Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 9 luglio 2011

Sull'onda anomala degli spread.


"Sull'onda anomala degli spread". Titolo di un film gia' visto ... in prima visione ad Atene.
Galapagos - il manifesto 09 Luglio 2011. Fonte: dirittiglobali
L'editoriale con il quale ieri mattina il Financial Times ha commentato la manovra varata da Berlusconi sottolineando che c'è una certa confusione sui numeri e che mancano vere riforme, ha anche profeticamente anticipato: «l'Italia naviga ancora sull'orlo della tempesta».E ieri, per tutta la giornata, l'Italia ha «ballato» sui mercati internazionali sballottata dalle violente onde degli spread. Semplificando: i titoli del debito pubblico italiano (Btp) vengono giudicati parecchio meno affidabili di quelli (a parità di durata) della Germania, chiamati Bund. Il risultato è che il rendimento che debbono pagare i Btp italiani è molto più alto di quello che pagano i bund. Questo differenziale (lo spread) ieri è salito a 247 punti base, ovvero il 2,45%. Semplificando, i Btp italiani a 10 anni pagano tassi di interesse superiori al 5%, mentre quelli tedeschi, più affidabili, sono poco sopra il 3%. Non è cosa da poco per un paese che ha un debito pubblico di quasi 1.900 miliardi: la spesa crescente per interessi su una mole così enorme di debito rischia di vanificare tutti i sacrifici che impongono le manovre correttive.

Syndagma.... senza commenti.















La primavera degli operai cinesi.



Nel Guandong gli operai della nuova generazione vogliono guadagnare di più con ritmi di lavoro più sopportabili. Industriali, sindacalisti e politici si trovano di fronte a problemi che non hanno mai affrontato
La buona notizia è che in Cina i salari stanno crescendo.
Dalla primavera del 2010 si succedono nel sud del paese, e non solo, ondate di scioperi spontanei, che normalmente si concludono con aumenti salariali consistenti. Nella ricca provincia costiera del Guangdong, tra Canton (in cinese: Guangzhou) e Shenzhen, nel cuore della “fabbrica del mondo” gli operai di molte imprese, sia multinazionali straniere che cinesi (private o pubbliche) hanno ottenuto nel corso del 2010 aumenti salariali dell’ordine del 30-40 per cento. Le imprese di Taiwan e di Hong Kong dichiarano aumenti medi del 14 per cento nelle loro filiali cinesi. Nelle principali città i salari minimi stabiliti per legge sono stati aumentati del 18 per cento. Il nuovo piano quinquennale prevede un aumento salariale medio del 15 per cento annuo.
Tra le cause di questa nuova tendenza, l’eccesso di domanda sull’offerta di lavoro, qualificato e non (c’è penuria di forza lavoro in tutta la regione), dopo due decenni di fortissima crescita industriale; l’arrivo sul mercato del lavoro dei giovani della “generazione dei figli unici”, più consapevoli e combattivi; e l’assottigliarsi dell’esercito di riserva dei migranti interni, perché anche molte province interne si sono industrializzate (è il caso, ad esempio, di Chong Quing, dove ha aperto il nuovo stabilimento Iveco, accanto a molti altri)
Abbiamo chiesto a Jean Ruffier, un sociologo francese con una lunga esperienza di indagine sul terreno a Canton, di scriverci un suo commento.
(nota introduttiva di Giovanni Balcet, 5.7.2011)
Se il sud della Cina e in particolare la provincia del Guangdong è diventato la fabbrica del mondo, questo si deve notoriamente all’esistenza di una manodopera operosa, obbediente e disponibile ad accettare senza recriminare bassi salari e cattive condizioni di lavoro. Negli ultimi vent’anni la crescita è stata ininterrotta ma i salari si sono mossi poco. Le statistiche ufficiali cinesi mostrano perfino una dinamica salariale inferiore a quella del Pil.

Le figlie perdute della Cina - Xinran Xue




La Cina è vicina, sempre più vicina. E' un laboratorio di quello che potrà succedere nel resto del mondo per l'ambiente, la società, la politica. Da anni si sa, si scrive, che se il ventesimo secolo era stato il secolo degli Stati Uniti, quello che stiamo vivendo sarà quello della Cina. Potrebbe implodere per una crescita incontrollata che ha portato alle più grandi migrazioni di massa interne, dalle campagne alle città della Storia o diventare il nuovo Guardiano del mondo. La sovrappopolazione, un tema che presto tardi potrebbe riguardare ogni parte del pianeta, in Cina è realtà da decenni e peggiora con la diminuzione delle risorse alimentari e la siccità. Xinran Xue autrice del libro "Le figlie perdute della Cina" racconta le contraddizioni sociali di questo grande Paese attraverso gli occhi delle bambine.
Intervista a Xinran Xue, autrice e giornalista
La Cina del figlio unico


Il mio nome è Xinran. Prima di tutto sono una donna cinese, una figlia cinese, una madre cinese, una giornalista e scrittrice cinese. Vivo nel Regno Unito dal 1997 e lavoro come volontaria per Mothers’ Bridge of Love. Sono solita dire alle persone che nella vita di una donna ci sono tre tipi di lavoro: la carriera, l’essere moglie e l’essere madre. Ho sempre creduto che il più difficile fosse essere madre, in particolare madre di un unico figlio. Il lavoro, se non ti piace, puoi cambiarlo. Se non ti piace tuo marito, puoi cambiare il tuo matrimonio ma se non ti piace il fatto di essere madre, non hai scelta. Devi andare avanti. E la cosa più difficile, come madre di un unico figlio, è che quando lo partorisci, dopo dieci mesi di gravidanza, scopri di essere cambiata perché la tua vita adesso è completamente rivolta a lui, anche se sfortunatamente nessuna donna sa come essere madre. Lo imparano tutte mentre i figli crescono.

venerdì 8 luglio 2011

SPECULAZIONE: TUTTO COME PREVISTO





Non venite a dire come fa oggi il Papa laico, Mario Draghi che c'è bisogno di austerity e responsabilità. Non provate nemmeno ad avvicinarvi a noi con queste retoriche da coccodrilli in lacrime. L'Italia ed i paesi periferici sono stati volutamente consegnati, legati come agnelli sacrificali, all'altare della speculazione finanziaria. Le classi dominanti in questo anno di crisi non hanno mosso un dito per risolvere la crisi, non hanno fatto nulla per limitare la speculazione, niente per ridurre il ruolo delle agenzie di rating. Non hanno mosso un dito per impedire la vendita dei titoli allo scoperto e hanno impedito che la BCE potesse intervenire per internalizzare il debito sovrano degli stati periferci. Oltre a questo non hanno nemmeno fatto una promessa scritta per tassare le transazioni finanziarie, e nulla hanno fatto contro gli stati canaglia chiamati paradisi fiscali. Ma c'è di peggio, i soldi pubblici riversati per salvare le banche private sono oggi utilizzati per speculare sui titoli di stato degli stati sovrani.
Oggi lo spread tra Btp italiani e Bund decennali ha superato quota 245 punti. Il differenziale di rendimento si è allargato a 245,3, record dall'introduzione dell'euro, con il tasso di rendimento del Btp decennale salito al 5,36%. Saranno i nostri sacrifici nel prossimo futuro a pagare il conto del banchetto che tiene oggi la speculazione finanziaria. Per quanto ancora siete disposti a farli?

Resistenza pacifica. Un esempio.


La spirale del disincanto.


di Vittorio Rieser su il manifesto. Fonte: esserecomunisti
Un mondo schiacciato dalla competizione

Tra pervasività della finanza e crisi del legame sociale. Un incontro con lo studioso Alessandro Casiccia
Da alcuni anni, Alessandro Casiccia sta concentrando la sua attenzione di ricercatore sugli aspetti cruciali della nuova fase capitalistica: la globalizzazione, la finanziarizzazione, la competizione non regolata e «ideologizzata». Fra le sue opere, negli anni duemila, si possono ricordare: L'azione in un'era di incertezza (Rosenberg & Sellier 2000), Il trionfo dell'élite manageriale (Bollati Boringhieri 2004), Democrazia e vertigine finanziaria (Bollati Boringhieri 2006), Lusso e potere (Bruno Mondadori 2008)
L'ultimo suo lavoro è dedicato appunto al tema della competizione (I paradossi della società competitiva, introduzione di Luciano Gallino, Mimesis, pp. 122, euro 14). In proposito, gli abbiamo rivolto alcune domande.
Quali sono gli «effetti distruttivi» della competizione, e qual è - di fronte ad esse - la risposta dell'intervento pubblico?
Ogni confronto competitivo tende all'altrui eliminazione. Paradigmatico è il modello dell'agonismo sportivo. Dove però in partenza si esclude una marcata disparità fra i partecipanti e una facile previsione del risultato finale. E dove, una volta concluso ogni torneo o campionato, si ricomincia. Non funziona così la concorrenza nel nuovo capitalismo finanziario. Qualsiasi mossa di fusione o acquisizione parte da uno squilibrio, come l'indebolimento di una parte (vedi l'Opa Lactalis su Parmalat). E produce effetti sostanzialmente irreversibili. Del resto non trova applicazione nemmeno l'ideale di Friedrich August von Hayek (grande teorico della competizione); il quale non soltanto assumeva quale condizione l'imprevedibilità dell'esito ma, per la natura matematica del modello, non contemplava iniziali vantaggi per l'uno o per l'altro.

BRUNO JOSSA: Esiste un’alternativa al capitalismo?


Fonte: ilcannocchiale
L’impresa democratica e l’attualità del marxismo, Manifestolibri, Roma, 2010, pp. 446, ISBN:978-88-7285-644-4, € 36,00.
Il libro di Bruno Jossa costituisce uno dei rari tentativi volti a proporre una forma di organizzazione economica alternativa al capitalismo e si muove nel solco tracciato da autori come Meade (1989), Roemer (1994), Schweickart (2002), che hanno presentato in un recente passato proposte di matrice socialista. L’autore delinea un sistema produttivo composto in prevalenza da imprese gestite dai lavoratori, definite equivalentemente imprese democratiche o cooperative di produzione, in cui la sovranità appartiene ai lavoratori. Questi ultimi eleggono periodicamente gli amministratori che di fatto gestiscono correntemente l’impresa, mentre l’assemblea dei soci viene investita dei fatti più rilevanti quali l’approvazione del bilancio, la nomina o revoca degli amministratori, i piani strategici e quelli di natura straordinaria.

Svolta ideologica o manovra diversiva?



Comunicato di Attac France. Fonte: attac
Una tassa sulle transazioni finanziarie su scala Europa: svolta ideologica o manovra diversiva?
La Commissione europea ha pubblicato il suo bilancio preventivo 2014 - 2020.
Con una sorpresa: questo bilancio prevede entrate tramite una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo. Un’inversione a 180 ° per la Commissione, che era stata sinora totalmente negativa!
La tassa proposta si applicherebbe a tutte le operazioni con un tasso del 0,1% per le transazioni in contanti e 0,01% per i prodotti derivati. Algirdas Semeta, commissario europeo alla fiscalità, prevede un fatturato di 54 miliardi che andrebbe ad alimentare il bilancio dell’UE e frenare la speculazione.
Questa è una vittoria politica per Attac da oltre 10 anni propone l’introduzione di una simile tassa. Basta, però, guardare più da vicino le proposte della Commissione per scoprire che i conti non tornano.
In primo luogo, la Commissione prevede di realizzare l’obiettivo entro il 2018. Tale ritardo è del tutto ingiustificabile. Non è questo un puro annuncio ad effetto nel momento in cui in Europa si moltiplicano le resistenze contro il piano di iper austerità? Mentre l’Unione europea richiede rigorosa austerità fiscale – facendo pagare ai cittadini i costi di una crisi causata dai mercati finanziari - come prendere sul serio questa presunta volontà di contrastare la finanza speculativa…da qui a sette anni?
Inoltre, mentre per noi questa tassa dovrebbe servire a finanziare i beni pubblici globali (sanità, istruzione, la stabilità del clima ...), la Commissione ha scelto di utilizzarne il gettito per ridurre i contributi versati dagli Stati membri. Il bilancio europeo rimarrà limitato al 1% del PIL dell’UE, lontano dal livello che consentirebbe di costruire una vera solidarietà europea.
Attac continuerà a sostenere il principio di una TTF con la prospettiva di una immediata e rigorosa regolamentazione dei mercati e delle attività speculative. Sono gli speculatori, e non i popoli a dover pagare i costi della crisi! Istituire strumenti di controllo del debito pubblico, per arrivare alla cancellazione dei debiti illegittimi. Bisognerà imporre un controllo sociale del sistema bancario e la ridefinizione del ruolo della BCE.
Queste misure sono necessarie a livello europeo e / o nazionale per uscire dalla crisi che attanaglia l’Europa. Mai come ora, le mobilitazioni in Grecia e in Spagna e in tutta Europa contro i piani di austerità, esprimono una volontà di rottura da parte dei popoli d’Europa rispetto alle politiche dei governi europei, delll’UE e delle istituzioni finanziarie internazionali.
Attac Francia,
Parigi, 6 luglio 2011

giovedì 7 luglio 2011

Il ritorno di Superciuk


di Stefano Galieni. Fonte: controlacrisi
Per chi è giovane e poco preparato nel mondo dei fumetti, è necessario un giro in qualche negozio di usati o, quantomeno di cercare in rete una risposta alla domanda che milioni di italiani si stanno ponendo in questo momento. Chi è l’ideologo che ha ispirato e forse addirittura dettato la rapina a mano armata che si va preparando altrimenti denominata manovra finanziaria? Max Bunker, alias Luciano Sechi, uno dei migliori disegnatori italiani, ha rotto il silenzio: si tratta di una sua creatura che si appresta a compiere fra un mese i 40 anni di vita, si chiama Ezechiele Bluff ma, quando si aggira per le lande desolate metropolitane indossa un costume che ne rende impossibile il riconoscimento e si fa chiamare Superciuk. La sua è una storia sordida, spazzino, perennemente senza un euro in tasca, ha imparato presto a conoscere la reale contraddizione di classe. Nel suo universo il mondo è diviso in due, c’è la plebaglia povera e indigente, ineducata e perennemente colta nell’atto di insudiciare le strade con la propria miseria e la propria volgarità e poi ci sono loro, i ricchi. Si loro, belli, vivaci e snelli, come cantava una vecchia canzone di lotta, sempre immacolati, vestiti e pettinatura impeccabili, l’aurea di soprannaturalità che sprigionano al passaggio, anche se siedono su un rombante Suv. La missione di Superciuk, che ha fra i propri poteri quello di stendere gli incauti che incontra con una fiatata ad alto tasso alcoolico, provocata da ingestione di pessimo vino, è da sempre solo una: rubare ai poveri per dare ai ricchi.

BUONE VACANZE, ANZI NO


C'è tanto da fare, proprio ora ...
di Riccardo Orioles. Fonte: ucuntu
Spero che siate in vacanza, tutti meno quelli che portano avanti siti,
blog, movimenti e roba varia. Siete infatti l'unica forza concreta di
questo paese. I politici, per quanto benintenzionati, sono dilettanti:
Di Pietro che fa i capricci, Vendola sì-e-no, Veltroni che vuole i
referendum ma nel Pd, Grillo che oggi è Mao e domani Fantozzi...
I cattivi, purtroppo, in vacanza non ci vanno mai. Noi abbiamo
dimenticato il G8, ma loro no, e infatti ci riprovano a ogni
occasione. Noi non riusciamo a fare una rete unita, e loro appena
possono ce la strozzano coi bavagli. Noi ci accapigliamo sul sesso dei
diavoli e loro, ridendo e scherzando, preparano golpe alla vaselina.
Gli operai, in vacanza ci vanno poco e male. Quelli più fortunati (i
polentoni, i terroni al nord e tutti gli altri “perbene”) ci vanno col
cuore in gola, non sapendo se ritroveranno la fabbrica (svanita in
Cina, in India, o semplicemente in cocaina) e se dovranno lavorare il
doppio o solo qualche ora in più.
Per tutti gli altri – callcenterine romane, neri, terroni al sud,
muratori rumeni – la parola “vacanza” è una di quelle a cui anche solo
pensare è pericoloso, come “pensione”, “contratto”, “orario” o
“avvenire”.

BARACK OBUSH


E' uscito il nuovo libro di Giulietto Chiesa e Pino Cabras, Barack Obush (Ponte alle Grazie, 2011). Fonte: megachip
La liquidazione di Osama, l'intervento in Libia, la manipolazione delle rivolte arabe, la guerra all'Europa e alla Cina: colpi di coda di un impero in declino.
Che significa e come si è svolta l’oscura uscita di scena di Osama bin Laden? Che fine ha fatto Al-Qa’ida, ed è mai stata come ci hanno raccontato? Chi sta andando al potere in Egitto e altrove, dopo le primavere arabe, e in che modo gli Stati Uniti tentano di controllare la riorganizzazione del potere? Chi sono i cirenaici a sostegno dei quali gli USA e noialtri abbiamo deciso di far guerra a Gheddafi? Eroici difensori della libertà o i complici di turno dell’impero? Che svolgimento avranno i tesissimi rapporti con Iran e Siria? In che modo la crisi dei Paesi europei più deboli è legata alla guerra euro-dollaro? E che cosa stanno tentando di fare gli Stati Uniti, segretamente o meno, per controbilanciare la rapidissima ascesa cinese?
Tante questioni che i nostri media lasciano irrisolte, trovano qui, grazie alla penna acuminata di Giulietto Chies a e Pino Cabras, una luce nuova. Se non rasserenante, almeno molto chiara: sullo sfondo di una guerra globale per il momento a (relativamente) bassa intensità, il ruolo degli Stati Uniti di Obama – oramai non diverso dai predecessori, e in fondo espressione più correct degli stessi interessi reali – è quello di un impero al declino, gravato dall’immenso debito, dallo svuotamento della democrazia e dalla feroce concorrenza internazionale, che tuttavia dovrà vender cara la pelle. Il più cara possibile: e a pagare potremmo essere tutti noi.

Vietato pubblicare notizie.


di Simone Santini, Pino Cabras e Naman Tarcha - Fonte: megachip.
Il titolo del «Corriere della Sera» del 6 luglio 2011 a pagina 14
(il pezzo si trova anche nella versione on-line) è perentorio e non lascia margine ai dubbi: “Siria, ordine di sparare su chi filma”. Il sottotitolo conferma: “Ragazzo riprende
un cecchino: la sua morte trasmessa su Youtube”. La versione
on-line, grazie alle multimedialità, consente di riprendere il video
e caricarlo sul canale del CorriereTv, con titolazioni altrettanto
forti: “La morte in diretta – Video choc”. Peccato che il video
puzzi di tarocco lontano un miglio. L’articolista del «Corriere
della Sera», corrispondente da Gerusalemme, ammette, bontà sua, che
«nessuno può dire che il video sia autentico». E, tuttavia, aldilà
di questo, dismette ogni traccia di senso critico che un qualunque
giornalista dovrebbe mantenere, ammesso che desideri pubblicare
notizie.
E, infatti, così il video viene raccontato: «Diversi indizi fanno
pensare sia stato girato da un tetto di Homs». Quali indizi
specifici? il giornalista se ne sta sul generico. «Si vedono case,
balconi, antenne paraboliche. Di colpo, un soldato proprio nel palazzo
di fronte. Il cameraman se ne accorge, scappa. Si sentono degli spari.
Poi si rivede il soldato. Che mira sull'obiettivo e lo centra. Il
cellulare che cade per terra. Urla, pianti, richieste d'aiuto. Una
morte in diretta».

Ora guardate voi stessi il video direttamente su YouTube, e dite se
vedete le stesse immagini raccontate da Francesco Battistini.
Ora vi raccontiamo le immagini così come le vediamo noi e, crediamo,
le vedrebbe chiunque. Immagini mosse girate con una videocamera da un
tetto, o balcone, di una città, forse mediterranea, forse araba. In
sottofondo si odono clamori di una manifestazione e spari. Il
videoamatore tuttavia, riprende tetti, muri e pezzi di cielo in
maniera completamente confusa, senza riuscire ad inquadrare uno
straccio di immagine della manifestazione e degli scontri.

mercoledì 6 luglio 2011

I terroristi in cravatta fanno fatica a convincere i greci che debbono ucciderli per il loro bene.


di Rodrigo Rivas. Fonte: domaniarcoiris
Voce narrante, conclusione del film: «Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico» (“Z – L’orgia del potere”, Costantin Costa-Gavras, 1969).

1) Qualsiasi portavoce della cellula terroristica del FMI operante in Italia, ad esempio il “ministro della pioggia”, Maurizio Sacconi (quello del “l’aggiustamento è inevitabile quanto la pioggia”) vi direbbe: “Se le riforme non funzionano, il FMI raccomanda di approfondirle”. Roba da pazzi in libertà, e non per colpa di Basaglia. Come a dire “per il paziente che non da segnali di miglioramento e, anzi, peggiora ogni volta che gli somministrano gli antibiotici, i medici raccomandano di aumentarne la dose”. Come dire, “i torturatori continueranno a torturare la loro vittima finché riusciranno ad ottenere ciò che vogliono” (beh, questa ha più senso o, quantomeno, è una pratica secolare).

2) Secondo Vladimir Putin, le riforme liberiste realizzate da Boris Yeltsin per conto degli Harvard Boys negli anni ’90 avevano portato la Russia a tassi di natalità più bassi, ad attese di vita più brevi e ad una emigrazione di massa, provocando la maggiore riduzione della popolazione nel secondo dopoguerra.

Informa l’agenzia Novisti il 27 aprile 2011: “Secondo Valeri Goregliad, vicepresidente della Corte dei Conti, in Russia lo 0,2% delle famiglie controlla quasi il 70% della ricchezza nazionale. Questa disuguaglianza non può incentivare le crescita economica. Oggi il salario medio in Russia rappresenta tra il 40 e il 60% del salario medio europeo, ma poiché la produttività del lavoro non aumenta velocemente, prima di aumentarli bisogna aumentarne la produttività”.

In seguito alla svendita del patrimonio pubblico russo è sorta una nuova classe di superricchi mafiosi che li usano, ad esempio, per acquistare squadre di calcio. Secondo il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Caltanisetta, Roberto Scarpinato (Relazione al Parlamento Europeo, Bruxelles 30 marzo 2011), “è ormai unanimemente riconosciuto che il capitalismo russo è un capitalismo mafioso in una misura che viene quantificata tra il 60 e il 70%. Fonti dello stesso governo russo sostengono che circa il 40% delle imprese private, il 60% di quelle statali, l’85% delle banche russe e il 70% delle attività commerciali, sono soggette ad infiltrazioni o comunque sono sotto l’influenza delle organizzazioni criminali, e quasi la totalità delle imprese commerciali nelle maggiori città è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali. Con le ultime elezioni la situazione si è aggravata. Molti mafiosi sono diventati assistenti parlamentari dietro il pagamento di una somma di denaro. Adesso in Russia, i 450 deputati della Duma si servono di 15.000 assistenti parlamentari, alcuni dei quali sono stati uccisi per contrasti tra gruppi criminali locali. La mafia russa siede ormai nel cuore della finanza internazionale, ed è divenuta una delle componenti strutturali del capitalismo globale, del nuovo potere privato in grado di condizionare l’ordine geoeconomico e geopolitico internazionale. La compenetrazione tra capitalismo legale e mafioso, nonché la crescita tumultuosa dei «Sistemi criminali» sono poi una tragica realtà in alcuni paesi europei nati dal crollo dell’impero sovietico, nei quali la fusione tra esponenti delle nomenclature al potere e organizzazioni mafiose è talmente radicata che, per definire tali paesi, alcuni studiosi utilizzano le espressioni «regimi criminocratici» e «Stati-mafia»”.

3) Tra i protagonisti della crisi finanziaria iniziata nel 2008 negli USA c’era la banca di investimenti Goldman Sachs. Dichiarata in bancarotta, nel settembre 2008 la Federal Reserve decideva di trasformarla in banca commerciale, previo regalo (“riscatto”) di 10 miliardi di dollari (pubblici). Nell’aprile 2010 la Commissione statunitense di controllo sulle borse l’ha accusato di frode legate alle ipoteche subprime. “Attualmente è giudicata nei tribunali statunitensi per avere emesso obbligazioni vendute ai suoi clienti su ipoteche di cui aveva previsto il fallimento. Secondo le autorità statunitensi, per questa frode gli ingenui investitori della Goldman Sachs hanno perso circa 740 milioni di euro” (“El País”, Madrid 17 aprile 2010).

Goldman Sachs ha avuto un ruolo centrale nel nascondere il deficit pubblico greco alla UE, ai mercati finanziari e alla opinione pubblica (“The Guardian”, Londra 20 aprile 2010). Inoltre, ha venduto buoni greci per circa 11 miliardi di euro. Solo con questa ultima operazione, afferma l’agenzia finanziaria statunitense Bloomberg News, Goldman Sachs ha guadagnato circa 735 milioni di euro tra il 2002 e il 2007 (“El País”, Madrid 18 febbraio 2010).

martedì 5 luglio 2011

Domani chiudono la rete. Se gli gira.


di Miguel Martinez. Fonte: kelebeklerbolg
Il 6 luglio, cioè domani, l’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (Agcom) ci presenterà con una novità radicale: potrà rendere invisibile qualunque sito web, a proprio discrezione.
Il provvedimento viene analizzato in dettaglio su Sito non raggiungibile.
Non si tratta, come afferma qualche sito, di un “tentativo di Berlusconi di censurare la rete“, cosa relativamente preoccupante, visto che Silvio Berlusconi prima o poi uscirà di scena. Si tratta piuttosto dell’applicazione di una direttiva europea, riguardante i diritti d’autore.

Infatti, l’idea mi sembra che sia questa.
A Hollywood, spendono miliardi per fare un blockbuster. Il giorno in cui esce nelle sale, il film è già disponibile gratuitamente in rete. Se la casa produttrice ricorre alla magistratura, la magistratura le darà ragione con i suoi tempi, quando il film non ci sarà più nelle sale, anzi sarà già fuori moda.
Insomma, i tempi della rete non sono conciliabili con quelli della giustizia. E il problema in effetti esiste.
La soluzione dell’Agcom consiste nell’abolire la giustizia, visto che interferisce con il mercato.

Valsusa. Default: la democrazia coloniale.


Niente arriva a sproposito, se arriva insieme al denaro. (Shakespeare)
Fonte: senzasoste
Tra i tanti significati che default assume, in inglese e nell’uso che ne viene fatto in italiano, ce ne sono due che caratterizzano il tipo di democrazia coloniale che viviamo. Il primo è legato direttamente al linguaggio economico-finanziario. Default è infatti la ristrutturazione del debito di uno stato. Assolutamente da evitare, per le banche e per chi ha investito in quel debito (non per chi ci ha scommesso contro), per cui il “rischio default” comporta durissime politiche di tagli alla spesa e all’assistenza pubblica. Il risultato? Coloniale anche se formalmente procurato da uno stato sovrano e senza intervento militare esterno. Per fare un esempio: recentemente Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, ha detto che la Grecia “ha margini di sovranità ormai molto limitati”. Potenza coloniale del rischio default.

L’altro significato, su cui focalizzarsi, è default inteso come automatismo, qualcosa che scatta all’avvio di un qualsiasi processo di avviamento di dispositivo. Ora sappiamo che esistono miriadi di forme di democrazia e che questa evoluzione, storica, di differenziazione della forma democratica racchiude significati meno legati al senso di libertà di quanto si possa immaginare. Ad esempio in Italia si riflette poco sul concetto di democrazia coloniale. Eppure storicamente Francia e Inghilterra sono state democrazie coloniali, dove, contemporaneamente al processo interno di democratizzazione borghese, si delineava una strategia di lunga durata di occupazione coloniale di territori extraeuropei. L’introduzione di un codice civile, di una rete di formazione e scolarizzazione e di una amministrazione pubblica rappresentavano, nei territori occupati, la microfisica di un potere coloniale a provenienza democratica.

TAV: giornali black col cervello in bloc.


di Marco Travaglio. Fonte: ilfattoquotidiano
Buongiorno a tutti, vorrei ancora parlare del Tav, di quello che è successo anche ieri nelle zone interessate dal cantiere minacciato per la costruzione della ferrovia e quindi del tunnel perché adesso si minimizza sulla stampa di oggi, le dichiarazioni di Bersani "ma in fondo è una ferrovia, come ci si fa a opporre a un ferrovia?". Se fosse una ferrovia non si opporrebbe nessuno, stiamo parlando di 70 chilometri di tracciato dentro le montagne, quindi di tunnel, uno, quello più famigerato, da 50 chilometri e altri più ridotti per un ammontare di altri 18/20 chilometri. Questo è il problema, non è il problema di opporsi alla ferrovia.

I black bloc dell'informazione
I titoli dei giornali di questa mattina sono pazzeschi, ci sono giornali black block non tutti, ma ci sono giornali black block, alcuni sono solo black, altri hanno il cervello in block

Questo è Il Giornale “Si scrive No Tav, si legge BR” i black block uguali alle BR hanno gli stessi bersagli, i teppisti No global, cosa c’entrano i No global, megafono della medesima propaganda dei terroristi rossi, esaltazione della violenza contro la proprietà privata e le forze dell’ ordine e questo sarebbe un docente di sociologia politica nell’università di Roma a Tor Vergata e nell’università Luiss Guido Carli autore di anatomia delle Brigate Rosse, vincitore del Premio Acqui Storia Alessandro Orsini, pensate sostiene che la violenza delle Brigate Rosse era contro la proprietà privata, questa sarebbe stata la molla che fece scattare il terrorismo negli anni 70 e si avventura questo storico del lunedì in un parallelo tra gli infiltrati violenti nel movimento No Tav e le Brigate Rosse, cioè una banda armata organizzatissima con addentellati addirittura in governi stranieri in Medio Oriente, nel mondo dell’estremismo arabo e nella vecchia cortina di ferro, quelli che tirano i sassi infiltrandosi dentro il motivo No Tav sarebbero paragonabili alle vecchie Brigate Rosse che sequestravano la gente che godevano, purtroppo, di consensi nell’estremismo sindacale di Fabbri etc.,

La rivincita della Germania.


di Michele Basso. Fonte: sinistrainrete
Quando, caduto il muro di Berlino, le merci e i capitali tedeschi invasero l’Europa orientale, ci fu chi giustamente osservò che la conquista, non riuscita ai panzer di Hitler, era stata ottenuta con altri mezzi. La Germania sostituì la Russia come partner commerciale in quasi tutta l’area. Quindi la rivincita sulla Russia c’è già stata, bisogna vedere se questo avverrà anche nei confronti delle potenze occidentali. Qui è possibile fare solo ipotesi. Mentre i cambiamenti materiali delle condizioni economiche della produzione possono essere verificati con precisione scientifica – spiegano Marx ed Engels - le forme politiche con cui si affrontano i conflitti originati da queste condizioni devono essere spiegate indirettamente con le contraddizioni della vita materiale. Sarebbe semplicistico, perciò, attribuire alla Germania un peso politico e militare proporzionato alla sua importanza economica, perché non si possono trascurare fattori storici importantissimi, che pesano sulla politica e sulla psicologia di una popolazione. Il ricordo delle sconfitte militari, quello dell’iperinflazione del 1923, i vincoli dei trattati e la presenza di basi militari americane sul suo territorio non sono certo condizionamenti poco rilevanti.

Prima del crollo dell’Unione Sovietica, le motivazioni che avvicinavano la Germania agli USA prevalevano sui contrasti. La politica estera aveva forti limitazioni, ma le condizioni di marca di frontiera e la presenza di un forte impegno americano le portavano molti vantaggi, tra cui quello di non spendere eccessivamente per la difesa, e potersi concentrare sullo sviluppo economico. Con la fine della presunta minaccia russa (in Europa la Russia fu pressoché sempre sulla difensiva), assorbite le difficoltà dovute alla fusione, si affermò come prima esportatrice mondiale, solo recentemente superata dalla Cina. Il gigante economico non accetta più di rimanere un nano politico, ma gli ostacoli non sono pochi. L’apparato militare tedesco è ancora molto legato a quello USA, e non è facile che si ripeta con gli americani quello che accadde con i russi, che dovettero chiedere un finanziamento tedesco per poter portare via i propri soldati dalla Germania orientale. La cautela della politica estera di Berlino dà l’impressione di una linea per certi aspetti pacifista, ma sappiamo che è apparenza. Non esiste un imperialismo pacifico.

Comma salva portafogli del premier.


di Matteo Bartocci. Fonte: ilmanifesto

E 18! La diciottesima norma ad personam per Silvio Berlusconi (calcolo sicuramente per difetto) se ne sta lì, poche righe aggiunte da qualche manina proprio alla fine della «riforma della giustizia civile» che Angelino Alfano ha pomposamente inserito nella finanziaria triennale targata Tremonti. Un comma malandrino, che bloccherebbe alla vigilia della sentenza d'appello il risarcimento milionario che Fininvest dovrebbe dare a De Benedetti per il cosiddetto «lodo Mondadori».
Incurante dell'opinione pubblica e del significato «politico» del referendum sul legittimo impedimento, Berlusconi torna a piegare la legge per decreto alle sue convenienze personali. Col risultato che mentre in una causa civile i «poveri cristi» dovranno pagare subito i danni, i grandi debitori e le super-aziende non lo faranno mai fino a una sentenza definitiva della Cassazione.
L'articolo 37, comma 23, pagina 110, della bozza di decreto legge alla firma di Napolitano è un'aggiunta al testo visibilmente posticcia, che dà il via a un diritto civile di serie A e uno di serie B. Tutti i risarcimenti civili superiori ai 10 milioni di euro infatti saranno sospesi per legge fino alla sentenza definitiva. Giuseppe Maria Berruti, giudice della prima sezione civile della Cassazione, avverte che se approvata questa norma produrrà «un guasto irreparabile», fino a mettere in discussione la «credibilità» stessa del processo civile.

lunedì 4 luglio 2011

Ophelia: la presunzione d’innocenza a senso unico nel caso Strauss-Kahn.


di Gennaro Carotenuto. Fonte: giornalismopartecipativo
Giovanna Botteri spiattella da ore su tutti i canali Rai che Ophelia, la cameriera africana del caso Strauss-Kahn, abbia denunciato l’ex-direttore dell’FMI per stupro dopo un rapporto mercenario non pagato. E poi giù a sviscerare dettagli su come la puttana africana esercitasse il suo –presunto- secondo lavoro. Non si preoccupa, lei e molti altri mainstream, di citare la fonte di tali rivelazioni trattate come verità processuali.

Eppure non bisogna andare tanto lontano per essere indotti alla prudenza. Maurizio Molinari de La Stampa avverte che: “Lo rivela il N.Y.Post (giornale scandalistico che nulla ha a che vedere col New York Times, ndr) imbeccato dagli avvocati difensori”.
Il pezzo di Molinari è prezioso nel restituirci un contesto:

i tabloid di New York sono inondati da rivelazioni su «Ophelia» provenienti quasi sempre da ambienti vicini alla difesa dell’ex direttore esecutivo del Fmi, che punta a creare un’atmosfera favorevole al completo proscioglimento quando, il 18 luglio, si celebrerà la prossima udienza.

Fortunatamente qualcuno ogni tanto si ricorda di fare il giornalista e di restituire un frammento della complessità del mondo che ci circonda e non solo una semplificazione compiacente. Tutto ciò non significa che Ophelia, che ha un nome, Nafissatou Diallo (e la difesa della privatezza della quale è da tempo un vezzo dei media che fingono di essere politicamente corretti nei suoi confronti), non possa aver mentito in tutto o in parte. Non significa neanche che Dominique Strauss-Kahn non possa essere stato vittima di una falsa denuncia o perfino di un complotto ordito dalla Spectre. La Rete, che come sempre in questi casi dà il meglio e il peggio di sé, ne è già piena, millantando di una regia occulta di Nicolas Sarkozy dall’Eliseo oppure di una presunta trappola liberista dall’interno dell’FMI contro il presunto keynesiano Strauss-Kahn. Un complotto della destra contro il nostro campione di sinistra insomma, magari tendente a mettere il dirigente politico francese sullo stesso piano del re di bunga bunga e tutto si tiene, dalle scie chimiche all’11 settembre.

Un investimento inutile: alta velocità non vuol dire alta capacità.


Autore: Fonte: eddyburg
«I valligiani hanno qualche buona ragione per protestare»: lo dice un esperto di economia dei trasporti, non un “facinoroso”. Il Fatto quotidiano, 29 giugno 2011
Molte volte le proteste “ambientaliste” sono state vistosamente strumentali, e hanno ottenuto solo di far crescere di molto i costi delle opere: nel complesso degli investimenti italiani della rete di Alta velocità questo è stato un caso frequentissimo. E smettiamo di chiamarla Alta Capacità: una ridicola foglia di fico, i treni merci non ci viaggeranno mai, come in Francia e Spagna. Questo investimento appare difficilissimo da giustificare, anche stando solo alle cifre ufficiali, ovviamente “ottimistiche” (sia sui costi che sul traffico). Vediamo innanzitutto gli aspetti “strategici”, e smontiamo una serie di luoghi comuni insensati.
1. “Fa parte dei corridoi europei”: vero, ma ridicolo. Questi corridoi prioritari sono cresciuti talmente di numero che oggi sono 30, e coprono fittamente tutta l’Europa: nessun paese o regione poteva essere scontentata. Di priorità non si può proprio più parlare.
2. “Crea sviluppo e occupazione”: falso. Per euro pubblico speso, le grandi opere occupano pochissima gente rispetto a quelle piccole, o alle manutenzioni, di cui c’è estremo bisogno. Il cemento è una tecnologia matura, non è certo l’informatica o la microbiologia genetica.

domenica 3 luglio 2011

Grecia. Effetto boomerang.



di Joseph Halevi - il manifesto 03 Luglio 2011. Fonte: dirittiglobali
I debiti che non possono essere rimborsati non lo saranno mai. Alla Grecia, con la collaborazione di parlamentari degni di un paese comprador latino americano, è stata imposta la bancarotta e quindi l'aumento del deficit e del debito. Un anno fa, quando Atene promulgò il primo programma di austerità stabilito a Francoforte e Bruxelles, si disse che questo avrebbe migliorato le cose. Il pacchetto è stato applicato e la situazione è peggiorata. Lo stesso è successo per l'Irlanda.

La ragione è lapalissiana: i tagli riducono i redditi, che riducono le entrate fiscali, aumentando ulteriormente il deficit pubblico. A sua volta il debito pubblico aumenta, perché l'economia cala invece di crescere, mentre gli interessi sono positivi e maggiorati dal premio di rischio. Nella sua intervista al Financial Times del 29 maggio, Lorenzo Bini Smaghi sosteneva ottusamente che la Grecia era solvibile, purché mettesse in vendita le sue attività di capitale.

Quando studiavo i testi di scienza delle finanze ho imparato che la svendita di attività di capitale era un'operazione di liquidazione e di chiusura dell'attività, non di solvibilità per riprendersi. Le privatizzazioni previste dalla bozza di programma approvata nella seconda votazione dei deputati comprador del parlamento di Atene verranno effettuate a prezzi stracciati. Inoltre, come è successo nelle privatizzazioni in Gran Bretagna, vi saranno garanzie di rendite per un certo numero di anni qualora le entrate risultassero inferiori a delle soglie minime. Quindi il bilancio pubblico dovrà procurare tali rendite.
Le esperienze di Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda mostrano che si tratta di un circolo infernale. La Grecia in caduta libera non potrà sostenere tale situazione. Tutto fa quindi prevedere che il paese non potrà evitare il default e i connessi effetti di contagio, soprattutto attraverso i derivati dei credit default swaps. L'operazione di schiacciamento dell'economia greca è stata concepita per giustificare un aiuto pubblico, presentato come salvataggio della Grecia, alle banche tedesche e francesi che oltre a detenere debito greco sono in un caos finanziario che nascondono con ogni mezzo. La Guernica economica cui viene sottoposto il paese avrà un effetto di boomerang sui devastatori.

Intervista al filosofo Emanuele - L'ossimoro del capitalismo ecologista.


di Carla Ravaioli (il manifesto del 03/07/2011) Fonte: controlacrisi
«Simone Weil diceva che nel socialismo gli individui sono in grado di controllare la macchina tecnologica. Si tratta di capire perché è un'illusione». Emanuele Severino: «Tecnologia e ideologie all'ultimo round di uno sviluppo insostenibile»

Con il professor Emanuele Severino affrontiamo l'analisi sulla crescita produttiva, l'obiettivo più tenacemente auspicato e perseguito da economisti, imprenditori, governi, politici di ogni colore, e di conseguenza da tutti invocato anche nel discorrere più feriale.
Questo continuo parlare della crescita come di cosa ovvia è in buona parte dovuto all'ignoranza. Sono decenni che si va intravvedendo l'equazione tra crescita economica e distruzione della terra. Comunque, è tutt'altro che condivisibile l'auspicio di una crescita indefinita.

Professore, sta dicendo che l'economia è una scienza consapevole delle conseguenze negative della crescita?

Ha incominciato a diventarne consapevole: l'auspicio di una crescita indefinita va ridimensionandosi. Anche nel mondo dell'intrapresa capitalistica - la forma ormai pressocchè planetaria di produzione della ricchezza - ci si va rendendo conto del pericolo di una crescita illimitata; (anche se poi si fa ben poco per controllarla). Vent'anni fa, quando lei scrisse quel suo bel libro che interpellava numerosi economisti a proposito del problema dell'ambiente, la maggior parte degli intervistati affermava che quello del rapporto tra produzione economica ed ecologia era un falso problema. Oggi non pochi economisti sono molto più cauti e anche le dichiarazioni dei politici sono diverse da venti o trent'anni.

Internet, contro tutte le censure.


Avaaz, 01 luglio 2011. Fonte: paneacqua
Fra pochi giorni l'Autorità per le comunicazioni potrebbe votare un provvedimento che metterebbe il bavaglio alla rete, arrivando perfino a chiudere siti internet stranieri in modo arbitrario e senza controllo giudiziario. Inondiamo i membri dell'Autorità di messaggi per difendere la nostra libertà d'informazione su internet
Il governo di centrodestra ha lanciato un nuovo attacco alla libertà di accesso all'informazione, e fra qualche giorno un organo amministrativo sconosciuto ai più potrebbe ricevere poteri enormi per censurare internet.
L'Autorità per le comunicazioni, un organo di nomina politica, sta per votare un meccanismo che potrebbe perfino portare alla chiusura di qualunque sito internet straniero - da Wikileaks a Youtube ad Avaaz! - in modo arbitrario e senza alcun controllo giudiziario. Gli esperti hanno già denunciato l'incostituzionalità della regolamentazione, ma soltanto una valanga di proteste dell'opinione pubblica può fermare questo nuovo assalto alle nostre libertà democratiche.
Non c'è tempo da perdere. La prossima settimana l'Autorità voterà la delibera, e se insieme costruiremo un appello pubblico enorme contro la censura su internet potremo fare la differenza. Inondiamo i membri dell'Autorità di messaggi per chiedere di respingere la regolamentazione e preservare così il nostro diritto ad accedere all'informazione su internet. Agisci ora e inoltra l'appello a tutti!
http://www.avaaz.org/it/it_internet_bavaglio/?vl

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