Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 30 luglio 2011

La questione del metodo: materialismo storico-dialettico e attualita' del marxismo.

di Emilio Quadrelli * Fonte: sinistrainrete

“Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall'assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza. Nella mite economia politica ha regnato da sempre l'idillio. Diritto e “lavoro” sono stati da sempre gli unici mezzi d'arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per “questo anno”. (K. Marx, Il Capitale. Critica dell'economia politica)

La posta in palio

Il tema della precarietà, della flessibilità e via dicendo ha conquistato, da tempo, un ruolo predominante dell’attuale scena politica, economica e sociale. La condizione di lavoro precario, inizialmente percepita come semplice “rito di passaggio” per segmenti particolari della forza lavoro salariata, è diventata la condizione di esistenza per lo più abituale per cospicue quote del lavoro subordinato. Da ambito di “nicchia” e per di più estemporanea, così come era stata presentata inizialmente, si è repentinamente imposta come la condizione permanente per quote sempre più ampie di popolazione. Ciò che è stato sbandierato come “stato d’eccezione temporaneo” si è velocemente trasformato in uno “stato d’eccezione permanente”. Questo fatto è sotto agli occhi di tutti. A fronte di ciò, e non poteva essere altrimenti, si è assistito a un graduale ma costante ritiro dello Stato dagli ambiti deputati, attraverso le politiche sociali, a garantire l’inclusione sociale delle masse subalterne. Il Welfare State, la forma statuale messa in forma nel corso del Novecento nel mondo occidentale e soprattutto nella Vecchia Europa, si è pressoché eclissato. Non si tratta di un fatto accidentale poiché la relazione tra la forma “concreta” che assume il lavoro salariato e il modello statuale entro il quale si esplica ha un legame oggettivo che non può essere scisso. Impossibile, pertanto, affrontare sensatamente la questione del lavoro precario e della condizione di esclusione sociale che inevitabilmente si porta appresso senza affrontare la questione della dimensione “concreta” dello stato contemporaneo. Ma come farlo? Attraverso quali strumenti? Di quale bagaglio teorico occorre impossessarsi al fine non solo e semplicemente di lottare, anche perché non è certo la teoria che inventa le lotte, ma di piegare alle esigenze e agli interessi di classe i conflitti oggettivi di cui le nostre società sono gravide? In altri termini attraverso quali strumenti una nuova generazione operaia e proletaria sarà in grado di porsi concretamente sul terreno della conquista del potere politico e dirigere il processo rivoluzionario per la fuoriuscita dal modo di produzione capitalista?

L'Italia nella crisi

di Marino Badiale e Massimo Bontempelli - Fonte: Megachip.
Nelle terribili turbolenze che stanno investendo i mercati e che hanno ricadute crudeli su alcuni paesi, è davvero essenziale, per preservare quel che resta della civiltà da un'inedita barbarie, possedere diagnosi e prognosi corrette di quel che sta succedendo. Alcuni sottovalutano il ruolo della speculazione finanziaria, sostenendo (come ha fatto anche il presidente della Repubblica Napolitano) che se le condizioni di un paese sono sane, esso non ha nulla da temere dalla speculazione, dimenticando, tra tante altre cose, che la sanità rispetto alla speculazione e quella rispetto all'economia reale sono ben distinte, e che le condizioni che appaiono sane perché allontanano gli attacchi speculativi, possono essere quanto mai nocive per l'economia reale.
Altri puntano il dito contro la speculazione, ma in maniera sbagliata e distorcente perché la intendono come un'attività specifica di alcuni gruppi finanziari (ad esempio i famosi hedge fund). La prima cosa da comprendere è, invece, che speculazione e sistema finanziario globale, inclusivo di tutte le sue diversissime articolazioni, sono esattamente la stessa cosa. Il sistema finanziario globale, cioè, non può agire che in maniera ininterrottamente speculativa nella sua interezza.

Per comprendere questa realtà occorre fare riferimento a tre concetti marxiani: accumulazione allargata, plusvalore e capitale fittizio.

È dimostrato da Marx e dai fatti che il capitale non può autoriprodursi se non allargandosi continuamente, e che il suo allargamento consiste in una produzione crescente di plusvalore dal valore. Perché questo accada nell'economia delle merci, occorre che il plusvalore prodotto, cioè incorporato nel valore della merce, venga poi realizzato: cioè, banalmente, la merce sia convertita in danaro con sua vendita. È il famoso ciclo di circolazione capitalistica indicato da Marx come D-M-D', cioè denaro-merce-denaro, dove il plusvalore è rappresentato dalla differenza tra D' e D.
there are so many of you, and so little of us.

venerdì 29 luglio 2011

Toh chi si rivede, l'interesse generale!!!

Dino Greco (Liberazione del 29/07/2011) Fonte
Il più bizzarro dei sodalizi immaginabili da mente sobria si è alla fine materializzato al capezzale dell'economia italiana. Banche, imprese, sindacati hanno sottoscritto un surreale documento comune. Un testo che è un appello accorato a «mettere da parte le divisioni e gli interessi di parte, facendosi carico di un atto di volontà nell'interesse di tutti». In parole povere, di fronte ad Annibale alle porte, ci raccontano che servirebbe una sorta di afflato corale, un interclassismo operoso capace di proteggere il Paese da un nemico potente e indomabile, quella speculazione che - discesa dai cieli della metafisica - sta abbattendosi come un ciclone sulle fibre sderenate di un'Italia senza guida. La parola d'ordine, manco a dirlo, è «rassicurare i mercati», incuranti delle misure placebo sino ad ora adottate per arginare la crisi, considerato che, come nei peggiori incubi onirici, ad ogni giro di giostra si torna al punto di partenza, un pò più poveri e indifesi di prima. La circostanza che fra i terapeuti d'occasione, fra i sottoscrittori dell'accoratissimo appello figurino anche gli "untori", non ha impedito alla stampa "per bene", la Repubblica in prima linea, di salutare con entusiasmo la ritrovata coesione fra le parti sociali, come solennemente auspicato da Giorgio Napolitano. Per fare cosa e per andare dove non è dato - per il momento - sapere. La sola cosa che si capisce, sebbene espressa in linguaggio criptato, è che bisogna liberare l'Italia dal fattore B., da un governo in coma apallico e quindi incapace di tutto, se non di fare danni.

La voce attuale del vecchio Marx

di Valentino Parlato (il manifesto del 28/07/2011)Fonte: controlacrisi
«Lo sviluppo della produzione capitalistica produce particolari mutamenti nelle forme fenomeniche della crisi». Questo scriveva Hilferding nel suo Capitale finanziario e vale nell'analisi dell'attuale crisi, che ha dimensioni mondiali. A rischio di fallimento sono gli stati e, questa volta, anche lo stato di maggior peso economico e politico, cioè gli Usa. E va ancora notato come questa crisi capitalistica, che dovrebbe appartenere al mercato investa lo stato e divenga anche politica. A differenza delle precedenti, l'attuale crisi è mondiale perché il capitalismo si è esteso a tutto il mondo e si realizza, peraltro come è già accaduto in passato, in assenza di uno stato forte in grado di frenare o governare la medesima crisi: gli Usa sono nei guai più che altri paesi. La minaccia di un default degli Usa c'è e non è cosa da poco. Insomma questa crisi supera in vastità quella del '29, ed esige pertanto interventi di più vasta portata del new deal rooseveltiano e, stando all'Italia, ben di più dell'Iri e della statalizzazione delle banche. Questa crisi è - fatte tutte le differenze - per il capitalismo, qualcosa di analogo a quel che la caduta del muro di Berlino è stata per il comunismo.
A questo punto è inevitabile chiedersi se le ragioni del comunismo possano tornare ad aver voce in capitolo. Nell'attuale desertificazione politica e culturale sembra impossibile, ma è indubbio che dall'attuale crisi (storica, direi) non si esce con il privatismo capitalistico. Da questa crisi, che per gravità supera tutte le precedenti, non si esce rapidamente, sarà di lunga durata, susciterà, come già accade, vaste e appassionate discussioni. E non è da escludere che le ragioni del comunismo tornino ad aver credito. Il vecchio Marx tornerà a farsi sentire. Dopotutto anche il capitalismo è un fenomeno storico, come tutto quel che è di questo mondo.

Coming soon ... in a square near you ...


Arriverra' presto in una piazza vicino a voi ...

La Neolingua Italiana.

In principio era il Verbo, poi venne la Menzogna con l'aspetto della Verità. Nella moderna lingua italiana ispirata alla Neolingua del Socing, l'ideologia totalitaria del mondo di "1984" di Orwell, le parole indicano l'opposto del loro significato originale. Chi aderiva al Socing doveva credere a tre leggi: "L'ignoranza è forza", "La guerra è pace" e "La libertà è schiavitù". Le stesse che regolano la Neodemocrazia Italiana. Chi meglio di un Gasparri o di un Calderoli è espressione vivente dell'ignoranza al potere? Siamo in missione di pace in Libia e in Afghanistan e liberi di lavorare fino alla morte.
Da 1984: "La difficoltà più grande incontrata dai redattori della Neolingua non consisteva tanto nell'inventare nuove parole... ma a rendere chiaro quali fossero le parole che le parole nuove andavano a cancellare". Un esempio è la parola "inceneritore" sostituita da "termovalorizzatore". Dopodiché un impianto non incenerisce più, ma crea energia. La parola termovalorizzatore ripetuta per anni dai piccoli e grandi fratelli dell'informazione ha eliminato la produzione di diossina e l'inquinamento. Un'altra parola è "finanziamento elettorale", trasformato in "rimborso". Un finanziamento a fondo perduto, infatti, si può negare, può provocare sdegno, mentre un rimborso è dovuto. "Innumerevoli parole come onore, giustizia, morale, internazionalismo, democrazia, scienza, religione avevano semplicemente cessato di esistere".
La Neolingua Italiana ha già eliminato parole come giustizia, democrazia, morale e onore. Chi si ostina ancora a pronunciarle non riesce più a collegarle alla realtà. Sono astrazioni. Appartengono a un mondo favoloso e scomparso, come quello di Atlantide. la Neolingua italiana non è concepita per sviluppare il pensiero, le capacità cognitive, ma per ridurle. "Ciò che distingueva la Neolingua era il fatto che ogni anno, anzichè ampliarsi, il suo lessico si restringeva. Ogni riduzione era considerata un successo perché più si riducevano le possibilità di scelta, minori erano le tentazioni di mettersi a pensare". E' innegabile che il numero di parole che utilizziamo diminuisce anno dopo anno. Le contraiamo, usiamo più spesso il linguaggio gestuale, perdiamo per strada concetti, pezzi di cultura, di Storia. Le "frasi fatte" che pronunciamo continuamente ci fanno sentire a nostro agio insieme agli interlocutori che annuiscono rassicurati, ci riconoscono come uguali. "L'intento era di rendere il discorso il più possibile indipendente dall'autocoscienza". Lo schiavo inconsapevole, tra tutti gli schiavi, è il più amato dalle democrazie.
Shall we rise the debt to the roof?

giovedì 28 luglio 2011

Il mondo sottosopra degli europei*

di Sergio Cesaratto. Fonte: sinistrainrete
Che giudizio dare dell’ennesimo accordo di “salvataggio della Grecia” stipulato giovedì 21 giugno dai paesi europei? I mercati hanno già dato il loro venerdì 22: i differenziali fra i tassi sui BTP italiani e quelli sui Bund tedeschi erano alla chiusura 258 punti (2,58%), un livello insostenibile per il paese.
Il verdetto dei mercati sull’utilità della manovra “lacrime e sangue” approvata in un malsano clima di unità nazionale era stato parimenti negativo. Esaminiamo per sommi capi l’accordo.

1. I due punti principali sono:

A) il coinvolgimento del settore privato nell’alleviare il carico debitorio della Grecia;

B) l’estensione dei poteri del European Financial Stability Facility (EFSF) già creato nel 2010 con migliori condizioni dei prestiti per i tre piccoli periferici, Grecia, Irlanda e Portogallo (GIP) e nuovi compiti.


2. Non diremo molto per ora circa primo punto che è quello più difficile da giudicare, e comunque volto a placare il Parlamento tedesco (che pensa che a sorreggere la Grecia = rimborsare le banche tedesche siano solo i contribuenti tedeschi!). Le banche hanno allungato la scadenza dei loro crediti e accettato qualche taglio. Evidentemente che i costi della crisi gravino sui profitti dei banchieri è un bene. In che misura accadrà è da vedere e ci torneremo. L’agenzia di rating Fitch ha già giudicato le perdite che le banche incorreranno come un “default selettivo” da parte della Grecia. Poco male, ma è evidente che i mercati non si fidano dei provvedimenti sub B e si attendono che qualcosa del genera accadrà anche per Portogallo e Irlanda – ma a quel punto il contagio a Italia e Spagna sarebbe drammatico -, ragione per cui i differenziali sui tassi pagati dai periferici non si sono ridotti che marginalmente. Comunque, c'è un balletto di cifre sul reale impegno delle banche. (Eurointelligence cita la Frankfurter Allgemeine Zeitung secondo cui le banche tedesche pagherebbero 1 miliardo di euro, le banche francesi 1,5 miliardi, e quelle greche ben 10 miliardi, per perdite complesssive delle grandi banche europee, secondo Bloomberg, di 20 miliardi. Ma allora l'aiuto alla Grecia da parte delle banche tedesche e francesi dov'è? e sarà lo ESFS a farsi carico delle banche Greche, vedi più sotto).

La nuova crisi riparte dagli USA

Galapagos - Il manifesto. Fonte: comedonchisciotte
A più di tre anni dall'inizio della crisi, l'economia mondiale scricchiola: non sono solo i paesi della periferia a subirne i contraccolpi e non sono neanche le medie potenze (come Italia e Spagna) a tremare per quanto sta accadendo, ma la nuova crisi sta per riabbattersi sul paese - gli Stati uniti - che a partire dal 2008 erano stati responsabili della più grave recessione del dopoguerra. Il detonatore questa volta non è il sistema bancario i «derivati» e l'imbroglio dei mutui subprime, ma la crisi fiscale dello stato (per dirla alla O'Connor) che negli mina le fondamenta degli stati e rischia di scatenare una nuova crisi globale, una double dip evocata ma anche esorcizzata.

Quello che sta accadendo negli Usa non ha bisogno di commenti. Dimostra, semmai, l'impotenza di Obama costretto a estenuanti trattative con i repubblicani e soprattutto con l'ala più conservatrice che spera di buttare a mare, il prossimo anno, il primo presidente di colore degli Stati uniti. Negli Usa è soprattutto in atto uno scontro politico che assomiglia molto a quanto successo in Italia con la manovra correttiva per la quale il governo proponeva solo una «manutenzione» dei conti per il 2011 e il 2012, in modo da poter affrontare in pace le elezioni che, se perse, avrebbero lasciato agli eredi di Berlusconi il compito di una stangata enorme.

Decrescere dalla crisi

di Serge Latouche - il manifesto. Fonte: dirittiglobali
LA DOPPIA IMPOSTURA DEL «RILANCE», RIGORE PIÙ RILANCIO
La ricetta europea prevede austerità e ripresa ma ci porterà alla bancarotta. Le teorie keynesiane non sono più sostenibili. Bisognerebbe uscire dall'euro per opporsi ai diktat dei mercati. E per far rinascere la speranza

Che cosa è il "rigore-rilancio"? Si tratta essenzialmente di ciò che è stato proposto al summit G20 di Toronto, un programma che, contemporaneamente programma rinascita e austerità. Il primo ministro tedesco Angela Merkel ha sostenuto una vigorosa politica di rigore e austerità. Il presidente americano, Barak Obama, temendo di rompere la debole ripresa dell'economia globale e statunitense attraverso una politica deflazionistica, ha sostenuto un rilancio ragionevole. L'accordo finale è stato raggiunto su una traballante sintesi: il recupero controllato nel rigore e austerità temperata dallo stimolo. Il ministro dell'Economia francese, che non era ancora Presidente del Fmi, Christine Lagarde, poi ha arrischiato il neologismo «rilance» (contrazione di rigore e di rilancio). Così facendo seguiva le orme del consigliere del presidente Sarkozy Alain Minc il quale, alla domanda su cosa si dovrebbe fare nella situazione critica causata dalla destabilizzazione degli Stati da parte dei mercati finanziari che questi stessi Stati avevano salvato dal collasso, ha prodotto questa formula ammirevole: si deve premere sia sul freno che sull'acceleratore.
Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me. Primo, parlare nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano. Poi da una posizione di "studioso", dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non quella della responsabilità. Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né rilancio! Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra i politici, come Mélanchon con il suo programma attuale. Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine. Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore.
Né rigore: negare l'austerità
La crisi greca si inserisce nel contesto più ampio di una crisi dell'euro e di una crisi dell'Europa.

I "mercati" fanno il loro mestiere L'Europa no.

di Bruno Steri. Fonte: liberazione
«La liberalizzazione finanziaria (…) rappresenta un'arma molto potente contro la democrazia. Il libero movimento dei capitali crea quello che qualcuno ha chiamato un parlamento virtuale di investitori e prestatori che analizzano i programmi dei governi e votano contro se li considerano irrazionali, cioè se fanno gli interessi degli elettori invece che quelli di una forte concentrazione di potere privato». Così si esprimeva tre anni or sono Noam Chomsky: le sue considerazioni potrebbero oggi calzare a pennello per descrivere un contesto che continua ad essere dominato dai "mercati", quotidianamente presentati come un'incombente entità metafisica capace di decidere della sorte di stati e monete.
Tuttavia la metafisica non c'entra nulla; né, beninteso, si tratta di un ideale pulviscolo di acquirenti e venditori che agiscono del tutto liberamente e casualmente. Non è così. Lo ha ben esemplificato in una recente intervista un addetto ai lavori che opera a livello internazionale nel settore finanziario: nell'industria della finanza - sostiene Paolo Basilico - figurano «nuovi oligarchi: sono le sei principali banche americane, le quali hanno un livello di concentrazione di ricchezze e di potere che non ha eguali nella storia del mondo (…). I sei gruppi bancari sono tanto grandi che quando si muovono fanno muovere i mercati». Dunque i cosiddetti mercati hanno un corpo e un'anima; e sono orientati da consistenti concentrazioni di potere.
Italian Parliament said YES to finance "peace" missions

mercoledì 27 luglio 2011

Chi erano i giovani laburisti di Utøya?

di Pino Cabras – Fonte: Megachip.
Quali erano i valori dei ragazzi e delle ragazze norvegesi dell’isola di Utøya, teatro della strage del 22 luglio 2011? I nostri media non ne hanno fatto cenno. Nel pieno del seminario estivo del movimento giovanile laburista Arbeidernes Ungdomsfylking (AUF), il suo leader Eskil Pedersen, il 19 luglio, aveva rilasciato un’intervista all’importante quotidiano «Dagbladet». E cosa leggiamo di così clamoroso in questa intervista? Proprio alla vigilia dell’incontro con il ministro degli esteri di Oslo, il laburista Jonas Gahr Store, quali temi di politica internazionale va a proporre Pedersen? Il giovanissimo politico della sinistra di governo norvegese, in modo inequivocabile, punta tutto su un solo tema: no al dialogo con Israele, sì all’embargo. Vi proponiamo qui di seguito la traduzione dell’intervista.
I lettori potranno così vedere sotto un’ulteriore luce il massacro perpetrato da Anders Behring Breivik, alias ABB, con i suoi complici. Si potranno porre domande fin qui sopite soprattutto se si accenderà poi un’altra luce, quella sul lungo documento di Breivik, che proclama in molti punti una viscerale fedeltà alla causa sionista, e quando si riveleranno i contatti organici di ABB con l'estrema destra sionista europea. L’«anti-islamico» ABB non ha consumato il suo piombo in una moschea. Ha invece sterminato le giovani leve di un'intera nuova classe dirigente sgradita. Lui sarà pazzo. Ma i pazzi come lui spesso sono in mano a manovratori e agenti d’influenza con una visione precisa. Qualunque cosa per adesso si possa pensare, intanto buona lettura.

«Il Dialogo non serve, Jonas!»

Il leader dell’AUF, Eskil Pedersen, ritiene che sia l’ora di misure più forti contro Israele.
Intervista a cura di Alexander Stenerud - dagbladet.no.

Questa settimana circa un migliaio di membri dell’organizzazione dei Giovani Laburisti (AUF) si sono radunati all’isola di Utøya per discutere di temi politici. Giovedì a Utøya verrà Jonas Gahr Store per dibattere di Medio Oriente.
PEACE MISSIONS
Died for a minute of silence

Da Lee Oswald a Lee Oslo, via "Gladio"?

Erano in più di uno a far fuoco sull'isola. Un’esercitazione sull’esplosione di bombe appena conclusa a Oslo. Forse una vendetta della NATO per la decisione della Norvegia di non bombardare più la Libia?
di Webster G. Tarpley. Fonte: megachip
I tragici attentati terroristici in Norvegia presentano un certo numero di segni rivelatori di una provocazione false flag (sotto falsa bandiera, NdT) . È stato riferito che - sebbene i media mondiali stiano cercando di focalizzare l’attenzione su Anders Behring Breivik in veste di assassino solitario nella tradizione di Lee Harvey Oswald - molti testimoni oculari concordano sul fatto che un secondo tiratore era all’opera nel massacro presso il campo estivo giovanile di Utøya, fuori Oslo .
È anche emerso che una unità speciale di polizia aveva condotto una simulazione o esercitazione, nel centro di Oslo, che includeva la detonazione di bombe: esattamente ciò che ha causato il massacro a poche centinaia di metri di distanza poco più di 48 ore più tardi. Ulteriori ricerche rivelano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti stavano conducendo un vasto programma di reclutamento di ufficiali in pensione della polizia norvegese con lo scopo presunto di disporre atti di sorveglianza all'interno del paese. Questo programma, noto come Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS, ha fornito un tramite perfetto per la penetrazione e la sovversione della polizia norvegese da parte della NATO.
È inoltre presente un movente per l'attacco: come parte del suo tentativo di far crescere una politica estera indipendente, compreso l’imminente riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese inserito in un riavvicinamento generale con il mondo arabo, la Norvegia stava guidando gli stati più piccoli della NATO che intendevano tirarsi fuori dalla coalizione di aggressori imperialisti che sta attualmente bombardando la Libia. La Norvegia aveva programmato di mettere fine a tutti i bombardamenti e agli altri assalti contro le forze di Gheddafi non più tardi del 1° agosto.

La Banca che arraffa la terra.

di Luca Manes. Fonte: ilmanifesto
In italiano suona più o meno «accaparramento di terre». Il land grabbing è un fenomeno in crescita esponenziale, soprattutto da quando la crisi finanziaria ha colpito duro in tutto il pianeta. Sempre più spesso grandi investitori di paesi ricchi siglano contratti d'affitto decennali per appezzamenti di decine di migliaia di ettari in Africa o in America Latina o in alcuni paesi asiatici grandi e poveri. Costano poco, spesso pochissimo e poi sono beni rifugio per definizione. Gli stati petroliferi arabi lo fanno per garantirsi le scorte di derrate alimentari necessarie per le loro popolazioni, le principali compagnie private dell'agro-business per impiantare monocolture di biocarburanti, mais o soia destinati all'esportazione.
Da più parti è ormai partito un preoccupato grido d'allarme: il land grabbing è la nuova frontiera del colonialismo e continuando di questo passo inciderà sempre di più sulle fragili economie dei paesi in via di sviluppo, tanto da minare la loro sovranità alimentare. Alcuni governi del sud del mondo stanno cercando di porre delle limitazioni, sebbene molti altri invece incentivano tale attività per «fare cassa». Nel suo rapporto Rising Global Interest in Farmland («interesse crescente per le terre agricole»), del 2010, la Banca mondiale ha riconosciuto che dalla crisi del cibo del 2008 si è registrato un fortissimo aumento dell'interesse di grossi investitori sul mercato dei terreni agricoli, anche se poi si dichiara dell'avviso che il land grabbing non costituisca un vero e proprio pericolo.
In realtà la Banca ha anche accennato alla natura speculativa di tali operazioni, tanto che numerosi accordi sono stati siglati tra governi e corporation alla totale insaputa delle comunità locali, alle quali spesso non sono stati riconosciuti i dovuti risarcimenti.

martedì 26 luglio 2011

No logo dieci anni dopo.

di Naomi Klein, The Guardian, Gran Bretagna.
Fonte: internazionale
La cultura delle multinazionali non governa solo i centri commerciali. Detta legge a Washington e alla Casa Bianca. E ha creato un presidente-marchio che produce gadget e false speranze. Il cambiamento deve venire dal basso.
Nel maggio del 2009 la vodka Absolut ha lanciato una nuova serie limitata: no label, senza etichetta. Kristina Hagbard, la responsabile delle pubbliche relazioni dell’azienda, ha spiegato: “Per la prima volta abbiamo il coraggio di affrontare il mondo completamente nudi. Presentiamo una bottiglia senza etichetta e senza logo per veicolare l’idea che l’aspetto esteriore non conta, l’importante è il contenuto”.
Qualche mese dopo anche la catena di caffetterie Starbucks ha inaugurato il suo primo negozio senza marchio a Seattle, chiamandolo 15th Avenue E Coffee and Tea.

Questo “Starbucks nascosto”, come lo chiamavano tutti, era arredato in uno stile “originale e unico”. I clienti erano invitati a portare la loro musica preferita da trasmettere nel locale e a far conoscere le cause sociali a cui tenevano di più: tutto per contribuire a creare quella che l’azienda ha definito “una personalità collettiva”. I clienti dovevano sforzarsi per riuscire a trovare la scritta in piccolo sui menù: “Un’idea di Starbucks”. Tim Pfeiffer, uno dei vicepresidenti dell’azienda, ha spiegato che, a differenza dello Starbucks che occupava prima gli stessi locali, quello era “proprio un piccolo caffè di quartiere”. Dopo che per vent’anni aveva cercato di mettere il suo logo su sedicimila punti vendita in tutto il mondo, Starbucks stava cercando di sfuggire al suo marchio.

Sono passati dieci anni da quando ho scritto No logo: nel frattempo le tecniche di branding sono cambiate e si sono evolute, ma ho scritto molto poco su questi cambiamenti. Il perché l’ho capito leggendo il romanzo di William Gibson L’accademia dei sogni. La protagonista, Cayce Pollard, è allergica ai marchi, in particolare a Tommy Hilfiger e all’omino Michelin. Questa “insofferenza morbosa e a volte violenta alla semiotica del mercato” è così forte che Cayce fa raschiare i bottoni dei suoi jeans Levi’s per cancellare il logo.

L’Europa delle banche è il nostro nemico

di Giorgio Cremaschi. Fonte: megachip
L’accordo europeo che le borse e la stampa hanno accolto con grande entusiasmo, prepara un nuovo drammatico attacco ai diritti sociali e alle stesse libertà dei lavoratori e dei popoli europei. Non c’è niente da gioire per il fatto che il governo europeo delle banche ha trovato un’intesa per pilotare il fallimento della Grecia, senza far rimettere troppi soldi alla speculazione. La cambiale di questo accordo la pagheranno tutta, come già stanno facendo, i lavoratori e i cittadini greci, che hanno visto in pochi mesi regredire di trent’anni le loro condizioni sociali.
La pagherà la civiltà e la democrazia, la pagheranno i beni comuni, il patrimonio culturale, se è vero che un ministro finlandese ha chiesto il Partenone, in garanzia dei prestiti alla Grecia, e se è vero che il presidente del parlamento europeo Junker ha detto che in questo momento la Grecia non può permettersi di essere una democrazia. La dittatura bancaria che governa l’Europa ha trovato un accordo, ma già ora si annuncia che dovremo pagarne tutti i costi.
Il Sole 24 ore ha addirittura fatto i conti su quanto si risparmia con la pensione a 70 anni. Perché non calcolarla allora fino a 80? I risparmi sarebbero ancora maggiori. Le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la mercificazione di tutto sono il prezzo da pagare per la stabilità dell’Europa delle banche. E non è un caso che la manovra del governo italiano, un attacco durissimo alle condizioni di vita e al salario di tutti noi, sia stata elogiata a Bruxelles, così come è stato elogiato l’accordo interconfederale che distrugge contratto nazionale e democrazia.

Quest’Europa delle banche ci è totalmente nemica e per questo dobbiamo combatterla. Non ci sarà libertà, non ci saranno diritti, non ci saranno eguaglianza e giustizia, né tantomeno ci saranno cambiamenti nel modello di sviluppo e nell’economia, fino a che la dittatura delle banche governerà e fino a che i governi europei avranno molta più paura di un verdetto di Moody’s o di Goldman Sachs piuttosto che dell’indignazione e della rivolta dei popoli.

Questo è il punto: dobbiamo fare paura a chi comanda. Devono avere più paura delle nostre lotte che dei verdetti della speculazione finanziaria mondiale, solo così fermeremo l’attacco alla nostra civiltà che viene dalla dittatura bancaria. La rivolta contro questa Europa, assieme a tutti i popoli d’Europa, è l’appuntamento vero per l’autunno.
Fonte: www.rete28aprile.it.

Stop Export. Verso la guerra delle risorse?

di Giulietto Chiesa. Fonte: megachip
Piccolo ma significativo esempio di come le notizie importanti non vengono date o, quando vengono date, sono nascoste in modo che non si vedano. Per esempio non mi risulta che alcun giornale italiano, per non parlare dei telegiornali, abbia dato rilievo alle cose che seguono. Recentemente il WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio – uno dei tre membri della sacra autorità del Consenso Washingtoniano, insieme al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale – ha pubblicato un rapporto speciale il cui titolo tecnico è apparentemente anodino e concerne le restrizioni alle esportazioni. Da questo emerge che ben 30 nuove restrizioni sono sorte, in diversi paesi, che impediscono o limitano l’esportazione di determinate materie prime. E si tratta di materie prime in quasi tutti i casi cruciali: generi alimentari, carbone, minerali di ferro, terre rare.
Le cifre dicono che tra ottobre 2010 e aprile 2011 i casi sono arrivati a 30 e si va da aumenti delle tasse di esportazione, fissazioni di prezzi fuori mercato, limitazioni di quote, veri e propri divieti completi. Protagonisti in questa svolta sono la Cina, l’India, il Vietnam l’Indonesia. Ma anche gli Stati Uniti praticano questi metodi avendo imposto restrizioni su una decina di materie prime che ritengono strategiche.
Il punto è proprio questo. Che queste limitazioni non rispondono a criteri economici di corto respiro e sono invece, in molti casi, frutto di considerazioni strategiche. La Cina, ad esempio, controlla circa il 97% delle esportazioni mondiali di terre rare (che sono un elenco di materie prime tutte variamente collegate alla produzione di raffinate tecnologie della comunicazione).

PD, terremoto in diretta.

di Marco Travaglio. Fonte: beppegrilloblog
Buongiorno a tutti, ci siamo arrivati come ci siamo detti per anni e cioè al tracollo ormai visibile anche della Seconda Repubblica che muore dello stesso virus che si era portato via la prima: l’illegalità, la corruzione e le collusioni con il malaffare finanziario e mafioso e curioso che quelle forze dell’ ordine che dovrebbero essere mandate a rastrellare il Parlamento colmo di inquisiti e di condannati, vengano mandate invece a picchiare la gente che si oppone alla costruzione di una di delle grandi opere che forse è l’ultimo cascame degli anni 80, della stagione delle opere faraoniche dello sperpero di denaro pubblico e della corruzione sottostante che è il Tav Torino – Lione.

Il Parlamento è peggio del Paese
Si è sempre detto in questi anni, noi abbiamo sempre contrastato questa scemenza che il Parlamento è lo specchio del paese.
Abbiamo fatto dei libri, io insieme a altri colleghi come Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Marco Lillo in cui si raccontava che in Parlamento ci sono fissi ormai da 3, 4 legislature un centinaio tra imputati e indagati e dai 20 ai 30 condannati definitivi, il che significa che in Parlamento c’è un parlamentare su 10 che ha seri guai con la giustizia, se il Parlamento fosse lo specchio del paese, significherebbe che su 60 milioni di abitanti, 6 milioni di abitanti sono sottoprocesso o sono già stati condannati, una cosa semplicemente impensabile, quindi il Parlamento non è lo specchio del paese, il Parlamento è molto peggio del paese, anche se il paese non scherza!

lunedì 25 luglio 2011

Attacco Usa all'Europa.

di Stefania Limiti. Fonte: sinistrainrete
La soffiata di Tarpley: in una riunione del 2008 è stata decisa la crisi europea, per evitare che il biglietto verde crollasse. Gli sciacalli hanno puntato tutto sui Credit Default Swaps.
Abbiamo di nuovo scelto Webster G. Tarpley per approfondire uno dei più temi urgenti di questi giorni, l'attacco speculativo all'euro e i suoi effetti su alcuni paesi, tra cui l'Italia. Tarpley, infatti, oltre ad essere un profondo conoscitore del sistema finanziario internazionale è, soprattutto, un osservatore di assoluta indipendenza e paladino delle battaglie contro tutte le oligarchie, come è possibile constatare dalle sue opere (tra le quali segnaliamo, per l'attinenza al tema, il recentissimo Obama dietro la maschera: golpismo mondiale sotto un fantoccio di Wall Street). Le sue sono caratteristiche essenziali, dunque, se si vuole scoprire dove siano le verità nascoste: per questo la prima domanda è diretta al cuore del problema:


1. Esiste un'intelligence che ha pensato e attuato il piano speculativo nei confronti dei paesi europei?

- Sì, questo era già chiaro dal febbraio 2010, quando il Wall Street Journal pubblicò un servizio su una cena cospiratoria (8 febbraio) tenuta nella sede di una piccola banca d'affari specializzata, la Monness Crespi and Hardt, alla quale parteciparono persone di grande influenza. In quell'occasione si cercavano strategie per evitare un'ondata di vendite di dollari da parte delle banche centrali ed il conseguente crollo del dollaro. L'unica maniera per rafforzare il biglietto verde passava attraverso un attacco all'euro le cui compravendite ammontavano circa a mille miliardi (one trillion) al ogni giorno: impossibile pensare ad un attacco frontale contro una moneta così forte. Quindi, gli sciacalli degli hedge funds di New York - fra cui anche certi protagonisti della distruzione di Lehman Brothers - hanno cercato i fianchi più deboli del sistema europeo e li hanno individuati nei mercati dei titoli di stato (government bonds) dei piccoli paesi del meridione europeo e comunque della periferia - Grecia e Portogallo - dove era possibile contare sulla complicità di politici dell'Internazionale Socialista al servizio della CIA e di Soros. Il mercato dei titoli di stato della Grecia è relativamente ristretto e poco liquido rispetto al Bund tedesco o al Gilt britannico (i loro bonds): una condizione ideale per una serie di vendite al ribasso, accompagnate da articoli negativi ispirati da veline di Wall Street e della City e magari a qualche valutazione pessimista delle agenzie di rating (notoriamente corrottissime come abbiamo visto nel 2007-8). Un mix che può determinare tracolli dei prezzi e un vero e proprio panico. Per aumentare il potere distruttivo di questi attacchi speculativi, si usa una forma di derivati che si chiamano Credit Default Swaps (Cds) - detti talvolta derivati di assicurazione. Con pochi soldi si può scatenare un effetto notevole al ribasso.

Oslo: tutto quello che già sapete.

di Gianluca Freda - Blogghete - Fonte: megachip
Tutto quello che avreste voluto sapere sugli attentati in Norvegia, ma avete evitato di chiedere, un po’ perché ci arrivavate anche da soli, un po’ perché è sempre la solita solfa.
Sui motivi del doppio attentato terroristico in Norvegia, il cui tragico bilancio è finora di un centinaio di morti, l’unica cosa che bisogna tenere presente è che – come sempre – tali motivi vanno ricercati in direzione diversa, se non del tutto opposta, a quelli insinuati dai giornali e dalle TV di regime dell’occidente. A chiarire la situazione, forse sono utili alcune notizie uscite in sordina nei giorni e negli anni scorsi. Fare due più due non è difficile.

Q: Quali interessi ci sono dietro l’attentato?

A: Norvegia e Russia hanno raggiunto nel corso degli ultimi anni accordi di cooperazione sempre più stretti tanto per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio dell’Artico, quanto per la partnership commerciale nello sfruttamento di giacimenti mediorientali (in Iraq in particolare). Quest’asse energetico privilegiato tra Russia ed Europa mette a rischio gli interessi strategici americani e il controllo USA sul continente europeo. Era inevitabile che arrivassero, prima o dopo, gli opportuni “avvertimenti”:

1) Dal sito “La voce della Russia”, 07-07-2011:

Entra in vigore l’accordo Russia-Norvegia: nuovi orizzonti nell’Artico

Oggi entra in vigore l’accordo fra la Russia e la Norvegia sulla delimitazione delle zone di competenza nell’Artide e sulla cooperazione nel Mar di Barents e nel Mar Glaciale Artico. Con questo documento, firmato il 15 settembre del 2010, si sono conclusi 40 anni di controversie. L’accordo apre nuove possibilità per il libero sfruttamento dei ricchissimi giacimenti di gas e petrolio nell’area di 175 mila chilometri quadrati e regola la collaborazione nel settore ittico. Secondo il ministro degli esteri russo Lavrov, si tratta di un’intesa opportuna e reciprocamente vantaggiosa.

2) Da “Sky – TG24” del 12-12-2009:

Iraq, russi e norvegesi si accaparrano il petrolio

Nel corso dell'asta per l'assegnazione di appalti ventennali sui pozzi iracheni, che si è svolta a Baghdad, la compagnia russa Lukoil e la norvegese Statoil hanno ottenuto la concessione per uno dei maggiori giacimenti petroliferi nel Sud dell'Iraq. Lo ha annunciato il ministro del petrolio iracheno. Si tratta di uno dei giacimenti più grandi finora mai sfruttati, con delle riserve di quasi 13 miliardi di barili. La coppia Lukoil-Statoil ha strappato il contratto grazie a un'offerta che prevede di accrescere la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno.

Crisi finanziaria, il mainstream italiano è un Cadorna.

Fonte: senzasoste
Sfogliando lo stupidario delle dichiarazioni del ceto politico italiano nel bel mezzo della crisi finanziaria si colgono, nelle loro parole dei veri propri tratti storici tipici delle classi dirigenti italiane. Vengono a mente le frasi di Napolitano, che ha definito la finanziaria " un miracolo" alla vigilia dell'affondamento del prodotto celeste su tutte le piazze finanziarie, o di Bersani, "l'Italia non si farà mettere in ginocchio" (infatti è stata gambizzata), e infine di Tremonti che ha detto pubblicamente "hic manebus optime" quando non la storia ma la cronaca ha dimostrato che il superministro è polvere rispetto a quanto sta accadendo.
In questo modo, saranno contenti gli appassionati del tricolore, si intravede un tratto antropologico comune tra le classi dirigenti contemporanee e quelle non della prima repubblica ma del regno d'Italia. Possiamo definire questo tratto come cadornismo. Il
generale Luigi Cadorna infatti conosceva solo una strategia militare e la applicava al costo di migliaia di morti ogni offensiva. Se la strategia non funzionava ne inaspriva l'applicazione facendo fucilare dai carabinieri i soldati renitenti. Si è così sviluppato il primo grande massacro dell'Italia unitaria: la Grande Guerra del '15-'18.
La strategia del Cadorna collettivo contemporaneo, che va da Repubblica a Libero come da Di Pietro a Cicchitto, si chiama "unità nazionale per il rigore nei conti pubblici". Non sta funzionando: gli dei del mercato hanno sete di sangue. Il terzo mercato mondiale delle obbligazioni, l'Italia, tanto più fa finanziarie restrittive tanto più offre sangue agli squali del mercato. Le truppe del nuovo Cadorna finiscono per ripiegare proprio dove il nemico vuole che finiscano per poterle attaccare meglio. E nel momento in cui le perdite sono maggiori non si cambia strategia ma si gettano nuove truppe sul fronte.
Proprio là, dove saranno massacrate.
THE OTHER WALL
It will fall?.....
It will not fall???

domenica 24 luglio 2011

Intervista a Jacques Attali: "Piano europeo? Invito a speculare su Italia, Spagna e Portogallo".

di ANAIS GINORI - LA REPUBBLICA del 24 LUGLIO 2011 Fonte: controlacrisi
Jacques Attali: si è rinunciato a creare un vero governo dell´Unione. Il vostro Paese tornerà, anche se non subito, nel mirino dei mercati: pesa la debolezza di Berlusconi e Tremonti. È un precedente che inquieta, i mercati sono autorizzati a pensare che si accetterà un giorno anche per l´Italia

PARIGI - «Questo accordo europeo è un formidabile invito a speculare di nuovo sul debito dell´Italia». Ancora una volta, Jacques Attali incarna il ruolo di Cassandra e spegne sul nascere gli entusiasmi intorno al secondo piano di salvataggio della Grecia. «L´intesa arriva troppo tardi ed è mancato il coraggio di andare verso una gestione più federale dell´Ue», spiega l´economista francese che alla crisi del debito ha dedicato due libri, pubblicati in Italia da Fazi. Con un avvertimento: «Purtroppo non è finita qui».

L´Italia tornerà nel mirino degli speculatori?

«Non subito. Dopo questo accordo ci sarà un effetto calmierante. Ma nei prossimi mesi succederà ancora, salvo che l´Italia mette in atto un vero piano di risparmi pubblici».

La manovra appena approvata è insufficiente?

«Intanto bisognerebbe sapere se verrà applicata, e dunque se è credibile. Tutti sanno che in Italia non c´è un´intesa bipartisan per seguire la strada del rigore. A complicare il quadro c´è la debolezza intrinseca del premier Berlusconi, e ora quella del ministro Tremonti. L´Italia non sarà la prossima vittima. Prima toccherà di nuovo a Spagna e Portogallo».

Così il turbo capitalismo ha ucciso l'Europa solidale.

di Antonio Tricarico * su Liberazione del 24/07/2011. Fonte: esserecomunisti
Dieci anni sono trascori dal G8 di Genova, e profondi cambiamenti sono avvenuti nell'economia e nella politica internazionale. In questa transizione accelerata dalla crisi finanziaria del 2007, il cui esito rimane incerto, i paesi emergenti non hanno arrestato la loro crescita e gli Usa, per quanto ormai nella fase argentea del loro dominio globale, ancora sopravvivono grazie alla supremazia incontrastata del dollaro, non ancora sfidata appieno dalla Cina. Al contrario la vera sconfitta ad oggi dalla crisi e dall'evoluzione "turbo" del capitalismo finanziario dell'ultimo decennio è senza dubbio l'Unione europea ed il suo progetto politico a quasi sessant'anni dalla sua nascita. Dopo la riunificazione tedesca e l'allargamento ad est è finita l'era della solidarietà che ha ispirato la nascita dell'Unione ed una volta che la crisi è divenuta del debito sovrano dei paesi della periferia europea, a partire dalla Grecia, è stato chiaro che la Germania e chi poteva permetterselo si è rifiutato questa volta di pagare il prezzo dell'ulteriore integrazione politica ed economica.
Di fronte alla crisi di oggi, a cui i governi europei giovedì hanno risposto con un inadeguato piano di aiuti in cambio di austerità, con costi ridicoli per le banche private, emerge con chiarezza che l'introduzione dell'euro è stato un punto di rottura nel progetto europeo. La creazione di una banca centrale europea indipendente dalla politica con il solo obiettivo di controllare l'inflazione, senza alcuna integrazione economica a livello di politiche fiscali e generazione di risorse comuni - i cosiddetti Eurobond - è stata una follia che soltanto l'invasamento liberista poteva concepire. Oggi è fondamentale che si metta fine a questa indipendenza e ci si riappropri della capacità politica di definire politiche monetarie e fiscali che sostengano l'uscita dalla crisi, la redistribuzione della ricchezza e la creazione di lavoro.

Ci hanno rubato il Parlamento.


di Raniero La Valle. Fonte: liberazione
Camera con vista su Regina Coeli: non è un bello spettacolo quello che sta dando il Parlamento in questo scorcio di legislatura, anche se proprio questa sembra l'immagine più appropriata per dare il senso dell'intero ciclo berlusconiano e della sua fine. Non che il Parlamento sia fatto di ladri: la maggior parte non lo sono affatto e le guarentigie parlamentari, ivi compresa l'autorizzazione all'arresto, sono state saggiamente messe lì dal costituente proprio per evitare che si faccia di ogni erba un fascio. Il fatto è che il Parlamento stesso ci è stato rubato: il simbolo stesso di tutte le lotte di liberazione e lo strumento principe della sovranità popolare è stato ridotto a niente e non è in grado nemmeno di liberare il Paese da un governo e da un presidente del consiglio ormai palesemente privi di ogni legittimazione popolare e autorità politica e morale, ai quali anzi fornisce l'artificio che li tiene al potere.
La questione del Parlamento è diventata così centrale nella crisi italiana. Il Parlamento sta nell'occhio del ciclone che da vent'anni sta devastando la vita della Repubblica. Non è il governo, non è la magistratura, non è il Presidente della Repubblica l'istituzione che subisce i maggiori attacchi dei riformatori e che ne è il vero punto di caduta, è il Parlamento. E già lo si vede. Noi non abbiamo più un Parlamento che ci rappresenti, non abbiamo deputati scelti da noi, abbiamo parlamentari che a noi giustamente non sono legati da alcun vincolo di mandato, ma che sono vincolati al governo, alcuni addirittura comprati da lui. E se non c'è più un Parlamento che ci difenda, che si faccia carico dei nostri problemi collettivi, che cerchi di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che bloccano lo sviluppo della nostra vita, che medi tra noi e il governo, che ci faccia da scudo nei confronti dei poteri reali, è chiaro che noi siamo abbandonati ai venti e alle correnti, e che siamo nelle mani di altri sovrani. Noi, i cittadini.

Ieri una giornata strana ...



di Zag. Fonte: listasinistra
Ieri una giornata strana , per me, tappato in casa incollato agli schermi fra pc e tv. Aspettavo con ansia l'inizio del corteo a Genova. Dieci anni non sono bruscolini e sentivo ancora tutta dentro di me la rabbia e l'impotenza dei soprusi e della violenza gratuita subita dieci anni prima. Avevamo ragione noi e torto loro!. Avevamo ragione quando dicevamo che l'acqua era un bene pubblico, quando dicevamo che il nucleare era una follia, quando sopratutto dicevamo che la globalizzazione era il male , che ci avrebbe fatto del male, che ci avrebbe portato crisi e catastrofi. Avevamo ragione noi. Loro la crisi, noi la speranza!. Loro erano asserragliati nei loro recinti metallici erano impotenti nella ragione, ma forti nella violenza e nell'arroganza. Ripensavo ai centinaia di compagni con la testa e le ossa rotte, poi ai volti sconfitti e mansueti, dei prigionieri uscire dal carcere. I volti tumefatti, zoppicanti, le braccia fasciate al collo. Non volevano parlare, volevano rimanere nel silenzio, Nel silenzio delle torture subite dalla giustizia, dalle forze dell'ordine costituito. Ho visto la partenza del corteo, quei volti invecchiati, alcuni li ho anche riconosciuti, molti avevano già i capelli bianchi, avevano il volto sereno ma triste per la violenza subita e l'impotenza di tutti questi anni. Il corteo si è snodato pacifico e quasi festoso, ma non gioioso, triste nel ricordo di quel martire ucciso dalla stupidità e dalla violenza del potere. Qualcuno si aspettava ancora violenza, i commentatori televisivi si stupivano quasi che il corteo scorreva lento e pacifico. "Ma come quasi 600 poliziotti, elicotteri, guardia di finanza tutto sto casino e nessun black block e manco una vetrina spaccata, un petardo?" "Ma attenti vi sono quelli della No Tav". "In mancanza di black block almeno loro che buttassero almeno un bengala, di quelli multicolori che ci hanno abituato di vedere nei loro raid ". Chiedevano ai loro inviati spiegazioni, motivazione di perché tanta non-violenza. Ma ormai il corteo era giunto a Piazza Caricamento. Mi son fermato un attimo . Ho chiamato al cellulare un compagno. Lui era li. Io no. " Dimmi che aria si respira, qual'è l'umore della piazza?" " Guarda" mi dice " la stessa determinazione e consapevolezza di stare dalla parte della ragione di allora. Ma tanta tristezza nell'animo di non essere riusciti allora e poi in tutti questi anni ad avere giustizia per noi e per Carlo." Poi la musica copre la voce ed il segnale si perde. " Buona manifestazione, amico mio. Avrei voluto essere anch'io li come dieci anni fa.

Poi la sera , come al solito faccio zapping in maniera frenetica. I telegiornali hanno appena appena ricordato quel corteo e non tutti. Non vi era stata violenza e quindi non bucava la notizia. Dopo mezzanotte ecco una trasmissione che , almeno nelle intenzioni, voleva raccontare i processi di dieci anni prima. La voce e le immagini, le testimonianze, la voce del PM e quella dei giovani accusatori, i 93 massacrati alla scuola Diaz e poi quelli torturati alla caserma Bolzaneto. Il rifiuto da parte dello Stato di parlare di raccontare la sua versione dei fatti. La consegna era tacere, tacere ed obbedire.

Una strana giornata quella di ieri.
--
Zag(c)

Quella lezione da Genova.


Toni Jop, 22 luglio 2011. Fonte: paneacqua
A dieci anni dai fatti del G8 di Genova, si può affermare che questi hanno avuto nel cammino di noi italiani il ruolo e il peso di una durissima tappa di formazione, soprattutto nel solco della maturazione di una percezione collettiva, consapevole e condivisa di eventi che organizzavano le coscienze oltre le consuete polarità politiche, producendo nuova politica, nuovo "stare assieme". Il nostro sguardo su Genova G8 sta alla nuova sensibilità comunitaria, affamata di pubblico che funzioni e soprattutto di legalità fondata sull'uguaglianza, allo stesso modo della manifestazione delle donne del 2011, delle tante occasioni di lotta, dall'acqua al nucleare, ormai adottate dal sentire comune nello spazio delle matrici della nostra cultura politica attuale

Noi che non c'eravamo. Noi che non c'eravamo, abbiamo visto un film. A casa come nelle redazioni, per dire di luoghi di lavoro, siamo stati perseguitati da un film che nessuno avrebbe voluto vedere. Inseguiti, assaliti, colpiti, in un ciclo persecutorio di immagini che minuto dopo minuto, emittente dopo emittente, ci hanno trasformati, tutti e cioè ciascuno per proprio conto all'inizio, in un pubblico solenne. Dico "solenne", uso un aggettivo tanto solitario e inusuale quanto l'ipotesi di una realtà emersa da un altro mondo era stata in grado di eccitare l'indignazione più forte, eucaristica, massificante che nessuno di noi aveva lontanamente immaginato, previsto, perché per prevedere bisogna conoscere e noi non conoscevamo, non quella piega che negli eventi del G8 avrebbe interessato la comunicazione e la partecipazione corale a ciò che non ci aveva visti interpreti.
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