Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 27 agosto 2011

CRISI: GIACCHÈ, EUROPA ESPLODERÀ SE CONTINUA DIVERGENZA ECONOMIE. CRISI GRECA SI È ALLARGATA PER TERAPIE SBAGLIATE

di Vladimiro Giacche'. Fonte: controlacrisi
Milano, 27 ago. (Adnkronos) - Alla base della crisi che sta percorrendo l'Europa «non ci sono Paesi spendaccioni che lasciano gonfiare il proprio debito pubblico, bensì un processo di sostanziale divergenza delle economie all'interno dell'area euro». Un processo la cui manifestazione più visibile è oggi l'allargarsi degli spread nei rendimenti dei vari titoli di Stato e che, se non verrà interrotto, potrebbe portare «all'esplosione dell'Europa», intesa come area monetaria, anche in tempi brevi. Lo afferma Vladimiro Giacchè, responsabile Affari Generali della Sator di Matteo Arpe, precisando di parlare a titolo personale. Normalista, studi universitari condotti tra Pisa e Bochum e poi incarichi di alto livello nel Mediocredito Centrale e nel gruppo Capitalia, Giacchè è autore di numerosi volumi. «Bisogna sapere - dice all'Adnkronos - che, se si avvita la situazione del debito in Italia, le soluzioni sono soltanto due: o una pesante monetizzazione del debito da parte della Bce, che comincia a comprare titoli di Stato, non sterilizzando i propri acquisti come ha fatto finora, ma finanziando i propri acquisti stampando moneta, come ha fatto la Fed in questi anni. Oppure la fine dell'euro». «Mi rendo conto - prosegue Giacchè - che dire questo a un ministro tedesco o a un membro del board della Bce è come mostrare l'aglio a un vampiro, ma l'ironia della situazione è proprio questa: sono gli errori che si fanno a spingere verso le soluzioni più indesiderate. Si è lasciato allargare la crisi greca con terapie sbagliate». «Ora - rileva Giacchè - si continuano a rifiutare gli eurobond. E domani si potrebbe scoprire che la monetizzazione del debito da parte della Bce è il minore dei mali. Secondo gli analisti di Bca Research la monetizzazione del debito è ormai l'unica cosa da fare in Europa, e del resto questo è quanto la Fed fa tranquillamente da anni». «Probabilmente - prosegue Giacchè - farebbe ripartire l'inflazione e indebolirebbe l'euro, ma questo non sarebbe necessariamente un problema: l'euro debole aiuterebbe l'export di molti Paesi e l'inflazione aiuterebbe a ridurre il valore reale del debito (ed è la strategia che mi sembra stiano tacitamente adottando sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna)». Nessuno ama l'inflazione, continua, ma di questo passo «l'alternativa potrebbe essere l'esplosione dell'Europa. A questo esito si potrebbe arrivare a breve, se non si interrompe questo processo di divergenza delle economie, che si riflette anche degli spread dei titoli di Stato dei diversi Paesi rispetto ai Bund tedeschi». «Noi - continua Giacchè - abbiamo abolito il rischio del tasso di cambio con l'euro e, paradossalmente, questo rischio cancellato ha fatto sorgere un rischio del debito sovrano, perchè l'eliminazione del rischio di cambio ha favorito la circolazione delle merci in Europa ed una specializzazione dei singoli Paesi sui settori in cui erano più forti: la Germania ha puntato sul manifatturiero; noi anche, ma con molto minore successo. Altri Paesi hanno abbandonato il manifatturiero e si sono rivolti ai servizi, molto spesso non destinati all'export». «In questo modo - prosegue Giacchè - si sono esposti a un deficit strutturale della bilancia commerciale, che si è infine tradotto in un aumento del debito pubblico. Se le cose stanno in questi termini, anche molte delle cose che si dicono, in Germania e non solo, sul fatto che l'Unione Europea non deve diventare una Transferunion (in cui i Paesi ricchi cedono trasferiscono ricchezza a quelli poveri), perdono ogni credibilità. Perchè la verità è che l'Unione Europea è da tempo una Transferunion. Ma nella direzione opposta. È quanto dichiara apertamente Frank-Walter Steinmeier (capogruppo della Spd al Bundestag) in un'intervista allo Spiegel di questa settimana». «Per molti anni noi tedeschi - ha dichiarato Steinmeier - abbiamo tratto vantaggio dalla debolezza economica dei Paesi del Sud dell'Europa. Questo ha portato a un trasferimento di benessere (Wohlstandstransfer) nella nostra direzione. E nessuno di noi aveva nulla in contrariò. »La crisi del 2007-2008 - continua Giacchè - ha fatto emergere qualcosa che era già in atto, cioè una fortissima divergenza tra le economie dell'area euro. Quando succede questo, avere una moneta unica diventa un letto di Procuste per qualcuno, perchè non riesce ad usare la leva che storicamente usava per rimettersi in carreggiata. Non solo: in questi casi il fatto di avere un unico tasso d'interesse finisce per non andare bene a nessuno: per qualcuno esso rappresenta una politica monetaria eccessivamente espansiva (è il caso della Germania), per altri una politica monetaria eccessivamente restrittiva (è il caso della Grecia, dell'Irlanda e del Portogallo)«. - È anomalo che Germania e Grecia, constata il dirigente della Sator, «abbiano lo stesso tasso di interesse, perchè sono situazioni completamente diverse sui fondamentali. La cosa che dovrebbe preoccupare veramente l'establishment europeo non è il debito di qualche Paese che si gonfia, ma questa divergenza tra le economie». «Questa divergenza - avverte Giacchè - è ciò che, se continuerà ad ampliarsi, farà saltare l'euro. Può anche darsi che qualcuno in Germania si sia convinto che la fine dell'euro non sarebbe un gran problema. Si sbaglia di grosso. Perchè l'export tedesco è in buona parte diretto verso i paesi europei (il 43% verso l'eurozona e il 63% verso i 27 Paesi dell'Unione Europea), perchè le banche tedesche sono fortemente esposte verso paesi europei che sono investiti dalla crisi del debito e perchè l'export verso Cina e Russia non bilancia minimamente quello che gli esportatori tedeschi potrebbero perdere a causa della depressione economica di alcuni paesi europei». «Di questo - conclude Giacchè - abbiamo già avuto un assaggio. Il giorno stesso in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy tenevano la conferenza stampa congiunta in cui ribadivano l'obiettivo prioritario del pareggio di bilancio per tutta l'Eurozona (con anche la singolare proposta di introdurre il vincolo del pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali), venivano resi pubblici i dati sul Pil tedesco del secondo trimestre: +0,1%, praticamente stagnante. È l'effetto della riduzione della domanda in atto in molti Paesi europei a causa delle politiche di austerity. E la prova che bisogna cambiare direzione di marcia».

Il mondo della finanza “inventa” 100 milioni di nuovi diseredati (e l’arricchimento di pochi continua)

Ecco un programma per tornare quasi alla normalità: far sì che i cittadini possano decidere come difendere la loro vita oltre che sull’acqua e il nucleare; far sì che la solidarietà non diventi un impegno “marginale”; far sì che 400 milioni di persone non scappino da ambienti avvelenati o desertificati; far sì che 12 milioni di persone non finiscano ogni anno nella schiavitù del crimine e ricordare che l’80 per cento dei lavoratori del mondo è privo di tutela sociale

Il mondo della finanza “inventa” 100 milioni di nuovi diseredati (e l’arricchimento di pochi continua)
di Roberto Savio - Fonte: arcoiris
Credo, come prima cosa, che abbiamo bisogno di un paradigma, sotto il quale collocare organicamente i vari gravi problemi che affrontiamo, in modo separato. Sono problemi globali, che si vivono in modo diverso nelle varie regioni del mondo. Ma poichèin Europa la crisi èpiùevidente,e la soffrono decine di milione di persone, e sopratutto i giovani, usiamola come realtà.

Il Paradigma: non cè pace senza sicurezza (specie in questi tempi). Ma la sicurezza non è quella militare, dove vanno 1.6 trilioni di dollari ogni anno. La sicurezza è quella umana, per la quale oggi il totale dei bilanci per lo sviluppo sono 50 miliardi. Basterebbe che il 10% delle spese militari andassero a quelle umane, che già avremmo 160 miliardi di dollari. Molto di più di quanto si richiede alle Naziioni Unite per un accordo sul controllo climatico. Un soldato americano costa, secondo il Pentagono, un milione di dollari all’anno. Questo equivale alla somma con la quale vivono, secondo le Nazioni Unite, 2.740 persone in un anno.Un mondo dove 51 milioni di persone hanno la stessa ricchezza di 1,2 miliardi di cittadini, non è sostenibile.

Oggi il mondo vive in senso di crescente insicurezza. Ma i conflitti ed il terrorrismo contano sempre meno nell’immaginario collettivo. Il quotidiano è sempre più scoraggiante.

Credo che sia bene dire quali sono i problemi aperti. Ma solo quello prioritari, altrimenti la lista diventa infinita, anche se il paradigma li contiene tutti..

I problemi importanti da risolvere sono sei.
1.Il mondo vive oggi in una profonda crisi di governabilità. Il declino economico e sociale dei Paesi del Nord,(mentre nel Sud si delineano una decina di nuovi attori a livello globale)sta creando una fuga in avanti, con partiti e movimenti che sognano un ritorno ad una epoca ormai scomparsa. Il Tea Party, che ha catturato il partito repubblicano in America, ed I partiti di destra xenofoba usciti alla ribalsta in Paesi modello, come Olanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, ma anche Ungheria, Lituania, ecc, sono il risultato della fuga in avanti….A questo si aggiunga che siamo passati dalla fine delle ideologie alla affermazione del pragmatismo come formula matura della politica. Ma senza un quadro di riferimento e di analisi, dal pragmatismo siamo passati all’utilitarismo, cioè a gestire solo ciò; che è utile. E la politica oggi non produce più idee, visione, strategia, e diventa autoreferente e senza rapporto con i cittadini, e quindi manca di legittimità. Allora il tema della crisi della politica si pone come.prioritario.Su questo, va aperto il dibattito sulla insufficienza della politica rappresentativa. Occorre aprire maggiore partecipazione dei cittadini, al di là del sistema elettorale. Occorre quindi chiedere una democrazia partecipativa, in cui si deleghi ai cittadini la discussione sui beni comuni, non solo l’acqua o il nucleare.

Crisi in Europa e Usa. Se una marziana ci visitasse...

di Grazia Ietto-Gillies. Fonte: sbilanciamoci
Troppi profitti dalla finanza, troppo pochi dagli investimenti che servono all’economia e alla società. Mancano i consumi, la politica è assente, la crisi si aggrava. Dopo gli errori dell’Europa neoliberista, siamo all’autodistruzione del capitalismo?

Le questioni messe in luce da Rossana Rossanda e altri interventi al dibattito sulla crisi sono di grande importanza. Vorrei partire dalla questione su quale tipo di Unione dovesse venire prima in Europa: quella economica o quella politica? Non si tratta di un problema di priorità temporale ma di che tipo di Unione vogliamo, all’insegna di quali contesti ideologici. L’Unione Europea – che è soprattutto di tipo economico come nota Rossanda – è stata realizzata all’insegna del neo-liberismo e dell’ortodossia economica neoclassica: i mercati sono efficienti, sanno regolare l’economia ed è loro – non dello Stato – il compito di farlo . Questa ideologia è antitetica ai principi di coesione sociale non solo tra le nazioni, ma anche all’interno dei singoli Paesi. Avremmo potuto costruire un’ Unione Europea in un contesto ideologico, economico e politico diverso; in questo caso la questione di cosa sarebbe dovuto venire prima – unione economica o politica – non si sarebbe posta. Un contesto ideologico più a sinistra avrebbe richiesto più attenzione a questioni di coesione sociale sia all’interno dei paesi che tra i paesi dell’Europa. Quindi è più probabile che - in tale scenario – l’Unione sarebbe avvenuta contemporaneamente in campo economico e politico. Ma questa è una riflessione controfattuale, del tutto ipotetica.

Restiamo con un’immagine controfattuale: se una Marziana visitasse la terra nel secolo XXI, cosa mai potrebbe pensare del nostro sistema economico e sociale in cui: (a) una quantità enorme di risorse – umane e di capitale – sono assorbite da prodotti finanziari astrusi, incomprensibili persino agli addetti ai lavori e, a prima vista, totalmente inutili; (b) la gente che lavora e investe in questi strani prodotti ha remunerazioni molto più alte del resto della popolazione; (c) la maggior parte dei terrestri sembra aver bisogno di cose basilari dal cibo, alle strade, alle case, all’istruzione, ai trasporti e ai servizi medici. Perchè le risorse dedicate alla cosiddetta finanza non sono riallocate verso prodotti utili alla società?

Nell’Italia di 50 anni fa era impossibile immaginare che tante risorse sarebbero state dedicate ad attività finanziarie. Perchè la differenza con oggi? Nell’Italia e nell’Europa del dopoguerra c’erano enormi opportunità di investimento nell’economia reale sia per la ricostruzione che per beni di consumo: opportunità di investimento per il settore privato e a tassi di profitto alti o abbastanza alti da indurre gli imprenditori a investire quanto più potevano. Negli ultimi decenni le opportunità di investimento ad alti rendimenti sono diminuite e il capitale ha cercato sbocchi nel settore finanziario creando nuovi prodotti e cercando rendite ben più alte dei tassi di profitto del settore reale. Non è che questi ultimi siano nulli, è solo che sono più bassi delle rendite finanziarie.

Dopo le bombe arriva il denaro. La "nuova" Libia fa gola a tutti.

di Ramon Mantovani su Liberazione.
Fonte: esserecomunisti
La guerra in Libia sta concludendosi? Pare di sì. O forse no, perché le guerre civili non si concludono facilmente. Ma il bilancio, provvisorio, di questa guerra sembra abbastanza chiaro. Almeno per chi ha occhi per vedere e non ha mandato il cervello all'ammasso.
Nessuna delle menzogne, dei falsi pretesti e delle suggestioni abilmente propagate dal sistema di disinformazione e di manipolazione delle opinioni pubbliche mondiali ha resistito alla prova dei fatti. Nessun principio e nessuna legge del diritto internazionale è stata rispettata. In Libia c'era e c'è senza ombra di dubbio un regime oligarchico, per non dire familiare, oppressivo e per molti aspetti grottesco. Ma si possono citare almeno una decina di altri paesi retti da regimi simili, che hanno recentemente represso nel sangue rivolte popolari, considerati "amici" dell'occidente, alcuni dei quali hanno perfino partecipato alla "protezione dei civili" in Libia. In Libia non c'è stata, come in Tunisia e in Egitto, una rivolta popolare spontanea provocata dalla crisi bensì un'insurrezione a base territoriale (quanto ispirata e fomentata da potenze straniere e da un parte dello stesso regime libico si vedrà presto) guidata dall'ex ministro della giustizia di Gheddafi e da un tale Mahmud Jibril. Quest'ultimo, poco prima della "ribellione" aveva dovuto dimettersi dall'incarico di responsabile della politica economica del governo di Gheddafi, in quanto le sue proposte di liberalizzazioni e privatizzazioni erano state bocciate. Se Gheddafi le avesse accettate ci sarebbe stata la guerra?
Oggi Jibril è il capo del governo provvisorio dei "ribelli". E' indaffarato, più che a combattere, a girare per il mondo trattando sulle liberalizzazioni e privatizzazioni che il regime libico aveva scartato. Solo un'illegale risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (illegale in quanto l'Onu non può promuovere alcuna azione militare senza aver prima esplorato ogni iniziativa politica e diplomatica) e solo la violazione della stessa risoluzione Onu (violazione perché prevedeva che nessuna arma avrebbe potuto essere fornita sia al governo sia ai "ribelli" ed escludeva ogni azione atta a rimuovere Gheddafi dal potere), insieme all'intervento della Nato come aviazione di una delle parti in causa, hanno prodotto la sconfitta di una parte del regime ad opera di un'altra parte del regime. I morti civili, la distruzione delle infrastrutture del paese e l'esodo di centinaia di migliaia di immigrati in Libia da altri paesi africani, sono stati considerati un prezzo da pagare ben volentieri per mettere le mani sul petrolio libico e per smantellare l'ottimo welfare pubblico che ai libici garantiva lavoro, sanità, istruzione e abitazioni. Senza dimenticare l'obiettivo politico del rilancio ulteriore della Nato come gendarme del mondo e della trasformazione dell'Onu in notaio delle decisioni dei paesi ricchi (con mormorii senza uso del potere di veto di Russia e Cina). Eccolo il bel multilateralismo di Obama! E degli europei, tra i quali gli apologeti più convinti di ogni distruzione del diritto internazionale, delle guerre umanitarie e dello strapotere della Nato sono gli esponenti del Partito Socialista Europeo e in Italia del Pd e della corte dei pennivendoli tanto ostili a Berlusconi quanto guerrafondai.
Come fu ai bei tempi della guerra del Kosovo, anche quella condotta come aviazione di una parte contro l'altra, presentata come difesa umanitaria dei civili. Multilateralismo per fare la guerra allo scopo di spartirsi il bottino. Costituito da contratti sul petrolio ben più vantaggiosi per le multinazionali di quelli attuali e da usare come antidoto alla politica petrolifera del Venezuela, dell'Opec e dei paesi dell'Alba. Costituito da sicuri investimenti (con relative delocalizzazioni in Italia ed Europa) in tutti i settori economici fino ad ora pubblici per l'orda famelica delle imprese europee. Le stesse che a migliaia hanno saccheggiato Tunisia ed Egitto negli ultimi due decenni. Multilateralismo che vacillerà, come del resto era incerto all'inizio di questa pessima storia quando Usa, Francia e Germania avevano posizioni diverse, appena il signor Jibril dovrà "decidere" quali compagnie petrolifere dovranno godere di più, a cominciare dall'Eni.
Nelle prossime ore, giorni e settimane si riuniranno i vertici politici della Nato e del Gruppo di Contatto. In quelle sedi si misureranno i rapporti di forza interni al multilateralismo, e il peso delle bombe sganciate da ognuno acquisterà un peso politico. Probabilmente la guerra civile libica continuerà in altre forme, e basterà etichettare i seguaci di Gheddafi come terroristi per giustificare ogni tipo di repressione. Poi l'Onu ratificherà e metterà un timbro. Come è dovere dei notai. Infine, va pur detto che fra le vittime di questa guerra c'è il movimento pacifista. Travolto dalle truppe dei manipolatori dell'opinione pubblica e in parte arruolato nei corpi scelti d'élite dei guerrafondai umanitari.
Che riposi in pace!

SONDAGGIO SU VELTRONI ...

... E PROPOSTA DI GIUSTIZIARE LA PRECARIETA' CON RICETTA ICHINO
Fonte: controlacrisi
Questa mattina Valter Veltroni in una intervista su repubblica ha proposto un patto sul lavoro che " secondo la proposta Ichino giustizi la precarietà".

Secondo voi Veltroni cosa ha assunto:

a) il sudore di Nichi Vendola intramuscolo dopo una cena a casa di De Benedetti a base di funghetti lisergici
b) una pianta allucinogena trovata nella savana nel suo ultimo viaggio africano
c) Nulla, Veltroni quando non lo caga nessuno spara cazzate per andare sui giornali
COMMUNION AND LIBERATION
Pay and pray

venerdì 26 agosto 2011

Non è un Paese per pensionati

di Beppe Grillo
Quota 97 equivale a 62 anni di età e 35 di contributi per andare in pensione. Nessun ventenne, trentenne, quarantenne, e anche molti cinquantenni che hanno perso il lavoro in questi anni, ci arriverà mai. L'Everest di quota 92 è, come tutti sanno, temporaneo, sarà aggiornato nel tempo per evitare il default. Diventerà quota 100, poi 105. Sempre più in alto, mentre diminuiranno gli anni di possibile contribuzione per i precari, per gli assunti a progetto per pochi mesi, per gli attuali disoccupati. Si assesteranno, se va bene in 18/20 anni. Per arrivare a quota 100 bisognerà quindi avere 80 anni di età e 20 di contributi. Questa è una eccezionale presa per il culo.
I contributi all'INPS sono pagati OGGI da lavoratori che in pensione NON ci andranno mai. Servono a pagare le baby pensioni, le super pensioni, le doppie e triple pensioni, le pensioni dei parlamentari. La pensione di 32.000 euro al mese di Amato, dei consiglieri regionali, il "vitalizio" di 9014 euro di Veltroni, le pensioni di chi sta a casa da quando aveva 40 anni. Perché pagare le pensioni per gli altri senza andare in pensione? Non ha alcun senso. Un limite massimo di 3.000 euro al mese e un'età di 65 anni mi sembrano ragionevoli. Se il tetto venisse applicato lo Stato risparmierebbe 7 miliardi di euro all'anno e tutti potrebbero accedere alla pensione senza quote. Non vedo alcuna ragione per cui un ragazzo debba pagare i contributi all'INPS sapendo che la pensione non l'avrà mai. Il versamento obbligatorio all'INPS deve essere abolito, ognuno risparmia ciò che vuole per usarlo in vecchiaia. L'INPS è un baraccone che ha usato i soldi per le pensioni per farci di tutto, un'istituzione politica non di garanzia dei contribuenti. I soldi dell'INPS sono stati impiegati, tra le altre cose, per la cassa integrazione. Quando per decenni la Fiat perdeva, i suoi dipendenti li pagava l'INPS, cioè noi. Chissà se Minchionne ne è al corrente?
Sulle pensioni bisogna essere chiari. Deve esserci un minimo per gli indigenti (1.000 euro?) e un tetto massimo per tutti gli altri e nessun innalzamento dell'età pensionabile. Se così non sarà è meglio che l'INPS chiuda i battenti e le giovani e quasi giovani generazioni smettano di pagare contributi per una pensione che non riceveranno mai.
Ci sono 19 milioni di pensionati in Italia e circa altrettanti lavoratori che gli pagano la pensione attraverso i contributi mensili. Chi non è in pensione lavorerà (se avrà la fortuna di essere in salute e di avere un lavoro) fino alla morte. Questa situazione non può durare, lo capirebbe anche un bambino e chi paga i contributi INPS lo ha già capito. I contributi sono diventati una tassa per vecchi più fortunati. La riforma delle pensioni si deve fare per tutti o per nessuno. Per chi è già in pensione e per chi ha il diritto di andarci. Non possono esistere in questo momento diritti acquisiti.

Una manovra iniqua ed economicamente devastante.

di Vladimiro Giacché. Fonte: marx21

La manovra ferragostana del governo Berlusconi-Tremonti da 50 miliardi di euro e' peggiore delle previsioni più pessimistiche.
Per quello che contiene e per quello che non contiene.

Ecco quello che contiene:

ATTACCO AL SALARIO E AI DIRITTI DEL LAVORO
La manovra contiene innanzitutto un attacco al salario e ai diritti del lavoro dipendente di portata inedita, che si può sintetizzare come segue:

Attacco al salario

1. Tagli al salario diretto dei dipendenti pubblici. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa perderanno il pagamento della tredicesima mensilità.
2. Tagli al salario indiretto di tutti i lavoratori. Questo e' il risultato inevitabile della riduzione di 6 miliardi di trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali per il 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013, come pure dell'incentivo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (a questo riguardo si usa a sproposito il termine di "liberalizzazione", ma si tratta di una mistificazione in quanto la gran parte di questi servizi sono monopoli naturali). Lo stesso effetto avranno, almeno in parte, i tagli ai Ministeri per 6 miliardi nel 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013. E anche la soppressione delle province sotto i 300.000 abitanti e la fusione dei comuni sotto i 1000 abitanti. E' infatti certo che queste misure si tradurranno in minori servizi o servizi più cari per i cittadini. Oltretutto va ricordato che i lavoratori e i pensionati sono già stati colpiti a luglio dai tagli sulle deduzioni fiscali , sulle indennità assistenziali, sugli asili e su altri servizi che in particolare i Comuni dovranno ridurre.


3. Tagli al salario differito dei lavoratori. Per i lavoratori pubblici questo avverrà tramite il pagamento con due anni di ritardo (e senza interessi) dell'indennità di buonuscita. Per tutti i lavoratori questo e' il risultato dei previsti interventi disincentivanti per le pensioni di anzianità (con anticipo al 2012 del requisito di 97 anni tra eta' anagrafica e anni di contribuzione). Infine, un segnale di attenzione specifico nei confronti delle donne: viene anticipato dal 2020 al 2015 l'inizio del progressivo innalzamento a 65 anni dell'età pensionabile per le donne del settore privato.

Attacco ai diritti del lavoro

1. La manovra consente di derogare a livello aziendale a quanto previsto dai contratti nazionali su "mansioni, classificazione e inquadramento del personale, disciplina dell'orario di lavoro, modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro" (cose in buona parte già previste dall'infelicissimo accordo firmato anche dalla CGIL il 28 giugno scorso), ma anche sul "recesso dal rapporto di lavoro", ossia sui licenziamenti, con la sola eccezione - bontà loro - del "licenziamento discriminatorio" e del "licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio". Nelle intenzioni del governo, si potrà così aggirare l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori ed effettuare licenziamenti anche non per giusta causa.
2. C'e inoltre (art. 8, par. 3 del decreto legge della manovra) anche un avallo postumo ai colpi di mano della Fiat su Pomigliano e Mirafiori che sinora – va detto – non hanno granché giovato alle sorti della ex casa automobilistica italiana, con vendite e quotazioni azionarie in caduta libera (evidentemente le bastonate ai lavoratori non sono un colpo di bacchetta magica che risolve i problemi aziendali).
3. Infine, per quanto riguarda il pubblico impiego, viene introdotta la libertà di trasferimento del personale anche in altra città, e l'assegnazione a mansioni superiori e di maggiore responsabilità a parità di stipendio.

Lavoro d'autunno

di Piero Bevilacqua - il manifesto - Fonte: sinistrainrete
«Ma la sinistra non c'è» titolava mestamente un suo editoriale Valentino Parlato sul manifesto del 4 agosto, a proposito della risposta del PD alla prima manovra del governo. E' inevitabile, tutte le proposte moderate mostrano la corda, quando le contraddizioni della realtà si fanno estreme. Ma l'espressione di Parlato oggi dovrebbe assumere un significato più largo e in parte diverso. Ci sono altre assenze non volute e non meno importanti. Non c'è la sinistra cosiddetta radicale in Parlamento, che pure esiste nel Paese e nelle amministrazioni locali, e tuttavia non può fare sentire la sua voce in sede legislativa. Ma soprattutto non è rappresentata e non ha voce unitaria la sinistra dei movimenti, dei comitati per i referendum, delle migliaia di organizzazioni territoriali, dei blog, dei comitati studenteschi, delle donne, e insomma di tutto quel vasto arcipelago che non solo è stato protagonista delle lotte negli ultimi anni, ma è emerso come volontà politica unitaria alle recenti elezioni amministrative e ai referendum. La contraddizione qui è ancora più marcata, perché questo soggetto plurimo e frammentato ha immesso nello stanco dibattito pubblico i temi di una nuova cultura politica, coinvolgendo in una critica radicale non solo il berlusconismo, ma la strategia trentennale del capitalismo mondiale che va sotto il nome di neoliberismo.

Ora il problema è quale risposta organizzare di fronte a quella vera e propria “vendetta di classe” che è la manovra governativa nella sua pur non definitiva architettura. Come rendere di nuovo protagonisti le donne e gli uomini che hanno mostrato una capacità di far politica anche al di fuori dei partiti e che oggi sono fuori dai luoghi in cui si prendono decisioni rilevanti. E non c'è dubbio che una prima trincea su cui mobilitarsi riguarda la difesa dei risultati referendari, su cui più volte ha richiamato l'attenzione Ugo Mattei. Ma proprio tale urgenza mi spinge a riflettere su almeno due rischi che incombono sui nostri tentativi. Il primo di questi è senza dubbio di farsi logorare in una lotta di semplice difesa dei risultativi legislativi raggiunti. Il secondo è il pericolo di disperdersi in una infinità di rivendicazioni diverse, non unificate da un obiettivo di ampia portata e mobilitante. La politica dei movimenti si fa sempre con l'energia di un qualche potente motore autonomo.

A me pare evidente che oggi il problema dei problemi, in Italia come in gran parte del mondo, sia il lavoro: la sua mancanza, la sua precarietà, i sui diritti violati. Nel 2010 nel nostro Paese si contavano 2,2 milioni di disoccupati e almeno 7-8 milioni di precari. Non c'è, si può dire, famiglia con prole adulta, di qualunque ceto, dalle Alpi alla Sicilia, in cui non si ponga il problema lavoro, soprattutto per i giovani. Su tale terreno la sinistra tradizionale e la CGIL si mobiliteranno. Ci sarà probabilmente uno sciopero generale, si svolgeranno grandi manifestazioni negli spazi simbolici consueti. Sforzi organizzativi e politici importanti, certamente. Io credo, tuttavia, che oggi occorra inoltrarsi in una nuova frontiera di mobilitazione, capace di trascinare i cittadini più durevolmente nell'agorà della discussione partecipata. Non possiamo riempire per un giorno le piazze d'Italia e poi tutti a casa. Non basta più, sia come forma di lotta, che come modalità di elaborazione dei contenuti. Né è più sufficiente limitarsi a denunciare la precarietà di vita che angoscia i nostri ragazzi. Benché tale denuncia acquisti oggi, dopo i fallimenti che «il lavoro flessibile» in Italia ha dovuto registrare anche in termini di sviluppo, una forza dirompente. Essa mostra senza più schermi la vergogna di una classe dirigente che ha puntato sull'immiserimento della nostra gioventù per tenere in moto il processo di accumulazione capitalistica. Il profitto di oggi a tutti i costi, anche a costo di compromettere il futuro dei propri figli.

Il sogno spezzato.

Fote: vittoriothewinner
Occhi grandi, ma tristi e spenti. Gli occhi di un ragazzino costretto a convivere, con cadenza quotidiana, con la morte e la devastazione. Gli occhi di un adolescente, già abituato a convivere con la paura e il dolore, che sa che domani potrebbe toccare a lui di morire sotto i bombardamenti, perché gli ordigni, quelli no, non hanno occhi. Gli occhi di un tredicenne che sa che il suo futuro è una incognita. Perchè se nasci a Gaza, «dall’altra parte del muro della vergogna», il tuo destino è già segnato. Lo sai fin da piccolo, lo impari mentre sei ancora nella culla perché se la guerra non ti uccide, ti segna. Per sempre. Le ferite rimangono. I cadaveri, i corpi straziati, le case sventrate, l’odore acre della morte diventano immagini indelebili nella mente di chi ha vissuto, toccandoli con mano, pagandoli sulla propria pelle, gli orrori della guerra. Soprattutto se lo spettatore, ossia la vittima designata di tanto odio e di disumana violenza è un bambino. Gli occhi di un tredicenne la cui infanzia è stata violata. I cui sogni sono stati spazzati via a colpi di granata. Mentre il mondo, in silenzio, sta a guardare. Costretto a crescere in fretta, troppo in fretta. A diventare uomo a dispetto della sua giovanissima età, per ritrovarsi poi - una notte, in una maledetta e torrida notte di agosto, sporca di sangue, il cui silenzio è stato spezzato dal rumore delle bombe - disteso sul selciato, privo di vita, dopo essere stato recuperato dalle macerie di una casa dilaniata. Eccola qua l’ennesima vittima innocente dei bombardamenti senza fine. Si chiamava Mahmoud Abu Sambra Afef. Aveva tredici anni. E’ quel ragazzino dagli occhi grandi, ma tristi e spenti, senza futuro. La sua colpa? Quella di essere nato e cresciuto a Gaza. Il suo progetto spezzato? Diventare un’attivista e battersi per una Palestina libera. E Mahmoud, era riuscito a coinvolgere i suoi coetanei, diventando la loro voce. La voce ribelle, di chi come lui, cullava il sogno di libertà. «Non gli hanno consentito di vivere un’adolescenza normale», urla la madre stringendo a se il corpo esanime del figlioletto ucciso. Mahmoud adesso non potrà più esaudire quello che era il suo più grande desiderio: giocare a calcio, rincorrere un pallone, assieme agli amici, come fanno tutti i ragazzini, che vivono nei Paesi liberi, dove la guerra la si studia soltanto sui libri di storia. «Badesh», era il suo grido di battaglia. Significa «io non voglio» e Mahmoud, non voleva la guerra. Era stanco, di vedere cadaveri. E temeva, soprattutto, per la vita del fratello maggiore. «Voglio proteggerlo», continuava a ripetere. Ma chi proteggeva Mahmoud? Ucciso a 13 anni, per la sua voglia di libertà, per i suoi ideali di democrazia e di giustizia. Morti con lui, annientati da una bomba che si è abbattuta sulla sua. Adesso, a portare avanti il progetto di libertà in cui tanto credeva Mahmoud, sono i suoi coetanei. Lo hanno giurato davanti al suo corpo straziato. ma chi proteggerà loro? Candidati all’obitorio, in una terra martoriata e senza pace, dove la vita, anche quella di un ragazzino, vale poco. Quanti altri Mahmoud ci saranno a Gaza?

(Pamela Giacomarro)
Inspire me, Allende

giovedì 25 agosto 2011

L’uscita dall’euro prossima ventura

di Alberto Bagnai. il manifesto - Fonte: sinistrainrete
Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una domanda simile a quella di Rossanda [vedi in calce a questo articolo]. Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.” Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare. Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo. “Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.

Il debito pubblico non c’entra.

Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro. Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, prima del trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero (prevalentemente privato).

Inflazione e debito estero.

Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.

La Borsa sale, Tripoli crepa!

Tripoli, oggi più che mai suol d'amore. Il nostro.
di Fulvio Grimaldi - Fonte: listaeurogreen
La storia è un resoconto perlopiù falso di eventi perlopiù insignificanti
provocati da governanti perlopiù delinquenti e da soldati perlopiù idioti.
(Ambrose Bierce, scrittore Usa, 1842-1914)

Liquidiamo per prima cosa gli sciacalli collateralisti travestiti da
sinistri, oggi tutti o rintanati in un abisso di vergogna, o garruli, più
impudichi, celebratori di diritti umani e democrazia ristabiliti. Come
Vendola - "Israele ha fatto fiorire il deserto" - Rossanda -"Brigate
internazionali a sostegno dei giovani rivoluzionari di Bengasi", o il poco
noto sedicente esperto di Latinoamerica e spocchioso tuttologo
dell'intossicazione imperialista, Carotenuto - "I cecchini di Gheddafi
sparano sui bambini". Li scopriamo, sotto gli scintillanti panni arcobaleno,
imbrattati di merda e grondanti di sangue del popolo libico e confinati per
l'eternità nella fangazza dei caimani, peggiori del guiitto mannaro:
traditori e rinnegati.

Calpesta questi vermi Hugo Chavez che, ancora una volta, ha tuonato contro
le aberranti nefandezze dei "democratici governi europei e Usa impegnati a
radere al suolo Tripoli, le scuole, gli ospedali, le case, i posti di
lavoro, i campi coltivati, le fabbriche, i rifornimenti idrici ed elettrici
con il suo milione e mezzo di abitanti", adducendo a scusa una "rivoluzione"
che non è che un colpo di Stato "mirato a prendersi il paese e le sue
ricchezze" . Dietro a Chavez c'è quasi l'intera America Latina, quasi tutta
l'Africa, gran parte dell'Asia, a dispetto degli infingardi medvedeviani e
cinesi. E questi cavalieri dell'Apocalisse, rappresentanti di un mero 7%
dell'umanità, in maggioranza, poi, nemmeno omologati sui crimini dei loro
"rappresentanti", osano definirsi "comunità internazionale". Senza contare
che ormai, nella "comunità internazionale", questi non sono da tempo
rappresentanti di nessuno, se non della manica di criminali psicopatici
rintanati nei forzieri.
E veniamo a come sembra stiano le cose secondo le uniche voci oneste
sopravvissute a Tripoli. Sopravvissute, perchè ne va della loro vita, visto
che le spie della Cia e dell'MI6, fattesi passare per giornalisti nell'Hotel
Rixos, li hanno minacciati di morte e cercano di farli fuori. Me li ricordo,
quei "giornalisti" yankee e britannici, in ascolto spocchioso e irridente
alle nostre conferenze stampa in cui portavamo documenti, immagini e
testimonianze degli orrori compiuti dai mercenari e dalla Nato. Ricordo le
loro domande di spie: "A quale formazione politica appartieni?" "Cosa
guadagnate dal farvi trombettieri delle truffe e bugie di Gheddafi?" "Chi vi
paga?" "Siete complici dei mercenari di Gheddafi che stuprano bambini". "Vi
rendete conto che siete operativi del terrorismo contro la democrazia e la
comunità internazionale?"

Ora quell'hotel, senza più personale, si è diviso in due contrapposti
fortini: da un lato i giornalisti veri, in prima linea Thierry Meyssan e
Darius Nazemroaya, che gli agenti angloamericani cercano di far fuori,
dall'altro i mercenari mediatici. Gli stessi che viaggiando per le strade
della Libia segnalavano alla Nato i posti di blocco da disintegrare. E' per
le strade così "ripulite" che le bande del mercenariato Nato hanno potuto
avanzare grazie all'intervento incessante degli elicotteri d'assalto, dei
droni e dei bombardieri, che spazzavano gli spazi davanti a loro. Nulla di
quanto sta avvenendo è merito di questo branco di belve subumane unicamente
motivate dal bottino e dagli orgasmi da sevizie e morte. Senza le stragi
Nato non sarebbero stati capaci di far altro che continuare a dare la caccia
agli africani neri, alle ragazze da violentare e poi uccidere (stile narcos
al soldo degli Usa in Messico), a chi non si schierava con loro. La forza
d'urto principale è stata esercitata dalle montagne alle spalle di Tripoli
nelle quali nelle scorse settimane erano arrivate, su piste improvvisate,
valanghe di armamenti pesanti, con il beneplacito del governo dellaTunisia,
da qualcuno (Giuliana Sgrena e mistificatori vari) ancora definito
espressione della "primavera dei gelsomini" (qualifica tesa a sacralizzare
anche le operazioni Cia delle rivoluzioni arancioni, dei garofani, delle
rose e di colori e fiori vari). Governo tunisino che, rivoluzionariamente,
spargendo gelsomini, è balzato sul carro da morto di passaggio e ha
riconosciuto il sedicente Consiglio di Transizione, così tagliando il
cordone ombelicale a tutto un popolo, E' la democrazia, cretino!

I tumulti di Tripoli, comunque, sembra non siano tanto merito di contingenti
di mercenari invasori, in ogni caso guidati e appoggiati da teste di cuoio
occidentali, quanto da "cellule dormienti" infiltrate da tempo e che si sono
mosse al segnale lanciato da certi muezzin dai minareti a partire da sabato
scorso. Il meccanismo, ripetuto in questi giorni, è questo: la Nato lancia
di notte attacchi di portata terrificante su una zona, o un centro,
distruggendo tutto e facendo fuggire o uccidendo la popolazione (1.300 in 9
ore domenica scorsa, 5000 feriti). Nel vuoto si precipitano i mercenari con
telecamere al seguito, sbraitano, sparacchiano e... spariscono, mentre
l'area torna ad essere popolata da abitanti che rientrano sotto la
protezione delle forze lealiste. Si parla addirittura di "ribelli" cacciati
dalle loro posizioni 80 km a ovest di Tripoli (Zauija).

Così, pare, oggi a Tripoli, dove sarebbe in corso la controffensiva dei
lealisti che avrebbe svuotato la città dai mercenari per il 90%, salvo
sacche nei sobborghi. E a ennesima dimostrazione della rozzezza dei
bugiardi: i figli di Gheddafi, Seif e Mohammed, sono liberi e in lotta. Il
problema grande è che, come si creano distanze tra i due fronti, i killer
Nato hanno agio di infierire su Resistenza e popolazione civile, ovviamente,
come fatto a partire del 19 marzo, senza il minimo riguardo per la
popolazione nella quale i combattenti patrioti si muovono. L'altra notte è
passato su RAI Tre un grande film su Marzabotto. Sinistri e celebranti vari
commemorano in lacrime quegli eventi. in Libia la nostra "comunità
internazionale" di Marzabotto e S.Anna di Stazzema ne hanno perpetrato
centinaia, all'ennesima potenza. E' la democrazia, cretino! E ora stanno
facendo a Tripoli quello che hanno fatto a Dresda, a Baghdad, a Falluja, a
Gaza. Terminator nutriti di morte, amici, anzi padroni omaggiati, di
Napolitano, Bersani, Flavio Lotti, Pannella e tutta la fangazza sinistrata
d'Italia. Lordi tutti del sangue di un popolo genocidato dopo l'altro. A
quando l'incendio purificatore e salvifico che li incenerirà?

Non finisce qui. Non c'è nessuna stretta finale, Gheddafi morirà in
combattimento o trucidato, come Saddam e Milosevic, in qualche postribolo da
tutti consacrato tribunale e dove, sullo scranno delle marchette, sono
assise "madame" come Carla del Ponte, Antonio Cassese (quello del tribunale
farsa prima della Jugoslavia e poi del Libano), Moreno Ocampo. Così come si
omaggia Napolitano, il peggiore presidente mai avuto nella Repubblica,
"difensore della Costituzione". Colui che rischia, avvenuta la nemesi, di
passare alla storia giusta con il titolo di "presidente fellone". Accanto a
gentaccia come Laval, Petain, Badoglio e, oggi, accanto a pagliacci zannuti
Nato alla Karzai, Al Maliki, Micheletti, Calderon, Abu Mazen, Mesic...
L'uomo che ha spianato la strada alla P2
Gheddafi, mille Gheddafi, continueranno a guidare la lotta dei libici,
dovesse durare un'altra volta trent'anni, come sotto i macellai Graziani,
Badoglio, Mussolini (avete constatato come questi massacratori dei mandanti
Obama e Cameron e banchieri che li manovrano, siano addirittura peggio,
molto peggio, di quegli antesignani della civiltà superiore bianca
cristiana?). Alimentiamo i fuochi sacri dei libici. A partire dalle palle
infuocate di verità da lanciare addosso alle prostitute nel postribolo..

Fulvio Grimaldi
http://obzudi.splinder.com/

Presidio CGIL al Senato


23 Agosto 1927, l’esecuzione di Sacco e Vanzetti.

23 Agosto 1927, l’esecuzione di Sacco e Vanzetti
Una mobilitazione operaia, nel mondo intero,
contro un crimine di Stato
Fonte: linternazionale
Il 23 agosto 1927, vicino a Boston (Usa), poco dopo la mezzanotte, Nicolas Sacco veniva condotto al supplizio. Prima dell’esecuzione sulla sedia elettrica gridò “Viva l’anarchia”. Qualche minuto dopo, Bartolomeo Vanzetti subì la stessa sorte.

In seguito all’entrata in guerra degli Usa, nell’aprile del 1917, il presidente Wilson, che ci è sempre stato presentato come un “liberal”, aveva fatto promulgare leggi sempre più repressive. L’apice venne raggiunto a partire dal 1919, sotto il suo ministro per la giustizia, Palmer. Venne promossa una caccia isterica agli anarchici, “ai rossi”, agli emigrati. Il 2 gennaio 1920, appena prima dell’inizio della vicenda, ebbero luogo i “Palmers raids”. In trentatre città, quel giorno, ci furono delle retate di massa, migliaia di arresti, senza imputazione, per mesi, con il pretesto di un imminente “complotto bolscevico”. La borghesia americana si vendicava dello scacco subito col proprio intervento militare in Siberia contro la Russia dei soviet, e della paura che aveva suscitato in lei l’ondata operaia.del 1919.
Sacco e Vanzetti avevano il profilo ideale di capri espiatori. Erano anarchici rivoluzionari, tornavano dal Messico dove si erano incontrati mentre fuggivano la coscrizione per la guerra imperialista che condannavano.

Vanzetti fu anche condannato a quindici anni di prigione per una rapina a mano armata che non aveva commesso. Ma non era sufficiente. Allora venne istituito un secondo processo, per un'altra rapina a mano armata, che aveva provocato due morti. E sempre senza prove, Sacco e Vanzetti vennero questa volta condannati a morte, come volevano le autorità.

Non si trattò solamente di un “errore giudiziario”, come ammisero certi liberali borghesi, ma di un vero e proprio assassinio politico con l’intenzione di colpire gli animi e voluto come tale dai rappresentanti dell’ordine. Tutte le prove di innocenza dei due militanti, comprese le confessioni di uno dei veri autori della rapina a mano armata, non servirono a niente. Sacco e Vanzetti restarono sei anni nel corridoio della morte.

Malgrado i tempi difficili…

Fu allora che si sviluppò una campagna di solidarietà operaia internazionale, sotto la bandiera della difesa dei militanti in lotta per l’emancipazione della classe operaia. Forse la sola che fu condotta da un capo all’altro del mondo sotto questa bandiera.

Era un’epoca difficile, marcata da un arretramento politico e sociale che attraversava il mondo intero. Il regime fascista si era insediato in Italia. Decine di paesi vivevano sotto una dittatura più o meno dura. La reazione politica toccò anche la Russia, con l’avanzata dello stalinismo che andò a incancrenire tutto il movimento comunista internazionale.

mercoledì 24 agosto 2011

La musica è finita.

di Beppe Grillo
Ci sono momenti nella Storia di un Paese in cui tutto diventa intollerabile. L'apice è stato raggiunto con il discorso di Morfeo Napolitano a Rimini applaudito da tutto il codazzo dei responsabili della catastrofe economica italiana. Morfeo ha spiegato con il suo linguaggio da burocrate ottocentesco di provincia, quello che in effetti è, che "E' stata nascosta la gravità della crisi". Già da chi è stata nascosta questa gravità? Dal panettiere? Dal benzinaio? Dalla portinaia? Il Quirinale, che costa agli italiani una cifra da paura, non sapeva nulla? In cosa era affaccendato? A firmare ogni legge porcata, tra le quali lo Scudo Fiscale per condonare gli evasori? Chi ha firmato quella legge al primo colpo senza rimandarla alle Camere come avrebbe potuto e soprattutto avrebbe DOVUTO? Forse lui, il presidente nominato dal Parlamento a sua volta nominato da 5 segretari di partito. Quel signore allampanato che non ha mai speso una parola sul debito pubblico fino a quando è scoppiato il bubbone? Che non ha mai menzionato le 350.000 firme raccolte per Parlamento Pulito? E' forse quel tizio che prendeva gli aerei low cost per andare a Bruxelles e non la compagnia di bandiera Alitalia? (video)
E dietro a questo vecchio, che ormai ha fatto il suo tempo e verrà consegnato negli sgabuzzini della Storia, si rifugiano coloro che stanno per essere spazzati via. Tutti insieme, leccaculamente. Cicchitto, piduista della prima ora "Napolitano fa un'analisi severa...". Enrico Letta (detto anche Lecca) "Facciamo nostro l'appello del Capo dello Stato". Moretti, quello delle Ferrovie in disarmo "C'é una forte spinta all'orgoglio di fare". Marchionne, il termodistruttore del sindacato, che dopo gli esaltanti risultati di Borsa e di vendite non è stato ancora messo alla porta: "Napolitano è un uomo che stimo immensamente, un punto di riferimento per il Paese".
Morfeo ha ribadito alla claque di banchieri, confindustriali, politici d'accatto e papalini presenti (mancavano purtroppo operai, disoccupati, casalinghe, cassintegrati e comunisti berlingueriani) "Bisogna parlare il linguaggio della verità come dovrebbero fare tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni". Questo pensiero stupendo detto da chi è al vertice delle istituzioni da cinque anni e sulla più che prevedibile catastrofe economica non si è mai espresso ha scatenato una ola tra i presenti. Da lontano si è sentita anche la voce dell'ex presidente del Consiglio che ha valutato il discorso di Morfeo come "uno sprone". Dietro il palcoscenico funerario c'era la claque che incitava e applaudiva in anticipo: Passera (IntesaSanPaolo), Conti (Enel), Lucchini (Eni). La figlia di Fantozzi, in arte Maurizio Lupi, gridava eccitata come quando vede in privato Formigoni, presidente regionale abusivo e uomo immagine (sic) di CL. La musica è finita. L'ultimo che esce spenga la luce.

Il governo svende i beni pubblici che sono dei cittadini.

di Ugo Mattei - il manifesto - Fonte: dirittiglobali
Di male in peggio! La manovra frettolosamente messa insieme dal governo, che in tal modo si fa complice di un progetto europeo chiarissimo di Shock Economy, (per chi non lo ricordasse è il titolo di un bel libro di Naomi Klein che denunciava da par suo la strategia di creare ad arte emergenze a fine di saccheggio) fa acqua da tutte le parti. La rincorsa a proposte estemporanee (anche da parte dell'opposizione) immalinconisce per pochezza intellettuale e politica. Non solo dobbiamo sentire prediche della Chiesa (il più grande evasore legale d'Italia) che lasciano davvero increduli. Non soltanto dobbiamo sentire proporre dall'opposizione il più fedifrago dei tradimenti rispetto a quanti (spregevoli finché si vuole) comunque si sono fidati delle istituzioni facendo rientrare i capitali attraverso il condono (sul brocardo pacta sunt servanda si fonda la civilità giuridica). Non soltanto dobbiamo vedere le barricate contro il «contributo di solidarietà» che vengono erette al fine precipuo e del tutto ideologico di evitare che una tale idea (che peraltro ispira la nostra Costituzione) possa contagiare il popolo ed ammorbandolo della grave malattia, estirpata scientificamente nel ventennio neoliberale, del solidarismo. Adesso si ripropone la dismissione degli immobili pubblici! Insomma, per pagare i cravattari con cui lo Stato si è indebitato a causa del suo vizio del gioco, vendiamoci la casa!
Chi legge il testo della manovra vede ben chiaro che la componente «militare» di tali vendite (quella che al limite si sarebbe pure potuta condividere) non provocherà alcun dimagrimento significativo del portafoglio dell'inguardabile La Russa, perché i proventi della vendita del demanio militare verranno riassegnati in massima parte alla Difesa (art. 3 lettera 12). Del resto, così come non si può nemmeno parlare di imporre una patrimoniale draconiana sui beni della Chiesa (io credo in emergenza occorrerebbe iniziare a rifletterci davvero, almeno una confisca parziale), sia mai detto che si possa risparmiare qualcosa sulla difesa: siamo naturalmente (peccato che incostituzionalmente) impegnati (ed in modo del tutto bipartisan) a bombardare donne e bambini innocenti in Libia ed altrove e come si sa sono cose che costano molto care! Siamo quindi di nuovo alla svendita del patrimonio immobiliare civile o sociale (case popolari, scuole, ospedali, asili uffici) i cui proventi verranno utilizzati per far fronte alla spesa corrente. Tanto chiudendo lo Stato sociale i beni pubblici sociali non serviranno più. Cinque hanni fa ho documentato personalmente in una ricerca dell'Accademia dei Lincei poi pubblicata col titolo Invertire la rotta (con E. Reviglio e S. Rodotà) i meccanismi perversi di questa dismissione, inutile, truffaldina e rovinosa e la Commissione Rodotà aveva posto il problema della tutela dei beni pubblici sociali. Tutto inutile! Il Governo non vende beni suoi! È ora che ce lo mettiamo bene in mente. Si vogliono vendere beni che sono proprietà della collettività nazionale tutta e non del governo in carica! Beni accumulati con il sacrificio fiscale di tutti. Il governo in carica dovrebbe esserne fedele custode e buon amministratore. Se il governo espropriasse beni appartenenti ai privati dovrebbe pagare l'indennizzo (la Corte Europea ci ha detto che questo dovrebbe essere a prezzo di mercato). Nessuno pensa mai che anche quando espropria beni pubblici e comuni qualcuno dovrebbe essere indennizzato. Quella pubblica è la sola proprietà degli spossessati ed appartiene pro quota a tutti noi. Su di essa non ci si accontenta di una patrimoniale perché si vuole una vera confisca (a favore dei soliti palazzinari noti).

FERRERO, AGENZIE RATING? KILLER IN GIACCA E CRAVATTA

Fonte: controlacrisi
(ANSA) - ROMA, 23 AGO - «Un tempo la borghesia teneva in conto la forma, adesso non più. Con il siluramento del Presidente dell'agenzia di Rating Standard and Poor's, si evidenzia l'asservimento di queste agenzie ai potentati economici e politici. Come non collegare la defenestrazione del Presidente con la retrocessione del titolo di stato statunitense fatto dall'agenzia qualche settimana fa? Questa rimozione rende evidente che non esiste alcuna autonomia di queste agenzie di rating, che esprimono valutazione politiche sulla base degli interessi loro, dei loro azionisti e dei potentati a cui fanno riferimento. Le agenzie di rating sono una finzione integrale, una presa per il culo per miliardi di persone che guadano la televisione e credono alle cose che vengono dette dai presentatori», ha detto Paolo Ferrero, segretario del Prc. «Ricordo male - insiste Ferrero - o la speculazione sull'Euro e le manovre speculative sulla Grecia sono cominciati con declassamenti decisi a tavolino dalle agenzie di rating? Questi killer in giacca e cravatta che speculano sulla vita della gente, vanno messi in condizione di non nuocere, le agenzie di rating sono criminali e vanno sciolte, così come vanno ripubblicizzate le banche, perchè da questa crisi se ne esce solo con l'intervento pubblico».

GIACCHÈ, SE SALTA L'ITALIA, SALTANO EURO E BANCHE DI GERMANIA E FRANCIA

Fonte: controlacrisi
Milano, 23 ago. (Adnkronos) - «Se salta l'Italia, salta l'euro. Se salta il debito pubblico italiano, saltano anche le banche francesi e tedesche». Parafrasando la celebre frase di John Connaly, ministro del Tesoro Usa nel 1971, quando l'Amministrazione Nixon ritirò il dollaro dalla convertibilità in oro («È la nostra moneta, ma è il vostro problema»), «quello italiano è il nostro debito, ma il problema dell'Europa». E gli Eurobond, che «potrebbero essere una soluzione», andrebbero introdotti senza indugi, «prima che sia troppo tardi». Così Vladimiro Giacchè, responsabile Affari Generali della Sator di Matteo Arpe, chiarisce, precisando di parlare a titolo personale, le pesanti implicazioni per l'Ue di un eventuale default dell'Italia. Normalista, studi universitari condotti tra Pisa e Bochum e poi incarichi di alto livello nel Mediocredito Centrale e nel gruppo Capitalia, Giacchè, è autore di numerosi volumi. «Io credo che - spiega all'Adnkronos - se non si riesce in Italia a mettere mano seriamente al problema del debito, cosa che dobbiamo assolutamente fare, questo non è un problema solo del nostro Paese. Su questo bisogna essere molto chiari e avremmo dovuto esserlo già a marzo, quando si è accettata una modifica al patto di stabilità inutilmente punitiva per i Paesi ad alto debito (anche se con un deficit basso)». Una modifica che, prosegue Giacchè, «secondo me, è stata una delle cause dell'attenzione dei mercati alla nostra situazione e quindi dell'allargarsi della crisi del debito al nostro Paese. Da quando la Bce ha finalmente cominciato a intervenire sul mercato la situazione si è un pò stabilizzata, ma ancora ieri lo spread dei Btp rispetto ai Bund era prossimo ai 300 punti base. In ogni caso, il tema è molto semplice: se saltasse l'Italia, salterebbero l'euro e le banche francesi e tedesche». «È evidente ormai da mesi - continua Giacchè - che il contagio partito dai paesi periferici si sta allargando. E non è un caso che al secondo tentativo di salvataggio della Grecia, nel giugno scorso, si sia arrivati la settimana dopo che gli spread tra i titoli di Stato francesi e quelli tedeschi erano giunti ai massimi dal 1995. Gli operatori sui mercati i conti li sanno fare e sanno benissimo che una crisi del debito italiano ha enormi ripercussioni sul sistema finanziario europeo. E sanno anche che i paesi oggi in condizione di debolezza, dopo quelli già travolti dalla crisi, non sono solo la Spagna e l'Italia, ma anche la Francia e il Belgio. In definitiva, quasi tutta l'Europa tranne gli Stati che sono concentrati attorno allo hub tedesco». «Mentre con gli strumenti del fondo Efsf Grecia Portogallo e Irlanda si possono salvare - conclude Giacchè - questo non è assolutamente possibile per il debito italiano. Questo ormai è chiaro a tutti. Gli Eurobond potrebbero essere una soluzione (ovviamente non soltanto per l'Italia), e vanno introdotti prima che sia troppo tardi. Trovo sorprendente che ancora in questi giorni Angela Merkel dichiari che essi sono uno strumento inappropriato. Per fortuna in Germania c'è anche chi, come Frank-Walter Steinmeier, che guida il gruppo parlamentare della Spd al Bundestag, ritiene invece che essi siano necessari»

Non paghiamo il vostro debito. Lezioni dall'Islanda.

di Matteo Iannitti - martedì 23 agosto 2011 - Fonte: controlacrisi

Si sa, ultimamente, chi si mette in testa di interpretare e capire il mondo non lo fa più col calcolo scientifico della letteratura marxiana o con il rigore e il cinismo leninista. E chi decide di cambiarlo lo fa col cuore prima che con la testa. Per l'insofferenza di fronte le proprie e le altrui condizioni, per la rabbia verso chi si arricchisce e specula sulla pelle di molti altri, per una voglia di giustizia che ti fa stringere i pugni davanti ad ogni malefatta. Per quel desiderio di felicità collettiva senza la quale non riesci a tirare avanti senza sentirti in colpa.

Così quando tutto torna al calcolo economico, ai dati di borsa, a occupazione e inflazione, a rating e spread, ci si ritrova smarriti. È un altro vocabolario, spesso indecifrabile, volutamente criptico. Tutto si riassume in nuove tasse, nuovi tagli, meno diritti e la colpa è di quelle parole di cui non conoscevamo l'esistenza e di cui ignoriamo il significato. E ci fidiamo. Se è così complicato – diciamo in cuor nostro – sarà vero per forza. E quindi ci tocca pagare.

Eppure, prima di arrenderci, basterebbe che gettassimo lo sguardo su un'isola fredda e lontana, sconosciuta, dove si parla una lingua strana e dove qualche volta, erroneamente, prima di trovare la Lapponia sulla cartina, abbiamo pensato vivesse Babbo Natale. L'Islanda.

Lì lo Stato era in crisi, come in Grecia, come in Portogallo. Le banche gravemente indebitate erano state nazionalizzate ed il debito era diventato affare pubblico. Certo una situazione diversa da quella italiana per le cause che hanno portato all'indebitamento ma, allo stato attuale, parallela. C'è un debito e pagarlo, come chiedono tutte le istituzione sovranazionali, significa devastare socialmente il Paese, relegare alla povertà, alla mancanza di diritti, all'assenza di welfare tutti i cittadini. Il fine? Risanare i conti per dar fiducia ai mercati, portarli a reinvestire sui conti del Paese, insomma, far tranquillizzare – direbbe la BCE - gli speculatori, fare il loro gioco diciamo noi. Così nel medio termine tutto si normalizza e lo Stato può ricominciare ad indebitarsi, per poi ricadere nel tranello tra qualche anno.

La Grecia ed il Portogallo hanno ascoltato i geni dell'economia mondiale ed hanno incominciato a pagare. Le proteste ci sono state ma i rivoltosi hanno perso. Le conseguenze non si sono fatte attendere, quei paesi sono in ginocchio ma gli economisti applaudono contenti. In Islanda la rivoluzione ha vinto.

Nel giro di pochi mesi è stato cacciato il Governo ed è stata riscritta la Costituzione. Ma cosa ancor più rivoluzionaria, attraverso un referendum è stato deciso di non pagare quel debito. Hanno sfidato i ricatti, hanno sfidato le minacce, ma è successo. Certo oggi l'Islanda non è uno Stato ricco, è sicuramente in difficoltà ma ha riacquistato una dignità che noi tutti abbiamo svenduto negli ultimi anni. La costituzione l'hanno scritta i cittadini, le riunioni sono andate in streaming su internet, tutto è stato fatto in maniera orizzontale e partecipata. Ricorda quasi quell'ormai lontano giugno italiano durante il quale un migliaio di pazzi senza alcuna speranza hanno convinto un Paese intero a ripubblicizzare l'acqua.

Eccoci di nuovo nel nostro mondo, quello dei sogni e delle passioni, delle cose facili dai nomi romantici. Ma quale spread? Ma quale rating? In Islanda parlano di democrazia diretta, di Stato al servizio dei cittadini, parlano la nostra lingua.

E allora perché non lo facciamo anche noi? Lì, in quel Paese freddissimo, li avevano presi per pazzi, li avevano ricattati, li avevano accusati di ridurre lo Stato in ginocchio. Eppure l'hanno fatto. Forse la nostra è soltanto paura, è il terrore di cambiare. Ma oggi andiamo incontro a morte sicura, la nostra economia non ci assicurerà più il tenore di vita che avevamo, ci saranno licenziamenti, non ci saranno pensioni, per i giovani non ci saranno contratti, per le donne neanche. Per i bambini toglieranno le scuole, per i malati non ci sarà posto in ospedale. Solo i ricchi si salveranno. Ma per quanto? Se non ci sarà nessuno ad alimentare la loro ricchezza anche i ricchi faranno la fine dei poveracci. Non abbiamo da perdere che le nostre catene, avrebbe detto Marx.

Eppure ancora nessuno lo dice. È semplice, lo capirebbe qualunque bambino. Soldi non ce n'è. Il debito non possiamo pagarlo. Decidiamo di non pagarlo.

Qualcuno risponderà che questo significa cambiare tutto, rovesciare il sistema. Bene, noi siamo disposti a farlo. Cambieranno le nostre vite? Certamente, ma cambierebbero lo stesso.

È il coraggio della rivoluzione che ci manca. E così il più estremista è costretto a dire da dove bisogna prendere i soldi per pagare, piuttosto che, in maniera più facile, dire che non bisogna farlo.

Patrimoniale, soldi dalla Chiesa, riduzione degli stipendi dei parlamentari sono cose sacrosante ma perdono qualsiasi senso di giustizia sociale se sono funzionali a risanare il nostro debito e alimentare nuovamente i capitali dei banchieri, degli speculatori, degli sciacalli.

Dobbiamo trovare il coraggio di guardare a quel paese lontano dove regna la democrazia, dove la gente ha una dignità, dove le donne e gli uomini hanno rifiutato il ricatto. Dove si è rifiutata la compatibilità al Sistema. Dove di fronte al bivio tra economia e persona umana si è scelto di andare verso le persone, le famiglie, i ragazzi. Hanno scelto la rivoluzione.

Noi siamo ancora qui a chiedere la patrimoniale. Ma in realtà c'è solo bisogno di rivoluzione. Come in Islanda.

Noi il loro debito non dobbiamo pagarlo.

Matteo Iannitti

Guerra di Libia: anche Rainews 24 ha diffuso le bugie di guerra.

In queste settimane e in queste ore potremmo conteggiare tutte le bugie di guerra che sono state diffuse. Decine e decine. Sarebbe stato un onore per voi non diffonderne neppure una avvertendo il telespettatore qual era la fonte, se era indipendente o di parte e se era stata verificata da voi oppure no. E invece...

22 agosto 2011 - di Alessandro Marescotti (presidente di PeaceLink)
Fonte: peacelink

Caro Corradino Mineo, cari amici di Rainews,
oggi ho seguito con grande sorpresa e profondo sgomento il servizio di mezz'ora mandato oggi in onda su Rainews 24 dalle 13.30 alle 14. E' stato un servizio non di informazione ma di manipolazione dell'informazione. Una cosa deprimente per la professionalità per la quale invece vi ho sempre apprezzato e considerato preziosi nel disastrato panorama informativo nazionale.

Su Rainews poco fa è stato infatti
- nascosto il ruolo dei bombardamenti della Nato (presentando i ribelli che liberavano la Libia da soli e festanti, per acclamazione popolare);

- alterato il senso della rosoluzione n.1973 dell'Onu che non prevedeva l'appoggio militare della Nato agli insorti (come è stato detto);

- mai citato l'attacco della Nato alla TV libica, per la quale ha protestato l'Unesco (almeno quello lo potevate dire...);

- taciuto il massacro in corso a Tripoli (non vi interessa il conteggio dei morti adesso o la vittoria non deve avere prezzo?), mostrando solo folle festanti (senza chiedersi se in questo momento non sia proprio il caso di applicare il cessate il fuoco previsto dalla risoluzione Onu);

- presentato prevalentemente il punto di vista filo-Nato, lasciando alle immagini di Chavez (la foglia di fico per poi dire che si è stati pluralisti!) un'esigua quantità di tempo per poi ritornare a sottotitolazioni che non avevano valore informativo ma eminentemente persuasivo e che erano agganciate proprio allo scopo di "ridicolizzare" Chavez.

Ma soprattutto non è stato detto quali sono le fonti informative attendibili, le VOSTRE fonti; dato che i giornalisti a Tripoli sono asseragliati nei sotterranei degli hotel chi è che da le notizie, chi le filtra e chi le verifica?
E' fin troppo facile: la Nato.
Escluderei che i ribelli sappiano manipolare l'informazione così bene.
AFTERGADDAFI
The real danger will come from the various tribes

martedì 23 agosto 2011

Usa, Harrington svela gli inganni delle agenzie di rating.

Inaffidabili nella migliore delle ipotesi, distruttive nel peggiore dei casi. La confessione pubblica dell'ex vicepresidente di Moody’s giunge in uno dei momenti più critici nella storia di questi arbitri del mercato. Mai come oggi nell’occhio del ciclone
Fonte: ilfattoquotidiano
“Mi chiamo William J. Harrington, sono stato impiegato da Moody’s Investor Service (Moody’s) come analista nella divisione derivati dal giugno del 1999 fino alle mie dimissioni del luglio 2010. Nel 2006 sono stato nominato vice presidente senior, il titolo più elevato cui un analista puro possa aspirare”. Inizia così la “confessione” aperta dell’uomo che promette di diventare il più interessante insider d’America. La gola profonda, ma non anonima, che tutti si attendevano in un momento chiave: con la Sec impegnata a disegnare le nuove regole di disciplina delle agenzie di rating nel momento di massima collera collettiva nei confronti di queste ultime. Un astio emerso già all’alba della crisi ma ora divenuto pressoché incontrollabile su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Corrotte da un peccato originale, il conflitto di interesse, intrinseco alla loro stessa struttura, chiamate “a far felice il cliente” nonostante sia quest’ultimo a chiedere loro un giudizio “obiettivo”. Insomma, inaffidabili nella migliore delle ipotesi, distruttive nel peggiore dei casi. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, nel panorama delle critiche sul ruolo e il potere di queste agenzie. Se non fosse, particolare non da poco, che ad esprimersi in questo modo è uno che le agenzie le conosce fin troppo bene. Harrington, 11 anni di esperienza nelle file di Moody’s, è un insider di primissimo livello. Nel corso della sua carriera, l’ex vice presidente ha maturato una notevole esperienza nel campo dei prodotti strutturati. Titoli derivati conosciuti con l’espressione generica di asset backed securities, dove le Securities in questione sono i famigerati Cdo’s (Collateralized debt obligations) o simili, e gli asset da cui sono “backed”, i collaterali insomma, non sono altro che i crediti a rischio insolvenza. Ovvero i mutui subprime, gli agenti patogeni primari della più colossale crisi finanziaria del dopoguerra.

Una crisi, spiega Harrington in un report pubblico sottoposto alla Sec lo scorso 8 agosto, ma emerso solo nei giorni scorsi grazie all’attenta analisi di Business Insider, che la stessa Moody’s aveva previsto in anticipo pur affermando, in via ufficiale, l’esatto contrario. Non stupisce, dunque, che la stessa agenzia avesse preteso, come spiega il suo numero due, di essere pagata in anticipo dai suoi clienti (gli emittenti dei prodotti derivati che la stessa era chiamata a valutare) a prescindere dai risultati finanziari, ovvero dall’eventuale fallimento dei prodotti stessi e, conseguentemente, della credibilità stessa dei giudizi.

La vicenda, in realtà, appare piuttosto semplice. Le agenzie, spiega Harrington, devono dare giudizi obiettivi ma anche, ed è questo il punto, fare contenti i propri clienti. Per questo le valutazioni tendono spesso ad essere eccessivamente positive. Non mancano i dissidi, certo, peccato però che gli analisti scettici tendano ad essere bollati come “molesti” (troublesome) subendo di conseguenza vari tipi di pressione. Un esempio su tutti: quando un analista sollevava dubbi sulla bontà di un prodotto, i suoi superiori si affrettavano a comunicarlo direttamente al cliente facendo sì che quest’ultimo si mobilitasse per cercare di far cambiare idea al loro collega. Nei mesi del boom immobiliare si intensificarono le assunzioni di analisti giovani e inesperti, persone del tutto inadatte a giudicare con precisione il valore reale dei titoli ma al tempo stesso candidati ideali per un processo di auto convincimento collettivo che avrebbe permesso all’agenzia di raggiungere il suo obiettivo: la soddisfazione del cliente. Una verità scomoda che la stessa Moody’s continua a negare. Secondo Harrington, alcuni dipendenti dell’agenzia avrebbero mentito pubblicamente una volta chiamati a testimoniare di fronte alla commissione governativa che indagava sul collasso finanziario e sulle responsabilità degli analisti.

La credibilità dei giudizi sui titoli “tossici” espresso da un’altra agenzia del settore, Standard & Poor’s, è finita in questi giorni sotto inchiesta su iniziativa della Sec, la stessa commissione di controllo impegnata oggi a studiare nuove regole per disciplinare l’attività degli arbitri del mercato. Ma proprio queste nuove regole – rapporti sui controlli interni, protezione dai conflitti di interesse (il come non è specificato), pubblicazione di relazioni dettagliate sui metodi di analisi utilizzati – non sembrerebbero secondo Harrington minimamente efficaci. E’ la struttura stessa delle agenzie, in altre parole, a rendere queste ultime del tutto inaffidabili. E fintantoché saranno gli emittenti dei titoli a stipendiare i loro giudici, difficilmente questi ultimi potranno essere giudicati attendibili. Un ragionamento talmente ovvio da suggerire una riforma autenticamente radicale piuttosto che una semplice stretta sulla regolamentazione. Resta da capire, ora, se la Sec avrà davvero il coraggio e soprattutto la forza per andare a fondo in questa direzione.

Si conclude in un bagno di sangue l'ultima guerra umanitaria della Nato.

Strage a Tripoli, i giornalisti sono asserragliati nei sotterranei
Si conclude in un bagno di sangue l'ultima guerra umanitaria della Nato
La propaganda ha presentato questo epilogo come una marcia trionfale, con le truppe di Gheddafi che si arrendono e la popolazione che fa festa. Invece è di centinaia di morti il bollettino di guerra, destinato a peggiorare perché in gioco non c'è la vita umana ma il petrolio libico

di Alessandro Marescotti - Fonte: peacelink
In queste ore si sta consumando una strage a Tripoli.
Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano, ha parole amare:

"La missione della Nato e l’intervento della comunità internazionale sono stati giustificati sulla base di ragioni umanitarie e sarebbe un disastro – per la Nato e per la comunità internazionale – se i ribelli, arrivati a Tripoli, facessero quello che la Nato ha impedito di fare a Gheddafi a Bengasi".

La propaganda ha presentato questo epilogo come una marcia trionfale, con le truppe di Gheddafi che si arrendono e la popolazione che fa festa. Invece è di centinaia di morti il bollettino di guerra, destinato a peggiorare perché in gioco non c'è la vita umana ma il petrolio libico.
Gli insorti possono contare sull'appoggio della Nato. Nella foto un blindato usato dai ribelli
Questa è una guerra cominciata nell'ipocrisia e che sta terminando nel cinismo.
Doveva essere un'operazione per rompere l'assedio di Bengasi e si conclude con l'assedio di Tripoli. Il prima era cattivo, il secondo è buono.
Doveva essere una "guerra umanitaria" per salvare vite umane e si conclude con un bagno di sangue.
Doveva essere il trionfo dell'Onu e invece adesso l'Onu tace, completamente esautorato.

La risoluzione Onu doveva servire al cessate il fuoco ma le milizie antigheddafi hanno detto che bisognava combattere fino alla vittoria, e hanno messo alla porta l'inviato dell'Onu, con il consenso della Nato.

Non importa chi vincerà e quando.
Questa guerra è una sconfitta per tutti coloro che l'anno sostenuta.
Si conclude in un bagno di sangue l'ultima guerra umanitaria della Nato, una guerra per procura in cui non volevamo rimetterci i nostri uomini e abbiamo fatto morire gli altri.
I vincitori di domani sono già pesantemente sconfitti oggi da questo spaventoso epilogo di sangue.

Note:
Cover Operations" in Libia. Sono le operazioni clandestine che la CIA è autorizzata a compiere per aiutare i "ribelli". Da cinque mesi Obama aveva dato l'OK. "Anche la Nato è coinvolta nelle operazioni", ha spiegato poco fa Ahmed Jibril, portavoce degli insorti. Ormai è un'operazione "congiunta" fra insorti e Nato, ed emergono i retroscena di un'azione in aperta violazione della risoluzione Onu sulla Libia.

Note agostane.

di Claudio Grassi
In agosto sono stato 10 giorni a Londra. Una metropoli molto interessante che consiglio a tutti di visitare. Tra le tante cose che ho visto, e che mi hanno fatto pensare, ve ne è una che ritengo particolarmente importante e che si inserisce nel dibattito politico più generale. Riguarda la rete dei trasporti. Una cosa straordinaria. Non esiste località della capitale inglese, sia in centro che in estrema periferia, che non sia raggiungibile, in poco tempo, con la metro o con la rete ferroviaria. Il risultato concreto ed evidente di questa situazione è che nelle strade londinesi il traffico è infinitamente inferiore alle nostre città (assolutamente imparagonabile il caos delle strade romane con quelle londinesi). Le strade di Londra sono frequentate sostanzialmente da autobus, taxi, furgoni per trasporto merci e poco altro. Le persone che si spostano per lavoro usano, nella stragrande maggioranza, i mezzi pubblici. La riflessione che vorrei fare è la seguente: è ipotizzabile che una straordinaria opera di questo tipo (migliaia di km scavati sotto la città e altrettanti che compongono un reticolo ferroviario di superficie), potesse essere pensata e realizzata in una condizione come quella attuale dove si teorizza l’assegnazione dei servizi locali, quindi anche dei trasporti, ai privati? Quale privato avrebbe mai potuto mettere in cantiere una impresa simile il cui obiettivo non era quello di “fare soldi”, ma di pianificare un sistema di mobilità utile alla città e ai suoi cittadini, soprattutto quelli più poveri? Sulla base di questa esperienza e di altre simili, penso che noi dobbiamo rilanciare un discorso di pianificazione e di intervento pubblico. Le nostre città sono sommerse dal traffico sarebbe il caso di ragionare su un potenziamento del trasporto pubblico e non come fa anche Enrico Letta in una intervista di ieri su Repubblica, insistere sulle privatizzazioni!

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