reti e i collettivi che dall’Islanda all’Italia hanno costruito uno spazio comune di confronto a partire dal conflitto e dall’opposizione sociale alla crisi. «Una rete di reti», si diceva all’apertura del meeting, che nel rifiuto dell’austerità come soluzione alla situazione attuale si impegnasse a mettere al centro dell’agenda politica la rivendicazione di un salario minimo garantito europeo e l’accesso effettivo e libero ai diritti sociali e ai beni comuni, dalla sanità all’educazione, dalla casa all’ambiente, fino alla conoscenza. E il 15 ottobre sarà l’occasione per far emergere nell’Europa dell’austerità questi contenuti che con intransigenza le piazze rivendicano ormai da tempo, anche e soprattutto sulla spinta del movimento del 15m, delle accampate spagnole, che durante i workshop e le assemblee sono state considerate nella loro straordinaria capacità di manifestare la crisi della democrazia rappresentativa da una parte e ad alludere alla possibilità da parte dei cittadini di riappropriarsi della politica a partire, come è stato scritto nella dichiarazione conclusiva, «dalla partecipazione diretta in tutti gli ambiti della vita sociale, politica ed economica».
Ma già dalla prima assemblea di giovedì, in cui si discuteva di «analisi delle lotte, strategie e buone pratiche», veniva sollevato da tutti gli interventi la necessità di guardare anche oltre l’Europa e considerare la crisi e i conflitti oltre il vecchio continente, parlando dell’apertura di una spazio di lotte definito ormai come «transnazionale» anche a fronte di un’assunzione della data di ottobre da parte di reti e collettivi impegnati nelle lotte contro la crisi fuori dall’Unione Europea.
A confermare il carattere non solo europeo, ma ormai globale, delle giornate di mobilitazione d’autunno, promosse da «takethasquare» e non solo, c’è stato anche un lungo intervento di attivisti tunisini in video conferenza, che nello spazio di discussione promosso dal Klf (Knowledge liberation front, rete che unisce ricercatori, docenti universitari e collettivi studenteschi) hanno lanciato il prossimo appuntamento, dal 29 settembre al 2 ottobre, a Tunisi per il meeting «Réseau 2 Luttes» (Reti di lotte), in cui l’agenda politica condivisa dai collettivi presenti all’Hub Meeting di Barcellona potrebbe risuonare anche in Nord Africa e oltre, così come le adesioni di questi ultimi giorni fanno ben sperare.
D’altronde austerità, debito e Welfare e riappropriazione dei beni comuni sono problemi e soluzioni al centro dell’iniziativa e del dibattito ai quattro angoli del mondo come ha ricordato un’attivista di Attac e come poi ha fatto eco il workshop promosso dagli Stati enerali della Precarietà e introdotto da Andrea Fumagalli, che ragionando sulle forme dello sciopero nei tempi della precarietà ha visto un vivacissimo dibattito tra i molti attivisti presenti, compresi gli inglesi di Uk Uncuts.
Ad arricchire il dibattito sulle pratiche si è poi aggiunto il workshop promosso dagli attivisti di democracia real ya, take the square, che hanno presentato un how to (un come si fa) delle accampate: l’uso corretto dell’hashtag di twitter (il segno # che permette di ricercare i twitts legati a un preciso argomento o evento), il costante lavoro nei quartieri degli attivisti, e la sperimentazioni di autogestione di spazi pubblici hanno descritto la quotidianità delle accampate e delle iniziative del movimento spagnolo che in ogni intervento non ha mai fatto mancare un forte riferimento all’importante laboratorio di piazza Tahrir de Il Cairo come esempio e motivo d’ispirazione.
Insomma se il calendario ha già segnato da un pezzo il 15 ottobre come data di convergenza globale contro la crisi e l’austerità, anche la carta geografia di questi movimenti disegnata da «reti di reti» sembra ormai voler assumere la forma di una sfera: il mondo disegnato al centro del logo #15oct, un appuntamento di lotta davvero globale.

giovedì 22 settembre 2011

Eurolandia al bivio cruciale

di Martin Wolf - 21 settembre 2011 - Fonte: ilsole24ore
I membri dell'Eurozona sono in preda a un grave attacco di rimorso del compratore. Molti vorrebbero smontare il giocattolo acquistato quasi vent'anni fa e assemblato tra la fine degli anni 90 e il decennio appena trascorso. È un giocattolo che non si può smontare, si può solo rompere, e con esso andrebbe in pezzi l'impianto della cooperazione europea.

Il mondo guarda con orrore all'eventualità che l'Eurozona possa innescare un'ondata di crisi di debito pubblico e del settore bancario. Se così fosse, non sarebbe la prima volta che la follia europea porta la rovina nel mondo.
L'idealismo che fece da motore all'euro è svanito, ma l'interesse egoistico è un surrogato scadente. I goffi annaspamenti dei politici nazionali, che devono rispondere a elettori frustrati, peggiorano le cose. Jacques Cailloux, capo economista per l'Europa della Royal Bank of Scotland, sottolinea gli errori. I leader dell'Eurozona, accusa Cailloux, non si sono resi conto delle dimensioni e della natura della crisi; con leggerezza hanno recitato a beneficio delle platee nazionali, puntando il dito contro i malfattori, anche se la colpa non è solo di chi si è indebitato scriteriatamente, ma pure di chi ha prestato soldi scriteriatamente. Cailloux ha ragione, e aggiunge che sono entrati in gioco due elementi nuovi: l'opinione pubblica tedesca si sta rivoltando contro la sua Banca centrale, e molti politici, fra cui anche il primo ministro olandese Mark Rutte, stanno ventilando la possibilità di un'uscita forzata.


Il senso dell'unione monetaria stava nella sua irrevocabilità: i suoi presunti benefici dipendevano da questo. Anche solo parlare di un'uscita dall'euro reintroduce il rischio di cambio. Inoltre, sostiene sempre Cailloux, «non vediamo nessun annuncio di misure che possano ricondurre il premio di rischio per l'uscita dall'euro a livelli trascurabili». Ora gli investitori devono fare i conti con rischi di debito pubblico, rischi finanziari e rischi di un'uscita dall'euro. Il risultato sarà una fuga dai titoli di Stato e dalle obbligazioni delle banche, e addirittura una disintegrazione dei mercati dei capitali in componenti nazionali.


Una volta che il tabù è stato infranto, la possibilità di un'uscita dev'essere presa in esame. È possibile o è auspicabile? Per discutere dell'argomento bisogna partire dalla Grecia. Nouriel Roubini, professore alla Stern School dell'Università di New York, sostiene, sul Financial Times, di questa settimana, che la Grecia dovrebbe dichiarare il default e uscire dall'euro. Non ho difficoltà a sottoscrivere la prima parte della tesi. Sono rimasti in pochi a credere che si possa evitare una riduzione drastica del debito pubblico del Paese ellenico. Non è questione di "se" accadrà, ma di "quando" accadrà.
Lutte Greco-Roman.
Per L'Ultimo Posto - for the last place

mercoledì 21 settembre 2011

Dichiarazione dei partecipanti dell’Hub Meeting del 15 settembre.

Fonte: infoaut
Noi, reti e persone che hanno partecipato al Meeting 15SHub, riunione svoltasi a Barcellona tra il 15 e il 18 settembre, dichiariamo che

- Rifiutiamo il concetto di austerità per affrontare l’attuale crisi e risolverla, in quanto tale approccio presuppone una gestione autoritaria e antidemocratica dei beni comuni.

- Denunciamo le politiche di austerità che si traducono in un aumento della diseguaglianza e in un attacco frontale ai fondamenti del welfare e dei diritti conquistati in anni di dure lotte sociali dei movimenti.

- Sottolineamo come, allo stesso tempo, queste politiche di austerità favoriscano interessi economico-finanziari privati, quegli stessi interessi che sono alla base dell’attuale il modello di sviluppo e che ci hanno condotto all’attuale crisi.

Quella che stiamo osservando non è solo una crisi economica, ma anche e soprattutto una crisi politica. E’ l’apice del processo di disgregazione del patto sociale europeo e rivela impietosamente l’assoluta incapacità dell’attuale sistema politico di gestire decentemente il bene comune.

A fronte della condizione di precarietà materiale ed esistenziale sempre più diffusa, reclamiamo un processo di democratizzazione radicale della gestione economica e politica in Europa, che consenta la costruzione di un nuovo modello di welfare che poggi su due pilastri:
l’introduzione di un reddito di esistenza, incondizionato, e l’accesso effettivo e libero ai diritti e ai beni comuni (sanità, istruzione, casa, ambiente, conoscenza).

Per conseguire questi obiettivi, è essenziale un nuovo modello di politica fiscale europea e un nuovo approccio alla questione del debito. Condizione necessaria ma non sufficiente perché ciò possa realizzarsi è l’introduzione di un nuovo insieme di diritti sociali, tra i quali è prioritario il diritto al fallimento per gli individui.

Salviamo le persone, non le banche.
Consideriamo inoltre essenziale garantire l’accesso libero alle reti di comunicazione e la neutralità di queste stesse reti, alla conoscenza e all’istruzione e ci opponiamo a qualsiasi processo di privatizzazione e mercificazione del sapere.

In un quadro in cui precarizzazione e disoccupazione continuano a crescere incontrollate, la condizione migrante è l’esempio più eclatante della distruzione dei diritti del lavoratore e dello svilimento delle condizioni di lavoro.
Consideriamo ciò che sta accadendo nel campo lavoro migrante uno scellerato laboratorio di quel che si intende applicare a tutta la classe lavoratrice in un futuro prossimo. Rivendichiamo con forza e urgenza la necessità di svincolare la fruizione da parte dei migranti dei diritti sociali, politici e di cittadinanza dal contratto di lavoro. Al tempo stesso, riteniamo che l’accesso a tali diritti debba essere garantito anche i familiari dei migranti che lavorano in Europa. Siamo tutti migranti, nessun essere umano può essere illegale!

Dobbiamo trasformare gli attuali modelli di democrazia e riappropriarci della politica, con la partecipazione diretta a tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. L’attuale modello di democrazia rappresentativa è evidentemente superato. Non c’è nessuno che ci rappresenti!

Per tutti questi motivi, convochiamo la cittadinanzaper il prossimo 15 Ottobre affinché possa esprimere con forza il rifiuto di questa strategia di uscita dalla crisi e rivendicare una democrazia che sia reale.

Non abbiamo più nulla da perdere e tutto da guadagnare!

15SHM Statement

18 Sep

La crisi globale e l'illusione della socialdemocrazia.

di Immanuel Wallerstein
Nonostante i tassi di sviluppo dei paesi Bric, è difficile che la ricetta «crescita più welfare state» possa funzionare oggi. Ma non si sa cosa la sostituirà

La socialdemocrazia conosce il suo apogeo nel periodo che va dal 1945 alla fine degli anni '60. Quando rappresentava un'ideologia e un movimento che si battevano per l'uso delle risorse dello stato volto alla ridistribuzione alla maggioranza della popolazione in varie forme concrete: allargamento dei servizi educativi e sanitari; garanzia di livelli di reddito permanenti attraverso programmi per sostenere i gruppi non salariati, in particolare bambini e vecchi, e programmi per ridurre la disoccupazione. La socialdemocrazia prometteva un futuro sempre migliore alle generazioni future, una specie di incremento continuo del reddito nazionale e familiare. Quello che si chiamava il welfare state. Un'ideologia che rifletteva la convinzione che il capitalismo si potesse riformare, che potesse assumere un volto più umano.
I socialdemocratici erano forti nell'Europa occidentale, in Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda, in Canada, e negli Stati Uniti (dove erano definiti Democratici del New Deal) - in breve nei paesi ricchi del sistema-mondo, che costituivano quello che si sarebbe potuto chiamare il mondo pan-europeo. Tale fu il loro successo che anche gli oppositori di centrodestra sottoscrissero l'idea del welfare state, cercando solo di ridurne costi ed ampiezza. Nel resto del mondo gli Stati cercarono di saltare sul carro del vincitore con progetti di sviluppo nazionale.
Quello della socialdemocrazia era allora un programma di grande successo. Sostenuto da due realtà dei tempi: l'incredibile espansione dell'economia-mondo, che creò le risorse che resero possibile la ridistribuzione; e l'egemonia degli Stati Uniti nel sistema-mondo, che ne assicurava la relativa stabilità, e soprattutto l'assenza di violenza grave all'interno di quella ricca zona.
Ma il quadro roseo non doveva durare. Le due realtà vennero meno. L'economia-mondo smise di espandersi ed entrò in un lungo periodo di stagnazione, nel quale ancora viviamo; e gli Stati Uniti cominciarono il loro lungo, seppur lento, declino da potenza egemonica. E tutte e due queste nuove realtà hanno subito una considerevole accelerazione nel XXI secolo.

DOBBIAMO FERMARLI!



Fonte: appello
Il Manifesto http://goo.gl/1Tq8h
• In fondo all'appello : elenco promotori
• E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose.
• E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.

A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale, rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata come uno stato di necessità.

Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.

martedì 20 settembre 2011

CHI DA RAGIONE ALLE AGENZIE DI RATING DA RAGIONE ALLA SPECULAZIONE


Fonte: controlacrisi
Siamo rimasti francamente impressionati di come ll'opposizione italiana e la politica nel suo complesso, abbia accreditato senza nessuna esitazione il giudizio delle agenzie di rating. Da confindustria a Vendola, dal PD a Casini, tutti tranne i soliti comunisti (del PRC) hanno preso per oro colato la sentenza di S&P. Che Berlusconi sia inetto e che questo governo deve essere mandato a casa non vi è dubbio alcuno, ma non perchè è fragile per fare le riforme strutturali come dice S&P nel suo giudizio, ma perchè sta distruggendo il welfare e i diritti dei lavoratori. Per cacciare Berlusconi non c'è bisogno di allearsi con chi specula contro il nostro futuro.
Per comprendere meglio il ruolo nefasto della agenzie di rating pubblichiamo un nostro articolo uscito su questo blog qualche mese fa. Leggetelo, e diffondetelo, dobbiamo evitare che il nemico marci alla nostra testa.

CONTROLACRISI.ORG

Tra gli strumenti ideologici dell’egemonia liberista sull’Occidente ci stanno la pretesa della perfetta razionalità e della perfetta trasparenza del mercato e la pretesa che a ciò servano di supporto istituzioni tecniche di accertamento e anche decisionali. Il mostro antisociale, e persino antieconomico, rappresentato dall’Unione Europea, largamente gestito da strutture tecnocratiche, Commissione e Banca Centrale, è un buon esempio, con i suoi disastri e la sua tendenza al collasso, di come prima o poi vadano a finire le cose del liberismo. Un altro buon esempio sono i disastri antisociali e antieconomici combinati dalle “agenzie di rating”, la bufera in Europa e negli Stati Uniti. Il problema è: cui prodest? chi diavolo ci guadagna? Una sommaria analisi di che cosa effettivamente siano le agenzie di rating può aiutare a capire due cose: come di razionalità, sul piano stesso dell’economia, ci sia ben poco nelle istituzioni tecniche e di governo del liberismo, anzi come quest’ultimo non sia, istituzionalmente, politicamente e culturalmente, altro che una baracconata che è servita per vent’anni e tuttora serve a spremere reddito dal basso verso l’alto della scala sociale, in risposta ad appetiti di classe tanto smodati da giungere prima o poi (e oggi ci siamo) a compromettere le basi stesse produttive dell’economia dell’Occidente.

Intanto, che cos’è il rating. Si tratta di un metodo di analisi e di classificazione (da parte di analisti) che porta a un voto (da parte di un comitato di esperti) ai titoli di imprese, istituzioni finanziarie, soggetti pubblici (tra i quali gli stati) sulla base della loro rischiosità per quanti li acquistino, risparmiatori o “investitori istituzionali” (cioè speculatori di varia natura). Di norma i titoli emessi da uno stato sono titoli sul debito, servono cioè a rinnovarlo, evitando quindi crisi di insolvenza. Questo voto è espresso in lettere e altri segni. Più alto è il voto più affidabile è il titolo a cui è stato assegnato, e viceversa. La sua assegnazione porta quindi, per via di mercato, alla definizione di un “premio di rischio” più o meno elevato: i titoli con i voti migliori comporteranno un premio di rischio basso, e viceversa. I titoli “sovrani” (dello stato) di Germania, Stati Uniti e Cina, disponendo di un voto elevato, offrono agli acquirenti un premio basso (in compenso non comportano rischi significativi di perdita di valore e ancor meno di insolvenza); viceversa per quanto riguarda i titoli di Grecia e Portogallo. Concretamente questo significa, per esempio, che se il premio di rischio di Grecia e Portogallo si pone al 10% del valore dei titoli emessi, essi saranno dunque venduti al 90% del loro valore, quindi che quando questi titoli verranno a scadenza e gli acquirenti saranno rimborsati questi paesi dovranno esborsare il 10% di più di quanto a suo tempo incassato. Se, inoltre, il voto assegnato ai titoli di questi paesi è “declassato”, cioè abbassato, questo significa che le loro emissioni di titoli riescono a essere vendute solo portando il premio a oltre il 10% (sarà il mercato a decidere quanto oltre). Giova sottolineare che il mercato è dominato da grandi acquirenti sostanzialmente coalizzati e il cui scopo è di guadagnarci il più possibile, in altre parole che è un mercato “oligopsonio”, nel quale, cioè, sono gli interessi degli acquirenti a definire il livello del premio. Non a caso Grecia e Portogallo si trovano oggi a sprofondare in una palude senza via d’uscita, che non gli consente possibilità di ripresa economica e periodicamente li pone di fronte a una situazione di insolvenza, affrontabile solo con la “ristrutturazione” del loro debito (si tratta dell’analogo, per uno stato, di una procedura di fallimento) oppure con un rifinanziamento da parte dell’Unione Europea (ed eventualmente anche del Fondo Monetario Internazionale), a evitare che crolli l’euro e con esso l’Unione. Giova sottolineare, ancora, che usualmente i titoli che risentono del declassamento (quindi dell’aumento dei loro premi di rischio) sono quelli la cui scadenza è a breve (a sei mesi, a un anno): ma che quando si configurano situazioni come quella greca e quella portoghese anche i titoli a più lunga scadenza vedono quest’aumento.

Debito pubblico. Perché e come si può non pagarlo.

di Redazione Contropiano. Fonte: contropiano
Il non pagamento del debito pubblico e la fuoriuscita dall’Eurozona non sono più proposte velleitarie ma possono diventare soluzioni da percorrere. In un libro di prossimo uscita – “Il Risveglio dei maiali”, edizioni Jaca Book – tre economisti marxisti, Arriola, Martufi, Vasapollo, analizzano la crisi in corso,

Intervista a Luciano Vasapollo

le micidiali conseguenze sui paesi Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) dell’Unione Europea e le possibile proposte per non essere annientati dalla macelleria sociale imposta dalla Banca Centrale Europea e dal governo unico delle banche che sta determinando le sorti dei lavoratori, giovani, disoccupati, pensionati nel nostro e negli altri paesi europei.

Abbiamo rivolto alcune domande a Luciano Vasapollo uno degli autori del libro.

Tra i movimenti sociali e i sindacati di base del nostro paese, sta emergendo la parola d’ordine del “non pagamento del debito”. A tuo avviso è una campagna un po’ velleitaria o una soluzione che può diventare realista? Chi verrebbe danneggiato e chi avvantaggiato da un congelamento o una moratoria del pagamento del debito pubblico italiano?

Non chiediamo certo il non pagamento del debito pubblico in mano alle famiglie, che ad esempio rappresenta in Italia solo il 14% del totale. La moratoria richiesta è nel pagamento del debito pubblico interno ed estero in mano alle banche, finanziarie, assicurazioni, grandi fondi pensione ed investimento. Cerchiamo di capire perché e come.

Il passaggio dall’Europa finanziaria ed economica alla costruzione politica dello Stato sovranazionale europeo, crea un terrorismo massmediatico attraverso un vero e proprio attacco politico e speculativo dei mercati finanziari internazionali per screditare il ruolo degli Stati-Nazione. E’ così che il debito pubblico si trasforma in debito sovrano.

Quindi, oggi, creare nell’opinione pubblica l’idea che gli Stati siano sull’orlo del fallimento, significa occultare la crisi economica generale di accumulazione del sistema capitalistico, il disastro dei mercati creditizi e finanziari, creando al contempo la necessità della socializzazione delle perdite del sistema bancario attraverso il denaro delle imposte e tasse dei lavoratori e il taglio dello Stato sociale e del costo del lavoro.

Le rendite finanziarie, a cui vanno aggiunte quelle immobiliari e di posizione, sottraggano le risorse alla produttività reale, incanalandosi soltanto in processi di accelerazione speculativa che necessariamente trovano poi il momento di esaurimento del ciclo nel rappresentarsi dello scoppio delle bolle speculative stesse. Si capisce chiaramente perché la campagna di terrorismo massmediatico, sul debito pubblico e il debito sovrano ha semplicemente un obiettivo politico che è ancora quello di indirizzare contro lo Stato,contro l’economia pubblica, la critica feroce della gente comune ,e allo stesso tempo salvare il sistema di impresa e bancario con la socializzazione delle perdite, a carico dello Stato e così via, via liberalizzando, privatizzando, tagliando salari e Welfare, e infliggendo un altro duro colpo al potere di acquisto di lavoratori e pensionati.

“Take the square”, piazze unite contro la speculazione finanziaria.

Da New York a Piazza Affari, gli 'Indignados' di tutto il mondo hanno occupato le piazze uniti dal motto “Occupy Wall Street”. Una protesta globale nei confronti di un sistema economico che penalizza soprattutto i giovani

di Cristina Artoni - ilfattoquotidiano. Fonte: megachip Con videointervista a Giulietto Chiesa.

“Manifestiamo perché noi sappiamo che i finanziamenti per salvare il sistema bancario statunitense sono stati maggiori del costo della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, dei conflitti di Corea e Vietnam, del New Deal, del Piano Marshall e della missione Apollo.

Perché noi sappiamo che i cittadini sono sottomessi ad anni e anni di misure di austerità mentre i banchieri sono usciti indenni dalla crisi.”

E’ spiegato così, da una lista lunghissima di “noi sappiamo” il manifesto dell’iniziativa che invitava ieri a protestare per le strade di New York, fino a occupare la sede Wall Street di Manhattan. Dagli inizi di luglio il sito “Take the square” (“Prendi la piazza”, ndr) ha preso forma, affinando passo dopo passo obiettivi e strategie.

Gli organizzatori della manifestazione, che sostengono di aver raccolto 20 mila adesioni, si sono riuniti sotto diversi cartelli di associazioni per i diritti civili e per una nuova cittadinanza, come Demand Progress, Moveon.org oppure PublicCitizen.org. Gli stessi attivisti della rete di Anonymous hanno dato il loro sostegno. Con lo sguardo rivolto a Piazza Tahir e a Puerta del Sol, l’idea ruotava intorno all’occupazione fisica delle strade intorno Wall Street, con tanto di tende, come a Tel Aviv (guarda il video).

E’ proprio grazie alla rete che la parola d’ordine “Occupy Wall Street” ha fatto il giro del mondo. Ieri negli Usa sono state indette proteste davanti le agenzie bancarie ad Austin, Los Angeles, San Francisco e Seattle. Iniziative in Europa, tra cui Francia, Grecia, Portogallo, Gran Bretagna e in Italia a Milano davanti la Borsa di Piazza Affari (video di Francesca Martelli).

Ma all’iniziativa hanno partecipato anche moltissimi studenti, nuovi arrivati ma anche eredi del movimento ‘No global’, rimasto intrappolato nelle violenze di Genova 2001. Non è un caso se dal sito dell’iniziativa si riporta la frase del professore Raimundo Viejo, dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona che dice: “Il movimento anti-globalizzazione è stato un primo passo. Abbiamo agito attaccando il sistema come un branco di lupi. Un lupo maschio guidava il gruppo e il resto seguiva. Ora la nostra strategia si è evoluta. Oggi siamo un grande sciame di persone.”

In Spagna sono state organizzate iniziative in tutte le città contagiate dal movimento degli Indignados. A Madrid e Barcellona le piazze hanno lasciato la parola agli economisti che terranno lezioni sulla crisi e sul ruolo delle grandi istituzioni finanziarie.

“Questa è la prima iniziativa a livello globale che abbiamo organizzato come nuovo movimento di cittadini – dice Rodrigo, studente ‘indignato’ di Terrassa, Catalogna – E’ globale perché è una catastrofe che coinvolge tutto il mondo. Siamo nelle mani delle banche e gli stessi politici hanno abdicato il potere che avevamo affidato loro, alle istituzioni finanziarie. Dobbiamo riuscire a cambiare questo sistema, altrimenti ne verremo stritolati”.

Ma la sorpresa per il 15-M è vedere mobilitati anche gli americani: “Io non ho vissuto gli anni del movimento No Global – dice Helena, 23 anni di Barcellona – e non mi aspettavo un risveglio. Invece l’iniziativa contro le banche arriva proprio dall’altra parte dell’oceano.”

L’adesione non poteva mancare anche se gli indignados spagnoli mantengono un fitto calendario di mobilitazioni: proprio oggi contro la modifica della Costituzione (leggi l’articolo), si tiene la marcia diretta verso Bruxelles cui seguirà, il 15 ottobre, lo sciopero generale.

Ma è il disegno di questi ultimi decenni a unire a diverse latitudini, proprio come riporta il manifesto di “Take the square”: “Ci mobilitiamo perché sappiamo che negli ultimi decenni – dai tempi di Reagan e Thatcher con le loro crociate neoliberiste – ci sono state le più gravi crisi della storia finanziaria. Noi sappiamo che l’attuale ‘stato di emergenza’ non è l’eccezione ma la regola. Noi lo sappiamo perché abbiamo gli esempi che ci hanno preceduto, come l’Asia orientale, l’Argentina e molti altri paese ancora.”

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/18/take-the-square-piazze-unitecontro-la-speculazione-finanziaria/158210/.
I AM THE ONLY CHILD IN THE WORLD WITHOUT A STATE "HELP ME"

lunedì 19 settembre 2011

Crisi del neo-liberismo o del capitalismo?

di Nicola Casale, 10.9.2011 - Fonte: infoaut
Qualcuno già nutriva fiducia che la crisi fosse in via di risoluzione. Alcuni indici sembravano autorizzare la speranza. In particolare la crescita della produzione industriale, mai interrottasi nei “paesi emergenti”, dava segni di riavvio anche in Occidente (Germania e Usa in testa). L’estate, invece, è stata calda. Nuovo violento salto della crisi sul piano finanziario e scomparsa del trend positivo della produzione industriale.

La crisi finanziaria ha aggredito gli stati più esposti sul debito pubblico. Era prevedibile, dopo che, per salvare banche e finanza, s’erano accollati sui bilanci statali giganteschi debiti aggiuntivi (il “cerbero dei conti” Tremonti in tre anni ha incrementato il debito pubblico di 240 miliardi di euro. Dove son finiti se non nelle casse disastratissime delle banche?).

La crisi finanziaria e il rischio di default di qualche stato hanno ri-diffuso il germe della sfiducia ovunque e depresso di nuovo anche quei segnali positivi di timida ripresa della produzione.

Questi eventi dimostrano ulteriormente il carattere sistemico della crisi. Essa non dipende da politiche particolari (il neo-liberismo), corrette le quali il sistema possa tornare sulla strada di una nuova stabile e lunga crescita. Il fatto centrale è che nel mondo circola una massa enorme di capitale fittizio che esige la sua valorizzazione. Questo capitale è frutto degli effetti moltiplicatori dell’ingegneria finanziaria cui è stata lasciata, negli ultimi trent’anni, crescente libertà creativa, ma non solo di essa. Anzi, la creatività finanziaria si è affermata per dare risposta al problema esploso nella sfera della produzione: la sovrapproduzione. Le capacità produttive sparse per il mondo sono divenute pletoriche per il sistema. Se tutte insieme funzionassero a pieno regime produrrebbero una massa di merci destinate a rimanere invendute, determinando un ulteriore crollo dei profitti. Il capitale, di conseguenza, fugge dall’impiego produttivo perché questo lo ripaga con profitti decrescenti e insegue il sogno di potersi riprodurre, accrescendo il proprio valore, solo a partire da sé stesso nella sua forma-denaro.

All’alchimia finanziaria si associa l’opera di saccheggio della natura e della vita di intere popolazioni. Il meccanismo del credito, affermatosi nella seconda metà del ‘900 per strozzare i paesi de-colonizzati, si è esteso in modo inarrestabile a tutte le attività di sussistenza anche delle classi già sfruttate dell’Occidente, costrette per compensare i salari decrescenti a ipotecare il proprio futuro prendendo a prestito. Il sogno di ogni speculatore è di diffondere ovunque questo meccanismo usuraio. Di arrivare a prestare a credito ai milioni di arabi e africani, su cui lo stato locale esercita ancora il monopolio del credito interno, e, sogno dei sogni, il miliardo e mezzo di cinesi, cui uno stato “illiberale” impedisce di delibare l’ebbrezza di sottoscrivere prestiti direttamente con le banche occidentali.

Il bunker

di Beppe Grillo - Fonte: beppegrillo
Quando finisce un'era chi vi è dentro può ritenere di essere alla fine dei tempi e rifiutare l'evento oppure guardare oltre. E' evidente che il modello capitalista basato sul profitto senza limiti, sulla crescita e sul consumo del pianeta è fallito da tempo, anche se i governi non lo vogliono riconoscere. La guerra del petrolio iniziata almeno con la prima invasione dell'Iraq di Bush padre e proseguita fino ad ad oggi con l'occupazione dell'Afghanistan e l'aggressione alla Libia è solo il più evidente dei sintomi della nostra autodistruzione. Il modello basato sulla mobilità individuale e sui trasporti mondiali delle merci, le pere cilene in Gran Bretagna o i pomodori cinesi in Italia non ha alcuna motivazione logica, né economica. Nessuno si ferma per chiedersi: "Ha senso la crescita? E cosa significa esattamente?". La crescita è un nuovo tabù, un moloch moderno adorato come un tempo Giove o Apollo, con i suoi moderni sacerdoti: il FMI, il WTO, la BCE e i suoi templi: i palazzi delle Borse, le maestose sedi delle banche (le nuove chiese) nei centri delle città. Siamo così permeati dal mito della crescita che lo diamo per scontato, per ineluttabile e lo viviamo come atto di fede.
Quando però lo specchio si rompe e la verità non si può più rimandare, allora, come scrive Slavoj Žižek, fliosofo e psicanalista sloveno, nel suo libro "Vivere alla fine dei tempi" vi è l'elaborazione del lutto che avviene in cinque fasi. Per spiegarlo associa la consapevolezza del crollo del nostro modello economico e sociale alla scoperta di una malattia terminale. Il primo stadio è il rifiuto: non esiste la crisi e neppure il buco nell'ozono, i ghiacciai si sono sempre ritirati ciclicamente, il surriscaldamento del pianeta è un'invenzione dei media, le automobili sono necessarie per lo sviluppo della civiltà, il PIL è l'alfa e l'omega delle nazioni. Il secondo passo è la collera: i movimenti no global sono i nuovi barbari alle frontiere, chi non consuma è un pessimista e chi consuma invece un patriota, i governi e le multinazionali che vedono franare le basi del loro potere pensano "Non può succedere, non a me"(*). Il malato cerca quindi di venire a patti per rimandare il triste evento della sua dipartita: nuove manovre economiche, rientro del debito pubblico, tagli ai servizi sociali, aumento di ogni tipo di tassazione, scomparsa delle pensioni. Cobaltoterapia economica. Viene quindi la fase della depressione nella quale per chi è al potere tutto è lecito, comportamenti da basso impero, alleanze con i poteri criminali, corruzione dilagante, nuove guerre. Pensa a godersi la vita che gli rimane. Après moi, le déluge. L'ultimo stadio è l'accettazione in cui il potere si rassegna, si rinchiude in un bunker e aspetta la fine. Il mondo, in generale, si trova tra la prima e la seconda fase, tra il rifiuto e la collera. In Italia ci siamo portati avanti e stiamo transitando dalla terza alla quarta fase, tra il venire a patti con la realtà e la depressione. Tra poco ci sarà l'assalto al bunker. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

(*) citazione da Slavoj Žižek

Davanti alla crisi, rovesciare i dogmi sulla spesa pubblica.

di Riccardo Bellofiore. Il manifesto - Fonte: sinistrainrete
L'articolo di Halevi (20/3), che inquadra l'evoluzione più recente della crisi finanziaria, induce a qualche chiosa su come Europa e Italia entrino nel quadro. Che il discorso di Halevi riguardi anche il vecchio continente è evidente. Gli Stati Uniti sono stati assunti come modello per quel che riguarda precarizzazione del lavoro, capitalismo dei fondi pensione, liberalizzazione dei mercati. Gli Usa sono stati l'acquirente di ultima istanza, non solo per Asia e Cina, ma anche per i neomercantilismi europei. L'euro è stato residuale rispetto alla dinamica del dollaro.

Non ci vuol molto a capire che l'Europa va vista nella sua articolazione interna. Con almeno cinque aree cruciali, su cui si articolano le varie periferie, e l'Est. Un polo manifatturiero di qualità, tedesco e in parte francese, con i suoi satelliti. Un polo scandinavo di produzioni di nicchia di alta tecnologia.

Il centro finanziario: Inghilterra, ma anche Lussemburgo e Olanda. Le produzioni tradizionali, i distretti e le piccole imprese dell'Italia. Infine Spagna e Grecia: la prima con una crescita trainata dalle costruzioni, entrambe con disavanzi con l'estero enormi. L'Europa cresce se vanno bene le esportazioni del cuore centrale, largamente mitteleuropeo. I profitti degli esportatori sono in larga misura interni all'area, i cui squilibri devono riprodursi affinché il meccanismo possa avere spazio di movimento.

A che serve spezzare le reni alla Grecia.

di Marcello De Cecco - La repubblica - Fonte: sinistrainrete
Uno dei problemi dell’Unione Europea è che in qualsiasi momento ci sono elezioni imminenti da qualche parte nei ventisette paesi membri o nei sedici paesi dell’Unione Monetaria. Una parte della classe politica europea è dunque sempre impegnata a organizzarle e disputarle. Gli atteggiamenti che assume nei confronti dei più scottanti problemi europei del momento sono quindi funzionali alla politica elettorale, moltiplicata per ventisette o sedici rispetto a quel che avviene in uno stato nazionale. Lo stesso accade in un grande stato federale come gli Stati Uniti, e le conseguenze le conosciamo da tempo e le vediamo anche oggi. Ora si avvicinano per l’appunto le elezioni nel land della Renania, dove si affrontano non solo governo e opposizione, ma dove i liberali del disinvolto Westerwelle cercano di mantenere le posizioni guadagnate nelle elezioni generali.

Ecco dunque il capo liberale affermare che se non fosse per le malefatte della Grecia i tedeschi potrebbero vedersi ridurre il carico fiscale, come lui promise nelle elezioni generali. Ed ecco il ministro Schauble, dal canto suo, proporre un fondo monetario europeo che è in realtà un letto di contenzione per paesi dell’Unione Monetaria che non rispettano le regole di austerità fiscale. La signora Merkel afferma in Parlamento che i trattati europei (forse intende Maastricht) devono essere cambiati, introducendo la esplicita possibilità di espellere un membro fiscalmente reprobo. La signora sa quanto ci vuole a cambiare un trattato europeo, ma non si esime dal proporlo come se si potesse fare in pochi mesi.

La destinazione elettorale delle sue affermazioni è evidente, eppure esse sono estremamente pericolose, perché fanno il giro del mondo e suscitano reazioni estremamente allarmate negli altri paesi membri dell’Unione Monetaria.

Mentre la cancelliera parla tanto crudamente, il suo consigliere economico Michael Meister afferma che non è assolutamente possibile immaginare un intervento a salvataggio della Grecia che non coinvolga il Fondo Monetario Internazionale. Rivelando in tal modo che la posizione di esclusione del Fmi sta a cuore veramente solo ai francesi.

Più in generale i politici tedeschi insieme ai loro media assumono l’atteggiamento di chi parla da una posizione di conti pubblici in ordine nel presente e nel futuro. Ma il deficit pubblico tedesco è oggi di più del 5% del pil, tutte le previsioni danno il rapporto debito/pil della Germania lanciato verso il 100% entro il 2014, e la Commissione europea ribadisce tale concetto affermando, mercoledì scorso, che "la strategia di bilancio della Germania non è sufficiente a portare" il rapporto di cui sopra "indietro verso un sentiero in discesa", aggiungendo che Berlino non ha specificato quali tagli di spesa vuol fare dopo quest’anno. La Commissione ha certo in mente i gravi problemi che la Germania incontrerà nei prossimi anni a ridurre le spese per le pensioni e la sicurezza sociale.

domenica 18 settembre 2011

Elogio di Terry De Nicolò, filosofa del terzo millennio.

di Miguel Martinez. Fonte: kelebeklerblog
Non ho seguito per nulla l’ultima vicenda che coinvolge il nostro presidente del Consiglio, il suo lenone e ricattatore di fiducia il signor Tarantini e un numero sproporzionato di Jeune-Fille di ogni età e dimensione.

Mi hanno però segnalato un video davvero notevole.

E’ un’intervista con una certa Terry De Nicolò, coinvolta non saprei, e non mi interessa, a quale titolo nella vicenda. Nell’intervista, vediamo una signora piuttosto dignitosa, per nulla appariscente, che si esprime in un ottimo italiano. Anche le parolacce che usa, ci stanno, nel contesto del discorso.

Dice la De Nicolò:

“poi se tu sei una bella donna e ti vuoi vendere, tu lo devi poter fare, perché anche la bellezza, anzi sopratutto la bellezza, come dice Sgarbi, ha un valore. Se tu sei racchia e fai schifo, te ne devi stare a casa, perché la bellezza è un valore che non tutti hanno, e viene pagato, come la bravura di un medico. E’ così, è così. Chi questo non lo capisce, “ah, il ruolo della donna viene minimizzato!”, allora stai a casa, non mi rompere i coglioni.”

L’intervistatore dice che secondo la procura, queste feste con queste donne servivano a convincere Berlusconi a fare entrare certi imprenditori nei grandi appalti, “la donna era vista un po’ come una tangente“. Un danno quindi, per l’imprenditore che non usa la donna tangente…

Risponde la De Nicolò,

“Beh, scusami, non usa la donna tangente? Userà le mazzette! Ma che vuol dire?”

“Secondo te non esistono imprenditori onesti?“, incalza l’intervistatore.

“Ma quando sei onesto, non fai il grande business, rimani un piccolo, secondo me, no? Se vuoi aumentare i numeri, devi rischiare, devi rischiare il tuo culo. E’ così, è la legge di mercato. Più in alto vuoi andare, e più devi passare sopra i cadaveri. E’ così, ed è giusto che sia così. Però qui non viene capito, perché c’è un’idea cattolica, c’è un’idea morale, quello che mi fa incazzare, l’idea moralista della sinistra, che tutti devono guadagnare duemila euro al mese, che tutti devono avere diritto, no, no! Qui è la legge di chi è più forte, di chi è più leone. Se tu sei pecora, rimani a casa con duemila euro al mese. Se tu invece vuoi ventimila euro al mese, ti devi mettere sul campo, ti devi vendere anche tua madre, mi dispiace ma è così.”

Questo discorso può essere letto in due maniere totalmente diverse.

Per chi non sa vedere oltre i confini della propria squadra calcistico-politica, sarebbe una sorta di pistola fumante, che dimostrerebbe che Silvio Berlusconi avrebbe commesso questo o quel reato.

Per chi invece usa il cervello, si tratta del più chiaro riassunto del pensiero occidentale contemporaneo che mi sia capitato di incontrare.

A differenza della signora, che sa farsi capire da chiunque voglia capire (cioè da pochi), io uso parole complicate.

Il primo concetto che lei esprime, è infatti, la metafisica del denaro.

Il denaro è l’unico ente trascendente, perché riduce ogni cosa a funzione di se stesso: io posso mettere in affitto sedie a sdraio, indifferentemente sulle spiagge pugliesi o su quelle delle Maldive, e con il guadagno posso comprarmi, indifferentemente, una villa in Tailandia o un tot di bellezza in Italia.

Questa riduzione di ogni realtà esistente a un unico metro intercambiabile, la dequalificazione del mondo, si ottiene rompendo il guscio chiuso in cui vive l’umanità. I “duemila euro al mese” sono una metafora geniale per tutti i sistemi basati sull‘autolimitazione, sulla consapevolezza della propria mortalità, che si tratti del villaggio africano o della città socialista.

Questo guscio si rompe con la volontà di vivere da leoni: l‘Ulisse di Dante, il Faust di Goethe, l’uomo che per primo commercializzò gli aspirapolveri e tutti coloro che non accettano i limiti alla propria espansione imposti da “cattolici e moralisti”.

L’espansione, ciò che i greci chiamavano hybris, è possibile solo attraverso il rischio, il gioco d’azzardo, che permette di accumulare i grandi capitali. Persone che sanno dire, i limiti esistono solo dentro le nostre teste, che si tratti della misura greca, del dharma induista, del Dio cristiano o della solidarietà socialista.

E’ possibile uscire dal mondo arcaico, dai “duemila euro al mese”, senza usare violenza? No. La violenza, il passare trionfalmente sui cadaveri di amici e di parenti, il vendere la propria madre, lo sconvolgere il mondo, non è un incidente di percorso: è l’essenza stessa del capitalismo.

La De Nicolò probabilmente non ha studiato in maniera approfondita la storia; eppure ha colto il motore degli ultimi cinque secoli di storia.

Certo, cose del genere sono già state dette, in maniera diversa, da persone dalle idee molto diverse. Chi è intelligente, insomma, ci arriva. Ma sfido i lettori a trovare in tutte le opere di Marx, Latouche, Preve, Guénon o Muhammad Baqir al-Sadr, un’espressione così semplice e chiara delle vere questioni dei nostri tempi.

Ora, quando qualcuno ha il coraggio di dire la verità, viene messo in croce. Un commento a caso al discorso di Terry De Nicolò:

“Zoccola miserabile. Non trovo aggettivi sufficienti per definire questa bestia. Vado a vomitare.”

Invece di vomitare, il cretino poteva mettersi a pensare. Finalmente.

Terry De Nicolo'

Ecofin a Wroclaw Migliaia di no ai mercati.

di Antonio Morandi. Fonte: ilmanifesto
Oltre cinquantamila i partecipanti alla euromanifestazione indetta dalla Confederazione Europea dei Sindacati e dai sindacati polacchi Solidarnosc e OPZZ (Ogólnopolskie Porozumienie Zwiazków Zawodowych - Alleanza sindacale di tutta la Polonia). L'occasione è stata la riunione dei ministri finanziari dell'Unione europea, presenti il presidente della Bce e il segretario al tesoro statunitense, che hanno chiuso i lavori in anticipo temendo questa grande manifestazione. Dove è stato testimoniato il bisogno di nuove politiche sociali ed economiche e la non rassegnazione dell'Europa del lavoro alle politiche di austerità che i vari governi europei hanno messo in atto in questi mesi.
Un no alla rassegnazione e al progressivo imbarbarimento di un continente che registra oggi 22,7 milioni di cittadini senza lavoro ed una percentuale del 10% di disoccupati che non comprendono il dato di disaffezione di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici che non si fanno più registrare dalle statistiche.


Proprio l'Ufficio statistico europeo Eurostat ha diffuso in questi giorni i dati relativi alla occupazione evidenziando significative differenze tra i Paesi membri dell'Unione, con tassi negativi di disoccupazione come Spagna (21,2%), Lettonia (16,2%), Lituania (15,6%) e con l' Austria al 3,7% l'Olanda al 4,3%, il Lussemburgo al 4,6%. Particolarmente drammatici gli effetti della crisi economica sulla occupazione giovanile. I giovani senza lavoro sotto i 25 anni superano abbondantemente i 5 milioni nell'Europa a 27 di cui 3,143 milioni nell'area Euro.
La crisi economica ha enormi conseguenze sociali: una disoccupazione così grande è il risultato del mercato del lavoro flessibile e precario generato dalle politiche neoliberiste. Anche in questa manifestazione a Wroclaw, la Confederazione Europea dei Sindacati ha voluto ricordare come la turbolenza e la speculazione sui mercati finanziari stanno minacciando la stabilità dell'economia dell'Unione europea e i leader politici devono svolgere un ruolo di primo piano, assumere decisioni e non permettere che mercati e agenzie di rating prendano il comando.


Le manovre economico-finanziarie che i governi stanno sviluppando in Europa hanno carattere recessivo e non aiutano la crescita ed il patto Europlus deciso dal Consiglio d'Europa spinge l'economia del continente alla depressione. Allo stesso tempo una enorme ricchezza di liquidità non viene investita in attività produttive e viene consumata nel mercato finanziario con la conseguente speculazione sulle materie prime e sui beni alimentari. Ecco la ragione della mobilitazione sindacale europea che chiede che a pagare la crisi sia chi l'ha generata. Al comizio conclusivo nella grande piazza Rynek i vari oratori hanno ricordato che in Europa la solidarietà è più urgente ancora: «Azioni immediate devono essere prese in favore di meccanismi di solidarietà europea sostenendo gli investimenti e scelte di reale ripresa economica».
Nello specifico i sindacati europei ribadiscono come siano da rifiutare i diktat dai mercati finanziari e delle agenzie di rating, le scelte di austerità con conseguente drastica riduzione dei salari e delle protezioni sociali, l'insicurezza e la disoccupazione, soprattutto per i giovani. Come vanno respinte la deregolamentazione delle norme del lavoro e la regressione sociale, gli interventi di indebolimento e di attacco alla contrattazione nazionale collettiva e lo smantellamento del dialogo sociale, la crescita delle disuguaglianze sociali e salariali. Servono posti di lavoro stabili e di qualità; l'occupazione giovanile deve essere una priorità; occorre rispetto per l'autonomia delle parti sociali nella contrattazione collettiva e dei salari, occorre un autentico dialogo sociale; sono necessari la protezione e l'aumento del potere d'acquisto salariale.
Retribuzioni decenti, pensioni migliori, hanno ribadito ieri i tanti sindacati di ogni Paese (presenti anche le rappresentanze di Cgil Cisl Uil) in un lunghissimo e combattivo corteo multicolore che per ore ha attraversato la città. Una forte attestazione di opposizione dei sindacati all'attacco ai diritti sindacali, alla contrattazione collettiva e contro le misure di austerità.

UN SUGGERIMENTO?
A SUGGESTION? (Unwittingly this magazine name suggests an alternative to President Napolitano)

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters