Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 10 marzo 2012

Keynes in CGIL. Appello degli economisti per una svolta in Europa

- keynesblog -
Non ci sono solo i tecnici del governo. Il Forum Cgil dell’economia lancia un appello alle istituzioni Ue, già sottoscritto da molti studiosi: la linea Merkel/Sarkozy ha fallito. Con l’austerità non si esce dalla peggior crisi degli ultimi 70 anni. Bisogna ripartire da una “nuova” crescita di qualità e dal lavoro.

Un appello che, anche nel linguaggio, si richiama chiaramente alla tradizione keynesiana e alle culture dell’economia critica e che si incentra su molti degli argomenti che abbiamo affrontato nel nostro blog.

Basta con la linea dell’austerità e del rigore di bilancio: qualcosa che non serve a tirar fuori l’Europa dalla più grave recessione che si sia mai vista dagli anni 30 del secolo scorso.

Nasce da questa considerazione l’appello “per una nuova politica europea contro la recessione” promosso dal Forum Cgil dell’economia e già stato sottoscritto da molti studiosi (qui il testo integrale). Si tratta – spiegano Laura Pennacchi e Danilo Barbi a nome del Forum – di “una scelta che intende proporre l’assoluta necessità di assumere il cambiamento delle politiche europee, oggi ciecamente orientate su un’austerità che azzera ogni prospettiva di sviluppo economico, come condizione per riorganizzare il modello di sviluppo, rafforzare il ruolo pubblico, promuovere politiche di piena occupazione”.

L’appello è stato inviato alle istituzioni dell’Unione europea, al governo italiano, alle forze politiche e sociali e al presidente della Repubblica italiana. «Nel quinto anno della crisi globale più grave da quella del 1929 – si legge -, una drammatica prospettiva di recessione incombe sull’Europa mettendone a rischio non solo l’Euro ma anche il modello sociale e l’ideale della “piena e buona occupazione”».

Eppure, argomentano gli economisti, «si è scelta la linea dell’austerità, del rigore di bilancio – a cominciare dal Patto di Stabilità e Crescita, passando per il Patto Euro Plus, per arrivare all’attuale “Fiscal Compact” – con l’idea di contrarre il perimetro statale continuando a sperare che i privati aumentino investimenti e consumi, sulla base della fiducia indotta dalle immissioni di liquidità nel circuito bancario, a sua volta “sollecitato” ad acquistare titoli di stato europei».

Ma per i promotori dell’appello «non basta scommettere sulle aspettative dei mercati finanziari, degli investitori privati, delle banche, dei consumatori. Non è sufficiente puntare sulla “credibilità” dei governi».

La qualità dello sviluppo

Sbilanciamoci!
Pubblichiamo la sintesi della ricerca Nuovi indicatori di benessere. Monitorare la qualità dello sviluppo nella capitale metropolitana, frutto della collaborazione tra la Provincia di Roma, con la sua azienda in house Provinciattiva, e la Campagna Sbilanciamoci!

Grandi potenzialità frustrate da rilevanti contraddizioni: la ricchezza culturale, la forza economica, il pregio ambientale e la qualità di vita sono valori diffusi ma non uniformi nella provincia di Roma. Pure in un territorio contenuto, per quanto popoloso, la mancanza di una cultura comunitaria e di un governo unitario condizionano negativamente realtà e prospettive del sistema economico e sociale locale. È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge da un’analisi del territorio metropolitano di Roma condotta sulla base di un set di 49 indicatori di benessere.

I sistemi territoriali della provincia di Roma sono stati analizzati sotto sei aspetti: qualità ambientale e inquinamento, organizzazione delle funzioni e della mobilità, presenza di strumenti di produzione e fruizione di cultura e innovazione, condizioni economiche, sistema produttivo e lavoro, condizioni sociali e accesso ai servizi fondamentali, integrazione e partecipazione alle reti socio-politiche. Una lettura a 360° dei sistemi economici, sociali e territoriali della provincia di Roma, il cui dettaglio e aggiornamento si propone come strumento a sostegno delle scelte di politica pubblica. Le infrastrutture di Fiumicino e Civitavecchia, l’industria farmaceutica di Pomezia, il sistema logistico di Fiano Romano, il terziario avanzato e la ricerca pubblica e privata di Roma, la capacità di assorbimento di anidride carbonica delle montagne di Subiaco e il modello di comunità locale dell’area dei Castelli: una lettura d’insieme dei territori della Capitale metropolitana ne rende evidente il potenziale in termini di qualità della vita e capacità competitiva. Oggi tali potenzialità sono frustrate da alcune evidenti contraddizioni:

Dizionario della crisi

di Vincenzo Comito - sbilanciamoci -
La crisi: istruzioni per l'uso. Da "credit crunch" a default, dai bond ai Btp, dalle capitalizzazioni ai "credit default swaps", un glossario, chiaro e articolato, per capire i termini dell'economia e il suo funzionamento

AAA nelle valutazioni delle agenzie di rating (v.) – quelle che contano sono soltanto tre al mondo, Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch; esse hanno un monopolio virtuale del mercato –, la tripla A significa il massimo di affidabilità possibile per un titolo; la gran parte di quelli costruiti sui mutui sub-prime (v.), che si sono sostanzialmente rivelati poi come titoli “spazzatura”, avevano ricevuto dalle società di rating proprio una valutazione di tripla a, così come l’avevano ricevuta a suo tempo imprese come la Enron e la Worldcom, che erano all’improvviso fallite nei primi anni del nuovo millennio. Le agenzie stanno avendo un ruolo di tutto rilievo anche nella crisi dell’euro. Da sottolineare comunque che da qualche tempo è stata anche varata una organizzazione di rating cinese

ABCP (Asset backed commercial paper) si tratta di emissioni di carta commerciale (v.), garantite da altre attività finanziarie. Questo tipo di titoli è stato impiegato in particolare dai cosiddetti Siv (v.), che finanziavano con questi strumenti, tipicamente a breve termine, gli acquisti di titoli a lungo termine, sino al redde rationem che non è poi mancato all’appuntamento

ABS (Asset Backed Securities) titoli (ad esempio, obbligazioni) collegati a delle attività specifiche, quali dei crediti immobiliari ipotecari, o dei crediti commerciali verso delle imprese. La restituzione del capitale e degli interessi sui titoli è in sostanza garantita dal rendimento di tali attività sottostanti. Uno dei meccanismi che ha scatenato la crisi finanziaria è proprio collegato all’emissione sul mercato di titoli garantiti da mutui sub-prime (v.)

Analista persona specializzata nel valutare una qualche attività o passività finanziaria, dalle azioni, alle obbligazioni, alle stesse imprese nel loro complesso e che lavora spesso in una banca o in una società finanziaria specializzata

Assets è l’espressione inglese per attività, indicate nel lato sinistro del bilancio di esercizio (in Gran Bretagna quello destro); fa riferimento quindi, in termini generali, alle liquidità, ai crediti, al magazzino materie prime e prodotti finiti, agli investimenti tecnici, immateriali, finanziari, posseduti da un’impresa, da un’organizzazione, da un privato

Attività (v. Assets)

Attività fuori bilancio (v. Offbalance-sheet)

Austerità politica che consiste essenzialmente nel taglio della spesa pubblica con l’obiettivo ufficialmente dichiarato di ridurre il livello dell’indebitamento degli stati e di rendere compatibili le uscite di bilancio con le entrate. Nella sostanza, in realtà, l’austerità come praticata in questi anni consiste nel trasferimento di una parte del reddito delle famiglie di un paese a favore delle banche e più in generale del settore delle imprese e di quello delle classi più ricche; un altro obiettivo formalmente non dichiarato è quello di ridurre comunque l’intervento dello stato nella vita economica

Halevi in linea: lo swap? Una truffa legalizzata

Cinzia gubbini, Joseph Halevi - ilmanifesto -
"i 130 miliardi di aiuti [alla Grecia] serviranno esclusivamente a ripagare il debito delle banche". L'economista Halevi, storico collaboratore del manifesto, spiega da Sydney le conseguenze dello "scambio titoli".

cinziagubbini: cosa ne pensi del "grande swap" di ieri? sembra sia andato bene.
joseph halevi: E'una truffa legalizzata
cinziagubbini: In che senso?
joseph halevi: Alla Grecia veine ridotto il debito 110 miliardi di euro e si indebita con le organizzazioni uffciali di 130 miliardi, un ulteriore aumento di 20 miliardi. Lo swap altro non é che il trasferimento del debito verso i privati al debito pubblico, cioé alle istituzioni pubbliche rappresentate dalla Troika.
cinziagubbini: spiegaci meglio, chi ha scambiato i suoi titoli non aveva comunque nel portafoglio i titoli di stato greci?
joseph halevi: Sì ed é per questo che ai dententori di titoli sono stati offerti i 30 miliardi, gli altri 100 andranno a pagare le spese future per interessi, commissioni etc. Il punto é che ai privati veine offerta una via d'uscita mentre la Grecia si indebita ulteriormente questa volta con le organizzazioni ufficiali. Sul tema c'é un lucido articolo di Nouriel Roubini, che spesso non mi piace, sul Financial Times di oggi. Comunque Roubini mostra molto bene come il fatto che i privati suibsicano delle perdite pesanti sia un mito. Pagano un costo per il trasferimento del peso del debito alle organizzazioni pubbliche.
cinziagubbini: Dunque la Grecia dovrà, ad un certo punto, ridare comunque indietro questi soldi, anche se con un taglio nominale.
joseph halevi: La Grecia é in fallimento quindi il debito verso gli organismi pubblici internazionali non potrà pagarlo ne consegue che ricadrà sulla collettività.
cinziagubbini: Dici che non lo pagherà?
joseph halevi: Certo deve restituirli. Riceve 130, di cui 30 per addolcire la pillola verso i privati subito e 100 per pagare le spese future sempre ai privati. Ma con gli organismi pubblici resta indebitata di quei 130 miliardi di euro.
cinziagubbini: Ieri tutti dicevano: la Grecia è salva
joseph halevi: Non può pagare, l'avevo scritto un meso e rotti fa sul manifesto. Il 20 febbraio Der Spiegel ha pubblicato un ottimo articolo dicendo che il pacchetto dei 130 miliardi di "aiuti"-strozzinaggio non deve andare avanti. Giustissimo. La Grecia non é salva, é in bancarotta. Sono salvi coloro che riceveranno i 30 ed i 100 miliardi di euro, non la Grecia la cui economia é in caduta libera oberata di ulteriori 20 miliardi di debiti: 130 meno 110 =20
cinziagubbini: Ho capito, tu dici che il pacchetto di aiuti che arriverà praticamente servirà solo a pagare i creditori, e non a fare qualche misura a favore dei cittadini come, per dirne una, un fondo contro la disoccupazione.
joseph halevi: Esattissimo ed è stato Der Spiegle a dirlo nella maniera più chiara oltre che a uno zombie di pseudosinistra come me. I 130 miliari (100, perché trenta sono dei dolcificanti) servano a garantire i pagamenti ai privati nel tempo. Scrive Der Spiegel (grosso modo) "la Grecia é come un vacca che deve produrre latte e nutrirsi quel tanto che non la porti ad un esaurimento completo" come la storia dell'asino e la macina insomma. Comunque l'articolo è qui: ttp://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,816498,00.html

venerdì 9 marzo 2012

La pasta al pomodoro della ministra Fornero

di ALESSANDRO ROBECCHI – micromega -
Pur abituati al peggio del peggio del peggio del peggio (e andate avanti voi), c’è da stentare a credere alle parole che il ministro Fornero ha rivolto ieri ad alcune ragazze e giovani donne precarie. Loro, perennemente escluse da ogni tavolo, sono andate direttamente a trovarla al ministero, occupando pacificamente la stanza del suo ufficio stampa.

Avvertita, la ministra Fornero non si è sottratta e, tornata al ministero, ha accettato di incontrare nove ragazze sotto i trent’anni, disoccupate, o precarie, o licenziate. Il racconto lo fa il Corriere della Sera e potete leggerlo qui. Tutto bene, verrebbe da dire: di fronte agli “occupanti”, nessun tafferuglio, né gas urticanti o manganellate. Ma la lezioncina no, quella non è stata risparmiata alle ragazze, anche considerato che era l’8 marzo. E allora ecco (le parole della ministra del welfare sono virgolettate così come le riporta il Corriere dalle testimonianze delle ragazze di OccupyWelfare).

Dice Fornero: “E’ un momento di crisi per tutti e tutti devono fare sacrifici”. Già, un po’ come se stesse parlando con Briatore. E di fronte alla richiesta di un salario minimo garantito ha affermato: “L’Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l’anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro”.

Non si capisce per quale distrazione la ministra del welfare si sia dimenticata di alcune cose: a) molti suonerebbero anche il mandolino; b) la pennichella subito dopo la pasta al pomodoro, ovviamente in attesa di andare a ritirare il lauto assegno; c) nemmeno nel tanto sbandierato sistema danese della flexsecurity c’è questo problema, perché là la pasta al pomodoro non sanno farla.

Insomma, dopo gli “sfigati”, dopo i giovani “che vogliono lavorare vicino a papà e mamma”, dopo “la monotonia del posto fisso”, un’altra geniale uscita dei prestigiosi tecnici al governo: niente salario minimo garantito perché se no vi sedete lì a mangiare gli spaghetti al sugo e chi si è visto si è visto. Non risulta che la ministra Fornero abbia smentito, né che abbia versato qualche lacrima. Probabilmente dirà presto che è stata “travisata”, come da tradizione. Intanto, nessuna notizia del fiasco di vino o della birretta che il welfare italiano non potrà darvi e vi aiuterebbe non poco ad “adagiarvi”. Complimenti.

Alessandro Robecchi

(9 marzo 2012)

8 marzo



La donna e' un donno che non meritiamo.

Vogliono bandire Keynes

The Irish Times Dublino - presseurope -
Il governo irlandese ha annunciato che organizzerà un referendum sul trattato fiscale. In gioco c'è il pluralismo delle idee economiche, che la destra europea vuole sottomettere alla sua ortodossia.
“…il delitto fondamentale che comprendeva tutti gli altri. Lo chiamavano psicoreato”.
George Orwell, 1984.

La domanda di fondo del referendum che ci sarà proposto è… già, qual è la domanda? Non sarà, come ha erroneamente affermato l’anno scorso il ministro delle finanze irlandese Michael Noonan, un referendum sull’eventualità che l’Irlanda possa uscire dalla zona euro (non possono estrometterci).

Non avrà a che vedere, come ha dichiarato la settimana scorsa in più occasioni il premier irlandese, con la “ripresa economica” o con i “posti di lavoro” o il presunto “desiderio di far parte della comunità europea, dell’euro e della zona euro da adesso in poi”. E di sicuro non riguarderà neppure il modo di definire un deficit strutturale dello 0,5 per cento, perché se lo fosse si tratterebbe della cosa più astrusa mai sottoposta al giudizio dell’opinione pubblica.

Il referendum riguarderà l'introduzione dello psicoreato, ovvero un modo di pensare che dovrebbe essere messo al bando. Non ha a niente a che spartire col nazismo, il razzismo o qualche altra ideologia dell’odio. Si tratta di un modo di pensare che per circa trent’anni, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, è stato il prevalente “modo di pensare” l’economia di buona parte del mondo sviluppato: la filosofia di John Maynard Keynes.

Stiamo parlando del contesto intellettuale della maggioranza del centrosinistra europeo e dei neodem negli Stati Uniti. E a metterlo al bando sarà un trattato internazionale, alla stregua di quelli che vietano il traffico di esseri umani o le armi chimiche.

Mettere al bando la teoria keynesiana dopo il grande crollo del 2007 è un po’ come reagire a un massacro vietando i giubbotti antiproiettile. L’Irlanda ne è un caso esemplare. L’idea di fondo di Keynes era che i governi dovessero mettere in atto politiche anticicliche, governare con i deficit per dare slancio alle economie deboli e tagliare la spesa per raffreddare le economie surriscaldate.

Alla base della proposta del trattato fiscale c’è invece il concetto molto semplice che un governo deve comportarsi come un nucleo familiare, che negli anni delle vacche grasse fa uso di bigliettoni, ma in quelli di magra chiude tutti i portafogli. La sua opinione ponderata della teoria economica keynesiana è: non pensarci nemmeno. Le politiche fiscali anticicliche sono proibite.

Votazioni e blocchi stradali

di Giulietto Chiesa - ilfattoquotidiano -
Un parlamento di camerieri sta portandoci via la Costituzione a colpi di maggioranze bulgare. Camerieri di chi? Dei “proprietari universali”, quelli che - Giulio Tremonti dice – stanno pian piano portandoci in un “nazismo bianco”. Chissà poi perché bianco. Forse perché di carta; carta come il denaro che creano; carta come i nostri risparmi; carta perché lo possono bruciare quando fa loro comodo.

Camera e Senato stanno votando l’introduzione del pareggio in bilancio nella Costituzione italiana. La maggioranza dei due terzi è assicurata dall’inesistenza dell’opposizione. L’inesistenza dell’opposizione conferma che il parlamento è fatto di camerieri. Il circolo è chiuso.

Il popolo, detentore della sovranità, non sarà consultato. Infatti non conta più niente. E’ stato esautorato, ma ancora non lo sa. Crede di vivere in un paese democratico, invece vive dentro Matrix, dentro un Truman Show, guardato a vista da un deus ex machina che sta sopra. Come un dio servito da una ristretta schiera di diaconi adoranti, laureati alla Bocconi, la cui missione è quella di rieducare il popolo italiano.

Pol-pottini molto impettiti, che svolgono i dettami della TINA (there is no alternative). Sembra che ci credano anche loro. E’ una questione di fede, infatti. E di dogmi. Ed è anche questione di potere. Ce l’hanno. Non è più un potere trattabile: è un potere impermeabile alla ragione. Come i dogmi.

Non c’è nessun patto tra questo potere dei diaconi bocconiani e la gente. C’è un ordine da eseguire. I camerieri sono lì apposta per renderlo legale.

Tutto questo è nei confini della legge. Lo è perché le leggi le hanno fatte e le fanno loro. Infatti servono a loro e non a noi. Dunque loro sono nella legalità e quelli che non sono d’accordo non sono legali. Dunque vanno puniti, se insistono.

Guarda i NOTAV. Hanno tutte le ragioni dalla loro parte, quelle della scienza, quelle della natura, quelle della logica, quelle dell’etica. Ma i pol-pottini hanno definito per legge cosa è il Progresso e la legge va applicata. I NOTAV non hanno il potere di fare la legge, ma non vogliono nemmeno subire quella dei pol-pottini. Perché non abitano a Matrix, ma in Val di Susa. Dunque fanno i blocchi stradali, ma i blocchi stradali sono fuori dalla legge.

Ne consegue che si può rubare la Costituzione, rispettando le regole, ma non si possono fare i blocchi stradali, per difendere la Costituzione, perché, in queste condizioni, difendere la Costituzione significa diventare dei fuorilegge.

O le armi O BRETTON WOODS

INTERVISTA - Cinzia Gubbini - ilmanifesto -
Elido Fazi, patron dell'omonima casa editrice, ha dato alle stampe (per ora solo digitali) un saggio sulla crisi economica europea. Con una tesi interessante: dietro alle schermaglie della Borsa e all'altalena dello spread si nasconde la crisi del dollaro e il debito statunitense. E se nel 1944 avessero dato ascolto a un certo Keynes... «SIAMO IN GUERRA: RIFORMARE SUBITO IL SISTEMA MONETARIO»

«Se non si trova una soluzione allo squilibrio mondiale creato da una finanza lasciata a briglie sciolte, l'unica soluzione sarà lo scoppio di una nuova guerra mondiale. Questa volta fatta con le armi vere, e non solo con quelle della Borsa come è stato finora». Visione pessimista? Probabilmente di Elido Fazi - patron dell'omonima casa editrice - si può dire tutto tranne che sia un pessimista. Anzi, è una persona abituata a guardare avanti, con una punta di fiducia nell'umanità, se è vero che nel suo ultimo libro (scritto in un week end) «La Terza guerra mondiale? La verità sulle banche, Monti e l'euro» dà del tu a Obama - per il quale fa il tifo senza remore - e invoca l'organizzazione di una nuova Bretton Woods per "riformare il sistema monetario internazionale". Il libro - che è disponibile solo in formato e-book a 1 euro - è un utile excursus negli ultimi (quasi) cento anni di storia macroeconomica europea e statunitense.
Un sunto denso - ma anche leggero e cosparso di aneddoti veri ma quasi incredibili della vita di Fazi - che sembra la medicina necessaria per il grande male del secolo: la memoria corta. Che, però, è solo il sintomo di un altro male, quello vero: la disinformazione. Il libro è interessante perché, aldilà delle competenze dell'autore che è un economista, nasce dall'incrocio di notizie di cui Fazi è un moderno esploratore, tra la classica lettura dei giornali e la contemporanea ricerca in rete. Cosicché è proprio dando uno sguardo a Wikipedia, durante l'intervista, che pesca l'ultima novità sulla borsa di Kish: «Da confermare ma interessante: venderanno petrolio solo in yen, rupie, euro o con un paniere monetario. Non accetteranno dollari. Siamo di fronte a una sfida molto seria alla valuta americana».
Cos'è la borsa di Kish? Uno dei capitoli "caldi" del libro di Fazi, e una delle notizie più importanti degli ultimi anni: nel 2006 l'Iran annuncia l'apertura di una borsa tutta sua in cui sarebbero stati trattati idrocarburi, non in dollari ma in "monete credibili". La notizia, all'epoca, destò un qualche scalpore anche in Italia, ma presto fu archiviata come "impossibile". «Da parte mia - racconta Fazi - inviai un amico giornalista a vedere che aria tirava. Il resoconto è riportato nel libro: già allora si capiva che la faccenda era seria».
Dunque l'Iran dichiara guerra al dollaro, e in qualche modo privilegia l'euro.
Era inevitabile: il dollaro è finito, e non da adesso. Se l'Unione europea riuscisse a realizzare una reale integrazione, politica e economica, le cose sarebbero ben diverse: sarebbe uno dei "poli" di potere mondiali più ricchi e più stabili. Una vera e propria garanzia contro la guerra.
WORKERS' DIGNITY
Strike!

Una lettera dall'ospedale sotto controllo dei lavoratori a Kilkis

- senzasoste -
L'occupazione del nostro ospedale a Kilkis da parte dei lavoratori, è iniziata lunedi 20 febbraio. Questa occupazione non riguarda solo noi, medici e lavoratori dell'ospedale di Kilkis. Non viene fatta neanche per il sistema Sanitario Nazionale Greco (ESI), che è in realtà al collasso.

Facciamo questa lotta perché oggi sono in pericolo i diritti umani. E questa minaccia non è nemmeno diretta contro una nazione, o alcuni paesi, o alcuni gruppi sociali, ma contro le classi basse e medie in Europa, America, Asia, Africa e in tutto il mondo. Oggi la Grecia è l'immagine del domani in Portogallo, Spagna, Italia e in altri paesi del mondo.

I dipendenti dell'ospedale di Kilkis e della maggior parte degli ospedali e centri sanitari in Grecia non vengono pagati regolarmente, e alcuni vedono i loro stipendi tagliati a praticamente a zero. Un mio collega è stato trasferito in una clinica di cardiologia in uno stato di shock, quando si reso conto che, invece di prendere la paga abituale di 800 euro (sì, questo è lo stipendio mensile) da parte dello Stato, ha ricevuto una nota dove era scritto che non solo non verrà pagato per questo mese, ma deve restituire 170 euro. Altri dipendenti sono stati pagati solo 9 (nove) euro per questo mese. Chi di noi ottiene ancora uno stipendio li sostiene come può.

Questa è una guerra contro il popolo, contro tutta la comunità. Coloro che dicono che il debito pubblico della Grecia è il debito della popolazione greca mente. Non è il debito della gente. È stato accumulato dai governi, in collaborazione con i banchieri, per asservire il popolo. I prestiti alla Grecia non vengono utilizzati per gli stipendi, le pensioni e l'assistenza pubblica. È l'esatto opposto: salari, pensioni e fondi per l'assistenza sanitaria vengono utilizzati per pagare i banchieri.

Menzogne. Contrariamente a ciò che si predica, questi non vogliono una società libera da debiti. Creano i propri debiti (con l'aiuto di governi corrotti) e politiche a loro beneficio. La Grecia ha come primo ministro un banchiere affinché sia garantito che il "lavoro" verrà eseguito correttamente. Il nostro Primo Ministro Lucas Papadimos non è stato neppure eletto. Nominato dalla BCE e dei banchieri, con l'aiuto di politici corrotti europei e greci. Questa è la loro interpretazione del termine "democrazia".

Debiti causati da banchieri che creano denaro dal nulla e riscuotono interessi, semplicemente perché i nostri governi hanno dato loro questo diritto. E bisogna dire che chi devono pagare questo debito siamo voi ed io e i nostri figli e nipoti con i nostri beni personali e nazionali, con le nostre vite.

Non dobbiamo nulla. Al contrario debbono coloro che hanno fatto la loro fortuna grazie alla corruzione politica.

Se non apriamo gli occhi a questa verità, presto diventeremo tutti schiavi, e lavoreremo per 200 euro o meno al mese. Questo per quelli di noi che potranno trovare un lavoro. Gli altri saranno senza cure mediche, senza pensioni, senza casa e affamati, come accade ora a miei concittadini in Grecia. Migliaia di loro vivono in strada e affamati.

Non abbiamo intenzione di dipingere di nero la cosa ma questa è la verità. La situazione non si è creata a causa di incidente finanziario o monetario o di un errore. È l'inizio della brutta fase di un lungo processo che segue un piano ben meditato, un processo iniziato decenni fa.

Dobbiamo lottare insieme contro il progetto neoliberista. E adesso è ciò che facciamo qui a Kilkis, è quello che fanno in molte città di tutto il mondo.

Al momento non pensiamo di aprire un conto per aiuti finanziari. Tuttavia, potrebbe essere necessario fra alcuni mesi o settimane, se la situazione peggiora. In questo momento abbiamo bisogno soprattutto di sostegno morale e la pubblicità. Le lotte locali in tutto il mondo hanno bisogno di diffondersi e trovare un sostegno massiccio se vogliamo vincere la guerra contro il sistema corrotto. Se potete pensare a altri modi per diffondere notizie e idee, sarebbe meraviglioso.

Potete contattarci all'indirizzo: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Ancora una volta, non possiamo ringraziarvi abbastanza per i pensieri e le vostre parole gentili.

Cordiali saluti,

Leta Zotaki, direttore del reparto di radiologia dell'ospedale Kilkis, membro dei lavoratori dell'Assemblea generale presidente dei Medici Ospedalieri Kilkis (ENIK).

giovedì 8 marzo 2012

Verso il 9 marzo. Intervista a Giorgio Cremaschi: "Il Pd come il Pasok, perde sulla ragione sociale"

di fabio sebastiani - controlacrisi -
In queste ultime settimane l’iniziativa della Fiom, spostata per ben due volte, si è andata caricando di significati molto precisi, per lo più politici…
C’è stata inizialmente una discussione all’inizio di gennaio sull’alternativa tra manifestare di sabato o fare lo sciopero il venerdì. Una serie di eventi hanno portato allo sciopero. Sia per i suoi motivi che per il contesto degli altri elementi politici e sociali – dinamiche in cui le lotte dei metalmeccanici hanno finito per calarsi sempre con puntualità – l’iniziativa traguarda una prospettiva più vasta. Questa manifestazione è parte ed è collocata dentro un risveglio di mobilitazione, di lotta e di presa di coscienza contro Monti e quello che rappresenta. Dopo la gelata e l’impotenza degli scorsi mesi il movimento torna protagonista. La Fiom ha assunto questi significati così come la lotta della Tav. Il significato generale della lotta contro la Tav è l’esatto opposto di una lotta Nimby. Nymbi è Monti che segue interessi particolari. La lotta contro la Tav ha riscosso il consenso di tanti e tante in tutto il paese perché è la lotta contro lo strapotere della lobby finanziaria. E’ lo stesso segno che ha avuto la lotta della Fiom contro la Fiat. Ha agito lo stesso meccanismo di identificazione generale. Riguarda cose concrete ed è anche il “No” che indica una via di uscita dalla crisi, di segno nettamente contrario a quella che ci propone Monti basata sul supersfruttamento dell’uomo e della natura. Dopo il periodo di pesante passività e del disastro sulle pensioni, di cui solo adesso cogliamo la portata - infatti l’Unione europea può vantare che da noi c’è il sistema pensionistico più brutale d’Europa – si apre una fase nuova.

Chi sono i passivi in questa fase?
La passività sindacale di Cgil Cisl e Uil, devo dire, continua sull’Articolo 18. La passività politica e il conformismo di palazzo continuano, ma comincia ad esserci un risveglio.

Ecco, appunto nuova fase. Come sta interpretando la Fiom quella tu chiami una nuova fase?

Penso che, per usare un vecchio termine, la manifestazione della Fiom è un elemento necessario ma non sufficiente. Il punto di fondo che la Fiom da sola non può affrontare è uscire dalla dimensione delle singole vertenze e costruire una vera opposizione e alternativa a Monti e a tutto ciò che lo ispira. Da questo punto di vista vedo come appuntamento decisivo la manifestazione “No debito” del 31 marzo a Milano. Un fronte comune contro quel governo economico della crisi che è lo stesso ovunque. Marchionne ha detto che di Monti gli piace tutto. E credo che in questo sia ricambiato. Siamo passati da Berlusconi che in qualche modo rappresentava un elemento regressivo e caricaturale a un governo che rappresenta la destra europea nella sua forma più limpida e pura. Quella che oggi usa la crisi per una drammatica ristrutturazione delle aziende in Italia e in Europa pensando che con la privatizzazione ulteriore si possa uscire dalla crisi e ripartire. Penso che questa ricetta sia fallimentare nel tempo, però è quella che stanno usando da per tutto. La differenza da Berlusconi è che con lui ci potevamo permettere di essere provinciali, con Monti non possiamo più. Ovvero bisogna andare al nodo della crisi del capitalismo. La costruzione di un fronte alterativo a quello di Monti.

Dicevi, destra europea. E il centrosinistra italiano?

Il Pd è dentro questa crisi. E’ messo come il Pasok greco che in questa situazione sta semplicemente perdendo la sua ragione sociale. La sua è una funzione di partito di centro che sostiene Monti. Monti in Europa si è espresso per la conferma di Sarkozy contro Hollande che chiede di ridiscutere la politica economica della destra europea. Il Pd, che in Francia sostiene Hollande e Sarkozy in Italia, non è più in grado di rappresentare una idea politica. Non si può trasformare in giochini politici la crisi di scelte che ha questo partito. Il fatto che non vengano alla manifestazione della Fiom è la loro debolezza. Non c’è dubbio che chi sarà in piazza in parte è nella maggioranza dell’elettorato del Pd. Il non venire è l’inizio della crisi.

Wikileaks torna a colpire

di BENEDETTO VECCHI Il msnifesto - miogiornale -
Notizie sulla presenza di truppe Nato in Siria a fianco dei ribelli, su un tumore del premier turco, di accordi di «dubbia legalità» della Goldman Sachs e sorveglianza di attivisti dei diritti umani

Wikileaks torna a colpire, mettendo così a tacere le voci che consideravano l'esperienza di «controinformazione» digitale messa in piedi da Julian Assange in dismissione. Ieri sono stati infatti messi «on line» i 4 milioni altre fonti parlano di 4,5 milioni - messaggi di posta elettronica di una società di sicurezza, nonché contractors della difesa statunitense Stratfor Intelligence scaricati dagli archivi digitali durante un'incursione degli hacker di Anonymous. Le modalità di diffusione sono stati diversi rispetto il recente passato. Nessun accordo in esclusiva con media, come è accaduto con i cosiddetti cablogates, cioè quando Wikileaks rese pubbliche le e-mail interne del dipartimento di stato Usa. Questa volta la scelta è stata di inviare a venticinque media, tra giornali, magazine, radio e televisioni, di diversi paesi. L'azione, chiamata «Global Intelligence Files», è stata presentata da Wikileaks come lo smascheramento di operazioni «sporche» decise dal governo Usa e da molte multinanzionali.

La Stratfor Intelligence è una impresa cresciuta impetuosamente in questi anni di dismissione dell'intervento pubblico e privatizzazioni in settori strategici come la sicurezza nazionale. Sul suo sito sono citate molti committenti, tra cui spiccano il dipartimento di stato, il Pentagono, ma anche molte multinazionali e società finanziarie. Tra i suoi «meriti», la Stratfor Intelligence segnala missioni in teatri di guerra e intervento in cyberguerra. Definita la «piccola Cia», tra i suoi compiti il monitoraggio delle attività di alcuni leader politici «sgraditi» agli Stati Uniti, come Hugo Chavez, o attivisti dei diritti umani.

Ci vorrà del tempo per conoscere tutti i messaggi, ma un anticipo l'ha dato lo stesso Assange, che ha reso pubblico l'accordo tra Stratfor Intelligence e Coca Cola per la messa in sicurezza delle informazioni relative al coinvolgimento della multinazionale nello scandalo che ha investito la società Peta, accusata dagli animalisti di aver testato su animali gli effetti di alcuni prodotti farmaceutici e alimentari. Coca Cola ha sempre smentito le notizie di aver usata Peta per testare gli effetti sui muscoli di alcuni dolcificanti usati per la nota bibita. Ma per Wikileaks, tale coinvolgimento c'è stato e le prove sono nelle e-mail «trafugate» da Anonymous, anche se finora i messaggi non sono stati resi pubblici. Assange ha fatto riferimento anche a un accordo tra Goldman Sachs e Stratfor Intelligence relativo alla gestione sicura di un sistema informativo per produrre profitti ai limiti del legale. Ma anche in questo caso, le anticipazioni di Assange non sono state supportate da alcune verifiche.

Quello che invece comincia a essere pubbliche sono e-mail di alcuni manager della Strafor Intelligence che parlano della presenza di truppe Nato in Siria a supporto degli oppositori del regime di Assad; oppure che il premier turco Erdogan è stato segretamente operato per un tumore.

Solo nei prossimi giorni si capirà la portata delle e-mail. Per il momento, tuttavia, c'è di certo che Wikileaks non è in dismissione. Altro elemento che emerge è che l'azione di «recupero» dei messaggi è stata compiuta da Anonymous. Il fatto che li abbia «ceduti» a Wikileaks significa che il rapporto non si è incrinato, come invece era stato ipotizzato nei mesi scorsi. Anzi, è sempre di questi giorni la notizia che un hacker Hector Xavier Monsegur (nickname Sabu), ritenuto uno dei leader del gruppo LulzSec vicino a Anonymous e arrestato nei mesi scorsi dalla Fbi, abbia deciso di collaborare con la polizia federale statunitense. Oltre a denunciare alcuni hacker, Sabu ha anche sostenuto che tra Assange e Anonymous ci sono stati continui scambi di messaggi, arrivando a ipotizzare che le azioni hacker siano state pianificate anche da Assange.

Il grado zero della teoria rivoluzionaria

Movimenti e organizzazione politica
di Carlo Formenti in alfabetta2 - sinistrainrete -
Dalla fine del ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta, è la prima volta che assistiamo alla nascita e allo sviluppo, contemporaneamente e a livello mondiale, di movimenti sociali a carattere antagonistico. Le insorgenze dei trent’anni precedenti – a eccezione del ciclo No Global da Seattle a Genova – erano di tipo «single issue» (movimenti studenteschi, lotte per la pace, contro il nucleare, per i diritti delle donne e dei gay ecc.) né hanno mai assunto – se non marginalmente – carattere anticapitalistico. Anche la marea di rabbia e di odio che oggi vediamo montare a livello globale – dalla primavera araba agli indignati di Spagna, Grecia e Israele, da Occupy Wall Street alle lotte degli operai e contadini cinesi e di altri paesi in via di sviluppo – assume solo episodicamente una natura esplicitamente antagonista, ma il radicale rifiuto di mediazioni politiche istituzionali, di ogni forma di rappresentanza, così come le pratiche di autogestione e autoorganizzazione delle lotte e l’identificazione del nemico principale nella finanza globale e nei governi, di destra e di sinistra, che ne incarnano gli interessi, sembrano condurre in tale direzione.

Le cause del processo sono già state ampiamente analizzate, per cui mi limito a richiamarle brevemente, per passare subito dopo al tema centrale di questo intervento. Decenni di controrivoluzione liberista e di finanziarizzazione dell’economia hanno spazzato via il compromesso fra capitale e lavoro fondato sul welfare. Oggi ai proletari (e alle classi medie proletarizzate) non serve leggere Stato e rivoluzione per capire che lo Stato borghese non è cosa che possa servire – anche in minima parte – i loro interessi. Del resto, non esiste nemmeno più una classe borghese capace di delegare alla politica la gestione di un «interesse generale», sia pure inteso come interesse di tutta la borghesia e non di singole frazioni di essa, esistono solo caste politiche che servono – cinicamente e alla luce del sole – gli interessi delle lobby finanziarie.

Viviamo una situazione in cui il «piano del capitale» si riduce alla creazione e al mantenimento di condizioni che consentano la realizzazione del massimo profitto in tempi brevi, in cui le politiche economiche degli Stati-nazione, anche i più potenti, obbediscono a imperativi di breve termine della finanza globale, senza riguardo agli effetti di medio lungo termine – deindustrializzazione, disoccupazione di massa, immiserimento assoluto e relativo di larghi settori della popolazione ecc. Viviamo sotto regimi politici in palese difetto di legittimazione, che hanno perso ogni parvenza – anche formale – di democraticità (vedi il diktat europeo che ha vietato ai greci di votare sulle misure «anticrisi»), regimi postdemocratici, caratterizzati da processi di personalizzazione e spettacolarizzazione di una politica ridotta a rappresentazione mediatica, dove i cittadini possono «scegliere» fra due destre che si contendono il ruolo di realizzare programmi identici.

Anche il Financial Times è preoccupato: “Il rigore tedesco ingabbia l’Europa”

Posted by keynesblog on 8 marzo
“Una follia è fare più volte la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi. La determinazione della Germania a imporre una camicia di forza finanziaria ai suoi partner non funzionò ai tempi del ‘Patto di crescita e stabilità’. Potrà funzionare con il “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance”, su cui è stato raggiunto un accordo la settimana scorsa? Ne dubito. Il trattato è il prodotto di una convinzione che la crisi sia stata causata dalla mancanza di disciplina di bilancio, e che la soluzione potrà venire da una maggiore disciplina. Ma la disciplina di bilancio non è tutta la verità, neanche lontanamente. L’applicazione rigorosa di un’idea così infondata è pericolosa”

Non poteva essere più chiaro ed esplicito Martin Wolf, commentatore del Financial Times, nell’affrontare il nuovo patto di bilancio sottoscritto dalla grande maggioranza dei paesi europei (non la Gran Bretagna, patria del quotidiano economico di Wolf).

Nonostante la prodigalità della BCE verso le banche, che ha contribuito a “calmare” i mercati finanziari, “la crisi non è passata. – rimarca Wolf – Chi più chi meno, i Paesi vulnerabili restano in difficoltà. Questi piani di risanamento hanno salvato l’Eurozona dalle sue crisi a catena? Riusciranno a tirare fuori da queste crisi i Paesi colpiti? La risposta è no, a entrambe le domande.”

Wolf spiega chiaramente che, se il patto fosse stato in vigore prima della crisi, non avrebbe affatto prevenuto o alleviato i suoi effetti. Una analisi perfettamente calzante, se si pensa che paesi come l’Irlanda e la Spagna sono stati veri campioni della disciplina di bilancio, con deficit pubblici e debito bassissimi o addirittura con costanti avanzi del bilancio statale.

Scrive Wolf: “l’indicatore avrebbe dovuto urlare ‘crisi’: eppure la Spagna registrava un forte avanzo strutturale e l’Irlanda era in pareggio; sia Madrid che Dublino erano in condizioni migliori della Germania. La Grecia aveva un disavanzo strutturale importante, ma il Portogallo aveva un disavanzo più basso di quello della Francia. La regola non avrebbe fatto distinzioni tra Paesi vulnerabili e Paesi immuni perché non tiene conto di bolle speculative e manie finanziarie.”

Wolf conclude con l’esempio spagnolo: “Le difficoltà di bilancio della Spagna sono una conseguenza della crisi, non una causa: il Paese iberico ha avuto un colossale aumento del debito privato dopo il 1990, in particolare per quanto riguarda le grandi aziende non finanziarie; l’eccedenza di costruzioni residenziali esclude anche un forte indebitamento da parte delle famiglie. Alla luce di tutto questo, è molto improbabile che una drastica riduzione del debito pubblico sia compensata da un incremento dell’indebitamento e della spesa del settore privato. Il risultato, più verosimilmente, sarà una recessione molto più grave, accompagnata da scarsi progressi nella riduzione del deficit effettivo.”

Unica nota stonata in un ragionamento lucido e lineare è l’aspettativa di miglioramenti attraverso le riforme del mercato del lavoro adottate dal governo di Madrid (sempre che non venga costretto ad austerità più stringenti, secondo Wolf). Come ampiamente dimostrato nella letteratura economica, compresa quella non sospettabile di simpatie per il sindacato (si pensi al capo economista del FMI, Olivier Blanchard) non c’è evidenza di una correlazione tra l’occupazione (e la Spagna ha proprio un gigantesco problema di disoccupazione) e la flessibilità, intesa come normalmente viene intesa dai progettisti delle riforme del mercato del lavoro, vale a dire “facilità di licenziamento”. L’occupazione è guidata dall’aumento di produzione e l’aumento di produzione è guidato dalla domanda. Il mercato del lavoro segue, non guida.

"Per la Ue si sta preparando una terapia-shock"

- il megafonoquotidiano -
Intervista a Eric Toussaint, promotore del Cadt e della campagna per l'audit sul debito: "In Europa si sta replicando la politica economica imposta dal Fmi in America latina negli anni 80 e 90"

Eric Toussaint, laureato in scienze politiche e presidente del Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo (CADTM), è membro della Commissione di Audit integrale del credito pubblico dell’Ecuador (CAIC) le cui conclusioni hanno portato alla sospensione del pagamento di una parte del debito ecuadoriano. Secondo lui, la Grecia deve sospendere il pagamento del debito e deve ribellarsi contro la Troika composta dalla Banca Centrale Europea, il FMI e la Commissione Europea, perché in caso contrario affonderebbe in una recessione permanente.

Come descriverebbe lei il momento che attraversano alcuni Paesi dell’Unione Europea come la Grecia che hanno enormi debiti pubblici?

Si può paragonare la loro situazione con quella dell’America Latina durante la seconda metà degli anni ’80.

Per quali ragioni?

L’esplosione della crisi del debito in America Latina ha avuto luogo nel 1982. La crisi bancaria privata è scoppiata negli Stati Uniti e in Europa nel 2007-2008 e si è trasformata a partire dal 2010 in una crisi del debito sovrano dovuta principalmente alla socializzazione delle perdite delle banche private e alla riduzione delle entrate fiscali provocata dalla crisi. Nel caso europeo, così come in quello latinoamericano, vari anni dopo lo scoppio della crisi, ci troviamo in una situazione in cui i creditori privati e i loro rappresentanti si riuniscono per imporre le condizioni a tutti i governi. Fanno pressioni su di loro perché attuino politiche drastiche di aggiustamento che si concretizzano in una riduzione della spesa pubblica e una riduzione del potere d’acquisto della popolazione. Ciò porta queste economie a uno stato di recessione permanente.

Però anche nei momenti peggiori l’America Latina non ha mai raggiunto il livello di debito che attualmente ha la maggioranza dei Paesi della zona euro, che supera il 100 % del PIL.

Il livello del debito europeo è impressionante. Nel caso della Grecia si tratta del 160% del PIL, e diversi paesi dell’Unione Europea hanno un debito che raggiunge o supera il 100% della loro produzione. È chiaro che ci sono delle differenze tra le due crisi, ma nella comparazione che faccio il livello di indebitamento non è un aspetto fondamentale.
WOMAN DAY…
EVERY DAY, AT THE ROAD BLOCK

mercoledì 7 marzo 2012

Assemblea transnazionale - Transnational open assembly - Διεθνική Ανοιχτή Συνέλευση

Assemblea transnazionale – Prossimamente nella tua città!
- resistencefirst -
Sebbene i governi e le istituzioni dell’Unione Europea confinino ripetutamente la crisi al caso “eccezionale” della Grecia, lo stato di emergenza sembra essere lo spettro che si aggira per l’Europa. Pare che in una delle aree più ricche del globo, nessuno riesca a vivere con i propri mezzi e l’austerità sia la sola via per salvare ciò che è stato costruito per decenni; un salvataggio per annegamento, costruire attraverso la demolizione è il dogma dell’ortodossia politica ed economica.

Sebbene diverse forze politiche avessero previsto in molti casi i tragici risultati di questa specifica forma di sviluppo che il regime di accumulazione postfordista e la finanziarizzazione dell’economia avrebbero scatenato per l’intera società, sembra che il sentire generale, perfino tra i più radicali, sia dominato da un certo torpore. Sembra che la conferma della predizione si ripeta sempre e solo come tragedia.

La Grecia, comunque, pare essere il luogo per eccellenza, dove questo tornado devasta salari, pensioni, garanzie sociali, in breve tutte le strutture del welfare e i diritti politici che erano sopravvissuti dal compromesso del dopoguerra. L’esperimento greco per la messa a punto del futuro europeo prende forma in modo chiaro e inequivocabile.
Tuttavia, a parte l’imposizione orchestrata dal governo greco, il saccheggio da parte di Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale di qualsiasi segno di dignità, materiale e simbolico, reale e illusorio, sembra che a essersi intensificati in questa guerra dichiarata siano innanzitutto le risposte degli oppositori. La continua escalation delle lotte sociali contro la mostruosità delle ricorrenti misure di austerità partoriscono sempre più numerosi e indignati mostri del rifiuto.

Sembra che la resistenza non sia sufficiente, né la fuga. Ciò che è stato dimostrato ripetutamente negli ultimi due anni è che la questione (im)posta da innumerevoli soggettività non è la resistenza contro gli attacchi, né la costruzione di alternative di evasione: è semplicemente e puramente il rifiuto non formulato e senza parole, perciò inafferrabile, imprevedibile e temibile.

Come parte anonima, senza forma e senza possibilità di essere messa in forma di questo movimento non rappresentabile, invitiamo tutti coloro che sono parte di questo disperso, disorientato e confuso pensiero e azione di strada a venire e formare una due giorni di assemblea aperta ad Atene, dove i mostri della crisi dal sud Europa globale (da Londra a Madrid e da Berlino a Roma), così come le sollevazioni e insurrezioni in Nord Africa, possono condividere esperienze e idee per contaminare ulteriormente i diseredati europei con una rabbia senza speranza e una paura speranzosa.

Dopo la manifestazione del 5 maggio 2010 ad Atene, l’Economist ha pubblicato in prima pagina un’immagine di Atene con il titolo “Arriva in una città vicina a voi?”. Oggi possiamo sostituire il punto interrogativo con un punto esclamativo. Le reti che collegano Syntagma con Tahrir, Barcellona, Londra o New York sono più forti che mai, come una catena di eventi, occupazioni, manifestazioni, iniziative per un rifiuto collettivo e senza mediazioni che diviene transnazionale.

Invitiamo individualmente e collettivamente a partecipare all’assemblea per pensare in comune come possiamo disperdere questo rifiuto assoluto e trovare strade per agire insieme contro il dogma economico e politico della crisi attraverso gli esistenti confini nazionali, economici e politici. Il nostro obiettivo è di aprirsi alle varie forme di rifiuto attivo e assoluto che emergono nelle nostre interconnesse vite quotidiane, e di creare tempi e spazi comuni di lotte, pratiche e azioni.

Atene, 21-22 marzo 2012
Teatro occupato Empros
Riga Pallamidou 2, Psyrri

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Transnational open assembly – Coming to a city near you!

Even though EU governments and institutions repeatedly confine crisis to the ‘exceptional’ case of Greece, the state of emergency seems to be the spectre that is haunting Europe. It seems that in one of the richest areas of the globe, no one is living within their means and austerity is the only way to rescue whatever has been built for decades; rescuing by drowning, building by demolishing seems to be the dogma of political and economic orthodoxy.

Even though several political forces had in many instances predicted the tragic outcomes of this specific form of development that the post-fordist regime of accumulation and the unleashed financialisation of the economy would engender for societies at large, it seems that the general feeling, even among the most radical, is dominated by an uncomfortable numb. It seems that verification of prediction repeats itself always and only as tragedy.

Greece, however, seems to be the lieu par excellence, where this tornado, ravages wages, pensions, social benefits, in brief all welfare structures, and political rights that had survived from the post-war consensus. The Greek experiment for the fine-tuning of the European future takes place in a clear and unequivocal way.

However, apart from the imposition orchestrated by the Greek government, the EU and the IMF looting of any material and symbolic, real and illusionary sign of dignity, it seems that what is intensified in this declared war are the responses of the opponent. The ongoing escalation of social struggles against the monstrosity of recurrent austerity measures gives birth to more and more numerous and more outraged monsters of refusal.

It seems that resistance is not enough; neither escape. What has been proven in recurrent instances during the past two years is that the question (im)posed by innumerable subjectivities is not that of resistance against the attacks, neither the construction of evading alternatives; it is simply and purely the unformulated, speechless, hence ungraspable, unpredictable and fearful refusal.

As anonymous, unformed and unformable part of this non-representable movement, we invite everyone who is part of this scattered, bewildered and confused street thought and action to come and form a two-day Open assembly in Athens, where the monsters of crisis the global European South (from London to Madrid and from Berlin to Rome, as well as the upheavals and insurrections in North Africa) will exchange experience and ideas in order to further contaminate the European underdogs with hopeless rage and hopeful fear.

Following the 5th of May 2010 demonstration in Athens, the Economist published in its front-page an image from Athens with the title ‘Coming to a city near you?’. Today we replace the question mark with an exclamation mark. The networks that link Syntagma with Tahrir, Barcelona, London or New York are stronger than ever; like a chain of events occupations, demonstrations, initiatives for collective and un-mediated refusal become transnational.

We invite everyone individually and collectively to come to the assembly in order to think in common how we can disperse this absolute refusal and find ways to work together against the economic and political dogma of the crisis across established national, economic and political borders. Our aim is to open up to the various forms of active and absolute refusal that emerge in our every day interconnected lives, and to create common time and spaces of struggles, practices and actions.

Athens, 21-22 March 2012
Occupied theatre Empros
Riga Pallamidou 2, Psyrri
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Διεθνική Ανοιχτή Συνέλευση – «Προσεχώς στην πόλη σας!»

Παρότι κυβερνήσεις και θεσμοί της ΕΕ με επαναλαμβανόμενο τρόπο περιορίζουν την κρίση στην «μεμονωμένη» περίπτωση της Ελλάδας, το καθεστώς έκτακτης ανάγκης μοιάζει να είναι το φάντασμα που πλανιέται πάνω από την Ευρώπη. Φαίνεται ότι σε μια από τις πλουσιότερες περιοχές του πλανήτη κανείς/μια δεν ζει μέσα στα όρια των δυνατοτήτων του/της και η λιτότητα είναι ο μοναδικός τρόπος να διασωθεί ότι έχει οικοδομηθεί σε δεκαετίες· διάσωση μέσω πνιγμού, χτίσιμο μέσω κατεδάφισης μοιάζει να είναι το δόγμα της πολιτικής και οικονομικής ορθοδοξίας.

Παρότι αρκετές πολιτικές δυνάμεις είχαν σε πολλές περιστάσεις προβλέψει τις τραγικές συνέπειες αυτής της συγκεκριμένης μορφής ανάπτυξης που το μετα-φορντιστικό καθεστώς συσσώρευσης και η αχαλίνωτη χρηματιστικοποίηση της οικονομίας θα προκαλούσε για το σύνολο των κοινωνιών, φαίνεται ότι το γενικό αίσθημα, ακόμα και μεταξύ των πιο ριζοσπαστικών κομματιών της κοινωνίας, κυριαρχείται από ένα αμήχανο μούδιασμα. Φαίνεται ότι η επαλήθευση των προβλέψεων επαναλαμβάνεται πάντα και μόνο ως τραγωδία.

Παρόλα αυτά, η Ελλάδα μοιάζει να είναι ο παραδειγματικός χώρος, όπου αυτή η θύελλα σαρώνει μισθούς, συντάξεις, κοινωνικά επιδόματα, εν συντομία όλες τις δομές κοινωνικού κράτους, καθώς και τα πολιτικά δικαιώματα που επιβίωσαν από τη μεταπολεμική συναίνεση. Το ελληνικό πείραμα για τις τελικές δοκιμές του ευρωπαϊκού μέλλοντος συντελείται με καθαρό και χωρίς περιστροφές τρόπο.

Ωστόσο, εκτός από την ενορχηστρωμένη από την ελληνική κυβέρνηση, την ΕΕ και το ΔΝΤ επιβολή που λεηλατεί κάθε υλικό και συμβολικό, πραγματικό και ψευδεπίγραφο δείγμα αξιοπρέπειας, φαίνεται ότι αυτό που εντείνεται σε αυτόν τον κηρυγμένο πόλεμο είναι και οι απαντήσεις του αντιπάλου. Η συνεχής κλιμάκωση των κοινωνικών αγώνων ενάντια στην τερατουργία των επαναλαμβανόμενων μέτρων λιτότητας γεννά όλο και πιο πολυάριθμα και όλο και πιο εξοργισμένα τέρατα άρνησης.

Φαίνεται ότι η αντίσταση δεν είναι αρκετή· ούτε η διαφυγή. Αυτό που έχει αποδειχθεί κατ’ επανάληψη τα τελευταία δυο χρόνια είναι ότι το ζήτημα που τίθεται/επιβάλλεται από αναρίθμητες υποκειμενικότητες δεν είναι η αντίσταση ενάντια στις επιθέσεις, ούτε η οικοδόμηση εναλλακτικών διαφυγής· είναι απλά και καθαρά η μη διατυπωμένη, άναρθρη, συνεπώς ασύλληπτη, απρόβλεπτη και τρομαχτική άρνηση.

Ως ανώνυμο, αδιαμόρφωτο και μη διαμορφώσιμο κομμάτι αυτού του μη αντιπροσωπεύσιμου κινήματος, προσκαλούμε όποιον και όποιαν είναι μέρος αυτής της σκόρπιας, σαστισμένης και μπερδεμένης σκέψης και δράσης του δρόμου να έρθουν και να διαμορφώσουν μια διήμερη Ανοιχτή συνέλευση στην Αθήνα, όπου τα τέρατα της κρίσης από τον παγκόσμιο ευρωπαϊκό νότο (από το Λονδίνο ως τη Μαδρίτη και από το Βερολίνο ως τη Ρώμη), καθώς και από τους ξεσηκωμούς και τις εξεγέρσεις στη Βόρεια Αφρική θα ανταλλάξουν εμπειρίες και ιδέες με στόχο να μολύνουν περισσότερο τα ευρωπαϊκά αουτσάιντερ (underdogs) με απελπισμένη οργή και ελπιδοφόρο φόβο.

Αμέσως μετά τη διαδήλωση της 5ης Μαΐου 2010 στην Αθήνα, ο Economist είχε στο εξώφυλλό του μια εικόνα από την Αθήνα με τον τίτλο «Προσεχώς σε μια πόλη δίπλα σας;» (‘Coming to a city near you?’). Σήμερα αντικαθιστούμε το ερωτηματικό με θαυμαστικό. Τα δίκτυα που συνδέουν το Σύνταγμα με την Ταχρίρ, τη Βαρκελώνη, το Λονδίνο ή τη Νέα Υόρκη είναι πιο δυνατά από ποτέ· σαν μια αλυσίδα από γεγονότα, καταλήψεις, διαδηλώσεις, οι πρωτοβουλίες για συλλογική και αδιαμεσολάβητη άρνηση διεθνοποιούνται.

Καλούμε όλες και όλους, ατομικά και συλλογικά, να έρθουν στη συνέλευση προκειμένου να σκεφτούμε από κοινού πώς μπορούμε να διασπείρουμε αυτή την απόλυτη άρνηση και να βρούμε τρόπους να δουλέψουμε μαζί ενάντια στο οικονομικό και πολιτικό δόγμα της κρίσης, ανεξάρτητα από εθνικά, οικονομικά και πολιτικά σύνορα. Ο στόχος μας είναι να ανοιχτούμε στις ποικίλες μορφές ενεργούς και απόλυτης άρνησης που αναδύονται στις καθημερινές αλληλοσυνδεόμενες ζωές μας και να δημιουργήσουμε κοινούς χώρους και χρόνους αγώνων, πρακτικών και δράσεων.

Αθήνα, 21-22 Μαρτίου 2012
Κατάληψη θεάτρου Εμπρός
Ρήγα Παλαμήδου 2, Ψυρρή

Perché non possiamo non dirci comunisti

di Luigi Cavallaro - ilmanifesto -
Un ideale al quale la società avrebbe dovuto conformarsi o il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente? Una risposta a Rossanda, Ruffolo, Ciocca, Tronti

Non possiamo più dirci comunisti, perché è cambiato il mondo e non abbiamo sufficientemente aggiornato né gli strumenti d'analisi né le proposte: ha scritto così Rossana Rossanda, invocando «un esame di noi stessi» (il manifesto, 18 febbraio).
Giorgio Ruffolo è stato anche più drastico: tranne che in alcune società arcaiche, il «comunismo» non è mai esistito e non è proponibile in alcuna società moderna e complessa «se non come pura aspirazione ideale alla comunione dei santi» (21 febbraio).
Di certo, non era «comunista» quel sistema sociale venuto fuori attraverso mille tragedie dalla Rivoluzione d'Ottobre: anzi, secondo Pierluigi Ciocca (22 febbraio), il «merito storico» del manifesto è proprio quello di averlo capito e denunciato per tempo e con chiarezza. E men che meno aveva a che fare con il comunismo il «keynesismo postbellico» del trentennio 1945-1975, sebbene - rileva ancora Rossanda - la critica che se ne è fatta abbia lasciato spazio solo a «spinte liberiste». E dunque, cosa siamo? E soprattutto, cosa vogliamo?
Se davvero il manifesto vuol essere un giornale capace di tener insieme riformismo propositivo e utopia concreta, sono domande che non possono essere eluse. Ha ragione Mario Tronti (26 febbraio) a suggerire che, se non ci si può più dire comunisti nei tempi brevi, non lo si può più fare nemmeno nel tempo lungo. Anche perché, se le cose stessero così come sostengono Rossanda, Ruffolo e Ciocca (e innumerevoli altri con loro), si dovrebbe far fuori non solo la testatina di questo giornale, ma la stessa testata: troppo legata a Marx, e troppo legato Marx all'idea che il comunismo non fosse «un ideale» al quale la società avrebbe dovuto conformarsi, ma «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente».
Vale allora la pena di ricordare che la costituzione materiale dello stato borghese, ovunque vigente all'epoca in cui Marx visse e teorizzò, interdiceva ai pubblici poteri qualsiasi intromissione nell'ambito del processo produttivo: la stessa distinzione fra «politica» ed «economia» non ne era che il precipitato ideologico. Per quanto già a quei tempi gli stati si occupassero variamente della tremenda povertà in cui l'accumulazione originaria aveva gettato intere popolazioni, tuttavia essi si erano arrestati alle misure amministrative e caritative, o non ci erano nemmeno arrivati. Né ciò era da ascriversi (soltanto) a insipienza o malevolenza dei governanti: il problema era un altro, e cioè che era consustanziale alla «società politica» scaturita dalla rivoluzione borghese il non poter ammettere che ciò che non funzionava nella vita della «società civile» andasse ricercato proprio nella condizione di separatezza in cui veniva trovarsi lo stato rispetto al processo sociale di produzione, e di rintracciare piuttosto l'origine dei mali sociali in «leggi naturali» cui nessuna potenza umana poteva comandare.

L’Europa può essere salvata?

- keynesblog -
“L’Europa può essere salvata?” A chiederselo è l’ex primo ministro austriaco socialdemocratico, Alfred Gusenbauer, in un articolo su Project Syndacate, che segnaliamo proprio nel giorno in cui si addensano nuovamente le nuvole sull’euro e l’Europa. Ieri la Bce ha segnato un nuovo record dei depositi overnight e stamane lo spread è tornato a salire, mentre le borse hanno segnato una flessione, di fronte alle minacce del premier greco di un default poco “ordinato”.

Scrive sarcasticamente Gusenbauer:

Non c’è da stupirsi che senza l’azione congiunta dell’Unione europea, impedita dal provincialismo dei governi nazionali, i mercati finanziari applichino ciò che i comunisti chiamano “tattica del salame” , cioè tagliare l’Europa pezzo per pezzo, attaccando i suoi paesi membri uno alla volta. In effetti, il Parlamento europeo e Commissione europea sono già fuori gioco, ed è apparso un nuovo modello gestionale per l’Europa: la Germania prende le decisioni, la Francia dà conferenze stampa e gli altri paesi si limitano ad un cenno (tranne gli inglesi, che ancora una volta hanno scelto l’isolazionismo).

Secondo l’ex premier austriaco: “Questa struttura di gestione è illegittima da un punto di vista democratico e ingiustificata dal punto di vista dei risultati”. Pertanto Gusenbauer invoca la democrazia anche nell’Unione, anche sul “fiscal compact”:

Per dare piena legittimità alle decisioni, l’UE deve diventare una vera democrazia, con un presidente eletto con voto diretto e un parlamento più forte. Il patto fiscale approvato nel dicembre 2011 dai membri della UE (tranne il Regno Unito e Repubblica Ceca) non può essere lasciato esclusivamente nelle mani di burocrati e tribunali. I cittadini europei sono il vero sovrano e devono finalmente ottenere il diritto a prendere decisioni politiche in Europa, attraverso le elezioni.

Sul lato economico Gusenbauer invoca una profonda revisione dell’austerity, accettando solo pochi tagli alla spesa e aumento delle imposte esclusivamente in quei casi in cui non siano recessivi. Ma soprattutto per Gusenbauer è necessario un vero “Piano Marshall europeo” che aiuti i paesi in difficoltà a uscire dalla crisi e a migliorare le loro performance, riequilibrando la bilancia commerciale interna, che, come abbiamo visto, è la principale causa della crisi europea e quella esterna verso i produttori di petrolio:

[L'Europa] ha anche bisogno di un “Piano Marshall europeo” per fornire i investimenti nelle infrastrutture, energie rinnovabili ed efficienza energetica. Questo piano non serve solo rafforzare la crescita, ma anche a ridurre il disavanzo delle partite correnti (e consentire una riduzione di costose importazioni di combustibili fossili). L’unico modo per consolidare le finanze pubbliche è attraverso la crescita, non austerità.

L’ex capo di governo suggerisce inoltre una maggiore ridistribuzione del reddito, anche attraverso l’aumento delle tasse sui redditi più alti, e una riforma del Welfare che guardi maggiormente all’istruzione, non dimenticando la necessaria riforma della Bce:

E’ necessario ridurre la vulnerabilità degli Stati nazionali ai mercati finanziari e i loro tassi di interesse esagerati. Solo per la BCE, assumendo il ruolo di prestatore di ultima istanza, è possibile interrompere il deflusso di capitali dalla zona euro e ripristinare la fiducia nella capacità dell’Europa di risolvere i propri problemi.

Pareggio di bilancio in Costituzione: l’Italia proibisce Keynes per legge, gli USA no

Posted by keynesblog on 7 marzo 2012
La Camera ha approvato ieri, in seconda lettura, il disegno di legge che introduce il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana. La nuova normativa prevede l’equilibrio tra entrate e uscite anno per anno, contraddicendo così uno degli elementi cardini dell’economia keynesiana, ovvero il raggiungimento dell’equilibrio in un intero ciclo economico. Fa un passo avanti decisivo, quindi, la costruzione di quella “Europa tedesca” voluta dal nuovo patto fiscale, promosso dalla cancelliera Merkel, sulla base di una errata analisi della crisi europea, tutta concentrata sull’ipotesi che essa sia dovuta alla “prodigalità” dei paesi periferici (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Abbiamo invece visto che tale ipotesi è contraddetta dai fatti, come si ostinano a sottolineare molti economisti.

Il testo tuttavia presenta alcuni alleggerimenti al fine di tenere conto del ciclo economico. Come si può leggere sul sito della Camera:

In particolare, le novelle all’art. 81 della Costituzione, che detta regole sulla finanza pubblica e sulla formazione del bilancio, sanciscono il principio del “pareggio di bilancio”, in base al quale lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico.

Si prevede tuttavia una eventuale deroga alla regola generale del pareggio, stabilendo che possa consentirsi il ricorso all’indebitamento solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso a tale deroga, si dispone che il ricorso all’indebitamento connesso ad eventi eccezionali sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

Una previsione, quella della procedura aggravata, che restringe la portata stessa della deroga, rendendola residuale e improbabile, almeno fino al conclamarsi di una situazione di gravità paragonabile ad una vera e conclamata depressione.
SHOESHINE BOY

martedì 6 marzo 2012

la TAV e la mobilità dei passeggeri

di Zag in ListaSinistra
Scusate se parlo di un caso personale,ma sintomatico credo nel tempo della TAV.
Mia moglie si doveva recare per motivi famigliari nella sua città natale , nel Sud. Da brava internauta effettua la sua prenotazione via Internet già quindici giorni prima, naturalmente con vagone e posto assegnato. Arrivato il giorno della partenza si reca alla stazione ma la sua vettura non esiste, Vi è il numero precedente e poi due successivi. L'orario di partenza ormai è vicino, quindi decide di salire e di parlare con il capotreno. Questo rimane impassibile come se fosse la cosa più normale del mondo. Mia moglie si inalbera e fa notare che sette ore e mezza ( tanto dura un viaggio di 550 Kilometri) in piedi lei non li fa. Il funzionario delle FFSS risponde "E che problema c'è". Si sieda su un posto qualsiasi e se dovesse salire il viaggiatore legittimo si vedrà. Mia moglie rimane scioccata. E' vero che è meridionale, è vero che l'apatia, la rassegnazione, l'arte di arrangiarsi le è famigliare oltre che nota, ma questa indolenza per lei è disarmante! Non le riesce facile credere che sia possibile cancellare due vagoni con posti assegnati e prenotati con due settimane in anticipo !
E il capotreno ?
Impassibile!
Ha l'aria di chi ne ha visto di ben peggio. Questo per lui è una baggianata è come bere un bicchier d'acqua fresca!
Passano cinque minuti e come era inevitabile arriva il legittimo viaggiatore. L'educazione e il savoir faire all'inizio hanno la meglio,ma con il passar del tempo e con l'arrivo degli altri legittimi viaggiatori la cosa incomincia a degenerare.
Pertanto si chiama il capo treno e si chiede il da farsi.
Non ci sono problemi! " No Problem
"Tutti i passeggeri che non hanno il posto a sedere , vengano con me! " Urla il capotreno che ha trovato il piglio da condottiero.
Si forma il corteo di passeggeri lungo gli angusti spazi , appresso ognuno ha due, tre bagagli. Commenti, grida, scambio di battute che hanno come refrain
" ma che schifo!"
"intanto i politici vanno con la TAV"
"con le tasse che paghiamo" ,
La colpa è degli statali che sono dei fannulloni" ( che non c'entra nulla ma fa sempre parte del repertorio)
E' colpa di Berlusconi", no è colpa della sinistra, no è colpa dei sindacati che fanno sciopero e non vogliono lavorare"
Insomma il solito copione all'italiana dell'italiota qualunquismo
e via di questo passo
Intanto si aprono le serrature delle porte che dà l'accesso ai vagoni di prima classe e un nuovo mondo si affaccia. I viaggiatori senza posto a sedere finalmente hanno trovato l'assise.
Ora le tue sette ore le potrai fare in tranquillità, ascoltando il tuo mp3.
Poi telefonami quando arriverai!
--
Zag(c)
nuovo liberismo come tecnologia di governo della dittatura dei parametri finanziari, degli algoritmi e degli indici di performatività.

Dino Greco - Recensione dell'ultimo libro di Paolo Ciofi, "La bancarotta del capitale e la nuova società"

Dino Greco - controlacrisi -
E' tempo ottimamente speso quello che si volesse dedicare alla lettura dell'ultimo lavoro di Paolo Ciofi (La bancarotta del capitale e la nuova società, Editori Riuniti university press, pp.182, 15 euro): un “saggio popolare” che mantiene la freschezza polemica e incalzante del pamphlet e contemporaneamente – cosa alquanto rara – maneggia con invidiabili lucidità e chiarezza nodi teorici di grande complessità.

La chiave di lettura ci è offerta dall'autore stesso che ha voluto sottotitolare il suo testo con quella che è già un'eloquente dichiarazione di intenti: «Nel laboratorio di Marx per uscire dalla crisi». Perché è proprio alla straordinaria strumentazione del grande rivoluzionario di Treviri che Ciofi attinge per ricostruire una plausibile interpretazione delle dinamiche che regolano il funzionamento del mondo in cui viviamo e per svelare le ragioni sistemiche della crisi che sta precipitando l'intero pianeta in un vicolo cieco. Una crisi che non scaturisce da un'accidentale patologia, da un vizio degenerativo, da un tumore maligno impiantatosi clandestinamente in un corpo sano. Insomma, Ciofi ci ricorda (e dimostra) che la superfetazione finanziaria che sta distruggendo le forze produttive e abolendo la democrazia in favore di un'oligarchia di “proprietari universali” non è figlia di se stessa, ma affonda le radici nell'economia reale, vale a dire nei rapporti capitalistici di produzione. In altre parole, la crisi appartiene alla fisiologia della formazione economico-sociale che permea di sé il mondo moderno e di cui è fondamentale ri-scoprire l'anatomia, lo scheletro portante, il codice genetico occultato dentro l'involucro ideologico.

Se l'analisi conduce al cuore del problema, se si compie questo miracolo dell'intelligenza critica, allora la nebbia si dirada, «tutti i misteri vengono in chiaro» e diventa possibile non soltanto riconquistare la comprensione di ciò che altrimenti resta incomprensibile, ma anche imparare come si possa seriamente usare la politica per cambiare le cose in profondità.

Iran, la battaglia dei gasdotti

di Manlio Dinucci il manifesto - controlacrisi -
Sul palcoscenico di Washington, sotto i riflettori dei media mondiali, Barack Obama ha declamato: «Quale presidente e comandante in capo, preferisco la pace alla guerra». Ma, ha aggiunto, «la sicurezza di Israele è sacrosanta» e, per impedire che l’Iran si doti di un’arma nucleare, «non esiterò a usare la forza, compresi tutti gli elementi della potenza americana». Comprese quindi le armi nucleari. Parole degne di un Premio Nobel per la pace. Questo il copione. Per sapere come stanno davvero le cose, occorre andare dietro le quinte. Alla testa della crociata anti-iraniana vi è Israele, l’unico paese della regione che possiede armi nucleari e, a differenza dell’Iran, rifiuta il Trattato di non-proliferazione. Vi sono gli Stati uniti, la massima potenza militare, i cui interessi politici, economici e strategici non permettono che possa affermarsi in Medio Oriente uno Stato sottratto alla loro influenza.
Non a caso le sanzioni varate dal presidente Obama lo scorso novembre vietano la fornitura di prodotti e tecnologie che «accrescano la capacità dell’Iran di sviluppare le proprie risorse petrolifere». All’embargo hanno aderito l’Unione europea, acquirente del 20% del petrolio iraniano (di cui circa il 10% importato dall’Italia), e il Giappone, acquirente di una quota analoga e bisognoso ancor più di petrolio dopo il disastro nucleare di Fukushima. Un successo per la segretaria di stato Hillary Clinton, che ha convinto gli alleati a bloccare le importazioni energetiche dall’Iran contro i loro stessi interessi.
Ma l’embargo non funziona. Sfidando il divieto di Washington, Islamabad ha confermato il 1° marzo che completerà la costruzione del gasdotto Iran-Pakistan. Lungo oltre 2mila km, è già stato realizzato quasi per intero nel tratto iraniano e sarà terminato in quello pakistano entro il 2014. Successivamente potrebbe essere esteso di 600 km fino all’India. La Russia ha espresso interesse a partecipare al progetto, il cui costo è di 1,2 miliardi di dollari. Allo stesso tempo la Cina, che importa il 20% del petrolio iraniano, ha firmato in febbraio un accordo con Teheran, che prevede di aumentare le forniture a mezzo milione di barili al giorno entro il 2012. E il Pakistan accrescerà le importazioni di petrolio iraniano. Furente, Hillary Clinton ha intensificato la pressione su Islamabad, usando bastone e carota: da un lato minaccia sanzioni, dall’altro offre un miliardo di dollari per le esigenze energetiche del Pakistan. In cambio, esso dovrebbe rinunciare al gasdotto con l’Iran e puntare unicamente sul gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, sostenuto da Washington. Il suo costo stimato è di 8 miliardi di dollari, oltre il doppio di quello iniziale.
Prevale però a Washington la motivazione strategica. I giacimenti turkmeni di gas naturale sono in gran parte controllati dal gruppo israeliano Merhav, diretto da Yosef Maiman, agente del Mossad, uno degli uomini più influenti di Israele. La realizzazione del gasdotto, che in Afghanistan passerà attraverso le province di Herat (dove sono le truppe italiane) e Kandahar, è però in ritardo. Allo stato attuale, è in vantaggio quello Iran-Pakistan. A meno che le carte non vengano rimescolate da una guerra contro l’Iran. Anche se il presidente Obama «preferisce la pace».

Ci stiamo giocando la democrazia.

Autore: Amiche ed amici della FIOM - controlacrisi -
Ci accomuna l’aver partecipato, con un nostro contributo di appassionata militanza, a fasi diverse e importanti della storia della Fiom: ognuno di noi a vari livelli, in diversi momenti, anche con diverse posizioni e opinioni. Tutti abbiamo ricevuto da questa esperienza un indimenticabile arricchimento e la consapevolezza del ruolo dei metalmeccanici per un movimento sindacale e operaio al servizio dei lavoratori e della loro emancipazione, per l’affermazione della democrazia a tutti i livelli. Ci appare pertanto oggi di straordinaria gravità l’attacco cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratrici e la Fiom, sul piano dei diritti civili, sociali e contrattuali, delle libertà sindacali e della democrazia.
Dagli accordi separati su contratti nazionali privi di verifica democratica, al gravissimo art. 8 della legge 148 del 14 settembre 2011, ai diktat imposti dalla Fiat, sino all’attacco in corso all’art. 18 dello Statuto, si configura un quadro che priva i lavoratori e le lavoratrici di diritti e certezze contrattuali.
Questo attacco mira a impedire che si costituiscano libere rappresentanze, che i lavoratori e le lavoratrici possano esercitare la solidarietà e praticare un’idea confederale di sindacato; si vuole impedire loro di far valere un autonomo punto di vista sulla loro condizione e sulle risposte da dare alla crisi.
In sostanza si vuole che i lavoratori all’interno del luogo di lavoro si considerino in guerra gli uni contro gli altri e che ognuno, sotto il ricatto di cui è vittima nella sua specifica condizione lavorativa, sia costretto ad adeguarsi a tale situazione. Per questa via si nega il ruolo fondamentale del conflitto sociale, indebolendo così la coesione sociale. Come sempre è accaduto nel nostro paese, l’attacco alla democrazia nei luoghi di lavoro ha anticipato una più generale crisi democratica come quella che stiamo vivendo nella gestione della crisi. Ciò che è nuovo è il grado di scasso delle regole democratiche che, nella storia della Repubblica, non ha precedenti, nemmeno nei momenti più drammatici.

La mia “Poesia come pietra”: Versi d’amore e di lotta

È con molto piacere che abbiamo intervistato il poeta Massimiliano Damaggio, autore di Poesia come pietra (Ensemble, 2012), un’opera intensa in cui “la poesia è una pietra che si lancia, ma che, quando arriva, si trasforma in una preghiera”.
L’autore, che vive ad Atene da molti anni, è testimone privilegiato di una società in cambiamento che sembra collassare sulla spinta incalzante della globalizzazione.

La prima domanda è doverosa per te che abiti in Grecia: come è la situazione in questo momento? Come la stai vivendo? Si stanno spegnendo o sono ancora accesi i fuochi della rivoluzione?

Oltre le banalizzazioni dei mezzi di comunicazione, oltre la massificazione spicciola dell’informazione, quello che davvero mi colpisce è: fuori di qui non hanno capito cosa sta succedendo in Grecia. Assistiamo a un colpo di stato finanziario/economico/politico che non ha precedenti in Europa dalla II guerra mondiale in poi. L’essere umano, ridotto a consumatore, è sacrificato sull’altare, mica tanto metaforico, del bilancio statale. Oltre le “visioni” macroeconomiche, non c’è più nulla. Per far quadrare i conti, si fa morire di fame la gente. Pensa che lo stipendio base è ora di circa 580 euro ed i prezzi di tutti i beni sono in generale più alti di un 20% rispetto all’Italia. La Grecia ha una popolazione di 11 milioni d’abitanti: un milione sono i disoccupati. Oltre agli innumerevoli immigrati che frugano nella spazzatura, ora vediamo anche i pensionati. Siamo tutti convinti che domani faremo lo stesso. Le “misure” imposte dalla troika l’anno scorso perché la Grecia ottenesse il primo prestito anti-fallimento hanno portato alla chiusura di 168.000 attività commerciali grandi/medie/piccole nel giro di otto mesi. Ora entrano in vigore le nuove “misure” per il secondo prestito. E’ abbastanza chiaro che tutti questi soldi (che i greci non volevano, bisogna essere chiari) non verranno mai restituiti e che quindi, fra uno o due o tre anni, la Grecia fallirà ufficialmente. Vedendola da qui, preferivamo si fallisse prima. Ora, forse, ne staremmo uscendo. E giusto per andare contro a quelli che dicono: “Il fallimento è molto peggio di quello che vivete ora”, ti dirò che la situazione, per noi cittadini, è già quella del fallimento. Le aziende farmaceutiche non forniscono più gli ospedali pubblici di medicinali. Il servizio nazionale sanitario è già semi-fallito un anno fa ed è difficile farsi prescrivere cure, esami e farmaci, oltre al fatto che gli ambulatori quasi non funzionano per mancanza di personale o perché i macchinari sono rotti e non si possono riparare. Il sussidio di disoccupazione è di 300 euro mensili. Quando vai a fare la spesa spendi, per 4 persone, minimo 150 euro la settimana. Non so che dire. E’ osceno. Soprattutto perché non ci permettono di fallire come Stato per salvare l’euro e i soldi delle banche tedesche e francesi. L’haircut, come dicono qui, sui titoli di stato greci, è stato fatto su quelli dei piccoli risparmiatori, non su quelli delle banche. Parliamo di truffa a tutti i livelli. E poi tieni presente questo: si sta sviluppando un’insofferenza, direi quasi un odio, verso la Germania, ritenuta responsabile di questo accanimento. Ci vuole poco a condizionare la testa della gente. La storia ce l’ha mostrato con una ripetitività impressionante. Dici: “No, questa cosa oggi è impossibile, non può succedere”, e poi succede. Non parlo di rivoluzioni: le rivoluzioni, in quest’Europa imbalsamata, mi sembrano improbabili, nel senso che da popoli di “consumatori” non puoi attenderti un’azione radicale. Te la aspetti dalle minoranze che qui, come anche in Italia, credo, non hanno ben chiaro cosa proporre, cosa fare e se, soprattutto, fare qualcosa. Però fa’ attenzione a una cosa: quando l’anno scorso gli “incappucciati” tiravano pietre e molotov, la gente faceva marcia indietro e disapprovava. Ora, l’ultima volta che è successo, tutti abbiamo applaudito.

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