Posted by cambiailmondo
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
L’Argentina ha abbattuto un altro pilastro delle politiche neoliberiste sancendo la fine dell’autonomia della Banca Centrale dalla politica. Questa settimana è prevista la conferma al Senato della Repubblica del nuovo Regolamento Organico della BCRA, approvato lo scorso mercoledì alla Camera de Deputati. La modifica dello status dell’istituzione era stato il principale annuncio politico fatto dalla presidente Cristina Kirchner nell’inaugurazione dell’anno legislativo del 2012, agli inizi del mese di marzo.
L’autonomia delle banche centrali è stata uno dei capisaldi delle politiche imposte dal FMI e dagli organismi internazionali negli anni ’90, sotto il paradigma del Consenso di Washington in America Latina. Riforme in questa direzione sono state promulgate in Cile (1989), Argentina (1992), Venezuela (1992), Messico (1994), con l’argomento che la politica monetaria – ovvero la preservazione del valore della moneta – è una funzione eminentemente tecnica che deve essere staccata dalla politica economica di un paese e lasciata in mano dei tecnici.
In Argentina la norma seguiva e completava la “legge sulla convertibilità” (1991), che aveva stabilito la parità cambiaria del peso con il dollaro e l’obbligo di mantenere delle riserve in valuta statunitense equivalenti alla massa monetaria circolante, conducendo in pratica alla dollarizazzione dell’economia.
Entrambe le leggi nascevano con la finalità di stabilizzare l’economia e mettere fine all’enorme inflazione che creava nere prospettive per la giovane democrazia riconquistata negli anni 80. Non occorre soffermarci sui risultati delle politiche di aggiustamento strutturale e deflazione promosse dal FMI, che hanno avuto come sbocco la enorme crisi finanziaria del 2001 in Argentina e episodi similari nel resto dei paesi dell’America Latina.
D’ora in poi, dunque, la missione primaria e fondamentale della Banca Centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta” ma includerà anche “lo sviluppo economico con giustizia sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Finalità analoghe hanno le banche centrali di diversi altri paesi, a cominciare degli Stati Uniti, e abbondano anche gli esempi internazionali sull’uso di riserve per investimenti produttivi.
Lo ha fatto il Brasile nel 2008-2009 per soccorrere imprese in difficoltà e per finanziare le esportazioni; la Cina per creare nel 2007 un grande fondo sovrano per gli investimenti; l’Ecuador nel 2009 per riattivare l’economia mediante la creazione di opere pubbliche e programmi d’impiego; il Giappone per aiutare la Toyota a altre sue imprese nel 2009.
Una novità importante è la capacità che avrà l’organismo, di orientare e promuovere il credito, che oggi rappresenta soltanto il 14% del PIL (il livello più basso a livello regionale) ed è concentrato nel consumo e nel commercio estero. Si cerca così di incidere su uno dei fianchi deboli dell’economia, promuovendo lo sviluppo produttivo mediante la regolazione dei tassi d’interesse e il sostegno alle imprese per accedere al credito.
Si incorporano anche nuove funzioni in riferimento alla regolazione e supervisione del sistema finanziario e alla protezione degli utenti. “L’attuale Carta Organica della Banca Centrale è dissociata dal modello produttivo. La nuova norma sancisce ciò che si sta facendo negli ultimi anni”, ha spiegato la presidente della BCRA Mercedes Marcò del Pont.
Due sono i punti contestati dall’opposizione ed entrambi riguardano la quantità di riserve trasferibili all’Erario e i vincoli all’utilizzo di fondi da parte del Governo. Le nuove regole sanciscono nella Carta Organica – ma al contempo modificano – disposizioni promulgate durante il governo di Nestor Kirchner . L’ex presidente aveva inaugurato l’uso di riserve da parte dello Stato allo scopo esclusivo di saldare il debito con gli organismi di credito internazionali, quando introdusse, mediante un decreto del 2005, il concetto di “riserve di libera disponibilità” che stabiliva che quando le riserve superassero il 100% della base monetaria, in condizioni di surplus della bilancia commerciale, gli eccedenti potevano essere utilizzati con questo fine.
In questo modo sono stati rimborsati 10.000 milioni di dollari al FMI e cancellato il debito con questo organismo, seguendo la politica di “desindebitamento” portata avanti pure dal Brasile nello stesso periodo.
La Riforma attuale incrementa i fondi disponibili per lo Stato. Per fare ciò abolisce l’obbligo del 100% di copertura in dollari – retaggio della politica di convertibilità – e stabilisce che è competenza delle autorità monetarie fissare nuovi parametri fondati sul livello di riserve ottimale alla politica economica e al modello di sviluppo attuale. In aggiunta – ma soltanto in condizioni eccezionali per l’economia nazionale o internazionale – si duplica l’ammontare che il Banco può anticipare in forma transitoria al Governo e si prolungano i tempi per il suo reintegro (dal 10 al 20% delle entrate fiscali del precedente anno e da 12 a 18 mesi).
L’opposizione di centro-destra mette in guardia sul rischio di un innalzamento dell’ inflazione vista la discrezionalità con la quale l’Esecutivo potrebbe ricorrere all’ emissione monetaria. Il Governo – affermano – cerca soltanto di aumentare gli introiti in previsione della crisi e del termine della fase di crescita e di risultati positivi nell’interscambio commerciale, in modo di continuare ad incrementare la spesa pubblica e pagare i debito estero.
Questo ultimo punto è il bersaglio delle critiche dell’opposizione di centro-sinistra, dal momento che lo scopo principale della misura ufficiale non sembra tanto essere l’ampliamento della capacità produttiva del paese quanto piuttosto la negoziazione del debito con i paesi creditori riuniti nel forum conosciuto come “Club di Parigi”, un tema che ha subito diverse dilazioni e che la Presidente vuole concludere entro il 2012.
E’ requisito indispensabile per il Governo disporre di dollari per avanzare nella politica adottata dai tempi di Kirchner riguardo al debito estero: pagare sì, ma alle proprie condizioni, in primo luogo con l’esclusione del FMI nelle negoziazioni.
Comunque sia, è indubbio che la riforma rappresenta un cambiamento di paradigma e implica un ritorno alla politica e all’economia reale. La sovranità della politica economica torna allo Stato, che recupera la guida delle variabili macroeconomiche indispensabili per orientare qualsiasi strategia di sviluppo. Perché, come ha sostenuto un’analista locale[1], “separare le riserve accumulate da un popolo, grazie al suo lavoro, dal resto delle risorse nazionali e lasciarle alla volontà di un gruppo di tecnocrati senza voti è uno sproposito ed è antidemocratico”, si guardi come si guardi.
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
L’Argentina ha abbattuto un altro pilastro delle politiche neoliberiste sancendo la fine dell’autonomia della Banca Centrale dalla politica. Questa settimana è prevista la conferma al Senato della Repubblica del nuovo Regolamento Organico della BCRA, approvato lo scorso mercoledì alla Camera de Deputati. La modifica dello status dell’istituzione era stato il principale annuncio politico fatto dalla presidente Cristina Kirchner nell’inaugurazione dell’anno legislativo del 2012, agli inizi del mese di marzo.
L’autonomia delle banche centrali è stata uno dei capisaldi delle politiche imposte dal FMI e dagli organismi internazionali negli anni ’90, sotto il paradigma del Consenso di Washington in America Latina. Riforme in questa direzione sono state promulgate in Cile (1989), Argentina (1992), Venezuela (1992), Messico (1994), con l’argomento che la politica monetaria – ovvero la preservazione del valore della moneta – è una funzione eminentemente tecnica che deve essere staccata dalla politica economica di un paese e lasciata in mano dei tecnici.
In Argentina la norma seguiva e completava la “legge sulla convertibilità” (1991), che aveva stabilito la parità cambiaria del peso con il dollaro e l’obbligo di mantenere delle riserve in valuta statunitense equivalenti alla massa monetaria circolante, conducendo in pratica alla dollarizazzione dell’economia.
Entrambe le leggi nascevano con la finalità di stabilizzare l’economia e mettere fine all’enorme inflazione che creava nere prospettive per la giovane democrazia riconquistata negli anni 80. Non occorre soffermarci sui risultati delle politiche di aggiustamento strutturale e deflazione promosse dal FMI, che hanno avuto come sbocco la enorme crisi finanziaria del 2001 in Argentina e episodi similari nel resto dei paesi dell’America Latina.
D’ora in poi, dunque, la missione primaria e fondamentale della Banca Centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta” ma includerà anche “lo sviluppo economico con giustizia sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Finalità analoghe hanno le banche centrali di diversi altri paesi, a cominciare degli Stati Uniti, e abbondano anche gli esempi internazionali sull’uso di riserve per investimenti produttivi.
Lo ha fatto il Brasile nel 2008-2009 per soccorrere imprese in difficoltà e per finanziare le esportazioni; la Cina per creare nel 2007 un grande fondo sovrano per gli investimenti; l’Ecuador nel 2009 per riattivare l’economia mediante la creazione di opere pubbliche e programmi d’impiego; il Giappone per aiutare la Toyota a altre sue imprese nel 2009.
Una novità importante è la capacità che avrà l’organismo, di orientare e promuovere il credito, che oggi rappresenta soltanto il 14% del PIL (il livello più basso a livello regionale) ed è concentrato nel consumo e nel commercio estero. Si cerca così di incidere su uno dei fianchi deboli dell’economia, promuovendo lo sviluppo produttivo mediante la regolazione dei tassi d’interesse e il sostegno alle imprese per accedere al credito.
Si incorporano anche nuove funzioni in riferimento alla regolazione e supervisione del sistema finanziario e alla protezione degli utenti. “L’attuale Carta Organica della Banca Centrale è dissociata dal modello produttivo. La nuova norma sancisce ciò che si sta facendo negli ultimi anni”, ha spiegato la presidente della BCRA Mercedes Marcò del Pont.
Due sono i punti contestati dall’opposizione ed entrambi riguardano la quantità di riserve trasferibili all’Erario e i vincoli all’utilizzo di fondi da parte del Governo. Le nuove regole sanciscono nella Carta Organica – ma al contempo modificano – disposizioni promulgate durante il governo di Nestor Kirchner . L’ex presidente aveva inaugurato l’uso di riserve da parte dello Stato allo scopo esclusivo di saldare il debito con gli organismi di credito internazionali, quando introdusse, mediante un decreto del 2005, il concetto di “riserve di libera disponibilità” che stabiliva che quando le riserve superassero il 100% della base monetaria, in condizioni di surplus della bilancia commerciale, gli eccedenti potevano essere utilizzati con questo fine.
In questo modo sono stati rimborsati 10.000 milioni di dollari al FMI e cancellato il debito con questo organismo, seguendo la politica di “desindebitamento” portata avanti pure dal Brasile nello stesso periodo.
La Riforma attuale incrementa i fondi disponibili per lo Stato. Per fare ciò abolisce l’obbligo del 100% di copertura in dollari – retaggio della politica di convertibilità – e stabilisce che è competenza delle autorità monetarie fissare nuovi parametri fondati sul livello di riserve ottimale alla politica economica e al modello di sviluppo attuale. In aggiunta – ma soltanto in condizioni eccezionali per l’economia nazionale o internazionale – si duplica l’ammontare che il Banco può anticipare in forma transitoria al Governo e si prolungano i tempi per il suo reintegro (dal 10 al 20% delle entrate fiscali del precedente anno e da 12 a 18 mesi).
L’opposizione di centro-destra mette in guardia sul rischio di un innalzamento dell’ inflazione vista la discrezionalità con la quale l’Esecutivo potrebbe ricorrere all’ emissione monetaria. Il Governo – affermano – cerca soltanto di aumentare gli introiti in previsione della crisi e del termine della fase di crescita e di risultati positivi nell’interscambio commerciale, in modo di continuare ad incrementare la spesa pubblica e pagare i debito estero.
Questo ultimo punto è il bersaglio delle critiche dell’opposizione di centro-sinistra, dal momento che lo scopo principale della misura ufficiale non sembra tanto essere l’ampliamento della capacità produttiva del paese quanto piuttosto la negoziazione del debito con i paesi creditori riuniti nel forum conosciuto come “Club di Parigi”, un tema che ha subito diverse dilazioni e che la Presidente vuole concludere entro il 2012.
E’ requisito indispensabile per il Governo disporre di dollari per avanzare nella politica adottata dai tempi di Kirchner riguardo al debito estero: pagare sì, ma alle proprie condizioni, in primo luogo con l’esclusione del FMI nelle negoziazioni.
Comunque sia, è indubbio che la riforma rappresenta un cambiamento di paradigma e implica un ritorno alla politica e all’economia reale. La sovranità della politica economica torna allo Stato, che recupera la guida delle variabili macroeconomiche indispensabili per orientare qualsiasi strategia di sviluppo. Perché, come ha sostenuto un’analista locale[1], “separare le riserve accumulate da un popolo, grazie al suo lavoro, dal resto delle risorse nazionali e lasciarle alla volontà di un gruppo di tecnocrati senza voti è uno sproposito ed è antidemocratico”, si guardi come si guardi.
Nessun commento:
Posta un commento