Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 24 marzo 2012

Occupyamo Piazza Affari

Occupyamo Piazza Affari
I loro affari non devono più decidere sulle nostre vite
Contro le politiche antisociali
del governo Monti e della Bce!
Per una società fondata sui diritti civili e sociali,
sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni!
- nodebito -
Misure “lacrime e sangue” sono la ricetta del governo delle banche e della finanza che, con il sostegno del centro-destra e del centro-sinistra, è ormai in carica da oltre tre mesi. Il massacro sociale del governo Monti dilagherà se verrà applicato il trattato europeo deciso dai governi Merkel, Sarkozy e Monti. Ora vogliono cambiare la Costituzione, senza consultare i cittadini e imponendo il pareggio di bilancio. Ora vogliono imporre un trattato, il fiscal compact, che impone la schiavitù del debito per vent’anni. Per vent’anni dovremo sacrificare i diritti sociali e quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, per pagare il debito agli stessi affaristi e speculatori che l’hanno creato.

Una crisi del sistema capitalista da cui le classi dominanti non riescono ad uscire. L’individuazione di “medici” come Monti in Italia o Papademos in Grecia, che in realtà non fanno che aggravare la malattia scaricando sui lavoratori e sulle classi popolari il peso della iniqua distribuzione del reddito con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita e l’eliminazione di diritti conquistati con anni di lotte. Per questo diciamo NO alla precarietà e alla messa in discussione dell’articolo 18, alla distruzione dello stato sociale, dei diritti, della civiltà e della democrazia. Per questo diciamo NO alla distruzione dell’ambiente, alle grandi opere, alla Tav.

Negazione della democrazia e repressione sono gli strumenti con cui le classi dominanti stanno cercando di fermare e dividere il movimento popolare che va opponendosi al dilagare della precarizzazione e della disoccupazione di massa: lo abbiamo visto in questi giorni in Val di Susa, ma anche contro molte lotte operaie e di resistenza sociale.

Chiediamo ai giovani e alle donne, alle lavoratrici e ai lavoratori,

ai precari, ai pensionati e ai migranti,

ai movimenti civili sociali e ambientali, alle forze organizzate,

di organizzare insieme una risposta a tutto questo

con una grande manifestazione nazionale a Milano il prossimo 31 marzo!

Unire le lotte per un'opposizione sociale e politica di massa, capace di incidere e contare, dal territorio, alla scuola e all’università, alle lotte per il lavoro: dalla Argol di Fiumicino alla Wagon-Lits di Milano, alla Alcoa di Portovesme, alla Fincantieri, alla Esselunga, alla Sicilia, alla Fiat e alle lotte dei migranti. Vogliamo manifestare assieme a tutti i popoli europei, schiacciati dalle politiche di austerità e dal liberismo, in particolare al popolo greco, sottomesso ad una tirannide finanziaria che sta distruggendo il paese.

Vogliamo un diverso modello sociale ed economico in Italia e in Europa, fondato sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni, per riconvertire il sistema industriale con tecnologie e innovazione, per la pace e contro la guerra, per lo sviluppo della ricerca sostenendo scuola pubblica e università, per garantire il diritto a sanità, servizi sociali e reddito per tutti, lavoro dignitoso, libertà e democrazia.

Il 31 marzo tutte e tutti in piazza a Milano:

ore 14.00 manifestazione nazionale dalla Bocconi a Piazza Affari

Occupyamo Piazza Affari!
Costruiamo il nostro futuro!

Gemellaggio Israele - Iran. We love you.


- fonte -
Perché scoppi una guerra, è necessario un nemico da odiare. E' indispensabile che la macchina dei media manovrata dai governi crei il mostro. Israele deve odiare l'Iran, perché l'Iran odia Israele e la vuole distruggere. La parola alle armi. Lo dicono la TV, la stampa, i politici. Poi un padre, un israeliano scrive in Rete di amare ogni iraniano. Lui non ha intenzione di uccidere nessuno. Si può evitare una guerra con un appello dal web? Chissà. Per adesso, trentamila israeliani e iraniani si stanno scambiando messaggi e immagini di amicizia e rispetto impensabili solo settimana scorsa. Tutto è iniziato qualche giorno fa, con queste poche righe scritte da Ronny Edry di Tel Aviv.

"Ciao, sono Ronny. Ho 41 anni. Sono un padre, un progettista grafico, un insegnante, un cittadino di Israele. E ho bisogno del vostro aiuto. Ultimamente, nei telegiornali, sentiamo preannunciare una guerra. Enorme. I governi parlano di distruzione, autodifesa, come se questa guerra non avesse a che fare con noi. Tre giorni fa, ho pubblicato un poster su Facebook. Il messaggio era semplice: "Iraniani, non bombarderemo mai il vostro paese, vi amiamo". Accanto al poster ha aggiunto: "Al popolo iraniano, a ogni padre, madre, figlio, fratello e sorella. Perché ci sia un guerra tra di noi, è necessario che prima abbiamo paura l'uno dell'altro. Dobbiamo odiare. Io non ho paura di voi, non vi odio. Non vi conosco nemmeno. Nessun Iraniano mi ha mai fatto del male. Non ho nemmeno mai conosciuto un Iraniano … giusto uno a Parigi, in un museo. Un tipo simpatico. Qualche volta qui vedo un Iraniano in TV. Parla di una guerra. Sono certo che non rappresenta tutto il popolo iraniano. Se sentite qualcuno in TV parlare di un bombardamento su di voi … state certi che non sta rappresentando tutti noi. Non sono un rappresentante ufficiale del mio Paese. Ma conosco le strade della mia città, parlo ai miei vicini, i miei famigliari, i miei amici e a nome di tutte queste persone … vi vogliamo bene. Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male. Al contrario, ci piacerebbe incontrarvi, prendere un caffè assieme e parlare di sport. A tutti coloro che provano lo stesso, condividete questo messaggio e aiutatelo a raggiungere il popolo iraniano."
In ventiquattro ore hanno iniziato a condividere il poster su Facebook. Nel giro di quarantott'ore gli Iraniani hanno iniziato a rispondere ai poster e ricambiare il loro amore per noi. Centinaia di messaggi che dicevano Israeliani "vi amiamo anche noi". Il giorno dopo eravamo in TV, sui giornali, prova del fatto che il messaggio stava viaggiando. Velocissimo.
Ora vogliamo fare in modo che il messaggio giunga ovunque, non solo alla comunità di Facebook, ma a tutti. Questo è un messaggio da parte della gente, per la gente.
Quindi, per favore, non odiare e aiutaci a diffondere questo messaggio." Ronny Edry

Criminalità ed economia: intervista a De Maillard

- sbilanciamoci -
Con la crescita dei mercati finanziari i confini tra economia legale ed illegale si fanno sempre più porosi. Non servono nuove leggi: occorre regolare l'economia e la finanza

Jean De Maillard è un giudice specializzato in reati economici e finanziari, da poco nominato membro dell'Osservatorio nazionale sulla criminalità francese. Ha pubblicato diversi volumi in materia tra cui La truffa: la finanza al di sopra della legge e delle regole (Gallimard 2010) e Il Mercato fa la sua legge. Criminalità e globalizzazione (Feltrinelli 2002). De Maillard è stato recentemente invitato dalla Sezione internazionale della Fondazione Lelio e Lisli Basso a tenere una conferenza a Roma su "Finanza internazionale e criminalità organizzata". Per il magistrato francese c'è una «stretta interconnessione tra economia legale ed economia illegale» e più che una continua rincorsa da parte della giustizia per scoprire e sanzionare le attività illegali sarebbe necessario «provare a pensare un'economia che non abbia bisogno della frode».

Jean De Maillard, lei si occupa di reati penali dal 1984, qual è l'attività che svolge un magistrato nel campo dei reati economici e finanziari?

La giustizia, in generale, si occupa dei reati finanziari tradizionali: le frodi, i falsi in bilancio, i crimini di borsa. Questi rappresentano la quotidianità del lavoro di un giudice. Ma al di sotto di questa criminalità tradizionale troviamo una criminalità finanziaria, o meglio un'attività di frode finanziaria, molto più sottile, spesso molto più complicata e di cui la giustizia fatica a occuparsi o di cui non si occupa mai. Se si vanno a studiare le dinamiche che ha portato alla crisi finanziaria, a partire dalla vicenda dei mutui subprime negli Stati Uniti, ci si rende conto del fatto che la grande criminalità finanziaria sfugge praticamente a tutti i controlli.

Lei ha affermato spesso che le attività illegali del sistema finanziario, ciò che lei definisce "illegalità legittima", sono spesso tollerate dagli Stati, ancora oggi dopo lo scoppio della crisi economica. Perché?

Perché attraverso la deregolamentazione gli Stati ancora oggi lasciano che siano i mercati a fare le loro leggi. Quando parlo di "illegalità legittima" mi riferisco al privilegio che abitualmente appartiene agli Stati di poter infrangere la legge. Infatti, ciò che caratterizza lo Stato è l'avere il monopolio della forza. Lo Stato è colui che fa le leggi e nella sua azione può, in alcune circostanze molto limitate, anche infrangerle. Questo privilegio che appunto è chiamato "illegalità legittima" è stato delegato nel corso degli anni dagli Stati ai mercati finanziari. Questo era già accaduto in passato quando in alcuni Paesi il privilegio dell'illegalità legittima era stato trasferito a organizzazioni criminali come la mafia. Ma oggi questo privilegio è stato completamente abbandonato ai mercati finanziari, ciò spiega la forte criminalizzazione dell'economia e della finanza, come anche tutti i legami che si sono stabiliti tra le mafie e il sistema economico e finanziario.

Lezioni di default dalla crisi greca

di ANDREA FUMAGALLI - uninomade -
A più di una settimana dalla conclusione della ristrutturazione del debito greco, può essere utile, a mente più serena, ripercorrere e valutare le tappe che hanno portato ad un vero e proprio default controllato.

Il 9 marzo scorso si è chiuso l’operazione di scambio (swap) di titoli di Stato greci che ha coinvolto i creditori privati. Da un punto di vista tecnico, la maggior parte degli investitori istituzionali e privati, che hanno dato la propria adesione, hanno accettato di cambiare i propri titoli con nuovi titoli di minor valore: in particolare, i vecchi titoli di stato sono stati scambiati con:
•a. nuove obbligazioni con scadenze comprese fra il 2023 e il 2042 dal valore nominale complessivo pari al 31,5% dei titoli originariamente in possesso (quindi una svalorizzazione del 68,5%);
•b. un warrant (titolo finanziario particolare) emesso dalla repubblica ellenica con importo nominale pari al 31,5% (quindi una svalutazione ancora del 68,5%) e scadenza nel 2042 che darà diritto al pagamento di interessi annuali nel caso in cui la Grecia dovesse osservare il previsto percorso di crescita del Pil.
•c. nuovi titoli zero coupon emessi dall’Efsf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) con scadenze a 12 e 24 mesi aventi un valore nominale pari al 15% (perdita dell’85%).

In conclusione si è trattata di una riduzione del valore dei titoli di stato greci mediamente pari al 73% del valore nominale. Il risultato è stato un taglio netto del debito greco privato da 206 a 107 miliardi di euro, pari a più di un terzo del debito complessivo.

Tale riduzione ha prevalentemente interessato le grandi banche europee. L’adesione degli istituti di credito all’offerta di concambio è stata, comunque, massiccia. Le 450 aziende rappresentate dalla Institute for International Finance hanno accettato tale taglio su un patrimonio complessivo vicino ai 110 miliardi di euro. Come dire che dalla sera alla mattina hanno cancellato 80 miliardi dall’esposizione di Atene In realtà quasi tutti gli istituti avevano già svalutato in bilancio tra il 50 e il 70% il valore dei loro bond ellenici e di conseguenza lo swap greco ha ridotto ulteriormente il valore patrimoniale dei titoli in questione solo del 10-20%. Tra gli italiani le Generali hanno perso 328 milioni, Intesa Sanpaolo 593 e Unicredit 316 (dati: http://www.iif.com).

Se ci si limitasse a queste brevi osservazioni (come hanno fatto alcuni organi di stampa) potrebbe sembrare che l’onere della ristrutturazione del debito greco tramite il default controllato ricada quasi completamente sulle spalle dei mercati finanziari. Le cose in realtà non stanno affatto così. Vediamo perché.
YESTERDAY IT WAS THE WORLD WATER DAY
The GOD’s chosen people..
grabs even our water coming from the SKY

venerdì 23 marzo 2012

La risposta alla Troika

di Argiris Panagopoulos - controlacrisi -
Intervista a Fransisco Luça , leader del partito della sinistra radicale
Il Portogallo si è fermato contro i licenziamenti facili e l’abolizione di fatto della contrattazione collettiva, sostenendo lo sciopero generale della maggiore centrale sindacale, Cgtp, cui ha aderito anche Blocco di Sinistra (Bloco de Esquerda -Be). Ne abbiamo parlato con Fransisco Luça, leader del partito della sinistra radicale.

Quali sono i vostri punti fondamentali contro la riforma?
In questo momento la disoccupazione vera arriva al 22%. Facilitare i licenziamenti, come prevede la riforma, significa peggiorare la situazione. Vogliamo un’altra politica che aiuti la creazione di posti di lavoro, con giustizia fiscale e redistribuzione della ricchezza. Una politica che permetta di vivere e non di sopravvivere in condizioni di povertà con salari e pensioni da poveri.

La riforma abolisce di fatto la contrattazione collettiva. Sembra che la democrazia nei luoghi del lavoro fra poco sarà un ricordo…
Sì, ma non solo questo. Vogliono applicare in tutta Europa una specie di legge naturale. L’hanno fatto in Grecia e cercano di farlo come minimo in tutto il sud Europa. Cercano di annullare la contrattazione collettiva e applicare massicciamente il lavoro precario. Con ripercussioni nefaste per i salari, le pensioni, i servizi sociali.

I guru dei mercati dicono che il Portogallo non potrà uscire dalla recessione nel 2013, come prevedono il governo di Passos Coelho e la Troika. Sarà costretto a chiedere una secondo pacchetto di «salvataggio»?
Il governo insiste che non sarà necessario, ma è più probabile il contrario. È chiaro che non possiamo pagare gli interessi del 7%, 12% o 15% che impongono gli speculatori dei mercati. Il secondo pacchetto di «salvataggio» è già pronto, anche se non è stato annunciato pubblicamente. Così si alimenta un circolo vizioso: l’aumento continuo dell’austerità crea più recessione, che a sua volta diminuisce le entrate fiscali aumentando il deficit e il debito. Dobbiamo rompere questo ciclo di ricatti.

La sinistra politica portoghese come risponde alle sfide della crisi?
I militanti del Blocco già nella notte di mercoledì erano fuori dai cancelli delle fabbriche e dei posti di lavoro. Dobbiamo stare in prima linea e organizzare la risposta sociale alla crisi, sostenere la Cgtp. In Portogallo non abbiamo la contrapposizione tra le forze di sinistra che esiste in Italia o in Grecia. Blocco di Sinistra e Partito Comunista non hanno molte difficoltà a mettersi insieme in parlamento per affrontare i tagli e le politiche antisociali, a progettare alternative a favore del lavoro, contro la precarietà, l’uguaglianza tra uomo e donna, la difesa dello stato sociale.

Argentina: cambiano le regole, il Banco Centrale è patrimonio pubblico e sociale; si torna all’economia reale

Posted by cambiailmondo
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
L’Argentina ha abbattuto un altro pilastro delle politiche neoliberiste sancendo la fine dell’autonomia della Banca Centrale dalla politica. Questa settimana è prevista la conferma al Senato della Repubblica del nuovo Regolamento Organico della BCRA, approvato lo scorso mercoledì alla Camera de Deputati. La modifica dello status dell’istituzione era stato il principale annuncio politico fatto dalla presidente Cristina Kirchner nell’inaugurazione dell’anno legislativo del 2012, agli inizi del mese di marzo.

L’autonomia delle banche centrali è stata uno dei capisaldi delle politiche imposte dal FMI e dagli organismi internazionali negli anni ’90, sotto il paradigma del Consenso di Washington in America Latina. Riforme in questa direzione sono state promulgate in Cile (1989), Argentina (1992), Venezuela (1992), Messico (1994), con l’argomento che la politica monetaria – ovvero la preservazione del valore della moneta – è una funzione eminentemente tecnica che deve essere staccata dalla politica economica di un paese e lasciata in mano dei tecnici.

In Argentina la norma seguiva e completava la “legge sulla convertibilità” (1991), che aveva stabilito la parità cambiaria del peso con il dollaro e l’obbligo di mantenere delle riserve in valuta statunitense equivalenti alla massa monetaria circolante, conducendo in pratica alla dollarizazzione dell’economia.

Entrambe le leggi nascevano con la finalità di stabilizzare l’economia e mettere fine all’enorme inflazione che creava nere prospettive per la giovane democrazia riconquistata negli anni 80. Non occorre soffermarci sui risultati delle politiche di aggiustamento strutturale e deflazione promosse dal FMI, che hanno avuto come sbocco la enorme crisi finanziaria del 2001 in Argentina e episodi similari nel resto dei paesi dell’America Latina.

D’ora in poi, dunque, la missione primaria e fondamentale della Banca Centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta” ma includerà anche “lo sviluppo economico con giustizia sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Finalità analoghe hanno le banche centrali di diversi altri paesi, a cominciare degli Stati Uniti, e abbondano anche gli esempi internazionali sull’uso di riserve per investimenti produttivi.

Due pesi e due misure. Grecia, Argentina e le risposte “eterodosse” alla crisi

Posted by cambiailmondo
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
L’economia è un tema popolare di conversazione in Argentina. Negli anni peggiori della crisi io abitavo ancora in Italia: ogni volta che venivo in visita a questo mio paese avevo la sensazione di dover fare un corso accelerato sulla materia per poter partecipare alle cene tra amici. Alla fine del secolo scorso in Italia non si sentiva parlare di agenzie di rating, rischi di default o pacchetti di salvataggio; meno ancora si conosceva la faccia dei direttori e dei funzionari di alto livello del FMI che approdavano invece regolarmente in Argentina e dettavano le regole dalle prime pagine dei quotidiani locali.

Allora gli argentini erano avvezzi alle politiche antinflazionistiche, aggiustamenti strutturali, privatizzazioni, ristrutturazioni del debito e tutti i vari strumenti delle politiche neoliberali. Oggi invece, dopo il successo nel superamento della crisi, adoperando strade poco conformi ai dogmi, l’Argentina è diventata una specie di mecca per i sostenitori di politiche eterodosse.

Oggi si è aperto a Buenos Aires il “Congresso d’Economisti Eterodossi”, che è organizzato dall’Università di Quilmes e terrà sessioni durante i tre giorni di lavori, con la presenza dei principali studiosi mondiali aderenti a queste correnti del pensiero economico. Tra gli ospiti si contano prestigiosi accademici dell’Università di New School (New York): Anwar Shaikh, uno dei principali economisti eterodossi attuali; Edward Nell, un riconosciuto economista post-keynesiano; lo studioso strutturalista Lance Taylor.

L’economia politica marxista sarà rappresentata da figure del primo livello internazionale, come il prof. John Weeks dell’Università di Londra, Costas Lapavitsas della stessa università, Makoto Itoh dell’ Università di Tokio e Cyrus Bina dell’Università di Minnesota negli Stati Uniti. Ai diversi incontri parteciperà anche Marc Lavoie, economista neo Kaleckiano dell’Università di Ottawa in Canada e Sergio Cesaratto, l’unico italiano, accademico dell’Università di Siena studioso del pensiero di Sraffa e considerato un esperto internazionale sui fondi pensioni.

Intervistato dai giornali locali sulla crisi greca e internazionale, Cesaratto ha affermato che l’aiuto tedesco è come l’”abbraccio dell’orso” per i paese ellenico, visto che pone l’esigenza di una politica di disciplina e di duro aggiustamento strutturale che complicherà il recupero. Sulla stessa linea i giudizi dei suoi colleghi.

Punto di svolta

di GUIDO VIALE - ilmanifesto -
L'azzeramento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è una misura per rendere flessibile il mercato del lavoro, ma per rendere rigidi (fino al parossismo) il regime di fabbrica e la stretta sui ritmi di lavoro. Certamente nei prossimi mesi e anni ci saranno, uno a uno, o, meglio, quattro a quattro ogni quattro mesi, decine di migliaia di licenziamenti individuali per "motivi economici". Sappiamo già chi verrà colpito, perché da qualche mese i capi girano nei reparti e minacciano i delegati non allineati e gli operai che resistono all'intensificazione del lavoro, annunciando loro che, «appena passa l'abolizione dell'art. 18, sei fuori!». Così, se alla manifestazione della Fiom del 24 febbraio, su 50 mila partecipanti, almeno 40 mila erano lavoratori e lavoratrici della Fiom, possiamo essere sicuri, con uno scarso margine di errore, che, al ritmo di 12 all'anno per azienda, quei lavoratori verranno espulsi dal loro posto di lavoro ottenendo con il tempo quello che Marchionne ha realizzato in un colpo solo, cambiando nome allo stabilimento di Pomigliano e tenendovi fuori tutti i tesserati Fiom. E lo stesso avverrà con altre migliaia di lavoratori, già ben identificati, nella maggior parte delle aziende di altri settori. Se Barozzino, Pignatelli e La Morte, i tre operai della Sata di Melfi licenziati dalla Fiat per rappresaglia contro uno sciopero, ci hanno messo più di un anno per dimostrare le loro ragioni di fronte ai giudici e, nonostante l'ordine di reintegro, non viene loro concesso di rientrare in fabbrica, possiamo immaginare che cosa succederà con le decine di migliaia di lavoratori già in lista per essere licenziati individualmente "per motivi economici".
I quali, per dimostrare di essere stati oggetto di una discriminazione, e non di una esigenza "economica", dovranno andare a cercare tra i loro compagni di lavoro qualcuno disposto a testimoniare in loro favore, sotto la minaccia di entrare così anche lui, nel giro dei successivi quattro mesi, nella lista degli esuberi per motivi "economici".
Così diverse decine di migliaia di lavoratori andranno ad aggiungersi, grazie all'azzeramento dell'articolo 18, all'esercito dei disoccupati senza reddito che i tagli di bilancio, la riforma degli ammortizzatori sociali a costo zero e le crisi aziendali stanno moltiplicando nel nostro paese. Con in più il fatto che, se è quasi impossibile per un giovane trovare oggi un posto di lavoro, per i lavoratori e le lavoratrici di una certa età sarà ancora più difficile, e per quelli usciti dal loro impiego con un licenziamento individuale - cioè con le stimmate di una espulsione discriminatoria - il licenziamento equivarrà all'iscrizione in una lista di proscrizione.
ABOUT THE ART.18
"We should have the reform of the satire"

giovedì 22 marzo 2012

Se anche i tecnici non conoscono la propria materia

Posted by keynesblog on 22 marzo 2012 in Italia, Lavoro
Ieri il ministro del Lavoro Elsa Fornero aveva spiegato che la riforma avanzata dal governo sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n.300 del 1970) avrebbe esteso l’istituto del reintegro nel posto di lavoro per i licenziamenti discriminatori anche ai lavoratori delle aziende sotto i 16 dipendenti. Aveva inoltre affermato che la riforma avrebbe imposto la stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato dopo 36 mesi. Entrambe le affermazioni si sono però rivelate false. Il motivo è che tali tutele sono già previste dalle leggi vigenti.

In particolare la “reintegra” nel caso di licenziamenti discriminatori, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, è già prevista da 22 anni e precisamente dall’art.3 della legge 108 del 1990 “Disciplina dei licenziamenti individuali” che così recita:

Articolo 3 – Licenziamento discriminatorio
1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie [...] è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge. Tali disposizioni si applicano anche ai dirigenti. (fonte)

Riguardo il secondo punto, il limite di 36 mesi per i contratti a termine è stabilito, ormai da 11 anni, dall’articolo 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368 del 2001:

4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. (fonte)

Lo fanno notare in un comunicato stampa 53 giuslavoristi tra cui Umberto Romagnoli, Luigi Mariucci, Piergiovanni Alleva, Giovanni Orlandini e Sergio Matone.

Nel video in alto Umberto Romagnoli spiega i particolari della riforma, evidenziando tra l’altro come la complicazione delle norme potrebbe peggiorare il contenzioso, fallendo l’obiettivo di dare certezza alle imprese e ai lavoratori.

Le balle del governo sull’articolo 18

di Paolo Ferrero - ilfattoquotidiano -
Attorno alla vicenda dell’articolo 18 raccontano un mucchio di balle. La principale è che la tutela dei licenziamenti discriminatori sarebbe stata estesa a tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche quelli che lavorano in aziende con meno di 15 dipendenti. Dipinta in questo modo sembrerebbe che l’articolo 18 sia stato addirittura migliorato. Vediamo perché è una balla:

Il governo ha deciso di togliere l’applicazione dell’articolo 18 per quanto riguarda i licenziamenti individuali motivati da ragioni economiche o tecnico organizzative. Che cosa succederà se questa norma andrà in vigore? Il datore di lavoro che vuole licenziare Paolo Ferrero che fa? Semplicemente licenzia il sottoscritto motivandolo con ragioni organizzative, ad esempio che il mio lavoro non c’è più, oppure che la mia professionalità non serve più all’azienda. Dopodiché, io faccio ricorso contro il licenziamento perché la motivazione è falsa in quanto l’azienda ha semplicemente messo un altro lavoratore a fare il lavoro che prima svolgevo io. Il tribunale verifica che ho ragione io e dichiara nullo il licenziamento ma a quel punto non può più ordinare la mia reintegrazione sul posto di lavoro ma solo condannare l’azienda a pagarmi una indennità. In quel modo io non ho più il posto di lavoro e l’azienda mi ha fatto fuori pagando una “multa” di alcune decine di migliaia di euro. Questo perché la motivazione adottata dall’azienda nel licenziarmi non sarebbe più “coperta” dall’articolo 18 che è proprio la norma che permette al magistrato di ordinare la reintegrazione sul posto di lavoro.

L’articolo 18 infatti, al contrario di quel che viene detto, non è una norma contro le discriminazioni ma una norma che prevede la reintegrazione sul posto di lavoro del lavoratore licenziato ingiustamente. Se si toglie la copertura dell’articolo 18, non è più possibile per la magistratura riportare al lavoro chi viene ingiustamente licenziato.

In queste condizioni è evidente che qualsiasi datore di lavoro voglia licenziare un dipendente perché comunista, omosessuale o perché fa rispettare la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o si rifiuta di svolgere mansioni non previste dal contratto o perché si lamenta che il padrone non gli paga tutto lo stipendio, non dovrà far altro che licenziare questa persona per ragioni economiche o tecnico organizzative e il gioco è fatto. Quella persona non rientrerà mai più nel suo posto di lavoro.

Qualcuno potrebbe dire: ma a quel punto si fa una causa per dimostrare che il padrone ti ha licenziato non per ragioni economiche ma per ragioni politiche. Sembra facile, ma è pressoché impossibile provare questo fatto, sarebbe una specie di processo alle intenzioni, alle opinioni del datore di lavoro.

La manomissione dell’articolo 18 operata dal governo coincide quindi alla totale libertà di licenziamento da parte dei datori di lavoro in ogni azienda, grande o piccola che sia. Invece di ridurre la precarietà il governo ha reso precari di colpo tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici.
In pratica il governo ha tolto ai lavoratori la possibilità di essere cittadini nell’ambito del rapporto di lavoro riducendoli a una merce, che ha un certo costo -la multa- ma nessun diritto. Un’altra buona ragione per mandare a casa il più in fretta possibile questo governo dei poteri forti.

La base del Pd si scalda su Facebook e la pagina del segretario viene presa d'assalto

- l'unita' -
Mai sopito in questi mesi, il malumore di quei sostenitori del Partito democratico che non hanno digerito il sostegno al governo Monti oggi è esploso di fronte all'annunciata riforma del mercato del lavoro. Sulle pagine del segretario Pier Luigi Bersani e, con accenti meno forti, su quella del responsabile economico del partito Stefano Fassina sono comparse oggi decine di messaggi durissimi verso il pacchetto Monti-Fornero ma soprattutto verso il Pd.

«Grazie compagno bersy per quello che fai per noi... ti ripagheremo con gli interessi alle urne», scrive Gianni. «Vergognatevi, siete gli artefici di questa macelleria sociale. Non dite più che lo fate per i nostri figli, non siete degni di dire questa parola avete massacrato anche i padri», dice Pierluigi. «Vergogna», scandisce Diego. «Traditori», rincara Luca. «Non vi voterò mai più», assicura Giovanni. E la pensa così anche Gianni: «Io ho sempre votato Pd ma questa volta se l'articolo 18 verrà modificato no». Duro anche Fabrizio: «Il mio voto lo hai perso...parole soltanto parole la casta unita contro noi lavoratori...vergogna...».

C'è chi se la prende anche con il vicesegretario. «Il fascista Enrico Letta ha già dato il consenso preventivo alla nuova porcata di Monti sponsorizzata da Napolitano», commenta Walter. Non tutti i messaggi si limitano al livore. C'è chi chiede correzioni in parlamento. «Con questa riforma che ha anche aspetti positivi, non vedo nulla che possa incentivare le aziende ad assumere con contratto a tempo indeterminato», spiega Mirco. «Questo governo è più serio del precedente, ma sembra accanirsi contro i lavoratori e i pensionati. Conto sull'azione del PD in parlamento per non svuotare l'art. 18», sottolinea Elvio. Ma da chi ancora crede nel Pd arriva un appello: Bersani tolga la fiducia a Monti. «Perchè non mandate a casa questo governo non eletto di vecchi arroganti? Andiamo a votare, vediamo cosa vogliono davvero i cittadini, o è questo che fa paura?, chiede Isabella. »La misura è colma, ma che ci stiamo a fare ancora in questa coalizione? Basta fuori dobbiamo tornare a navigare in mare aperto«, esorta Lorenzo. »Bersani ...se ci sei batti un colpo! E «stacca la spina».!«, scrive Bruno.

Tra gli elettori del Pd ci sono pochi dubbi: il governo Monti è la continuazione di quello Berlusconi. Una sorta di «Montusconi» autore di una riforma del lavoro che «nemmeno Sacconi e Brunetta...».

L'articolo 18 apre un solco tra gli umori del popolo democratico e il gabinetto Monti. Sui social network, l'appello al segretario Bersani è unanime: «Mandatelo a casa». «Basta far pagare sempre gli stessi», è il refrain a qui dà voce tra gli altri Fabio Viti.

I più allarmati, ovviamente, sono i lavoratori. In decine e decine di commenti, sul profilo Facebook di Bersani e del partito, vengono citati casi di crisi aziendali con il rischio di licenziamenti a breve. La riforma del governo sarebbe la stampella ideale. E i lavoratori, nonostante la posizione critica di Bersani, intestano le nuove norme al Pd stesso. Fabrizio Spinetti accusa i Democratici «di farsi mettere sotto da Alfano e Sacconi. Tirate fuori le p...», è il suo invito. E Andrea Del Bagno avverte che se passa la modifica dell'art.18 «con il vostro appoggio, non voteremo più Pd».

Tanti, tantissimi chiedono di togliere il sostegno a Monti. Luca Alfieri invita Bersani «se veramente vuole riconquistare la fiducia dei suoi elettori a staccare la spina al governo Monti!». «Via da questo governo», taglia netto Walter Giordana. I lavoratori si vedono alla mercè degli imprenditori. Stefano Zovasio contesta le politiche sul lavoro di impronta liberista.

«Per oltre un ventennio ci avete fatto credere che per rilanciare l'economia bisognava essere sottopagati. Risultato: siamo i meno pagati d'Europa e nonostante tutto siamo quelli che crescono di meno... Adesso cosa ci volete far credere? Che per crescere dobbiamo accettare i facili licenziamenti? Dopo cosa ci chiederete? Il C...? Ma fatemi il piacere!».

Molti gli inviti diretti a Pier Luigi Bersani. Come quello di Giorgia Faetti che lo accusa di aver «tergiversato per tutta la durata di questo teatrino sulla modifica dell'articolo 18». L'unica cosa che abbiamo capito, osserva, «è che noi lavoratori e le nostre famiglie siamo caduti in un baratro profondo e siamo diventati precari. La base è contro questo appoggio incondizionato al governo e siamo pronti a darvi battaglia nei luoghi di lavoro. O fate fare delle modifiche. O votate contro. Non ci sono alternative».

Cancellare la concussione?

- ilfattoquotidiano -
Massimo Fini denuncia: il reato per cui è imputato Silvio Berlusconi davanti al tribunale di Milano potrebbe essere scorporato in due fattispecie: estorsione e corruzione. Se il presidente del Consiglio non interverrà per fermare questa nuova legge ad-personam, non perderà l'appoggio del Pdl, ma verrà meno la fiducia degli italiani

Il governo Monti ci ha chiesto pesanti sacrifici, resisi necessari dopo trent’anni di dissennata politica clientelare e di corruzione sistematica (la sola prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico) e, da ultimo, dalla drammatica inerzia di Silvio Berlusconi che, mentre l’UE chiedeva all’Italia interventi urgenti, si limitava a inviare a Strasburgo una ‘lettera di intenti’. Come l’Italia non si è liberata da sé dal fascismo, così non si è liberata da sé dal pericoloso pagliaccio. È dovuta intervenire la Merkel per farci capire che se continuavamo su quella strada facevamo la fine della Grecia. Berlusconi è stato cacciato, al suo posto è subentrato Monti. E gli italiani, pur se tartassati da tutte le parti, gli hanno dato fiducia, anche per il rigore morale, distrutto durante il quasi ventennio di berlusconismo.

Ora però Monti, per non perdere l’appoggio del Pdl e del Pd, si appresterebbe a varare una legge che cancella il reato di concussione di cui, assieme a quello di prostituzione minorile, Silvio Berlusconi è imputato davanti al Tribunale di Milano. Insomma la classica legge ‘ad personam’. Il Codice penale dà una definizione limpida della concussione all’art. 317: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. Berlusconi ci è cascato in pieno. La sola telefonata alla Questura è già, in sé, una indebita induzione, e poco importa che sotto interrogatorio ci fosse la ragazza Ruby, poteva trattarsi di qualsiasi altro. È proprio per l’evidenza del reato che la Procura di Milano ha potuto chiedere il processo per direttissima nel quale Berlusconi non avrebbe avuto scampo (per la prostituzione minorile la questione è più complessa, ma si tratta di una fattispecie meno grave) né avrebbe potuto puntare alla prescrizione perché i fatti sono recentissimi. La concussione, a differenza, poniamo, del “concorso esterno in associazione mafiosa”, non è un reato di nuovo conio, è un reato-base che esiste da quando esiste lo Stato moderno. Modificarla sarebbe come voler modificare il furto o l’omicidio.

E invece cosa si appresta a fare il governo Monti? A scorporare la concussione in due reati: l’estorsione, che esiste già e non riguarda precipuamente il pubblico ufficiale, e la corruzione che pure c’è già e riguarda il corrotto e non il corruttore. Si ingenera così una gran confusione alle cui larghissime maglie non sarà difficile sfuggire. L’interesse del Pdl a un pateracchio del genere è evidente.
THE SCREEN POET
Tonino Guerra, script writer, 1920-2012

mercoledì 21 marzo 2012

PIERFRANCO PELLIZZETTI – Le zanne di madamin Fornero e lo scalpo dell’articolo 18

- micromega -
Dopo la “maestrina dagli artigli rossi” Maria Stella Gelmini, ecco la “madamin zannuta” Elsa Fornero. Il passaggio dalla stagione dei berluscones pasticcioni a quella dei sobri tecnici si riduce a un cambio di presentabilità sociale e niente più.

Per entrambe le signore, con contorno di stupefatta piagnucolosità. La prima quando le hanno spiegato che i neutrini in viaggio dal Gran Sasso a Ginevra non erano muniti di pneumatici; l’altra scoprendo inopinatamente che le sue escogitazioni costringevano i più deboli – ma guarda tè – a “fare sacrifici” (parola che alla ministra del Welfare induce lacrimazione, come saliva canina la campanella di Pavlov).

Artigli e zanne accomunate dalla straordinaria capacità di produrre danni: Gelmini devastando il sistema pubblico dell’istruzione, Fornero facendo strame dei diritti del/nel lavoro. Perché manomettere l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori va ben oltre il contenuto specifico di tale decisione, pur estremamente criticabile: aumento certo della licenziabilità, a fronte di una molto ipotetica ripresa dell’occupabilità.

Assume elevatissime valenze simboliche: sancendo la fine delle tutele in materia economica (legittimazione del licenziamento per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”) accredita il principio in base al quale tutte le colpe managerial/imprenditoriali vanno caricate sempre e comunque sulle spalle dei lavoratori. Padroni e dirigenti incapaci? Paghino i dipendenti, mandati a spasso per raddrizzare i conti aziendali!

Cosa ci sia in tutto questo di valorizzazione del fattore umano è assai difficile da comprendere. Semmai si comprende benissimo da che parte rema il provvedimento: a favore di chi sta socialmente in alto, a danno di chi si trova in basso.

Se non è una scelta di classe…

La scelta di mandare un segnale a chi di dovere, partendo da un punto sensibile della resistenza operaia, che pure fungeva ormai da semplice gagliardetto (visto che in questi anni si è licenziato alla grande, l’inoccupazione è cresciuta simmetricamente, le imprese hanno vivacchiato al ribasso comprimendo il costo del lavoro senza innovare. Visto che le stesse organizzazioni datoriali riconoscono sottovoce che il mediaticamente contestatissimo articolo 18 è un falso problema).

Come è stato detto, si voleva una scalpo e uno scalpo si è avuto.

Certo, la bordata conservatrice è stata avvolta nel cellofan opacizzante di un buonismo di facciata; per fare contenti i Pietro Ichino, gli Enrico Letta. Ora anche nelle fabbrichette con meno di quindici dipendenti il padroncino leghista o berlusconiano non potrà prendersela col dipendente che la pensa diversamente. Che ne so, magari esprime il proprio apprezzamento per quel sovversivo di Pierluigi Bersani o si immedesima nelle narrazioni destabilizzanti del moralizzatore della sanità in Puglia Nichi Vendola. Però, se quel padroncino si rivelerà un inveterato assenteista non potrà essere “discriminato”, richiamato alle sue responsabilità.

Contrabbandare tutto questo come “una scelta per lo sviluppo e il nuovo lavoro” assume aspetti insopportabilmente derisori. Spia lampeggiante della restaurazione conservatrice in atto. Per cui: “ciao lavoro”, con tutto quanto ciò comporta in materia di giustizia e libertà. Per dirla come una madamin torinese: “cerea”.
Pierfranco Pellizzetti

(21 marzo 2012)

Dittatura diretta

Nella canzone "O bella ciao" la prima strofa recita " Una mattina mi son svegliato/ o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!/ Una mattina mi son svegliato/ e ho trovato l'invasor". In questa canzone, bellissima e disperata, c'era la consapevolezza di aver perso la libertà e di volerla riconquistare a qualunque costo. Quella consapevolezza che manca ora e che ci sta trascinando verso una dittatura di fatto. Siamo stati governati da un Parlamento di nominati dal 2006, prima di essere oggi governati dal Nominato Unico, Rigor Montis, primo caso nella storia delle democrazie di un tizio divenuto senatore a vita e candidato premier in una notte. Di fronte alla scelta "Mercato o democrazia?" abbiamo optato per il Mercato. L'emergenza pretende scelte forti e condivise per il bene della nazione insieme a cittadini disinformati. E noi, che, seppur con qualche aiuto esterno, ci siamo liberati del fascismo, abbiamo abdicato alla nostra libertà per paura dello spread.
Barattare la democrazia per lo spread è qualcosa in cui si perde la ragione umana. Eppure ci siamo riusciti e ne siamo pure fieri. E' l'Italia dei nuovi cortigiani delle corti di Parigi e di Berlino, del Vaticano e del Quirinale. "Il cortigiano ha la testa di vetro, i capelli d'oro, le mani di pece greca, il corpo di gesso, il cuore per metà di ferro e per metà di fango, i piedi di paglia, il sangue una miscela di acqua e di argento vivo".
Siamo un popolo che tiene famiglia, ma anche Btp. "Come si fa a non diventare dittatori in un paese di servi?" disse Benito Mussolini. Rigor Montis è diventato dittatore suo malgrado, è un dittatore inconsapevole. Un tecnico venuto dallo spazio profondo della Goldman Sachs che opera scelte politiche epocali come la revisione dell'articolo 18 aprendo di fatto la possibilità di licenziare nel settore pubblico e per le grandi imprese. E tutto va bene madama la marchesa. Ci stiamo vendendo l'anima del nostro Stato (che altro è infatti la democrazia?) per non fallire. Così almeno ci raccontano mentre falliamo. Hanno creato la Grande Emergenza per attuare la Dittattura Diretta senza referendum, leggi popolari e rappresentanti scelti dai cittadini. Gli spazi di democrazia sono azzerati. Senza un nuovo Risorgimento ci aspetta un Nuovo Fascismo (o forse c'è già?). Loro non si arrenderanno mai. Noi neppure.

L’ultimatum di Amnesty International alla Russia

da megchip.info
L’agenzia, indirizzata dal Dipartimento di Stato USA, chiede alla Russia di permettere a Stati Uniti e NATO di iniziare la rovina e il saccheggio della Siria.
di Tony Cartalucci - «Land Destroyer Report».Sabato 17 Marzo

Mentre la Libia si sminuzza in lotte intestine fra fazioni, con squadroni della morte razzisti e genocidi
che scorrazzano in tutta la nazione per ripulirla dagli "indesiderabili", con intere regioni del paese che si distaccano come emirati del terrore semi-autonomi
e con un presidente di un Istituto del Petrolio finanziato da BP, Shell e Total insediato come "primo ministro"

, si può chiaramente vedere che le decine di migliaia di morti causate dalla campagna della NATO sancita dall’ONU e guidata dagli USA contro la nazione nordafricana rappresentano un fallimento assoluto. Questo sarebbe, se salvare vite innocenti fosse stato davvero il suo obiettivo.

Tuttavia, se l'obiettivo era quello di fratturare la nazione in micro-Stati inefficaci e in lotta fra loro
, intanto che si insediava a Tripoli un governo per procura inteso a dare il via libera ai contratti con le società occidentali
per saccheggiare la ricchezza nazionale del Paese, allora è stato un successo clamoroso.

Tuttavia, il mondo è stato certamente ingannato dalle Nazioni Unite, dal Tribunale penale internazionale, dal governo degli Stati Uniti, dai governi britannico e francese, e, naturalmente, dalla NATO nell’eseguire la loro missione basata sulla "responsabilità di proteggere".

Consentire una replica dell’enorme misfatto che ha devastato irrimediabilmente la Libia sarebbe ingiustificabile. Eppure questo è esattamente ciò che Amnesty International sta pretendendo dalla Federazione Russa.

Con l’appello intitolato “La Russia deve collaborare nel fermare lo spargimento di sangue in Siria
”, Amnesty cerca perversamente di girare intorno alle violenze e i disordini chiaramente fomentati dall'Occidente all'interno della Siria presentandoli come se fossero in qualche modo risultanti dal rifiuto della Russia a capitolare di fronte a un altro intervento NATO. Un intervento, va aggiunto, di sicuro destinato a creare violenza diffusa, divisioni etniche e spargimento di sangue in tutta la Siria, così come il saccheggio da parte delle multinazionali occidentali, desiderose di riempire il vuoto lasciato una volta che l’establishment nazionalista siriano sia violentemente asportato come è stato per la Libia.

La disintegrazione europea e la Grande Recessione

Riccardo Bellofiore - sinistrainrete -
Il magico mondo di Mario Monti
Certo, pare di vivere in uno strano meraviglioso mondo, con il ‘tecnico’ Mario Monti al governo del Paese. Il secondo ‘Super-Mario’ dopo l’originale: Mario Draghi ora al comando della Banca Centrale Europea. Intanto la nave europea affonda - talora sembra velocemente con un botto, talora più lentamente con un sospiro: qualcosa a metà tra la tragedia del Titanic e la farsa (tragica essa stessa) della Concordia. Da noi, l’entusiasmo lambisce lidi inattesi, da chi invita con il cuore in mano a ‘baciare il rospo’, a chi puntigliosamente elenca ‘pilastri della saggezza’. Tanto senno da dignitosa conversazione al bar, nutrito di stoica, o etica, cognizione della grave ‘necessità’ del momento, in una pretesa assenza di alternative.

Monti: che, se non fracassone come Sarkozy, pure proclama una certa simpatia per la tassa Tobin, e se solo potesse proporrebbe una vera patrimoniale. Quel Monti che, a veder bene, è guardato con una neanche tanto nascosta simpatia dalla multiforme galassia post-operaista. Fosse mai che la riforma del mercato del lavoro facesse uscire dalla bottiglia il genio del ‘reddito di esistenza’, ora nelle proclamazioni anche della Fiom? In volgare, non si tratta d’altro che di un qualche sostegno al lavoro precario, sempre più universalizzato. Un Monti che, udite udite, infila pure qualche considerazione sensata, che alcune/i di noi andavamo in realtà dicendo da un bel po’ di tempo (anche su queste pagine). Tipo: che le agenzie di rating mica hanno tutti i torti; che il problema è la crescita (anche se io preferirei dire, lo sviluppo); che la mera austerità non ci farà uscire dalla crisi - ma il suo ‘posto fisso’ non è quello di professore, non stupido, di economia?

Dunque, di che stupirsi? Quel Monti che non soltanto fa apparire - con il suo aplomb anglosassone e la sobrietà che gli calza come una seconda pelle - Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, diciamocelo, un po’ volgarotti, riempiendoci così di italico orgoglio. Quel Monti che superficialmente dà l’impressione di avere doti inaspettate di politico, in grado di inserirsi come abile terzo nell’asse frastagliato tra Berlino e Parigi, proclamando ad alta voce alcune verità, e sparigliando i giochi.

Così, la sinistra oscilla tra una più o meno nascosta ammirazione e il ricorso all’argomento finale: che i tedeschi non ne azzeccano mai una.

Con tutta la sua bravura di tecnico sperimentato e di politico amatoriale Monti in fondo è ancora troppo interno al male dei mali, l’ossessione teutonica per il pareggio del bilancio pubblico, l’anti-inflazionismo della banca centrale, l’austerità nella crisi. Un novello Brüning: il cancelliere tedesco la cui austerità fece da preludio al nazismo. Molte cose tornano. Non tutte.

Ecco il contributo delle imprese italiane a "Cresci Italia", la fuga in Svizzera

da wall street italia - controlacrisi -
Il Ticino viene sempre piu' vista come un'oasi attraente per le nostre imprese. Ed e' cosi' che per sfuggire al fisco italiano, quasi 300 piccole e medie imprese si sono gia' rifugiate oltre frontiera.
Sono molti i gruppi della moda, come Armani, Gucci e Zegna - e piu' di recente Tom Ford - che hanno trasferito l'attivita' logistica o la produzione in Ticino, il cantone italiano svizzero.

Altre multinationale si sono installate oltralpe, tra cui Elti, ­Bocchiotti e Zambon. In totale si tratta piu' che altro di PMI, che avrebbero gia' effettuato il trasferimento, secondo il quotidiano La Stampa. Oltre al settore della moda, coinvolti nel processo di delocalizzazione anche quello farmaceutico e dell'elettronica.

Si tratta di una vera e propria esplosione della domanda, nell'ambito di un fenomeno ormai in recrudescenza da qualche mese: la fuga delle aziende italiane e in particolare lombarde, deluse dal loro paese e impaurite dalla prospettiva di una bancarotta che incombe.

"Notiamo un interesse in crescita, enorme", constata Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio ticinese. "Riceviamo fino a dodici domande di informazione per settimana. Anche i fiduciari e le banche sono sollecitati in ugual misura".

Stefano Rizzi, direttore della ­Divisione dell’economia del Ticino, interpellato dal quotidiano elvetico Le Temps, parla di una "esplosione delle richieste": basti pensare che nella sola seconda meta' del 2011, una sessantina di incontri informativi hanno avuto luogo tra imprese italiane e l'ufficio dello sviluppo economico del cantone.

Resta difficile accedere alle cifre sul numero di trasferimenti effettivi, tuttavia, perche' la maggior parte delle societa' on passa ne' dal cantone ne' dalla Camera di commercio, ma direttamente dai fiduciari.

Il cantone seleziona le societa' da sostenere, privilegiando le "installazioni di una certa importanza che generano lavoro per i residenti e comportano degli investimenti innovativi", spiega Stefano Rizzi. Dal 1997 il progetto di promozione economica del cantone, "Copernico", e' riuscito ad attirare un centinaio di imprese italiane, per un numero complessivo di 230 aziende internazioniali.

Tra i primi arrivati, Caffitaly System AG e Pramac. Le nuove societa' possono beneficiare di un esonero fiscale dal 50 al 100% nell'arco dei primi cinque anni. Possono giovare anche di 10 anni di vantaggi fiscali, a seconda del numero di posti di lavoro creati per il territorio. I contributi diretti sono invece piu' rari.

Lidia Menapace: Beni comuni

di Lida Menapace - resistenzainternazionale -
Vorrei questa volta indicare il perchè del mio scrivere e del mio modo di scrivere: cerco di affrontare argomenti di teoria politica con un linguaggio preciso, non ad effetto e/o retorico, comprensibile da chiunque abbia assolto l'obbligo scolastico. Cerco di evitare linguaggi tecnici o specialistici o esibizioni di erudizione, sopratttutto cerco di evitare l'inglese, che è il nuovo "latinorum", e ha lo stesso effetto, o almeno la stessa intenzione intimidatoria che aveva il latinorum di manzoniana memoria. Non credo infatti che si possa annunciare l'alfabetizzazione totale come diritto alternativo e parte dell'alternativa al capitalismo, se il linguaggio con cui si comunica non diventa un veicolo al quale tutti e tutte possono avere accesso e fruirne.

Per questo inoltre scrivo "teoria d'occasione", prendendo spunto da un fatto un detto un gesto un evento capitato e noto, e da lì parto per fare il giro dell'orizzonte. Se ciò dà luogo a forme di teoria non organiche, non costruite per gerarchia di argomenti o nobiltà di tematiche, va bene: tutto nella realtà, specialmente il nuovo, si presenta confuso: rendere intelleggibile, comprensibile e utile l'ammasso, il mucchio, il gomitolo disordinato degli eventi è ciò che si deve fare. Sicchè anche per il metodo ,va bene.

Parlerò di "beni comuni" e poi -separatamente- di Engels.

Incomincio da "beni comuni" che adesso sono di gran moda e imperversano. Il fatto che siano di moda, non li raccomanda, il fatto che imperversino non li arricchisce di valore conoscitivo. Molte sono le locuzioni molto diffuse e di moda che non hanno modificato la comprensione del mondo: ad esempio: Fantastico! o Allucinante! e simili.

Prima di tutto Bene comune al singolare è locuzione molto antica aristotelico-tomista, e indica il fine della politica: fare politica significa dedicarsi al bene comune, che non è la somma dei singoli beni individuali (questo é importante), ma qualcosa che si ottiene mettendo a confronto i beni individuali e li si combina per ottenere il massimo bene diffuso o comune: può darsi che qualcuno ci perda qualcosa, ma il risultato è di giustizia. Su questo ragionamento è fondata la legittimazione del fisco, che infatti può e deve andare anche contro un bene individuale di dimensioni eccessive e correggere la distribuzione della ricchezza.

Nel Medioevo invece l' espressione al plurale indica ciò che un Comune (fa parte della civiltà comunale europea là dove è esistita) mette a disposizione dei suoi abitanti: i beni comuni o vicinìe sono beni di proprietà comunale e di uso pubblico per le popolazioni di quel territorio. Riguardano soprattutto i boschi (legnatico), i campi (spigolatura), anche i fiumi (pesca) ecc. Gli abitanti di un territorio hanno accesso alle proprietà comunali per certi prodotti e utilità. Queste tradizioni si sono spesso conservate: ad esempio in Trentino la Magnifica comunità di Fiemme e Fassa è fatta di comuni che non hanno bisogno di mettere tributi comunali, perchè ricavano abbastanza dalla silvicoltura, dalla vendita e lavorazione del legname (un tempo gli alti pini per gli alberi delle navi della Serenissima). Un interessante esempio di proprietà collettiva.
FORNERO
"crying and screwing"

martedì 20 marzo 2012

Ce li mangeremo vivi. Θα τους φάμε ζωντανούς.

- beppegrillo -
"Ce li mangeremo vivi. Venga questa crisi, bussi, le sarà aperto, non aspettiamo altro. Se necessario butteremo giù il portone. E' già successo nel '43 e succederà ancora e in meglio. Non abbiamo più nulla da perdere, ma ci siamo abituati. Noi. Loro con la puzza sotto il naso non sanno cos'è la vera crisi. Loro devono averne paura. Noi che non abbiamo studiato alla Bocconi, non siamo entrati nello studio di papà o di mammà, non abbiamo leccato il culo per fare carriera in un partito o in ufficio statale. Nessuno ci ha raccomandati e raccomandazioni non ne abbiamo mai volute. Siamo ancora qui e incazzati il giusto per farvi il culo. Altro che chiedervi la carità o discutere con quel rottame della Fornero dei diritti dei lavoratori. Noi ce li mangeremo vivi. Ci scaldavamo con le palle di carta bagnate, pressate e messe nella stufa. Mangiavamo croste di formaggio scaldate sul ferro. Non ne ho mai più mangiate di così buone. Il bagno lo facevamo nella tinozza con l'acqua che veniva scaldata sopra la cucina economica. Il cinema era sempre in terza visione e solo una volta al mese. I nostri padri facevano i turni in fabbrica, quando noi dormivamo, loro lavoravano. Una carezza e un "Fai il bravo con la mamma" era l'unico fugace contatto al mattino. La domenica andavamo fuori città in bicicletta con qualche panino, una gazzosa e una bottiglia di vino rosso. D'estate ci scappava anche un'anguria. Che cazzo ci possono fare questi fighetti vestiti Armani, questi corrotti dentro, questi deputatini, questi mafiosetti, marci, marci, buoni solo a parlare, a cianciare, che hanno rovinato il Paese e ora ridono di noi. Noi non abbiamo nulla da perdere perché siamo stati abituati a vivere con poco e anche con nulla. Voi perderete tutto tranne la dignità, quella non l'avete mai avuta. Leggevamo il giornale solo la domenica quando lo comprava nostro padre. Non poteva permetterselo gli altri giorni. Era il Corriere della Sera di Pasolini, Montanelli, Buzzati. Uno solo di loro vale più di tutti i giornalai di adesso. Ci siamo rotti i coglioni e saremo poco educati con chi ci prende per il culo. Ce li mangeremo vivi, ben venga la crisi per fare pulizia." Un ex operaio

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Θα τους φάμε ζωντανούς
«Θα τους φάμε ζωντανούς. Ας έρθει αυτή η κρίση, ας κτυπήσει την πόρτα, θα της ανοίξουμε, άλλο που δεν περιμένουμε.
Αν χρειασθεί θα ρίξουμε κάτω και την πόρτα να περάσει.
Είχε ξανασυμβεί το ’43 και θα συμβεί και πάλι τώρα και καλύτερα. Δεν έχουμε τίποτα πια να χάσουμε, κι έχουμε συνηθίσει. Εμείς.
Εκείνοι, «με τη μύτη προς τα πάνω» δεν ξέρουν τι θα πει αληθινή κρίση.
Εκείνοι πρέπει να φοβούνται.
Εμείς που δεν σπουδάσαμε στα κολλέγια, δεν μπήκαμε στα γραφεία των μπαμπάδων και των μαμάδων μας, δεν γλύψαμε κόλους για να κάνουμε καριέρα σε κόμματα και στο δημόσιο. Κανείς δεν μας «σύστησε» και ποτέ δεν ζητήσαμε «συστάσεις».
Είμαστε ακόμα εδώ, παρόντες και είμαστε τσαντισμένοι όσο χρειάζεται για να σας γα … «κανονίσουμε».
Ούτε κατ’ ιδέα να ζητήσουμε ελεημοσύνη ή να διαπραγματευθούμε με ‘κείνο το ερείπιο τη Φορνέρο (υπουργό εργασίας) για τα δικαιώματα των εργαζομένων. Εμείς θα τους φάμε ζωντανούς.
Μας ζεσταίνανε με ζεστές βρεμένες χάρτινες μπάλες, που βγάζανε μέσα από τη σόμπα.
Τρώγαμε την κρούστα του τυριού ζεσταμένη πάνω στο σίδερο. Ποτέ δεν ξανάφαγα τέτοια ωραία κρούστα.
Κάναμε μπάνιο μέσα στη λεκάνη με το νερό ζεσταμένο πάνω στη σόμπα.
Το σινεμά ήταν πάντα τρίτης προβολής και μόνο μια φορά το μήνα.
Οι πατεράδες μας έκαναν βάρδιες στα εργοστάσια, όταν εμείς κοιμόμασταν, εκείνοι δούλευαν. Ένα χάδι, κι ένα «να είσαι καλό παιδί με τη μαμά» ήταν η μοναδική βιαστική επαφή μαζί τους το πρωί.
Την Κυριακή βγαίναμε βόλτα με το ποδήλατο και κανένα σάντουιτς στη τσέπη, μια γκαζόζα, και κάνα μπουκάλι κρασί. Το καλοκαίρι τύχαινε και καμιά φέτα καρπούζι.
Τι στο διάολο μπορούν να μας κάνουν αυτοί οι λιμοκοντόροι ντυμένοι με Αρμάνι, αυτοί οι διεφθαρμένοι μέσα τους, αυτά τα βουλευτάκια, αυτά τα μαφιοζάκια, σάπιοι, σάπιοι, καλοί μόνο στα λόγια, στα λογίδρια, που κατέστρεψαν τη χώρα και τώρα γελούν μαζί μας και μας κοροιδεύουν.
Εμείς δεν έχουμε τίποτα να χάσουμε γιατί έχουμε συνηθίσει να ζούμε με λίγα, κι ακόμα και με τίποτα. Εσείς θα τα χάσετε όλα, εκτός από την αξιοπρέπεια, αυτή ποτέ δεν την είχατε.
Διαβάζαμε εφημερίδα μόνο την Κυριακή όταν την αγόραζε ο μπαμπάς. Δεν μπορούσε τις άλλες μέρες. Ήταν η Κορριέρε ντελλα Σέρα του Παζολίνι, Μοντανέλλι, Μπουζάντι. Ένας μόνον απ’ αυτούς αξίζει πιο πολύ απ’ όλους τους σημερινούς δημοσιογράφους.
Μας έχουν και μας έχετε σπάσει τ’ αρχ … αποτέτοια και δεν θα είμαστε καθόλου ευγενικοί με όποιον θελήσει πάλι να μας τη φέρει. Θα τους φάμε ζωντανούς, καλώς να έρθει η κρίση για να καθαρίσει ο τόπος.»
Ένας πρώην εργάτης.

Occupy the World together

- quinterna -
"Occupy the world together" (Occupiamo il mondo insieme). Titolo di una pagina su Facebook, di un sito sindacale canadese, di una manifestazione di Occupy Budapest, di molti filmati su YouTube… e di altre 12.000 ricorrenze su Google.

"Ci hanno buttato fuori dalle nostre case. Ci hanno costretti a scegliere tra mangiare o pagare l'affitto. Ci è negata l'assistenza medica. Soffriamo per l'inquinamento. Quando un lavoro l'abbiamo, facciamo orari impossibili per paghe basse e nessun diritto. Siamo il 99 per cento e non abbiamo niente, mentre l'altro 1% ha tutto". (Testo di apertura del sito web "We are 99%", dedicato a migliaia di brevissimi scorci di vita pubblicati da anonimi aderenti al movimento Occupy Wall Street).

"L'unica soluzione è la rivoluzione mondiale" (Conclusione dello statement nella Home page del sito Occupy Wall Street).

"Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire. L'attesa del Messia e il culto del genio, spiegabili per Pietro e per Carlyle, sono per un marxista solo misere coperture di impotenza. La Rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima" (PCInt., 1953).

Occupy Liberty Square

Il nostro movimento si allarga, l'esperienza di Zuccotti Park, cioè Liberty Square, ci sarà utile. La piazza era e rimane un punto di riferimento. Macché sporcizia e droga. Quella dell'igiene è ovviamente un pretesto. Prima che gli sbirri ci buttassero fuori, qui c'era molta collaborazione fra gli occupiers, la piazza era tenuta ben pulita, c'era un centro informatico munito di computer, generatori di corrente e router wireless, una cucina da centinaia di pasti al giorno, una biblioteca. Eravamo lì quando hanno scaraventato tutto nei camion della spazzatura. Tallonati dagli sbirri in tenuta antisommossa non abbiamo potuto fare niente. I libri erano già cinquemila, la tenda con gli scaffali ce l'aveva regalata Patti Smith. Qui il movimento raccoglieva persino soldi, cosa che in questo paese è sempre buon segno. Nella scatola delle offerte abbiamo trovato in un mese 150.000 dollari. Le donazioni sul conto corrente hanno superato il mezzo milione.

La piazza era presidiata di notte. Eravamo in due o trecento con le tende. Di giorno facevamo assemblee, un po' di spettacolo, molta controinformazione. È naturale che un movimento cerchi di avere un luogo che sia anche un punto di riferimento. L'avevano cercato e realizzato anche i greci in piazza Syntagma, gli egiziani in piazza Tahrir, gli spagnoli in piazza Puerta del Sol. All'inizio eravamo influenzati dagli altri movimenti, ma New York è una città un po' particolare ed è emerso il suo ambiente underground, liberal, anarcoide. Kalle Lasn dice che il movimento assomiglia un po' a quello del Sessantotto in Europa, che ha qualche tratto situazionista. Kalle ha fondato la rivista Adbusters. È stato uno dei promotori di Occupy Wall Street. Secondo noi sbaglia. Qui praticamente nessuno sa che cosa sia un situazionista. Figuriamoci poi un comunista. C'era un bel po' di ideologia nel movimento europeo, mentre la zuppa che serve il fast food di Zuccotti Park è fatta con un brodo pragmatista all'americana. Non c'è la ricetta e ogni giorno come viene viene. Oltre tutto il cuoco è nomade, un giorno è al Cairo, un giorno è ad Atene, un giorno è a Oakland.

A parte gli scherzi. Non è tutta ingenuità pragmatica quella riflessa dai cartelli e dai comunicati del nostro sito ufficiale. Noi mediamente ci crediamo nel motto "Stiamo impostando il primo giorno della nuova America". È una nostra idea fissa. Anche i fascisti neocons erano convinti di essere i precursori del nuovo secolo americano. Meno male che sono spariti. God bless America, noi non spariremo. Guarda il manifesto: una danzatrice leggera sul groppone del massiccio toro di Wall Street. Leggerezza contro pesantezza. Sarà una leggenda metropolitana, ma dicono che sia stato il gruppo di hacktivist Anonymus a lanciare l'idea di "invadere Manhattan" e di occupare Wall Street. Di fatto ha invitato tutti i suoi militanti ad appoggiare il movimento a fornirgli informazioni tecniche. Certe notizie diventano memi che si espandono ed evolvono. Anonymus ha promesso di attaccare i sistemi informatici di Wall Street, delle banche assassine e della polizia. Non è successo niente (la borsa è stata bloccata per un paio di minuti), ma con notizie come quella i media ci vanno a nozze. In realtà non c'è bisogno di essere geek per mettere in piedi una task force informatica. Siamo leggeri come i bit e attraverso il Web immateriale s'è formata la rete organizzata. Siamo nuovi e quindi rivoluzionari. L'avversario invece è vecchio, pachidermico, destinato a crepare.

Greek tragedy.

La tragedia greca
Posted by keynesblog on 19 marzo
Che la Grecia sia in una situazione drammatica lo si può apprendere leggendo i giornali. Ma per sapere quanto drammatica sia, è sempre opportuno mostrare i dati. E’ ciò che ha fatto Francesco Saraceno, economista italiano presso l’Observatoire français des conjonctures économiques di Parigi, già noto ai lettori di Keynes Blog.

“L’unica cosa che tre anni di vertici hanno dato alla luce – scrive Saraceno – è una versione super-restrittiva del patto di stabilità, il famoso fiscal compact. Funzionerà? Guardando la Grecia, ho qualche (!) dubbio. E qui arriva il grafico più spaventoso di tutti”.

“Facendo il 2007 pari a 100, il PIL è sceso a 83 nel 2011, quasi un 20 per cento di perdita“, sottolinea l’economista.

“Queste dolore a breve termine è un guadagno a lungo termine? Niente è meno sicuro. In primo luogo, il debito non è più sostenibile oggi di quanto fosse nel 2007. In secondo luogo – continua Saraceno – l’investimento (linea rosa) è stato dimezzato dal 2007. Ciò significa che non solo la Grecia sta attraversando la depressione oggi, ma si sta facendo in modo che la crescita non riprenda per anni, [poiché] la sua capacità produttiva è stata gravemente intaccata”.

“Ciò che rende triste tutto ciò, oltre che inquietante, – conclude Saraceno – è che dietro queste curve c’è la vita delle persone. E che non c’era bisogno che tutto questo accadesse.”

Altro che Europa federale: il peso dell’Unione europea è solo l’1% del PIL (e tende a calare)

Posted by keynesblog on 20 marzo 2012
Mentre l’Europa chiede ai singoli stati sacrifici e austerità attraverso il contenimento dei deficit di bilancio e del debito pubblico, ci si potrebbe aspettare che tutto ciò, in qualche misura, venga compensato da più ampie spese a livello di Unione in infrastrutture, ricerca, tutela dell’ambiente. In molti, infatti, sostengono che l’austerità a livello nazionale sia necessaria in un’Europa sempre più “federale”. Ma le cose stanno davvero così? I numeri, purtroppo, dicono l’esatto opposto. Non solo il bilancio UE rappresenta una minima percentuale del PIL dell’Unione, ma è addirittura in declino in termini relativi.

Il dato, certamente sconfortante per le aspirazioni dei federalisti, si evince dagli stessi documenti dell’Unione. In figura è rappresentato il bilancio dell’UE (comprensivo di fondi strutturali, fondo sociale e tutte le altri voci di spesa) sia in termini assoluti che in termini relativi rispetto al reddito nazionale lordo dell’insieme dei paesi membri, tratto da un documento illustrativo della Commissione europea.

Come si può notare, sebbene il bilancio aumenti in termini assoluti, esso è tendenzialmente discendente dal 2000 ad oggi se raffrontato al reddito nazionale lordo(*).

Il grafico è stato elaborato dalla Commissione nel 2006 e descrive l’andamento del budget dell’Unione secondo le previsioni di crescita di allora. La politica economica “federale” dell’Unione è stata programmata in modo che essa fosse progressivamente meno “pesante” rispetto alle economie nazionali: dall’1,3% del 1999 all’1% del 2013 (-23%). In altre parole, mentre le funzioni politiche dell’Unione aumentano, il suo peso economico, e quindi gli interventi per lo sviluppo che può mettere in campo, diminuisce.

Lo stesso sito della Commissione europea, nella sezione “falsi miti” tiene a sottolineare la scarsa presenza economica dell’Unione:

Il bilancio dell’UE è stato di circa € 140 miliardi nel 2011, molto piccolo rispetto alla somma dei bilanci nazionali di tutti i 27 Stati membri dell’UE, che ammontano a oltre € 6.300 miliardi di euro. In altre parole, la spesa pubblica complessiva dai 27 Stati membri è quasi 50 volte più grande del bilancio dell’UE!
[...]

In effetti, il bilancio dell’UE è inferiore a quello di uno Stato membro medio come l’Austria o il Belgio.

Potete anche guardarla in un altro modo: il bilancio dell’UE rappresenta circa l’1% del prodotto interno lordo dell’UE a 27 [...] considerando che i bilanci degli Stati membri sono circa il 44% del PIL in media.

Sempre dalla Commissione arriva la conferma che l’Unione pesa progressivamente di meno rispetto agli stati nazionali:

Tra il 2000 e il 2010, i bilanci nazionali [dei paesi membri] dell’Unione europea sono aumentati del 62%, mentre il bilancio dell’UE è aumentato [in termini assoluti] del 37% rispetto allo stesso periodo.

In sostanza il movimento è in senso contrario a quello che ci si aspetterebbe. Il tutto mentre ai singoli stati viene imposto maggiore rigore, fino alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio.

E’ bene ora fare un paragone con gli Stati Uniti, paese preso spesso a riferimento dai padri fondatori dell’Europa quale modello di stato federale. Il grafico mostra la spesa del governo federale americano rispetto al PIL USA, confrontata con quella dell’Unione Europea.

La disintegrazione europea e la Grande Recessione

di Riccardo Bellofiore - megachip -
Il magico mondo di Mario Monti
Certo, pare di vivere in uno strano meraviglioso mondo, con il ‘tecnico’ Mario Monti al governo del Paese. Il secondo ‘Super-Mario’ dopo l’originale: Mario Draghi ora al comando della Banca Centrale Europea. Intanto la nave europea affonda - talora sembra velocemente con un botto, talora più lentamente con un sospiro: qualcosa a metà tra la tragedia del Titanic e la farsa (tragica essa stessa) della Concordia. Da noi, l’entusiasmo lambisce lidi inattesi, da chi invita con il cuore in mano a ‘baciare il rospo’, a chi puntigliosamente elenca ‘pilastri della saggezza’. Tanto senno da dignitosa conversazione al bar, nutrito di stoica, o etica, cognizione della grave ‘necessità’ del momento, in una pretesa assenza di alternative.

Monti: che, se non fracassone come Sarkozy, pure proclama una certa simpatia per la tassa Tobin, e se solo potesse proporrebbe una vera patrimoniale. Quel Monti che, a veder bene, è guardato con una neanche tanto nascosta simpatia dalla multiforme galassia post-operaista. Fosse mai che la riforma del mercato del lavoro facesse uscire dalla bottiglia il genio del ‘reddito di esistenza’, ora nelle proclamazioni anche della Fiom? In volgare, non si tratta d’altro che di un qualche sostegno al lavoro precario, sempre più universalizzato. Un Monti che, udite udite, infila pure qualche considerazione sensata, che alcune/i di noi andavamo in realtà dicendo da un bel po’ di tempo (anche su queste pagine). Tipo: che le agenzie di rating mica hanno tutti i torti; che il problema è la crescita (anche se io preferirei dire, lo sviluppo); che la mera austerità non ci farà uscire dalla crisi - ma il suo ‘posto fisso’ non è quello di professore, non stupido, di economia?

Dunque, di che stupirsi? Quel Monti che non soltanto fa apparire - con il suo aplomb anglosassone e la sobrietà che gli calza come una seconda pelle - Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, diciamocelo, un po’ volgarotti, riempiendoci così di italico orgoglio. Quel Monti che superficialmente dà l’impressione di avere doti inaspettate di politico, in grado di inserirsi come abile terzo nell’asse frastagliato tra Berlino e Parigi, proclamando ad alta voce alcune verità, e sparigliando i giochi.

Così, la sinistra oscilla tra una più o meno nascosta ammirazione e il ricorso all’argomento finale: che i tedeschi non ne azzeccano mai una.

Con tutta la sua bravura di tecnico sperimentato e di politico amatoriale Monti in fondo è ancora troppo interno al male dei mali, l’ossessione teutonica per il pareggio del bilancio pubblico, l’anti-inflazionismo della banca centrale, l’austerità nella crisi. Un novello Brüning: il cancelliere tedesco la cui austerità fece da preludio al nazismo. Molte cose tornano. Non tutte.
NORTH BY NORTHWEST

lunedì 19 marzo 2012

Francois Hollande


"Renaissance de l'Europe": l'intervention de... από francoishollande

Comunisti nell'era del silicio

di Nicola Cipolla - ilmanifesto -
Dal 1989 sono passati ormai ventitre anni, un tempo sufficiente per dare una valutazione laica e non emotiva del ruolo che il pensiero di Lenin ha avuto nel determinare, a partire dalla Russia degli zar, le grandi rivoluzioni del XX secolo della Cina di Mao, dell'India di Gandhi, del Sudafrica di Mandela, della Cuba di Fidel. Con la minaccia del comunismo e sull'esempio della pianificazione staliniana, a cui certamente si è ispirato Beveridge, si è evoluto lo stato sociale. La vittoria dei vietcong di Ho Chi Minh armati di missili terra aria forniti dall'Urss ha determinato anche, a partire da Berkeley, la rivolta degli studenti americani, il maggio francese e l'autunno caldo in Italia decisivo per lo scisma del gruppo fondatore de il manifesto. Alla base dell'ondata leninista, gli scritti su "imperialismo fase estrema (finale) del capitalismo" e quelli sulla questione agraria che individuavano nelle masse contadine e nelle rivendicazioni di indipendenza nazionale le forze motrici di grandi rivoluzioni che hanno chiuso la globalizzazione iniziata nel 1492.
Oggi, nel XXI secolo, il capitalismo ci coinvolge in due grosse crisi: nell'immediato, quella finanziaria, e nella vicina prospettiva di poche decine di anni, della crisi ambientale, come Viale ricorda, che può cancellare l'attuale sistema di vita sul pianeta. Due secoli di uso ed abuso di energie fossili hanno prodotto fenomeni che si vanno man mano aggravando confermando l'analisi degli scienziati delle NU che hanno, fin dalla conferenza di Los Angeles, avvertito il pericolo.
Il paragone della crisi attuale con quella del '29 non regge. Allora la crisi investì tutto il pianeta perché esisteva un'economia mondo (globale) basata sul colonialismo. La crisi attuale invece riguarda solo i paesi industrializzati, ex colonialisti, mentre continuano a svilupparsi le economie dei paesi liberatisi dall'oppressione coloniale. Le graduatorie annuali basate sul Pil dimostrano l'ascesa continua di questi paesi.
La proposta di Luciana Castellina (il manifesto 28/2) di spostare online il giornale mi spinge a fare un'altra considerazione. Pochi anni fa una proposta simile non sarebbe stata possibile, lo è ora perché si è diffuso negli ultimi anni, anche nel corso della crisi, l'uso di apparecchi elettronici (computer, telefonini, iPad, ecc.) la cui produzione raggiungerà quest'anno, secondo le previsioni, un miliardo e quattrocento milioni di pezzi per superare, entro breve tempo, il numero degli abitanti del pianeta. Alla base, l'uso del "silicio cristallino" che, investito dall'elettricità, produce, conserva, trasmette ed elabora immagini, suoni e parole. Ciò costituisce un elemento fondamentale di globalizzazione anche culturale. Senza questi strumenti la stessa globalizzazione finanziaria, oggi in crisi, non sarebbe stata possibile e così anche grandi lotte popolari dalla cosiddetta "primavera africana" fino ai No Tav.

New York, Occupy fa primavera

MARTINA ALBERTAZZI il manifesto - dirittiglobali -
Occupy Wall Street festeggia i suoi sei mesi di vita scendendo in strada a New York, in una marcia che secondo gli organizzatori è solo l'inizio di una primavera piena di eventi. Ieri mattina alle 11, i manifestanti si sono riuniti di nuovo a Zuccotti Park per celebrare l'arrivo della nuova stagione. «Nei primi sei mesi di vita abbiamo cambiato il dibattito nazionale, nei prossimi sei mesi vogliamo cambiare il mondo», hanno scritto sulla homepage del sito. E l'atmosfera a Liberty Square è proprio quella di risveglio dopo i mesi invernali in cui il movimento era sembrato giù di tono, per alcuni addirittura morto. All'una del pomeriggio circa 150 persone, molte vestite di verde per celebrare il giorno di San Patrizio, hanno iniziato a marciare verso Battery Park, più precisamente verso l'Irish Hunger Memorial, il monumento inaugurato nel 2002 per ricordare il milione di vittime delle carestie in Irlanda dal 1845 al 1852. «La strada che stiamo percorrendo ha bisogno di una svolta - racconta Jack, 53 anni, che lavora come attore in un teatro, mentre mostra una copia del suo passaporto irlandese - Gli appuntamenti come questo sono importanti, perché ci permettono di far sentire la nostra voce». Ma non preferirebbe festeggiare San Patrizio in un bar a bere, come fanno tutti? «Io festeggio così, perché amo le mie radici irlandesi, ma l'America è il mio Paese e Occupy Wall street sta cercando di salvarlo», risponde. Mentre il corteo si dirige verso Lower Manhattan, scortato da circa cinquanta poliziotti a piedi e in scooter, un centinaio di manifestanti è rimasto invece a Zuccotti Park, tra canti, balli e tamburi riportando la memoria allo scorso settembre, quando il movimento era appena nato e scene come questa erano all'ordine del giorno. «Questa sera dormiremo qui e ci riprenderemo la piazza», afferma convinto Rick, 23 anni, mentre riprende fiato dopo aver gridato uno degli slogan più celebri, «Siamo il 99% e lo sei anche tu». Davanti alla piazza il numero di agenti della polizia di New York è nettamente superiore a quello dei manifestanti. E gli arresti sono iniziati già nel primo pomeriggio, quando due persone sono state portate via in manette, a quanto pare con l'unica colpa di aver distribuito volantini. L'entusiasmo pacifico del resto della folla però non si è fatto intimidire. Qualche manifestante parla con i pochi cronisti rimasti a Zuccotti Park, altri improvvisano comizi e invitano i passanti a unirsi a loro, annunciando una stagione vivace, che proseguirà fino alle elezioni presidenziali di novembre. E non solo a New York, come ha raccontato Cynthia Price, 46 anni, che da Los Angeles si è trasferita qui, per iniziare una piccola attività con il marito John: «Pago le tasse, ho una casa tutta mia e mi ritengo una cittadina modello, al contrario di questo governo cleptomane. È il motivo per cui scendo in piazza con Ows e andrò a Washington a manifestare davanti al Congresso. Stasera però torno nel mio appartamento e lascio l'occupazione di Zuccotti Park in mano ai giovani».

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#occupy wall street, la lotta continua
La polizia di New York ha arrestato la notte scorsa decine di indignati di 'Occupy Wall Street' durante un raduno indetto per ricordare l'inizio del movimento di Zuccotti park sei mesi fa. L'atto repressivo della polizia di Obama è avvenuto poco prima della mezzanotte locale (le 5.00 in Italia) è giunto al termine di una giornata di dimostrazioni e marce nella parte meridionale di Manhattan. Il regime non ha fornito cifre sugli arresti, ma le persone portate via ammanettate sono state decine. Tre donne rimaste ferite sono state medicate in un'ambulanza. Nel corso della giornata erano state fermate 15 persone ed era stato annunciato il ferimento di tre agenti. Dopo le manifestazioni svoltesi nel pomeriggio attraverso il distretto finanziario di New York i dimostranti si sono dati appuntamento per la sera nel parco e intorno alle 23 c'erano circa 500 persone. Tra loro anche il regista Michael Moore. «È la nostra offensiva di primavera», ha detto Michael Premo 30 anni che si è autodefinito il portavoce del movimento. «La gente pensa che il movimento Occupy sia finito, è importante che vedano che siamo tornati», ha aggiunto. La polizia è rimasta a sorvegliare la zona senza intervenire fino a quando alcuni dimostranti hanno cominciato a montare una tenda. Circa un centinaio di agenti sono allora entrati nel parco e i dimostranti si sono seduti rifiutandosi di obbedire all'ordine di andarsene. A quel punto i poliziotti hanno ammanettato i dimostranti portandoli via nei furgoni. Il movimento Occupy Wall Street era nato il 17 settembre dello scorso anno a Zuccotti Park per protestare contro le politiche finanziarie statunitensi accusate di incrementare il divario tra ricchi e poveri. La polizia in novembre aveva sgomberato l'accampamento dei dimostranti.

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