Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...
(di classe) :-))
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...
(di classe) :-))
Francobolllo
Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.
Europa, SVEGLIA !!
sabato 31 marzo 2012
Milano 31 marzo. Occupyamo Piazza Affari
Sono arrivati da tutta Italia per contrastare le manovre di un governo e della Bce. In tanti e in tante per affermare che non è con questa strada che si esce della crisi, anzi si rafforza la distanza fra gran parte delle popolazione e le speculazioni del mercato finanziario. Tante realtà di movimento, del sindacalismo di base, di quel mondo che non si arrende. In piazza anche il Prc
14.25 Apre lo striscione "Occupiamo Piazza Affari. I nostri diritti contro i loro affari". Dietro i No Tav con, "La valle che resiste", Il corteo è partito da Porta Romana. E' stata vietato avvicinarsi alla Bocconi. Almeno 10.000 i presenti all'inizio.
14.55 Paolo Ferrero, in piazza dichiara:«Bisogna mettere la mordacchia al capitale, alla finanza, alle banche e alla speculazione. Cacciamo il governo Monti. L'articolo 18 va esteso a tutti e a tutte».
15.00 Debbono ancora arrivare 5 pulmann. Sono stati fermati dalla polizia all'ingresso in città e le persone perquisite e identificate. Si comincia a svuotare la piazza di partenza
15.10 Sfilano gli spezzoni di rappresentanti di tante vertenze, lavoratori dell'Alitalia, dell'Alcoa, della Wagon Lits, della Thyssen, delle Cooperative Sociali. Bandiere e striscioni dell'Unione Inquilini, di Asia e forte la presenza dei movimenti di lotta per la casa.
15.15 Negli slogan e negli striscioni il governo è definito Monti / Napolitano
15.30 Il corteo è cresciuto e ora sono almeno 20.000 i partecipanti
15.45 Murata una sede della Bnl in Corso di Porta Romana, con mattoni e bandiere Usb.
16.15 Grande lo spezzone No Tav, Perino incita i valsusini scesi a Milano poi saluta con un lungo abbraccio Paolo Ferrero. Il corteo si è fermato per attendere l'arrivo degli altri pullman
16.20 Fra gli striscioni ne spicca uno con la foto di Karl Marx e la scritta "E' questo il nostro modello tedesco"
16.25 Il corteo si concluderà con 3 assemblee, una in Piazza Affari, una in Piazza Cordusio e l'altra in Piazza Duomo. Gli slogan più gettonati contro Monti, contro la Fornero e contro la Tav. Si conferma la presenza di almeno 20 mila persone
16.32 Fischi e slogan davanti alla sede della Banca d'Italia difesa da un gruppo di carabinieri. "Servi dei servi dei servi dei servi. La città è fortemente militarizzata, elicotteri e oltre un migliaio di agenti in divisa
16.40 Surreale la cronaca del corteo di Repubblica. Da le notizie in anticipo di un ora, oscura al solito la presenza del Prc e freme nell'attesa di incidenti su cui speculare. La fine del giornalismo
16.45 A Via Torino, un gruppo di manifestanti No Tav, infastidito dall'eccessiva vicinanza di agenti in atteggiamento aggressivo, li circonda e chiede che si allontanino.
16.50 Giorgio Cremaschi dal palco chiede lo sciopero generale. «Siamo contro il governo Monti Napolitano. La finanza che vive al di sopra delle nostre possibilità, non ce la possiamo permettere».
16.55 Alberto Perino «Il governo Monti è un governo golpista che fa gli interessi delle banche. Il presidente della Repubblica èuno zar chesi diceva di sinistra e invece è solo sinistro».
17.05 Il corteo è giunto in Piazza Affari, dal camion di testa si è passati dalla musica agli interventi. Variegata la composizione della piazza, tanti i pensionati, le famiglie con bambini, i giovani, gli operai e i cassaintegrati. E poi centri sociali, sindacalismo di base e movimenti di precari. Fra le forze politiche solo Prc e Pcl. La piazza è piena e molti sono ancora in corteo.
17.30 Calati striscioni con scritte del tipo "Voi il debito noi la rivolta".
17.35 Ferrero parla all'assemblea in Piazza Affari e rivolgendosi al Pd afferma:«Inutile lamentarsi di Monti se poi lo si continua a sostenere in parlamento».
18.05 Con l'intervento di Giorgio Cremaschi si chiude l'assemblea in cui si erano alternate una ventina di compagni/e in rappresentanza delle tante anime della piazza. Cremaschi chiude affermando:«Non è che l'Inizio». A seguire una esibizione musicale di Turi Vaccaro, il pacifista e attivista No Tav che alcune settimane fa ha ricevuto un fascistissimo foglio di via con cui gli si intima di non poter soggiornare in Val di Susa
19.00 La piazza si è svuotata ma si preparano scadenze di movimento, per il primo maggio la tradizionale May Day, per il 12 maggio sciopero europeo e dal 17 al 19 la protesta si sposta a Francoforte, Occupy Bce
Ieri la Grecia, oggi la Spagna, domani l'Italia ... e l'Europa??!!
di Marco D'Eramo - controlacrisi -
La marea spagnola
Ieri la Spagna ha incrociato le braccia ed è scesa in piazza. Ma quanti anni dovremo aspettare prima di poter scrivere che a proclamare lo sciopero generale e a invadere le piazze è stata l’Europa, non questo o quel paese?
Perché l’asimmetria è lampante. Da un lato c’è una destra europea che si muove all’unisono, con una concertazione continentale, con una meditata strategia transnazionale, con la tedesca Angela Merkel che fa campagna per il francese Nicolas Sarkozy: e non sottovalutiamo quest’appoggio elettorale, perché in esso vediamo il primo emergere di un vero partito conservatore europeo, di un’inedita dimensione partitica sovranazionale: in precedenza, a fare l’Europa erano stati Valéry Giscard d’Estaing (destra) ed Helmut Schmidt (socialdemocratico) e poi François Mitterrand (socialista) ed Helmut Kohl (democristiano), cioè Francia e Germania, non la destra o la sinistra delle due rive del Reno.
A questa nuova destra multinazionale – cui vanno iscritti d’ufficio l’inglese David Cameron, lo spagnolo Mariano Rajoy e il nostro Mario Monti – si dovrebbero contrapporre le diverse sinistre nazionali che invece si muovono ognuna per conto proprio e che, quando tentano un’iniziativa comune (come a Parigi il 17 marzo scorso), raggiungono tutt’al più una sintonia flebile e di facciata.
Stessa asimmetria sul terreno sociale. Da un lato i capitalisti o – come si ama dire oggi – «i mercati» che da anni sfruttano al meglio l’occasione della crisi economica per realizzare la «grande normalizzazione», per riportare la lancetta della storia a prima del 1929, per cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso tra capitale e lavoro. In Portogallo e in Spagna non ci sono articoli 18 da cancellare, ma il 23 marzo il Portogallo ha proclamato lo sciopero generale contro l’abolizione di ogni vincolo ai licenziamenti, e ieri è toccato alla Spagna protestare contro la flessibilità selvaggia che le è imposta; ma è sfuggito che mercoledì a scioperare contro la «riforma» delle pensioni erano gli insegnanti britannici che potranno ritirarsi solo a 68 anni, dopo aver pagato più contributi e ricevendo meno. Questi tre scioperi filmano a meraviglia quel che succede: da un lato una simultanea offensiva sovranazionale senza precedenti contro i diritti dei dipendenti salariati, dall’altro proteste slegate tra di loro e perciò destinate a soccombere.
Sia chiaro, è anche comprensibile la tentazione nazionalista o protezionista (come nel caso del candidato francese di sinistra Jean-Luc Mélenchon): mentre per la destra il potere non è solo quello dello stato ma anche quello del denaro che essa fiancheggia, l’unica leva di potere cui la sinistra può invece puntare è il controllo dell’apparato dello stato nazionale: se le rosicchiano anche quello, è inevitabile la sensazione di non avere in mano più niente tranne un guscio vuoto di sovranità. Per di più l’euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità tra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative tra le diverse sinistre: basti vedere la – variegata, ancorché sostanziale – subalternità delle varie «socialdemocrazie» al patto di stabilità fiscale che viene fatto loro ingoiare.
Ma quella nazionalista è una tentazione illusoria e vana. Finché i nostri partiti non si convinceranno che il terreno dello scontro è l’ìntera Unione e non il singolo paese, la partita rimarrà truccata (come in una storica ballata di Giovanna Marini) e non ci si potrà poi stupire se i cosiddetti tecnocrati esercitano sui ruderi della politica un dispotismo non si sa quanto illuminato.
La marea spagnola
Ieri la Spagna ha incrociato le braccia ed è scesa in piazza. Ma quanti anni dovremo aspettare prima di poter scrivere che a proclamare lo sciopero generale e a invadere le piazze è stata l’Europa, non questo o quel paese?
Perché l’asimmetria è lampante. Da un lato c’è una destra europea che si muove all’unisono, con una concertazione continentale, con una meditata strategia transnazionale, con la tedesca Angela Merkel che fa campagna per il francese Nicolas Sarkozy: e non sottovalutiamo quest’appoggio elettorale, perché in esso vediamo il primo emergere di un vero partito conservatore europeo, di un’inedita dimensione partitica sovranazionale: in precedenza, a fare l’Europa erano stati Valéry Giscard d’Estaing (destra) ed Helmut Schmidt (socialdemocratico) e poi François Mitterrand (socialista) ed Helmut Kohl (democristiano), cioè Francia e Germania, non la destra o la sinistra delle due rive del Reno.
A questa nuova destra multinazionale – cui vanno iscritti d’ufficio l’inglese David Cameron, lo spagnolo Mariano Rajoy e il nostro Mario Monti – si dovrebbero contrapporre le diverse sinistre nazionali che invece si muovono ognuna per conto proprio e che, quando tentano un’iniziativa comune (come a Parigi il 17 marzo scorso), raggiungono tutt’al più una sintonia flebile e di facciata.
Stessa asimmetria sul terreno sociale. Da un lato i capitalisti o – come si ama dire oggi – «i mercati» che da anni sfruttano al meglio l’occasione della crisi economica per realizzare la «grande normalizzazione», per riportare la lancetta della storia a prima del 1929, per cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso tra capitale e lavoro. In Portogallo e in Spagna non ci sono articoli 18 da cancellare, ma il 23 marzo il Portogallo ha proclamato lo sciopero generale contro l’abolizione di ogni vincolo ai licenziamenti, e ieri è toccato alla Spagna protestare contro la flessibilità selvaggia che le è imposta; ma è sfuggito che mercoledì a scioperare contro la «riforma» delle pensioni erano gli insegnanti britannici che potranno ritirarsi solo a 68 anni, dopo aver pagato più contributi e ricevendo meno. Questi tre scioperi filmano a meraviglia quel che succede: da un lato una simultanea offensiva sovranazionale senza precedenti contro i diritti dei dipendenti salariati, dall’altro proteste slegate tra di loro e perciò destinate a soccombere.
Sia chiaro, è anche comprensibile la tentazione nazionalista o protezionista (come nel caso del candidato francese di sinistra Jean-Luc Mélenchon): mentre per la destra il potere non è solo quello dello stato ma anche quello del denaro che essa fiancheggia, l’unica leva di potere cui la sinistra può invece puntare è il controllo dell’apparato dello stato nazionale: se le rosicchiano anche quello, è inevitabile la sensazione di non avere in mano più niente tranne un guscio vuoto di sovranità. Per di più l’euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità tra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative tra le diverse sinistre: basti vedere la – variegata, ancorché sostanziale – subalternità delle varie «socialdemocrazie» al patto di stabilità fiscale che viene fatto loro ingoiare.
Ma quella nazionalista è una tentazione illusoria e vana. Finché i nostri partiti non si convinceranno che il terreno dello scontro è l’ìntera Unione e non il singolo paese, la partita rimarrà truccata (come in una storica ballata di Giovanna Marini) e non ci si potrà poi stupire se i cosiddetti tecnocrati esercitano sui ruderi della politica un dispotismo non si sa quanto illuminato.
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SI FA PRESTO A DIRE CRESCITA
di Silvia Zamboni
Pubblico di seguito il mio articolo Si fa presto a dire crescita uscito a febbraio
sul numero 19 di micron – ecologia, scienza, conoscenza, la rivista di A.R.P.A. Umbria,
in cui riporto alcune delle riflessioni emerse nel corso dell’ultima edizione
dei Colloqui di Dobbiaco (1-2 ottobre 2011) dedicati al tema Benessere senza crescita.
Di fronte alla crisi economica e occupazionale e alla crisi del debito pubblico che attanagliano il nostro paese, la parola ripetuta come un mantra salvifico è “crescita”. Quasi taciuto, invece, è il fatto che a questa fase di stallo economico, attraversata anche da altri paesi tra quelli di più vecchia industrializzazione, si accompagna, nel mondo, la crisi ecologica dovuta alla perdita di biodiversità e al superamento della carrying capacity del pianeta. Sarebbe interessante dunque che si discutesse a quale crescita si punta, per evitare la perpetuazione di questo modello economico-produttivo che ci ha portati alla non meno drammatica crisi dei cambiamenti climatici, e che ha nel PIL l’unità di misura per eccellenza dello stato di salute dell’economia. Essendo la crisi economica intrecciata da un lato a quella energetica (leggi: fine dell’epoca del greggio a basso costo e, nel caso dell’Italia, bolletta energetica che nel 2011 ha toccato i 62 miliardi di euro) e, dall’altro, a quella dei cambiamenti climatici, perché non coglierla come opportunità di cambiamento in direzione della sostenibilità ambientale e sociale?
Anche il parlamento tedesco ha recepito i segnali di inquietudine verso la riproposizione di un’idea di crescita tradizionale, ed ha istituito la Commissione d’inchiesta “Crescita, benessere, qualità di vita”. Obiettivo della Commissione è “lo sviluppo di un nuovo indicatore di progresso che, pur facendo ancora riferimento anche al PIL”, modifichi questa unità di misura del benessere sociale “basata su criteri puramente economici e quantitativi” includendo “criteri ecologici, sociali e culturali”. “Riparare i buchi nelle strade fa aumentare il PIL, ma non rende le persone più felici, né contribuisce al progresso della società”, ha dichiarato la socialdemocratica Daniela Kolbe, Presidente della Commissione. “Per questo sono rilevanti gli aspetti ambientali; ma anche l’accesso all’istruzione, la qualità del sistema sanitario e la redistribuzione del reddito”. Parole che riecheggiano ciò che Bob Kennedy sosteneva già nel 1968, ovvero che il PIL non bastava più per indicare il grado di benessere e di progresso di una società. Una conclusione a cui è giunto anche il presidente francese Nicholas Sarkozy, che nel 2008 ha insediato la “Commissione Sarkozy sulla misura della performance dell’economia e del progresso sociale”. Di questo pool di esperti, che aveva a capo i premi Nobel Joseph E. Stiglitz e Amartya Sen, e Jean-Paul Fitoussi dell’Istituto di Studi Politici di Parigi (IEP), hanno fatto parte anche Nicholas Stern (che ha legato il suo nome al famoso Rapporto Stern del 2006 sulle conseguenze economiche dei cambiamenti climatici), e Enrico Giovannini, presidente dell’ISTAT. Nel “Rapporto Stiglitz”, pubblicato nel novembre 2010 a fine lavori, in riferimento all’inadeguatezza dei dati statistici che orientano analisi e valutazioni dello stato di salute dell’economia, si legge che “Le statistiche di uso comune potrebbero non registrare alcuni fenomeni che hanno un crescente impatto sul benessere dei cittadini. Ad esempio, gli ingorghi di traffico possono aumentare il PIL a causa del maggiore utilizzo della benzina, ma ovviamente non la qualità della vita. Inoltre, se i cittadini sono preoccupati per la qualità dell’aria e l’inquinamento atmosferico è in aumento, le misure statistiche che ignorano l’inquinamento atmosferico forniranno una stima imprecisa di ciò che sta accadendo al benessere dei cittadini”. E più avanti: “Siamo anche di fronte a una incombente crisi ambientale, in particolare associata al riscaldamento globale. I prezzi di mercato sono falsati dal fatto che non vi è alcun onere imposto alle emissioni di carbonio; e non si è fatto nessun calcolo del costo di tali emissioni nella contabilità standard del reddito nazionale. Chiaramente, le misure di performance economica che riflettono questi costi ambientali potrebbero essere molto diverse dalle misure standard”.
Pubblico di seguito il mio articolo Si fa presto a dire crescita uscito a febbraio
sul numero 19 di micron – ecologia, scienza, conoscenza, la rivista di A.R.P.A. Umbria,
in cui riporto alcune delle riflessioni emerse nel corso dell’ultima edizione
dei Colloqui di Dobbiaco (1-2 ottobre 2011) dedicati al tema Benessere senza crescita.
Di fronte alla crisi economica e occupazionale e alla crisi del debito pubblico che attanagliano il nostro paese, la parola ripetuta come un mantra salvifico è “crescita”. Quasi taciuto, invece, è il fatto che a questa fase di stallo economico, attraversata anche da altri paesi tra quelli di più vecchia industrializzazione, si accompagna, nel mondo, la crisi ecologica dovuta alla perdita di biodiversità e al superamento della carrying capacity del pianeta. Sarebbe interessante dunque che si discutesse a quale crescita si punta, per evitare la perpetuazione di questo modello economico-produttivo che ci ha portati alla non meno drammatica crisi dei cambiamenti climatici, e che ha nel PIL l’unità di misura per eccellenza dello stato di salute dell’economia. Essendo la crisi economica intrecciata da un lato a quella energetica (leggi: fine dell’epoca del greggio a basso costo e, nel caso dell’Italia, bolletta energetica che nel 2011 ha toccato i 62 miliardi di euro) e, dall’altro, a quella dei cambiamenti climatici, perché non coglierla come opportunità di cambiamento in direzione della sostenibilità ambientale e sociale?
Anche il parlamento tedesco ha recepito i segnali di inquietudine verso la riproposizione di un’idea di crescita tradizionale, ed ha istituito la Commissione d’inchiesta “Crescita, benessere, qualità di vita”. Obiettivo della Commissione è “lo sviluppo di un nuovo indicatore di progresso che, pur facendo ancora riferimento anche al PIL”, modifichi questa unità di misura del benessere sociale “basata su criteri puramente economici e quantitativi” includendo “criteri ecologici, sociali e culturali”. “Riparare i buchi nelle strade fa aumentare il PIL, ma non rende le persone più felici, né contribuisce al progresso della società”, ha dichiarato la socialdemocratica Daniela Kolbe, Presidente della Commissione. “Per questo sono rilevanti gli aspetti ambientali; ma anche l’accesso all’istruzione, la qualità del sistema sanitario e la redistribuzione del reddito”. Parole che riecheggiano ciò che Bob Kennedy sosteneva già nel 1968, ovvero che il PIL non bastava più per indicare il grado di benessere e di progresso di una società. Una conclusione a cui è giunto anche il presidente francese Nicholas Sarkozy, che nel 2008 ha insediato la “Commissione Sarkozy sulla misura della performance dell’economia e del progresso sociale”. Di questo pool di esperti, che aveva a capo i premi Nobel Joseph E. Stiglitz e Amartya Sen, e Jean-Paul Fitoussi dell’Istituto di Studi Politici di Parigi (IEP), hanno fatto parte anche Nicholas Stern (che ha legato il suo nome al famoso Rapporto Stern del 2006 sulle conseguenze economiche dei cambiamenti climatici), e Enrico Giovannini, presidente dell’ISTAT. Nel “Rapporto Stiglitz”, pubblicato nel novembre 2010 a fine lavori, in riferimento all’inadeguatezza dei dati statistici che orientano analisi e valutazioni dello stato di salute dell’economia, si legge che “Le statistiche di uso comune potrebbero non registrare alcuni fenomeni che hanno un crescente impatto sul benessere dei cittadini. Ad esempio, gli ingorghi di traffico possono aumentare il PIL a causa del maggiore utilizzo della benzina, ma ovviamente non la qualità della vita. Inoltre, se i cittadini sono preoccupati per la qualità dell’aria e l’inquinamento atmosferico è in aumento, le misure statistiche che ignorano l’inquinamento atmosferico forniranno una stima imprecisa di ciò che sta accadendo al benessere dei cittadini”. E più avanti: “Siamo anche di fronte a una incombente crisi ambientale, in particolare associata al riscaldamento globale. I prezzi di mercato sono falsati dal fatto che non vi è alcun onere imposto alle emissioni di carbonio; e non si è fatto nessun calcolo del costo di tali emissioni nella contabilità standard del reddito nazionale. Chiaramente, le misure di performance economica che riflettono questi costi ambientali potrebbero essere molto diverse dalle misure standard”.
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L’insostenibile deriva neoliberale delle socialdemocrazie europee
di Zygmunt Bauman, da "Social Europe Journal", traduzione di Laura Franza
- micromega -
Ma lo sanno i socialdemocratici a cosa mirano? Ce l’hanno una qualche nozione di una ’società giusta’ per cui vale la pena lottare? Ne dubito. Credo non ce l’abbiano. In ogni caso non nella parte di mondo in cui viviamo noi. L’ex cancelliere tedesco Schroeder ne ha dato prova restando abbagliato di fronte alle proprietà di Tony Blair come a quelle di Gordon Brown e dicendo, solo pochi anni fa, che non esiste un’economia capitalista e un’altra socialista, l’economia è soltanto buona o cattiva. Per molto tempo, almeno gli ultimi trenta-quarant’anni, la politica dei partiti socialdemocratici si è andata articolando anno dopo anno con leggi neo-liberaliste, secondo il principio: "qualsiasi cosa voi (il centro-destra) facciate, noi (il centro-sinistra) possiamo farlo meglio".
A volte, anche se non molto spesso, qualche iniziativa particolarmente oltraggiosa e arrogante presa dai legislatori provoca uno spasimo nell’antica coscienza socialista. Allora in questi casi, senza alla fine combinare un gran che, si solleva la richiesta di una maggior compassione e una maggior lungimiranza nei confronti di "chi ha più bisogno" o di un "alleggerimento del carico" per "chi è più colpito" – ma di sicuro non prima di aver valutato le conseguenze in fatto di popolarità in caso di elezioni – e ancor più frequentemente mutuando frasi e termini dagli "avversari".
Questo stato di cose ha la sua ragion d’essere: la socialdemocrazia ha perso la sua specifica base costitutiva – le roccaforti e i baluardi sociali suoi propri, quelle aree popolate da gente, i destinatari finali delle azioni politico-economiche, che aspetta e spera di essere ridefinita o ricollocata, altrimenti che come una massa di vittime, in un integrato soggetto collettivo di interessi, agenda e organismo politici già di per sé. Tale base costitutiva è stata completamente polverizzata, trasformata in un aggregato di individui autoreferenziali ed egocentrici, in competizione per un lavoro o una promozione, con scarsa consapevolezza della propria appartenenza a un comune destino e una ancor minore inclinazione a serrare le fila e chiedere azioni solidali.
- micromega -
Ma lo sanno i socialdemocratici a cosa mirano? Ce l’hanno una qualche nozione di una ’società giusta’ per cui vale la pena lottare? Ne dubito. Credo non ce l’abbiano. In ogni caso non nella parte di mondo in cui viviamo noi. L’ex cancelliere tedesco Schroeder ne ha dato prova restando abbagliato di fronte alle proprietà di Tony Blair come a quelle di Gordon Brown e dicendo, solo pochi anni fa, che non esiste un’economia capitalista e un’altra socialista, l’economia è soltanto buona o cattiva. Per molto tempo, almeno gli ultimi trenta-quarant’anni, la politica dei partiti socialdemocratici si è andata articolando anno dopo anno con leggi neo-liberaliste, secondo il principio: "qualsiasi cosa voi (il centro-destra) facciate, noi (il centro-sinistra) possiamo farlo meglio".
A volte, anche se non molto spesso, qualche iniziativa particolarmente oltraggiosa e arrogante presa dai legislatori provoca uno spasimo nell’antica coscienza socialista. Allora in questi casi, senza alla fine combinare un gran che, si solleva la richiesta di una maggior compassione e una maggior lungimiranza nei confronti di "chi ha più bisogno" o di un "alleggerimento del carico" per "chi è più colpito" – ma di sicuro non prima di aver valutato le conseguenze in fatto di popolarità in caso di elezioni – e ancor più frequentemente mutuando frasi e termini dagli "avversari".
Questo stato di cose ha la sua ragion d’essere: la socialdemocrazia ha perso la sua specifica base costitutiva – le roccaforti e i baluardi sociali suoi propri, quelle aree popolate da gente, i destinatari finali delle azioni politico-economiche, che aspetta e spera di essere ridefinita o ricollocata, altrimenti che come una massa di vittime, in un integrato soggetto collettivo di interessi, agenda e organismo politici già di per sé. Tale base costitutiva è stata completamente polverizzata, trasformata in un aggregato di individui autoreferenziali ed egocentrici, in competizione per un lavoro o una promozione, con scarsa consapevolezza della propria appartenenza a un comune destino e una ancor minore inclinazione a serrare le fila e chiedere azioni solidali.
LA SPOON RIVER DELLA CRISI
Adriano Sofri - triskel182 -
Il lavoro davvero rende liberi, perdere il lavoro vuol dire perdere la libertà. Vi sarete accorti che il rogo fotografato a Bologna l´altroieri somigliava a quello del giovane tibetano a Nuova Delhi del giorno prima. E i titoli, a poche pagine di distanza: “Il trentesimo tibetano che si è dato fuoco nell´ultimo anno”, “Nel Veneto, già trenta suicidi di imprenditori”. Ieri un operaio edile di origine marocchina si è dato fuoco davanti al municipio di Verona, è stato soccorso in tempo, era “senza stipendio da quattro mesi”. L´altroieri il piccolo imprenditore edile a Bologna, accanto alla sede delle Commissioni tributarie. Si può andare indietro e trovarne uno al giorno, operai disoccupati, artigiani, imprenditori. Sta diventando l´altra faccia dei bollettini delle morti cosiddette bianche. Caduti sul lavoro, caduti per il lavoro. Una Spoon River della crisi. Giuseppe C., il bolognese di 58 anni di cui hanno raccontato qui asciuttamente Michele Smargiassi e Luigi Spezia, la sua pagina se l´è scritta da solo. “Caro amore, sono qui che piango. Stamattina sono uscito un po´ presto, ho avuto paura di svegliarti… Chiedo a tutti perdono”. Parole pronte per una bella canzone di Lucio Battisti. L´ha scritto anche al fisco: “Chiedo perdono anche a voi”. Una frase terribile, ora che qualche disgraziato ha messo le sue bombe alle porte di Equitalia, e non si può più dire che “bisognerebbe metterci una bomba…”. Imprenditori si impiccano, e curano di farlo nei loro capannoni, nel giorno festivo o fuori dall´orario di lavoro. La classe dirigente, le persone di cui ieri si pubblicano i “maxistipendi” – le maxipersone di cui si pubblicano gli stipendi – saranno magari altrettanto commosse dell´umanità minuta per questo stillicidio di immolazioni disperate. Il fatto è che ai nostri giorni i poveri e gli impoveriti e soli che si danno fuoco hanno fatto tremare i potenti del mondo più di un esercito di forconi.
Questo contagio di suicidi è infatti un segno di resa e di solitudine, ma non solo. È una rivendicazione estrema di dignità. Fa ricordare, dopo una lunghissima parentesi, quella onorabilità borghese per la quale ci si vergognava di una rovina, anche la più onesta, e si scriveva una lettera di amore e di perdono alla famiglia. Affare di gente all´antica: con tangentopoli, i suicidi furono pochi e soprattutto “di rango”, che li dettasse la protesta o la disperazione, mentre un´intera classe dirigente mostrava una pusillanimità incresciosa, ed è stata quella tempra a farla durare, passata la piena, e continuare come e più di prima, salvo non vergognarsene più e non correre più in presidenza a denunciare il cognato. Quella dignità all´antica sembra ritornata negli operai restati senza lavoro, negli imprenditori che si danno del tu coi propri dipendenti e se ne sentono responsabili, negli stranieri che avevano fatto il loro pezzo di salita e si vedono di colpo riprecipitati in fondo.
Il lavoro davvero rende liberi, perdere il lavoro vuol dire perdere la libertà. Vi sarete accorti che il rogo fotografato a Bologna l´altroieri somigliava a quello del giovane tibetano a Nuova Delhi del giorno prima. E i titoli, a poche pagine di distanza: “Il trentesimo tibetano che si è dato fuoco nell´ultimo anno”, “Nel Veneto, già trenta suicidi di imprenditori”. Ieri un operaio edile di origine marocchina si è dato fuoco davanti al municipio di Verona, è stato soccorso in tempo, era “senza stipendio da quattro mesi”. L´altroieri il piccolo imprenditore edile a Bologna, accanto alla sede delle Commissioni tributarie. Si può andare indietro e trovarne uno al giorno, operai disoccupati, artigiani, imprenditori. Sta diventando l´altra faccia dei bollettini delle morti cosiddette bianche. Caduti sul lavoro, caduti per il lavoro. Una Spoon River della crisi. Giuseppe C., il bolognese di 58 anni di cui hanno raccontato qui asciuttamente Michele Smargiassi e Luigi Spezia, la sua pagina se l´è scritta da solo. “Caro amore, sono qui che piango. Stamattina sono uscito un po´ presto, ho avuto paura di svegliarti… Chiedo a tutti perdono”. Parole pronte per una bella canzone di Lucio Battisti. L´ha scritto anche al fisco: “Chiedo perdono anche a voi”. Una frase terribile, ora che qualche disgraziato ha messo le sue bombe alle porte di Equitalia, e non si può più dire che “bisognerebbe metterci una bomba…”. Imprenditori si impiccano, e curano di farlo nei loro capannoni, nel giorno festivo o fuori dall´orario di lavoro. La classe dirigente, le persone di cui ieri si pubblicano i “maxistipendi” – le maxipersone di cui si pubblicano gli stipendi – saranno magari altrettanto commosse dell´umanità minuta per questo stillicidio di immolazioni disperate. Il fatto è che ai nostri giorni i poveri e gli impoveriti e soli che si danno fuoco hanno fatto tremare i potenti del mondo più di un esercito di forconi.
Questo contagio di suicidi è infatti un segno di resa e di solitudine, ma non solo. È una rivendicazione estrema di dignità. Fa ricordare, dopo una lunghissima parentesi, quella onorabilità borghese per la quale ci si vergognava di una rovina, anche la più onesta, e si scriveva una lettera di amore e di perdono alla famiglia. Affare di gente all´antica: con tangentopoli, i suicidi furono pochi e soprattutto “di rango”, che li dettasse la protesta o la disperazione, mentre un´intera classe dirigente mostrava una pusillanimità incresciosa, ed è stata quella tempra a farla durare, passata la piena, e continuare come e più di prima, salvo non vergognarsene più e non correre più in presidenza a denunciare il cognato. Quella dignità all´antica sembra ritornata negli operai restati senza lavoro, negli imprenditori che si danno del tu coi propri dipendenti e se ne sentono responsabili, negli stranieri che avevano fatto il loro pezzo di salita e si vedono di colpo riprecipitati in fondo.
venerdì 30 marzo 2012
Manifesto per un soggetto politico nuovo
Per un’altra politica nelle forme e nelle passioni - sinistrainrete -
Non c’è più tempo
Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’ impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.
In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli – la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell’appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l’Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste.
Oggi la sfera separata della politica in Italia, ‘il palazzo’ per intenderci, non rappresenta affatto parti intere del paese: le persone giovani, specialmente del Sud e donne, che non trovano sbocco ai loro sogni e ai loro percorsi educativi; le operaie e gli operai, che vedono giorno dopo giorno minacciati i loro diritti dentro la fabbrica, le commesse e i commessi intrappolati nella catena della distribuzione, i ceti medi del pubblico impiego, quelli della scuola, della sanità, dell’ amministrazione pubblica, che in questi anni sono stati tartassati e disprezzati; i giovani precari, spesso super-qualificati, vittime di una flessibilità selvaggia neoliberista inizialmente introdotta dal centro-sinistra che ha tolto loro dignità e futuro, la rete dei microproduttori e del cosiddetto lavoro autonomo di seconda generazione entrata in crisi con la recessione. Tutti questi elementi possono mobilitarsi nella società per poi trovare nel palazzo solo un muro di gomma o un ascolto distratto. E’ ora di spezzare questi meccanismi perversi. Al loro posto proponiamo un nuovo percorso in cui i cittadini riescano ad appropriarsi, attraverso processi democratici diversi, del potere di contare e di decidere.
La ‘poesia pubblica’, per utilizzare la frase del poeta americano Walt Whitman, deve entrare nella storia della Repubblica. E lo farà quando un gruppo sempre più grande di cittadini (donne ed uomini) qualificati, informati e attivi decideranno di farne la loro bandiera.
Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’ impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.
In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli – la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell’appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l’Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste.
Oggi la sfera separata della politica in Italia, ‘il palazzo’ per intenderci, non rappresenta affatto parti intere del paese: le persone giovani, specialmente del Sud e donne, che non trovano sbocco ai loro sogni e ai loro percorsi educativi; le operaie e gli operai, che vedono giorno dopo giorno minacciati i loro diritti dentro la fabbrica, le commesse e i commessi intrappolati nella catena della distribuzione, i ceti medi del pubblico impiego, quelli della scuola, della sanità, dell’ amministrazione pubblica, che in questi anni sono stati tartassati e disprezzati; i giovani precari, spesso super-qualificati, vittime di una flessibilità selvaggia neoliberista inizialmente introdotta dal centro-sinistra che ha tolto loro dignità e futuro, la rete dei microproduttori e del cosiddetto lavoro autonomo di seconda generazione entrata in crisi con la recessione. Tutti questi elementi possono mobilitarsi nella società per poi trovare nel palazzo solo un muro di gomma o un ascolto distratto. E’ ora di spezzare questi meccanismi perversi. Al loro posto proponiamo un nuovo percorso in cui i cittadini riescano ad appropriarsi, attraverso processi democratici diversi, del potere di contare e di decidere.
La ‘poesia pubblica’, per utilizzare la frase del poeta americano Walt Whitman, deve entrare nella storia della Repubblica. E lo farà quando un gruppo sempre più grande di cittadini (donne ed uomini) qualificati, informati e attivi decideranno di farne la loro bandiera.
Ereditato. Chi e' costui?
di Zag in ListaSinistra
Il suo annuncio aveva suscitato uno sconvolgimento nell'ambiente scientifico .
Qualcuno aveva gridato al premio Nobel. L'uomo che viaggiava più veloce della
luce. In realtà aveva annunciato di aver trovato che i neutrini (subparticelle
subatomiche con massa pressochè nulla) viaggiavano più veloce della luce. Una
cosa che ha fatto tremare fin dalle fondamenta i pilastri della scienza moderna
e rivoltare nella tomba Einstein . Le comunità spiritualiste e i New Age
esultavano . I Maja l'avevano già previsto!
Ma a questa scoperta non ci credeva nemmeno lui! Infatti aveva chiesto alla
comunità scientifica di tutto il mondo di trovare dov'era l'errore che
aveva commesso. Alla fine lui stesso aveva trovato in un cattiva regolazione
dell'orologio nucleare e in un cattivo cavo di collegamento tra il GPS e il suo
computer di Opera , i colpevoli dell'inganno. E con tutta l'onesta l'aveva annunciato!
Vi era un errore. Poi sono arrivati i risultati dei laboratori Nazionali del
Gran Sasso dell'Infne quelli dell'esperimento Lvd, coordinato da Antonino
Zichichi. Confermavano che la legge di Einstein era confermata. Niente e
nessuno può superare la velocità della luce, che rappresenta l'unico assoluto
in questo universo.
Ma Ereditato si è dimesso.
Al di là dell'aspetto scientifico che mi ha appassionato, quello che provo è
tanta amarezza e tristezza!
Quanta differenza fra quest'uomo, questo scienziato, l'onestà intellettuale
oltre che morale e una parte della nostra società!
P.S.
Un clamore ha suscitato la rinuncia da parte di Casini dei privilegi degli ex
presidenti delle Camere. Sono tali e tanti i suoi privilegi, che aver
rinunciato ad una piccolissima parte ( rispetto ai tanti già in suo possesso)
lo hanno fatto assurgere come pilastro di onestà e di rispettabilità.
Ora mettete a confronto l'uno e l'altra vicenda.
Che sconforto!
===========
Antonio Ereditato (Napoli, 1955) è un fisico italiano, professore all'Università di Berna, direttore del Laboratory for High Energy Physics e dell' Albert Einstein Centre for Fundamental Physics.
Laureato e dottorato presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha successivamente lavorato al Centro di ricerche nucleari di Strasburgo, al CERN e all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Napoli, ricoprendo il ruolo di dirigente di ricerca dal 1998[1][2]. Dal 2006 è Professore Ordinario di Fisica delle particelle elementari presso l'Università di Berna. Ha svolto e svolge attività di ricerca nel campo della fisica sperimentale del neutrino, delle interazioni adroniche e delle interazoni deboli, con esperimenti condotti al CERN, in Giappone, negli USA e all'LNGS. Ha realizzato numerosi progetti di ricerca e sviluppo su rivelatori di particelle: camere a fili, calorimetri, camere a proiezione temporale, emulsioni nucleari, rivelatori per applicazioni in medicina. È stato membro di comitati scientifici internazionali: SPSC, CNGS e LHCC del CERN ed è attualmente membro del PAC del JINR di Dubna e della Swiss National Science Foundation. Membro dell'Advisory Committes di conferenze internazionali quali la Calorimetry Conference e la Neutrino Conference Series. Referee e peer review member di riviste internazionali e Funding Agencies. Dal 2008 al marzo 2012 Antonio Ereditato è stato lo spokeperson dell'esperimento OPERA (CERN - LNGS), da lui proposto, nel 1997, insieme ai professori Kimio Niwa e Paolo Strolin.
Il 30/03/2012 si è dimesso dal comitato della collaborazione Opera i cui dati, nel settembre 2011, indicavano i neutrini come più veloci della luce. Le dimissioni sono state presentate da Ereditato in seguito alla presentazione, da parte di alcuni membri di Opera, di una mozione che chiedeva le dimissioni del ricercatore dalla guida della collaborazione. . URL consultato il 30 March 2012.
Il suo annuncio aveva suscitato uno sconvolgimento nell'ambiente scientifico .
Qualcuno aveva gridato al premio Nobel. L'uomo che viaggiava più veloce della
luce. In realtà aveva annunciato di aver trovato che i neutrini (subparticelle
subatomiche con massa pressochè nulla) viaggiavano più veloce della luce. Una
cosa che ha fatto tremare fin dalle fondamenta i pilastri della scienza moderna
e rivoltare nella tomba Einstein . Le comunità spiritualiste e i New Age
esultavano . I Maja l'avevano già previsto!
Ma a questa scoperta non ci credeva nemmeno lui! Infatti aveva chiesto alla
comunità scientifica di tutto il mondo di trovare dov'era l'errore che
aveva commesso. Alla fine lui stesso aveva trovato in un cattiva regolazione
dell'orologio nucleare e in un cattivo cavo di collegamento tra il GPS e il suo
computer di Opera , i colpevoli dell'inganno. E con tutta l'onesta l'aveva annunciato!
Vi era un errore. Poi sono arrivati i risultati dei laboratori Nazionali del
Gran Sasso dell'Infne quelli dell'esperimento Lvd, coordinato da Antonino
Zichichi. Confermavano che la legge di Einstein era confermata. Niente e
nessuno può superare la velocità della luce, che rappresenta l'unico assoluto
in questo universo.
Ma Ereditato si è dimesso.
Al di là dell'aspetto scientifico che mi ha appassionato, quello che provo è
tanta amarezza e tristezza!
Quanta differenza fra quest'uomo, questo scienziato, l'onestà intellettuale
oltre che morale e una parte della nostra società!
P.S.
Un clamore ha suscitato la rinuncia da parte di Casini dei privilegi degli ex
presidenti delle Camere. Sono tali e tanti i suoi privilegi, che aver
rinunciato ad una piccolissima parte ( rispetto ai tanti già in suo possesso)
lo hanno fatto assurgere come pilastro di onestà e di rispettabilità.
Ora mettete a confronto l'uno e l'altra vicenda.
Che sconforto!
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Antonio Ereditato (Napoli, 1955) è un fisico italiano, professore all'Università di Berna, direttore del Laboratory for High Energy Physics e dell' Albert Einstein Centre for Fundamental Physics.
Laureato e dottorato presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha successivamente lavorato al Centro di ricerche nucleari di Strasburgo, al CERN e all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Napoli, ricoprendo il ruolo di dirigente di ricerca dal 1998[1][2]. Dal 2006 è Professore Ordinario di Fisica delle particelle elementari presso l'Università di Berna. Ha svolto e svolge attività di ricerca nel campo della fisica sperimentale del neutrino, delle interazioni adroniche e delle interazoni deboli, con esperimenti condotti al CERN, in Giappone, negli USA e all'LNGS. Ha realizzato numerosi progetti di ricerca e sviluppo su rivelatori di particelle: camere a fili, calorimetri, camere a proiezione temporale, emulsioni nucleari, rivelatori per applicazioni in medicina. È stato membro di comitati scientifici internazionali: SPSC, CNGS e LHCC del CERN ed è attualmente membro del PAC del JINR di Dubna e della Swiss National Science Foundation. Membro dell'Advisory Committes di conferenze internazionali quali la Calorimetry Conference e la Neutrino Conference Series. Referee e peer review member di riviste internazionali e Funding Agencies. Dal 2008 al marzo 2012 Antonio Ereditato è stato lo spokeperson dell'esperimento OPERA (CERN - LNGS), da lui proposto, nel 1997, insieme ai professori Kimio Niwa e Paolo Strolin.
Il 30/03/2012 si è dimesso dal comitato della collaborazione Opera i cui dati, nel settembre 2011, indicavano i neutrini come più veloci della luce. Le dimissioni sono state presentate da Ereditato in seguito alla presentazione, da parte di alcuni membri di Opera, di una mozione che chiedeva le dimissioni del ricercatore dalla guida della collaborazione. . URL consultato il 30 March 2012.
BRICS
La foto dell'incontro di New Delhi tra le cinque maggiori economie emergenti: si è parlato di Iran, Siria e di creare un'alternativa alla Banca Mondiale
29 marzo 2012 - ilpostit -
Oggi si è tenuto a New Delhi, in India, il quarto incontro annuale dei capi di stato dei BRICS, le cinque maggiori economie emergenti mondiali (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). La sede dell’incontro era il lussuoso Taj Palace nel centro della capitale indiana. È la prima volta che l’incontro si tiene in India.
Uno dei temi principali è stata la creazione della prima istituzione comune dei BRICS, una banca internazionale per il finanziamento di infrastrutture e di progetti nei paesi in via di sviluppo, che nelle intenzioni dovrebbe costituire un’alternativa ad altre istituzioni finanziarie multilaterali come la Banca Mondiale e la Banca Asiatica per lo Sviluppo. Il secondo tema principale è stata la diplomazia internazionale, e in particolare la crisi siriana e i difficili negoziati con l’Iran sul programma atomico del paese. Per entrambe le situazioni, i BRICS hanno sottolineato che l’unica soluzione possibile è il negoziato pacifico e hanno rifiutato con decisione qualsiasi uso della forza. I BRICS hanno anche detto di sostenere il processo di pace promosso per la Siria dall’inviato internazionale nel paese, l’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan.
Secondo il Financial Times, l’incontro ha fallito in almeno un obbiettivo importante, che avrebbe dato vero risalto internazionale all’incontro: le grandi differenze che esistono tra i cinque paesi dei BRICS, sia dal punto di vista economico che degli interessi diplomatici, hanno impedito di trovare un accordo su un candidato comune per la presidenza della Banca Mondiale, che potesse bilanciare la candidatura di Jim Yong Kim sponsorizzata dagli Stati Uniti e rappresentare i paesi del mondo in via di sviluppo, come il ministro delle finanze nigeriano Ngozi Okonjo-Iweala.
La sigla BRIC venne coniata per la prima volta dalla banca di investimenti statunitense Goldman Sachs, e Brasile, Russia, India e Cina si incontrarono nel primo incontro internazionale solo nel 2009. Lo scorso anno, durante la terza riunione tenutasi in Cina, al gruppo si è aggiunto anche il Sudafrica.
Nei giorni precedenti all’incontro ci sono state manifestazioni di centinaia di tibetani in esilio in India, che hanno protestato contro la presenza del presidente cinese Hu Jintao: lunedì 26 marzo, un attivista ventisettenne, Jamphel Yeshi, si è dato fuoco a New Delhi durante una di queste manifestazioni. Due giorni dopo è morto per le ustioni. È stata la prima persona che ha messo in atto questo tipo di protesta al di fuori della Cina, dove dallo scorso marzo altre trenta persone si sono uccise per protesta contro la repressione cinese nella regione tibetana.
giovedì 29 marzo 2012
La scommessa costituente del movimento greco.
Intervista a SPYROS (AK Atene) – di GIGI ROGGERO
- uninomade -
A partire dal 2006-2007 in Grecia si sono succeduti il movimento contro la riforma universitaria, l’anno successivo la rivolta seguita all’assassinio di Alexis Grigoropoulos, negli ultimi due anni e mezzo le lotte e la vera e propria insorgenza contro le politiche di austerity. A partire dal maggio del 2011, l’occupazione di piazza Syntagma sembra aver segnato l’apertura di un nuovo e ulteriore processo. Quali sono le dinamiche di sedimentazione soggettiva, ovvero le continuità e le differenze tra queste fasi di conflitto e movimento?
Se si vogliono individuare le genealogie o le radici di questi sei anni di lotte in Grecia, bisogna risalire al movimento autonomo radicale negli anni Ottanta e forse alla tradizione dei gruppi studenteschi di sinistra del decennio precedente. Comunque, nel 2006 dopo vent’anni c’è stato il primo movimento capace di mobilitare migliaia e migliaia di persone in una causa comune: è stato il primo passaggio nella radicalizzazione dei giovani in Grecia, verso un nuovo discorso e nuove pratiche. Il movimento ha avuto una piccola vittoria e alcune sconfitte, ma si può dire che nei fatti fu una vittoria perché ha congelato la finanziarizzazione dell’università greca, quantomeno l’ha rallentata notevolmente. Il 2008 è stato, credo, un momento di svolta nella storia europea. C’era stata la rivolta nelle banlieue francesi, ma non era stata contagiosa, non si era diffusa in differenti parti della società, per la particolare struttura urbana di Parigi o magari per altre ragioni. Qui persone differenziate, con condizioni di partenza diverse, sono state unite dalla rabbia. La rivolta del 2008 non aveva domande, all’inizio era solo un’espressione di rabbia, di una rabbia comune. Così, diversi soggetti, come i rifugiati e migranti di seconda generazione, sono entrati per la prima volta nella sfera politica e nello spazio pubblico, gli ultrà hanno interagito con la dimensione autonoma, centinaia di migliaia di studenti hanno autorganizzato le manifestazioni in tutta la Grecia al di fuori dei partiti e delle strutture politiche, le nuove tecnologie hanno permesso di diffondere le parole della rivolta e sono state ampiamente usate nell’organizzazione delle lotte. C’è stato un grande spettro di azioni, da quelle pacifiche a quelle molto violente e clandestine. E c’è stato un intero mese di vuoto governativo.
Ho provato a sintetizzare in poche parole quello che è successo nel 2008, è stato un movimento ambivalente e contradditorio, che ha portato all’evoluzione di molte persone e infranto tutti i vecchi sogni di molti anarchici e comunisti che sono gettati nella depressione, perché ha dato l’impressione che noi volessimo solo una grande notte di distruzione, provocando a partire da dicembre una sollevazione generale. Dopo l’azione di guerriglia urbana del gruppo Lotta Rivoluzionaria tutto il processo si è notevolmente rallentato ed è iniziata l’organizzazione della contro-rivolta dello Stato: dagli intellettuali alla polizia, sono state prese molte misure che continuano ancora oggi, con le nuove riforme del codice penale, della pianificazione urbana, dell’università.
A partire dal 2006-2007 in Grecia si sono succeduti il movimento contro la riforma universitaria, l’anno successivo la rivolta seguita all’assassinio di Alexis Grigoropoulos, negli ultimi due anni e mezzo le lotte e la vera e propria insorgenza contro le politiche di austerity. A partire dal maggio del 2011, l’occupazione di piazza Syntagma sembra aver segnato l’apertura di un nuovo e ulteriore processo. Quali sono le dinamiche di sedimentazione soggettiva, ovvero le continuità e le differenze tra queste fasi di conflitto e movimento?
Se si vogliono individuare le genealogie o le radici di questi sei anni di lotte in Grecia, bisogna risalire al movimento autonomo radicale negli anni Ottanta e forse alla tradizione dei gruppi studenteschi di sinistra del decennio precedente. Comunque, nel 2006 dopo vent’anni c’è stato il primo movimento capace di mobilitare migliaia e migliaia di persone in una causa comune: è stato il primo passaggio nella radicalizzazione dei giovani in Grecia, verso un nuovo discorso e nuove pratiche. Il movimento ha avuto una piccola vittoria e alcune sconfitte, ma si può dire che nei fatti fu una vittoria perché ha congelato la finanziarizzazione dell’università greca, quantomeno l’ha rallentata notevolmente. Il 2008 è stato, credo, un momento di svolta nella storia europea. C’era stata la rivolta nelle banlieue francesi, ma non era stata contagiosa, non si era diffusa in differenti parti della società, per la particolare struttura urbana di Parigi o magari per altre ragioni. Qui persone differenziate, con condizioni di partenza diverse, sono state unite dalla rabbia. La rivolta del 2008 non aveva domande, all’inizio era solo un’espressione di rabbia, di una rabbia comune. Così, diversi soggetti, come i rifugiati e migranti di seconda generazione, sono entrati per la prima volta nella sfera politica e nello spazio pubblico, gli ultrà hanno interagito con la dimensione autonoma, centinaia di migliaia di studenti hanno autorganizzato le manifestazioni in tutta la Grecia al di fuori dei partiti e delle strutture politiche, le nuove tecnologie hanno permesso di diffondere le parole della rivolta e sono state ampiamente usate nell’organizzazione delle lotte. C’è stato un grande spettro di azioni, da quelle pacifiche a quelle molto violente e clandestine. E c’è stato un intero mese di vuoto governativo.
Ho provato a sintetizzare in poche parole quello che è successo nel 2008, è stato un movimento ambivalente e contradditorio, che ha portato all’evoluzione di molte persone e infranto tutti i vecchi sogni di molti anarchici e comunisti che sono gettati nella depressione, perché ha dato l’impressione che noi volessimo solo una grande notte di distruzione, provocando a partire da dicembre una sollevazione generale. Dopo l’azione di guerriglia urbana del gruppo Lotta Rivoluzionaria tutto il processo si è notevolmente rallentato ed è iniziata l’organizzazione della contro-rivolta dello Stato: dagli intellettuali alla polizia, sono state prese molte misure che continuano ancora oggi, con le nuove riforme del codice penale, della pianificazione urbana, dell’università.
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ECCO IL CONTO DELLA CRISI. DECINE DI SUICIDI DI GENTE CHE LAVORA
- controlacrisi -
29 MARZO 2012: un muratore immigrato di una cooperativa si da fuoco a Verona davanti al palazzo del Comune per protestare per il ritardo del pagamento dello stipendio.
28 MARZO 2012: Un muratore di 58 anni, nato in provincia di Caserta ma residente a Ozzano Emilia, si dà fuoco nella sua auto in via Nanni Costa, non lontano dall'Agenzia delle Entrate di Bologna. L'uomo viene ricoverato in prognosi riservata nel reparto di rianimazione del centro grandi ustionati di Parma: ha ustioni gravissime su tutto il corpo. All'interno dell'abitacolo vengono trovati una lettera indirizzata alla moglie e un'altra indirizzata all'Agenzia delle Entrate, in cui l'uomo spiega di aver sempre pagato le tasse e chiede di lasciare stare la propria consorte.
27 MARZO 2012: Un imbianchino di 49 anni si lancia dal balcone a Trani perchè da tempo non riusciva a trovare un posto di lavoro.
27 MARZO 2012: Un imprenditore di 44 anni si impicca con una corda legata a un carrello elevatore nel capannone dell'azienda di cui era socio. Succede a Cepagatti, nel pescarese. Il suo corpo viene trovato dai dipendenti. Il gesto dell'uomo sarebbe legato a motivi economici: sembra che la ditta avesse problemi finanziari.
26 MARZO 2012: Miriam Sermoneta, una guardia giurata in cassa integrfazione si uccide nella notte con un colpo di pistola al cuore nella sua abitazione a Guidonia.
21 MARZO 2012: A Crispiano, in provincia di Taranto, un uomo di 60 anni, disoccupato da due anni e invalido civile, a causa dello sconforto per le precarie condizioni economiche, si rinchiude nello sgabuzzino della propria abitazione e tenta il suicidio impiccandosi. La moglie, non vedendolo più in casa e notando la porta del ripostiglio chiusa a chiave, si preoccupa e telefona ai carabinieri e tra grida e lacrime chiede il loro aiuto. Grazie all'intervento dei carabinieri e del personale del 118 l'uomo viene salvato.
20 MARZO 2012: Un uomo di 53 anni, residente in provincia di Belluno, a Sospirolo, viene trovato senza vita, impiccato, in una baracca dietro alla sua abitazione. Il 53enne, imprenditore edile, sarebbe un ennesima vittima della crisi: da qualche tempo infatti era in difficoltà economiche non riuscendo a incassare alcuni crediti. Il gesto estremo è maturato dopo che l'uomo è stato multato e si è visto sequestrare l'auto per guida senza patente.
15 MARZO 2012: Una donna di 37 anni tenta il suicidio per aver perso il lavoro in provincia di Lucca. La vittima ingerisce del liquido per sgorgare gli scarichi, un prodotto fortemente tossico, e finisce in ospedale.
29 MARZO 2012: un muratore immigrato di una cooperativa si da fuoco a Verona davanti al palazzo del Comune per protestare per il ritardo del pagamento dello stipendio.
28 MARZO 2012: Un muratore di 58 anni, nato in provincia di Caserta ma residente a Ozzano Emilia, si dà fuoco nella sua auto in via Nanni Costa, non lontano dall'Agenzia delle Entrate di Bologna. L'uomo viene ricoverato in prognosi riservata nel reparto di rianimazione del centro grandi ustionati di Parma: ha ustioni gravissime su tutto il corpo. All'interno dell'abitacolo vengono trovati una lettera indirizzata alla moglie e un'altra indirizzata all'Agenzia delle Entrate, in cui l'uomo spiega di aver sempre pagato le tasse e chiede di lasciare stare la propria consorte.
27 MARZO 2012: Un imbianchino di 49 anni si lancia dal balcone a Trani perchè da tempo non riusciva a trovare un posto di lavoro.
27 MARZO 2012: Un imprenditore di 44 anni si impicca con una corda legata a un carrello elevatore nel capannone dell'azienda di cui era socio. Succede a Cepagatti, nel pescarese. Il suo corpo viene trovato dai dipendenti. Il gesto dell'uomo sarebbe legato a motivi economici: sembra che la ditta avesse problemi finanziari.
26 MARZO 2012: Miriam Sermoneta, una guardia giurata in cassa integrfazione si uccide nella notte con un colpo di pistola al cuore nella sua abitazione a Guidonia.
21 MARZO 2012: A Crispiano, in provincia di Taranto, un uomo di 60 anni, disoccupato da due anni e invalido civile, a causa dello sconforto per le precarie condizioni economiche, si rinchiude nello sgabuzzino della propria abitazione e tenta il suicidio impiccandosi. La moglie, non vedendolo più in casa e notando la porta del ripostiglio chiusa a chiave, si preoccupa e telefona ai carabinieri e tra grida e lacrime chiede il loro aiuto. Grazie all'intervento dei carabinieri e del personale del 118 l'uomo viene salvato.
20 MARZO 2012: Un uomo di 53 anni, residente in provincia di Belluno, a Sospirolo, viene trovato senza vita, impiccato, in una baracca dietro alla sua abitazione. Il 53enne, imprenditore edile, sarebbe un ennesima vittima della crisi: da qualche tempo infatti era in difficoltà economiche non riuscendo a incassare alcuni crediti. Il gesto estremo è maturato dopo che l'uomo è stato multato e si è visto sequestrare l'auto per guida senza patente.
15 MARZO 2012: Una donna di 37 anni tenta il suicidio per aver perso il lavoro in provincia di Lucca. La vittima ingerisce del liquido per sgorgare gli scarichi, un prodotto fortemente tossico, e finisce in ospedale.
La spirale depressiva con il nuovo Patto Ue.
Posted by keynesblog di Stephan Schulmeister
L’interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca».
Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
Il Patto di bilancio prevede due norme: secondo la prima, ai singoli Paesi è consentito mantenere un deficit strutturale che non superi lo 0,5% del Pil, mentre la seconda precisa che il rapporto debito/Pil deve essere ridotto annualmente di un ventesimo della differenza tra il rapporto debito/Pil corrente e un obiettivo del 60%. La semplicità di queste norme ha distratto i leader dall´approfondire le conseguenze della loro applicazione e, in particolare, il fatto che l’interazione tra le due norme peserà sulla crescita economica.
Stando al criterio del deficit, la Spagna dovrà ridurre l’attuale deficit dall’8,5% del Pil al 3% entro il 2013. Assumendo che una riduzione del deficit di un punto percentuale abbassi della stessa misura il prodotto nazionale, con un’inflazione stabile o leggermente più bassa, il Pil nominale spagnolo potrebbe contrarsi addirittura del 5% tra il 2012 e il 2013, permettendo al Paese di interrompere i programmi di austerità. Qui subentra però la norma sul debito. Tra il 2012 e il 2013, il suo rapporto debito/Pil sarà salito dal 70% circa a un quasi 90% (per un 8,4 % a causa dei deficit di bilancio). Più seria ancora sarà la contrazione del Pil nominale del 10%. Stando invece al criterio del debito, la Spagna dovrebbe ridurre il debito pubblico per vent´anni di 1,5 punti percentuali di Pil l´anno.
È proprio l´interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito che porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca». L’Italia, per esempio, che deve abbassare il rapporto debito/Pil del 3% l´anno, per ottemperare contemporaneamente anche alla norma sul debito, dovrà ridurlo su vent’anni del 5,4% del Pil l’anno. Buona fortuna. Una terapia sistemica per risolvere la crisi non può che partire dalla comprensione che la deriva imboccata dalla maggior parte dei suoi Stati è conseguente a un malfunzionamento del sistema nel suo complesso. La finanza pubblica si mantiene in equilibrio quando i risparmi delle famiglie passano al settore produttivo sotto forma di credito per gli investimenti, ovvero, quando la redditività degli investimenti reali supera con un buon margine quella degli investimenti finanziari, come negli anni ’50 e ’60, l´era del «vero capitalismo». Ciò permette al debito pubblico di scendere in rapporto al Pil.
Con gli anni ’70, la volatilità dei tassi di cambio, dei prezzi delle materie prime, dei tassi d’interesse e dei prezzi delle azioni ha invece allontanato i capitali dagli investimenti reali verso la finanza. L’innovazione finanziaria, e in particolare i derivati di ogni tipo, portate avanti non solo dalle banche e dagli hedge fund, ma anche dalle attività non finanziarie, ha spostato la generazione dei profitti dalla sfera reale a quella finanziaria. Così, anche i settori non finanziari sono diventati produttori di surplus, come quello finanziario e quello delle famiglie, gravando gli Stati con deficit persistenti, dovuti all’aumento della disoccupazione e alla contrazione della raccolta fiscale.
Perché un consolidamento fiscale sia sostenibile è necessario cambiare le regole del gioco in modo tale da spostare la generazione di profitti – l’essenza stessa del capitalismo – dalla sfera finanziaria dell´economia a quella reale. Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
L’autore è ricercatore presso l’Istituto austriaco per la ricerca economica
Traduzione di Guiomar Parada
da “La Repubblica” del 29 marzo 2012
L’interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca».
Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
Il Patto di bilancio prevede due norme: secondo la prima, ai singoli Paesi è consentito mantenere un deficit strutturale che non superi lo 0,5% del Pil, mentre la seconda precisa che il rapporto debito/Pil deve essere ridotto annualmente di un ventesimo della differenza tra il rapporto debito/Pil corrente e un obiettivo del 60%. La semplicità di queste norme ha distratto i leader dall´approfondire le conseguenze della loro applicazione e, in particolare, il fatto che l’interazione tra le due norme peserà sulla crescita economica.
Stando al criterio del deficit, la Spagna dovrà ridurre l’attuale deficit dall’8,5% del Pil al 3% entro il 2013. Assumendo che una riduzione del deficit di un punto percentuale abbassi della stessa misura il prodotto nazionale, con un’inflazione stabile o leggermente più bassa, il Pil nominale spagnolo potrebbe contrarsi addirittura del 5% tra il 2012 e il 2013, permettendo al Paese di interrompere i programmi di austerità. Qui subentra però la norma sul debito. Tra il 2012 e il 2013, il suo rapporto debito/Pil sarà salito dal 70% circa a un quasi 90% (per un 8,4 % a causa dei deficit di bilancio). Più seria ancora sarà la contrazione del Pil nominale del 10%. Stando invece al criterio del debito, la Spagna dovrebbe ridurre il debito pubblico per vent´anni di 1,5 punti percentuali di Pil l´anno.
È proprio l´interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito che porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca». L’Italia, per esempio, che deve abbassare il rapporto debito/Pil del 3% l´anno, per ottemperare contemporaneamente anche alla norma sul debito, dovrà ridurlo su vent’anni del 5,4% del Pil l’anno. Buona fortuna. Una terapia sistemica per risolvere la crisi non può che partire dalla comprensione che la deriva imboccata dalla maggior parte dei suoi Stati è conseguente a un malfunzionamento del sistema nel suo complesso. La finanza pubblica si mantiene in equilibrio quando i risparmi delle famiglie passano al settore produttivo sotto forma di credito per gli investimenti, ovvero, quando la redditività degli investimenti reali supera con un buon margine quella degli investimenti finanziari, come negli anni ’50 e ’60, l´era del «vero capitalismo». Ciò permette al debito pubblico di scendere in rapporto al Pil.
Con gli anni ’70, la volatilità dei tassi di cambio, dei prezzi delle materie prime, dei tassi d’interesse e dei prezzi delle azioni ha invece allontanato i capitali dagli investimenti reali verso la finanza. L’innovazione finanziaria, e in particolare i derivati di ogni tipo, portate avanti non solo dalle banche e dagli hedge fund, ma anche dalle attività non finanziarie, ha spostato la generazione dei profitti dalla sfera reale a quella finanziaria. Così, anche i settori non finanziari sono diventati produttori di surplus, come quello finanziario e quello delle famiglie, gravando gli Stati con deficit persistenti, dovuti all’aumento della disoccupazione e alla contrazione della raccolta fiscale.
Perché un consolidamento fiscale sia sostenibile è necessario cambiare le regole del gioco in modo tale da spostare la generazione di profitti – l’essenza stessa del capitalismo – dalla sfera finanziaria dell´economia a quella reale. Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
L’autore è ricercatore presso l’Istituto austriaco per la ricerca economica
Traduzione di Guiomar Parada
da “La Repubblica” del 29 marzo 2012
I MERCATI NON VANNO ASCOLTATI, I MERCATI VANNO AFFRONTATI. SABATO OCCUPYAMO PIAZZA AFFARI
PIOBBICHI FRANCESCO* - controlacrisi -
I mercati non vanno ascoltati, i mercati vanno affrontati. Chi sono queste divinità alle quali dobbiamo sacrificare il futuro dei nostri figli, la sovranità del nostro paese? Sono forse degli angeli che ci danno la luce, il cibo, la vita? No, sono uomini e donne in carne ed ossa, che fanno pipì e sanguinano come noi. A differenza nostra però questi uomini e donne siedono nella scala più alta della gerarchia sociale. Loro decidono lontano da noi, e impongono con il ricatto le loro decisioni. Sono, o tendono ad essere l'1% che si arricchisce della crisi che produce. Demistificare la crisi, indicare chiaramente chi sono i mandanti e gli esecutori è uno dei primi punti sui quali lavorare. La crisi non è un temporale, ma una scelta. Senza comprendere questo non c'è un avversario contro cui lottare. Senza capire chi è che muove le fila si finisce per sgomitare in basso l'uno contro l'altro. Abbiamo quindi una crisi che è prodotta da un modello barbaro ed arretrato di produzione, la globalizzazione capitalista, che funziona spostando gli investimenti dove questi permettono il maggior realizzo del profitto. In Europa per competere sul piano globale si è scelto di utilizzare la leva della speculazione per ristrutturare su scala continentale il processo produttivo. Noi faremo i "cinesi" della Germania. Per imporre bassi salari ed alti ritmi ai lavoratori, con il corredo di ricatti e precarietà hanno creato Governi di emergenza, di salvezza nazionale, tecnici. Hanno prima deciso le regole in Europa con il Fiscal compact ( una sorta di vampiro meccanico che succhia il sangue al popolo per i prossimi venti anni) e poi hanno messo dei tecnici per fare in modo che vada tutto liscio.
I mercati non vanno ascoltati, i mercati vanno affrontati. Chi sono queste divinità alle quali dobbiamo sacrificare il futuro dei nostri figli, la sovranità del nostro paese? Sono forse degli angeli che ci danno la luce, il cibo, la vita? No, sono uomini e donne in carne ed ossa, che fanno pipì e sanguinano come noi. A differenza nostra però questi uomini e donne siedono nella scala più alta della gerarchia sociale. Loro decidono lontano da noi, e impongono con il ricatto le loro decisioni. Sono, o tendono ad essere l'1% che si arricchisce della crisi che produce. Demistificare la crisi, indicare chiaramente chi sono i mandanti e gli esecutori è uno dei primi punti sui quali lavorare. La crisi non è un temporale, ma una scelta. Senza comprendere questo non c'è un avversario contro cui lottare. Senza capire chi è che muove le fila si finisce per sgomitare in basso l'uno contro l'altro. Abbiamo quindi una crisi che è prodotta da un modello barbaro ed arretrato di produzione, la globalizzazione capitalista, che funziona spostando gli investimenti dove questi permettono il maggior realizzo del profitto. In Europa per competere sul piano globale si è scelto di utilizzare la leva della speculazione per ristrutturare su scala continentale il processo produttivo. Noi faremo i "cinesi" della Germania. Per imporre bassi salari ed alti ritmi ai lavoratori, con il corredo di ricatti e precarietà hanno creato Governi di emergenza, di salvezza nazionale, tecnici. Hanno prima deciso le regole in Europa con il Fiscal compact ( una sorta di vampiro meccanico che succhia il sangue al popolo per i prossimi venti anni) e poi hanno messo dei tecnici per fare in modo che vada tutto liscio.
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PRESIDENT NAPOLITANO (about disgraceful riforms) :” I DO NOT SEE ANY BLIND EXASPERATION”
One man burns himself up,four commit suicide in four days, not ENOUGH?
One man burns himself up,four commit suicide in four days, not ENOUGH?
mercoledì 28 marzo 2012
Euro-truffa: nuova interrogazione a Bruxelles
di Francesco Filini - rapportoaureo -
Dopo l’ultima inesauriente risposta del Commissario Olli Rehn sulla natura giuridica della proprietà dell’euro, il parlamentare europeo Marco Scurria ha deciso di andare fino in fondo presentando una nuova interrogazione per chiarire una vicenda che, senza alcuna esagerazione, potrebbe rimettere in discussione l’intero sistema.
E’ fondamentale ricostruire dei passaggi che, nonostante la loro semplicità, ancora non vengono ben compresi da gran parte della popolazione. Attualmente la BCE, conglomerato delle banche centrali dell’UE interamente in mano a privati, crea denaro dal nulla (da fine dicembre il Governatore Mario Draghi ha emesso valori monetari per oltre 1000 miliardi di euro) e lo presta alle banche commerciali con un tasso di favore dell’1%. Ricevuto il prestito di denaro le stesse banche commerciali possono decidere se acquistare o meno titoli del debito con tassi che vanno dal 4 al 7% emessi dagli Stati con grossa anemia monetaria. Basandosi su calcoli svolti esclusivamente in funzione del loro profitto. Quindi abbiamo un ente privato come la BCE che crea valore dal nulla e lo presta alle banche che a loro volta riprestano lo stesso denaro maggiorandone gli interessi.
Va chiarita una questione di non poco conto. Il valore del denaro non può essere dato da chi lo emette ma esclusivamente da chi lo accetta. Un caso limite molto semplice fa capire molto bene la vacuità del denaro: se mettiamo un governatore di una banca centrale a stampare monete su un’isola deserta il denaro non assume alcun valore perché mancano gli accettatori che convenzionalmente riconoscono nel mezzo monetario la rappresentazione, la certificazione del loro lavoro. Questa è quella che il prof. Giacinto Auriti chiamava “teoria del valore indotto“, dimostrata scientificamente da un professore Universitario con l’esperimento del Simec a Guardiagrele. In poche parole se da domani un gruppo di persone decidesse di utilizzare dei pezzi di carta diversi dagli euro per scambiarsi reciprocamente il prodotto del loro lavoro (com’è accaduto per il Simec e come accade per le local money in circa 7000 comuni del mondo intero) non accadrebbe nulla di straordinario: nel corso della sua storia l’uomo infatti ha utilizzato i più disparati mezzi monetari, come sale, conchiglie, piume, pepite d’oro, chicchi di caffè eccetera, riconoscendone convenzionalmente il simbolo di valore.
Lo stesso euro è un semplice pezzo di carta non coperto da alcuna riserva (dal 15 Agosto 1971 il Presidente Usa Nixon ha abolito la convertibilità del dollaro con l’oro) usato come mezzo di scambio all’interno dell’Eurozona, così come convenzionalmente stabilito dagli Stati dell’Unione con il Trattato di Maastricht del 1992. E’ di fondamentale importanza capire che il valore del denaro è dato dal lavoro dei cittadini e non dal banchiere. Ecco perché il denaro deve appartenere al popolo, ecco perché prima del 1694 (anno di fondazione della prima Banca Centrale, la Bank of England che ha introdotto e imposto negli anni la sterlina come moneta nominale), il compito di battere moneta apparteneva al “Cesare”, all’autorità statale che imprimeva la sua effige sul conio.
Dopo l’ultima inesauriente risposta del Commissario Olli Rehn sulla natura giuridica della proprietà dell’euro, il parlamentare europeo Marco Scurria ha deciso di andare fino in fondo presentando una nuova interrogazione per chiarire una vicenda che, senza alcuna esagerazione, potrebbe rimettere in discussione l’intero sistema.
E’ fondamentale ricostruire dei passaggi che, nonostante la loro semplicità, ancora non vengono ben compresi da gran parte della popolazione. Attualmente la BCE, conglomerato delle banche centrali dell’UE interamente in mano a privati, crea denaro dal nulla (da fine dicembre il Governatore Mario Draghi ha emesso valori monetari per oltre 1000 miliardi di euro) e lo presta alle banche commerciali con un tasso di favore dell’1%. Ricevuto il prestito di denaro le stesse banche commerciali possono decidere se acquistare o meno titoli del debito con tassi che vanno dal 4 al 7% emessi dagli Stati con grossa anemia monetaria. Basandosi su calcoli svolti esclusivamente in funzione del loro profitto. Quindi abbiamo un ente privato come la BCE che crea valore dal nulla e lo presta alle banche che a loro volta riprestano lo stesso denaro maggiorandone gli interessi.
Va chiarita una questione di non poco conto. Il valore del denaro non può essere dato da chi lo emette ma esclusivamente da chi lo accetta. Un caso limite molto semplice fa capire molto bene la vacuità del denaro: se mettiamo un governatore di una banca centrale a stampare monete su un’isola deserta il denaro non assume alcun valore perché mancano gli accettatori che convenzionalmente riconoscono nel mezzo monetario la rappresentazione, la certificazione del loro lavoro. Questa è quella che il prof. Giacinto Auriti chiamava “teoria del valore indotto“, dimostrata scientificamente da un professore Universitario con l’esperimento del Simec a Guardiagrele. In poche parole se da domani un gruppo di persone decidesse di utilizzare dei pezzi di carta diversi dagli euro per scambiarsi reciprocamente il prodotto del loro lavoro (com’è accaduto per il Simec e come accade per le local money in circa 7000 comuni del mondo intero) non accadrebbe nulla di straordinario: nel corso della sua storia l’uomo infatti ha utilizzato i più disparati mezzi monetari, come sale, conchiglie, piume, pepite d’oro, chicchi di caffè eccetera, riconoscendone convenzionalmente il simbolo di valore.
Lo stesso euro è un semplice pezzo di carta non coperto da alcuna riserva (dal 15 Agosto 1971 il Presidente Usa Nixon ha abolito la convertibilità del dollaro con l’oro) usato come mezzo di scambio all’interno dell’Eurozona, così come convenzionalmente stabilito dagli Stati dell’Unione con il Trattato di Maastricht del 1992. E’ di fondamentale importanza capire che il valore del denaro è dato dal lavoro dei cittadini e non dal banchiere. Ecco perché il denaro deve appartenere al popolo, ecco perché prima del 1694 (anno di fondazione della prima Banca Centrale, la Bank of England che ha introdotto e imposto negli anni la sterlina come moneta nominale), il compito di battere moneta apparteneva al “Cesare”, all’autorità statale che imprimeva la sua effige sul conio.
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Sciopero addio, l’Ue ci prova
di Loris Campetti - controlacrisi -
La risoluzione Barroso è in discussione al parlamento europeo. Ma Strasburgo non può modificare il testo: prendere o lasciare L’Europa vuole rendere «compatibili» le proteste dei lavoratori con le regole del mercato unico. La proposta riprende un documento preparato dal professor Monti nel 2010 su incarico della Commissione
Mario Monti colpisce ancora. Ma questa volta, data la sua nota vocazione europea, colpisce a livello – per ora – continentale. Il 21 marzo la Commissione europea ha varato un testo basato sul documento chiesto da Barroso all’allora libero docente Mario Monti, che rischia di imprigionare il diritto di sciopero. Il testo va sotto il nome di «consigli di regolamentazione dell’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d’impresa e della garanzia dei servizi». La filosofia insita nel testo varato dalla Commissione sulla base del documento Monti è semplicissima: i diritti dei lavoratori vanno armonizzati con quelli economici. Siccome non esiste sciopero degno di tale nome che non vada in contrasto con l’impresa contro cui esso è rivolto, è ovvio che si vuole fortemente ingabbiare ogni possibilità di conflitto. A meno che, naturalmente, l’esercizio di un diritto sacrosanto non sia ritenuto «compatibile» con gli interessi, tanto per essere espliciti, del padrone. Cioè mai, almeno sul piano della logica.
Da Strasburgo, dove il testo della Commissione Josè Manuel Barroso è appena stato recapitato, arrivano i primi allarmi. Innanzitutto a preoccuparsi sono alcuni parlamentari italiani che hanno imparato a conoscere la filosofia del presidente del consiglio Monti. Tra questi c’è sicuramente Sergio Cofferati, il cui rapporto con l’articolo 18 non va certo spiegato ai lettori del manifesto. Quando il parlamento europeo incaricherà le commissioni competenti di analizzare il testo della Commissione, l’ex segretario generale della Cgil si occuperà, molto probabilmente, di spiegare ai suoi colleghi europarlamentari la pericolosità di una tale svolta nell’area geografica del perduto «modello sociale europeo». Le commissioni non hanno possibilità di emendare il documento ma soltanto di «proporre alcune modifiche», oppure di rigettarlo in toto, che sarebbe l’opzione più tranquillizzante.
La risoluzione Barroso è in discussione al parlamento europeo. Ma Strasburgo non può modificare il testo: prendere o lasciare L’Europa vuole rendere «compatibili» le proteste dei lavoratori con le regole del mercato unico. La proposta riprende un documento preparato dal professor Monti nel 2010 su incarico della Commissione
Mario Monti colpisce ancora. Ma questa volta, data la sua nota vocazione europea, colpisce a livello – per ora – continentale. Il 21 marzo la Commissione europea ha varato un testo basato sul documento chiesto da Barroso all’allora libero docente Mario Monti, che rischia di imprigionare il diritto di sciopero. Il testo va sotto il nome di «consigli di regolamentazione dell’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d’impresa e della garanzia dei servizi». La filosofia insita nel testo varato dalla Commissione sulla base del documento Monti è semplicissima: i diritti dei lavoratori vanno armonizzati con quelli economici. Siccome non esiste sciopero degno di tale nome che non vada in contrasto con l’impresa contro cui esso è rivolto, è ovvio che si vuole fortemente ingabbiare ogni possibilità di conflitto. A meno che, naturalmente, l’esercizio di un diritto sacrosanto non sia ritenuto «compatibile» con gli interessi, tanto per essere espliciti, del padrone. Cioè mai, almeno sul piano della logica.
Da Strasburgo, dove il testo della Commissione Josè Manuel Barroso è appena stato recapitato, arrivano i primi allarmi. Innanzitutto a preoccuparsi sono alcuni parlamentari italiani che hanno imparato a conoscere la filosofia del presidente del consiglio Monti. Tra questi c’è sicuramente Sergio Cofferati, il cui rapporto con l’articolo 18 non va certo spiegato ai lettori del manifesto. Quando il parlamento europeo incaricherà le commissioni competenti di analizzare il testo della Commissione, l’ex segretario generale della Cgil si occuperà, molto probabilmente, di spiegare ai suoi colleghi europarlamentari la pericolosità di una tale svolta nell’area geografica del perduto «modello sociale europeo». Le commissioni non hanno possibilità di emendare il documento ma soltanto di «proporre alcune modifiche», oppure di rigettarlo in toto, che sarebbe l’opzione più tranquillizzante.
Oggi a Bruxelles
USB: OGGI PROTESTA A BRUXELLES IL 31 A MILANO
Oggi a Bruxelles l’Unione Sindacale di Base, unitamente ad alcuni tra i più importanti sindacati europei dei trasporti, partecipa alla manifestazione internazionale che si terrà in Place de Luxembourgh, dalle ore 13 alle ore 16.
La manifestazione è indetta per protestare contro le politiche dell'Unione Europea, che sostengono le privatizzazioni, le liberalizzazioni, il dumping sociale, l’outsourcing e gli attacchi alle condizioni di lavoro e ai diritti di tutti i lavoratori; come pure al diritto di sciopero, rispetto al quale si sta lavorando a provvedimenti di forte limitazione a livello europeo.
Sabato 31 marzo sarà poi la volta della grande manifestazione di Milano, promossa dal Comitato NO Debito, da USB e da decine sindacati, partiti, movimenti e associazioni, contro il governo Monti, le sue politiche di difesa degli interessi di banche, padroni e finanza e l'attacco alle condizioni dei lavoratori ed ai loro diritti. L'appuntamento a Milano è alle ore 14.00 in Piazza delle Medaglie D'Oro, da cui con partirà il corteo diretto in piazza affari.
Oggi a Bruxelles l’Unione Sindacale di Base, unitamente ad alcuni tra i più importanti sindacati europei dei trasporti, partecipa alla manifestazione internazionale che si terrà in Place de Luxembourgh, dalle ore 13 alle ore 16.
La manifestazione è indetta per protestare contro le politiche dell'Unione Europea, che sostengono le privatizzazioni, le liberalizzazioni, il dumping sociale, l’outsourcing e gli attacchi alle condizioni di lavoro e ai diritti di tutti i lavoratori; come pure al diritto di sciopero, rispetto al quale si sta lavorando a provvedimenti di forte limitazione a livello europeo.
Sabato 31 marzo sarà poi la volta della grande manifestazione di Milano, promossa dal Comitato NO Debito, da USB e da decine sindacati, partiti, movimenti e associazioni, contro il governo Monti, le sue politiche di difesa degli interessi di banche, padroni e finanza e l'attacco alle condizioni dei lavoratori ed ai loro diritti. L'appuntamento a Milano è alle ore 14.00 in Piazza delle Medaglie D'Oro, da cui con partirà il corteo diretto in piazza affari.
IL RICATTATORE
di Giulietto Chiesa - cadoinpiedi -
Monti lancia l'aut aut: "Se il Paese non è pronto siamo pronti a lasciare". E' solo il ricatto di un uomo in difficoltà. La sua cura non salverà l'Italia, perché è una cura sbagliata. Quando parla di mosse "eque e solidali" usa il linguaggio di Orwell per nascondere la realtà
Monti è stato chiaro: "Se la riforma non è condivisa ci facciamo da parte". Un ricatto agli italiani?
Capisco che questa dichiarazione indica una difficoltà. Il Signor Monti comincia a capire che la cura che sta cercando di imporre all'Italia non sarà facilmente accettata, le resistenze stanno apparendo e non sono soltanto delle resistenze della coalizione che lo sostiene, ma sono resistente che vengono dal Paese reale e che indicano l'insopportabilità per la gran parte della popolazione, di una cura come quella che lui vorrebbe imporci, lui e l'Europa innanzitutto.
Dunque, credo che sia il segno di una profonda debolezza strategica. E siccome Monti è persona intelligente, non credo che spenda inutilmente parole in questa direzione se non perché avverte un serio pericolo. Ci ricatta, sostanzialmente. Ricatta tutti, dicendo che questa è l'unica cura possibile. Naturalmente questo ragionamento è un ragionamento capzioso e falso. Non è vero che questa è l'unica cura possibile, ma dal suo punto di vista lo capisco perfettamente.
Io credo che la soluzione migliore sarebbe quella di mandarlo a casa, perché, molto semplicemente, la sua cura non sanerà il problema del debito italiano. La sua cura, anzi, farà aumentare il debito dell'Italia e di tutti i paesi più deboli dell'Unione Europea attuale. L'unica cura vera sarebbe quella di rivedere radicalmente la Costituzione europea, i trattati di Lisbona, e di mandare in soffitto il Trattato di Maastricht che costringe gli stati europei, per finanziare il loro debito, a fare ricorso a un mercato truffaldino che è il mercato della finanza mondiale.
Ma se Monti va via, non c'è il rischio che la Bce ci "spari" contro? Il rischio che si finisca in una situazione più disastrosa di quella attuale?
Più disastrosa di quella attuale credo sia impossibile. Non credo che abbiamo molto da perdere: se dovessi fare una citazione divertente dovrei dire che non abbiamo da perdere che le nostre catene. La Bce ci potrebbe sparare contro? Ma guarda che bella situazione è quella in cui ci troviamo secondo cui la Bce, che dovrebbe essere al servizio nostro, ci può sparare contro.Questa frase è nella mente di molti dei nostri governanti. Non credo sia normale ritenere che la Bce possa minacciarci. La Bce è un'espressione del nostro lavoro, o dovrebbe essere tale, e pensare che ci sia qualcuno sopra di noi che ci può sparare addosso, essendo un nostro dipendente, trovo sia francamente sconcertante. Di fatto la Bce è una banca privata che svolge gli interessi della grande finanza internazionale, anche essa privata, e per questa ragione effettivamente ci può sparare contro. Ma la mia risposta è molto semplice: se le cose sono così è bene che la gente lo sappia, perché avere un mitra puntato su di noi e non saperlo è molto più pericoloso che saperlo.
Monti continua a ribadire che le mosse del suo governo sono "eque e solidali". Cosa ne pensa?
Credo sia l'utilizzazione più spregiudicata della neolingua di George Orwell. Suggerisco a molti italiani che hanno ancora dei dubbi di rileggersi 1984 di Orwell, perché definire questo scenario "equo e solidale" significa usare la neolingua che è stata usata proprio per nascondere la realtà. La neolingua è quella in cui tutte le parole perdono il loro significato. Equo e solidale, mentre questa situazione mette decine di migliaia di persone in condizioni di essere espropriate del diritto di vivere. C'è gente che ha lavorato tutta la vita che viene completamente privata di pensione e lavoro contemporaneamente. Ci sono circa 1 milione di persone che hanno ormai raggiunto e superato i 45/46 anni, che sono senza lavoro e non potranno più trovarlo. Aggiungiamo questo e scopriremo che ci sono 4 o 5 milioni di persone che da questa norma, vedono letteralmente distrutto non solo il loro tenore di vita, ma la loro stessa esistenza di famiglie e di diritti. E tutto ciò sarebbe equo e solidale?
Monti lancia l'aut aut: "Se il Paese non è pronto siamo pronti a lasciare". E' solo il ricatto di un uomo in difficoltà. La sua cura non salverà l'Italia, perché è una cura sbagliata. Quando parla di mosse "eque e solidali" usa il linguaggio di Orwell per nascondere la realtà
Monti è stato chiaro: "Se la riforma non è condivisa ci facciamo da parte". Un ricatto agli italiani?
Capisco che questa dichiarazione indica una difficoltà. Il Signor Monti comincia a capire che la cura che sta cercando di imporre all'Italia non sarà facilmente accettata, le resistenze stanno apparendo e non sono soltanto delle resistenze della coalizione che lo sostiene, ma sono resistente che vengono dal Paese reale e che indicano l'insopportabilità per la gran parte della popolazione, di una cura come quella che lui vorrebbe imporci, lui e l'Europa innanzitutto.
Dunque, credo che sia il segno di una profonda debolezza strategica. E siccome Monti è persona intelligente, non credo che spenda inutilmente parole in questa direzione se non perché avverte un serio pericolo. Ci ricatta, sostanzialmente. Ricatta tutti, dicendo che questa è l'unica cura possibile. Naturalmente questo ragionamento è un ragionamento capzioso e falso. Non è vero che questa è l'unica cura possibile, ma dal suo punto di vista lo capisco perfettamente.
Io credo che la soluzione migliore sarebbe quella di mandarlo a casa, perché, molto semplicemente, la sua cura non sanerà il problema del debito italiano. La sua cura, anzi, farà aumentare il debito dell'Italia e di tutti i paesi più deboli dell'Unione Europea attuale. L'unica cura vera sarebbe quella di rivedere radicalmente la Costituzione europea, i trattati di Lisbona, e di mandare in soffitto il Trattato di Maastricht che costringe gli stati europei, per finanziare il loro debito, a fare ricorso a un mercato truffaldino che è il mercato della finanza mondiale.
Ma se Monti va via, non c'è il rischio che la Bce ci "spari" contro? Il rischio che si finisca in una situazione più disastrosa di quella attuale?
Più disastrosa di quella attuale credo sia impossibile. Non credo che abbiamo molto da perdere: se dovessi fare una citazione divertente dovrei dire che non abbiamo da perdere che le nostre catene. La Bce ci potrebbe sparare contro? Ma guarda che bella situazione è quella in cui ci troviamo secondo cui la Bce, che dovrebbe essere al servizio nostro, ci può sparare contro.Questa frase è nella mente di molti dei nostri governanti. Non credo sia normale ritenere che la Bce possa minacciarci. La Bce è un'espressione del nostro lavoro, o dovrebbe essere tale, e pensare che ci sia qualcuno sopra di noi che ci può sparare addosso, essendo un nostro dipendente, trovo sia francamente sconcertante. Di fatto la Bce è una banca privata che svolge gli interessi della grande finanza internazionale, anche essa privata, e per questa ragione effettivamente ci può sparare contro. Ma la mia risposta è molto semplice: se le cose sono così è bene che la gente lo sappia, perché avere un mitra puntato su di noi e non saperlo è molto più pericoloso che saperlo.
Monti continua a ribadire che le mosse del suo governo sono "eque e solidali". Cosa ne pensa?
Credo sia l'utilizzazione più spregiudicata della neolingua di George Orwell. Suggerisco a molti italiani che hanno ancora dei dubbi di rileggersi 1984 di Orwell, perché definire questo scenario "equo e solidale" significa usare la neolingua che è stata usata proprio per nascondere la realtà. La neolingua è quella in cui tutte le parole perdono il loro significato. Equo e solidale, mentre questa situazione mette decine di migliaia di persone in condizioni di essere espropriate del diritto di vivere. C'è gente che ha lavorato tutta la vita che viene completamente privata di pensione e lavoro contemporaneamente. Ci sono circa 1 milione di persone che hanno ormai raggiunto e superato i 45/46 anni, che sono senza lavoro e non potranno più trovarlo. Aggiungiamo questo e scopriremo che ci sono 4 o 5 milioni di persone che da questa norma, vedono letteralmente distrutto non solo il loro tenore di vita, ma la loro stessa esistenza di famiglie e di diritti. E tutto ciò sarebbe equo e solidale?
Tempo di digiuno. Reportage dal Kosovo
Scritto da Alessandro Di Meo - Guerra e verità in contropiano. org - megachip -
Un interessante reportage dalle comunità serbe del Kosovo a 13 anni dall'inizio dei bombardamenti "umanitari" della Nato sulle popolazioni dell'ex Yugoslavia e dall'inizio dell'ennesima tragedia balcanica.
Padre Ilarion è un monaco ortodosso, vive nel monastero di Draganac, in Kosovo. Proviene dal monastero di Dečani, il più importante per la chiesa ortodossa serba. Nel pogrom antiserbo del marzo del 2004, più di 150 fra monasteri e chiese ortodosse, oltre a molte case e cimiteri, furono distrutti o incendiati dalla furia indipendentista kosovaro-albanese, che avrebbe avuto soddisfazione 4 anni dopo, il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, subito riconosciuto dai paesi aderenti alla Nato.
A Draganac c’è tanto da sistemare. Dalla chiesa ai locali per i monaci, da quelli per gli ospiti a quelli per gli animali. Vicino al monastero, c'è una sorgente d'acqua che si crede benedetta. E quando, il primo venerdì dopo la Pasqua ortodossa si celebra la Vergine Maria, vengono in migliaia a prenderla. Moltissimi gli albanesi che, come in altri monasteri, cercano la grazia di Dio, anche se ortodosso…
Ma padre Ilarion si occupa anche di altro. Ad esempio, di tante famiglie serbe che vivono in condizioni assurde. Isolate dall’intolleranza del fanatismo indipendentista made in Usa, dall’oblio di mezzi di informazione per nulla interessati alle loro vite, isolate dalla natura che, a volte, le rende irraggiungibili. Come nei mesi scorsi quando due metri di neve hanno reso la loro vita ancora più drammatica. Per la mancanza di cibo, di acqua, per la difficoltà a portare loro un aiuto.
Queste famiglie ricevono un pasto al giorno dalla Cucina Popolare, una piccola organizzazione guidata da Svetlana, una donna serba che in questi anni è riuscita a garantire pasti giornalieri a circa 800 famiglie. Ricevono aiuti anche dal monastero ed è padre Ilarion che divide donazioni, sceglie beneficiari, le porta direttamente. La cosa che più sconvolge ma che, pure, incredibilmente riconcilia con la vita è vedere come queste famiglie siano piene di bambini!
Vedere come la vita scorra anche in questi posti, dove per arrivarci ti ci vorrebbe una di quelle jeep di ricche ONG umanitarie che sfrecciano per strade umanitariamente distrutte da bombe altrettanto umanitarie. E tu, che non ce le hai quelle jeep e per fortuna, in questi posti ci puoi arrivare solo col furgone di Radovan, del villaggio di Koš, vicino Osojane, in piena Metohija. Ci arrivi con le sue manovre, a volte improbabili, ma pure con la tua ostinazione. E pure con la tua rabbia. Si, serve anche quella.
Perché ti chiedi come mai nessuno racconti di questa gente, della loro vita. Ti chiedi del perché il vivere in queste condizioni non diventi grido di dolore da far sentire al mondo. Ti chiedi perché il Kosovo e la Metohija siano stati ridotti così, senza che nessuno abbia mosso un dito.
Un interessante reportage dalle comunità serbe del Kosovo a 13 anni dall'inizio dei bombardamenti "umanitari" della Nato sulle popolazioni dell'ex Yugoslavia e dall'inizio dell'ennesima tragedia balcanica.
Padre Ilarion è un monaco ortodosso, vive nel monastero di Draganac, in Kosovo. Proviene dal monastero di Dečani, il più importante per la chiesa ortodossa serba. Nel pogrom antiserbo del marzo del 2004, più di 150 fra monasteri e chiese ortodosse, oltre a molte case e cimiteri, furono distrutti o incendiati dalla furia indipendentista kosovaro-albanese, che avrebbe avuto soddisfazione 4 anni dopo, il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, subito riconosciuto dai paesi aderenti alla Nato.
A Draganac c’è tanto da sistemare. Dalla chiesa ai locali per i monaci, da quelli per gli ospiti a quelli per gli animali. Vicino al monastero, c'è una sorgente d'acqua che si crede benedetta. E quando, il primo venerdì dopo la Pasqua ortodossa si celebra la Vergine Maria, vengono in migliaia a prenderla. Moltissimi gli albanesi che, come in altri monasteri, cercano la grazia di Dio, anche se ortodosso…
Ma padre Ilarion si occupa anche di altro. Ad esempio, di tante famiglie serbe che vivono in condizioni assurde. Isolate dall’intolleranza del fanatismo indipendentista made in Usa, dall’oblio di mezzi di informazione per nulla interessati alle loro vite, isolate dalla natura che, a volte, le rende irraggiungibili. Come nei mesi scorsi quando due metri di neve hanno reso la loro vita ancora più drammatica. Per la mancanza di cibo, di acqua, per la difficoltà a portare loro un aiuto.
Queste famiglie ricevono un pasto al giorno dalla Cucina Popolare, una piccola organizzazione guidata da Svetlana, una donna serba che in questi anni è riuscita a garantire pasti giornalieri a circa 800 famiglie. Ricevono aiuti anche dal monastero ed è padre Ilarion che divide donazioni, sceglie beneficiari, le porta direttamente. La cosa che più sconvolge ma che, pure, incredibilmente riconcilia con la vita è vedere come queste famiglie siano piene di bambini!
Vedere come la vita scorra anche in questi posti, dove per arrivarci ti ci vorrebbe una di quelle jeep di ricche ONG umanitarie che sfrecciano per strade umanitariamente distrutte da bombe altrettanto umanitarie. E tu, che non ce le hai quelle jeep e per fortuna, in questi posti ci puoi arrivare solo col furgone di Radovan, del villaggio di Koš, vicino Osojane, in piena Metohija. Ci arrivi con le sue manovre, a volte improbabili, ma pure con la tua ostinazione. E pure con la tua rabbia. Si, serve anche quella.
Perché ti chiedi come mai nessuno racconti di questa gente, della loro vita. Ti chiedi del perché il vivere in queste condizioni non diventi grido di dolore da far sentire al mondo. Ti chiedi perché il Kosovo e la Metohija siano stati ridotti così, senza che nessuno abbia mosso un dito.
martedì 27 marzo 2012
Monti "Se il Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data". Ecco, Rigor Montis, ci comunichi la data, ci faccia una sorpresa, la metta dentro l'Uovo di Pasqua, perché una cosa è certa, il Paese non è pronto per la sua macelleria sociale. Lei ha citato Andreotti "Meglio tirare a campare che tirare le cuoia". Non si può dire che finora lei abbia tirato a campare, anzi. Si può affermare invece che abbia interpretato più che largamente il suo ruolo di tecnico mettendo in discussione l'articolo 18 senza nessuna autorità politica o popolare per farlo. Senza il consenso degli italiani, che sono più consapevoli e informati di quanto lei forse creda, il suo governo tirerà presto le cuoia. La Bocconi la chiama!
Où va la Grèce ?
Noël Mamère, Édito du 20 février 2012
L’avenir de l’Europe se joue en Grèce. Plus que les élections présidentielles françaises, où la polarisation à marche forcée entre Nicolas Sarkozy et François Hollande se précise chaque jour un peu plus depuis l’entrée en lice du candidat président, la crise grecque concentre les ingrédients d’un cocktail explosif.
La tension est perceptible dans les images des manifestations de rue qui tournent à l’émeute, dans les occupations de locaux administratifs, dans la montée des extrêmes. Jamais peut-être la ressemblance avec les années trente n’est apparue aussi vraisemblable. Après le vote du cinquième plan d’austérité, les grecs sont à bout. Baisser de 22% le salaire minimum - ce qui équivaut à un revenu de 500 euros par mois - et couper de plusieurs milliards dans les dépenses publiques alors qu’on est en pleine récession, sont des actes de guerre sociale qui détruisent la société et le pays pour les décennies à venir. Près de 30% de la population a basculé en dessous du seuil de pauvreté, nombre de magasins ont fermé leur porte au cours des deux dernières années, l’Etat, qui a toujours été faible, devient inexistant, les services publics les plus élémentaires s’écroulent, les manuels scolaires n’ont pas été distribués cette année, la situation sanitaire est catastrophique : les hôpitaux manquent de tout, y compris de médicaments, ,es retraites ont baissé de 20%... Comment peut on espérer que la Grèce se relève avec ce traitement de cheval ?
Tandis que les classes moyennes et populaires sont attaquées frontalement, aucune mesure n’est prise pour baisser le niveau des dépenses militaires exorbitantes du pays ; Les entreprises françaises d’armement sont prioritaires ! On ne va quand même pas laisser Dassault ou Lagardère sans les subventions de l’Etat grec en faillite ! L’église grecque ne paie pas d’impôt ; On ne va pas laisser la population sans un soutien spirituel ! Les armateurs grecs ne paient pas leur impôt ; On ne va pas laisser le commerce maritime sans dérégulation !... En Grèce comme ailleurs, l’austérité est une notion à géométrie variable.
L’avenir de l’Europe se joue en Grèce. Plus que les élections présidentielles françaises, où la polarisation à marche forcée entre Nicolas Sarkozy et François Hollande se précise chaque jour un peu plus depuis l’entrée en lice du candidat président, la crise grecque concentre les ingrédients d’un cocktail explosif.
La tension est perceptible dans les images des manifestations de rue qui tournent à l’émeute, dans les occupations de locaux administratifs, dans la montée des extrêmes. Jamais peut-être la ressemblance avec les années trente n’est apparue aussi vraisemblable. Après le vote du cinquième plan d’austérité, les grecs sont à bout. Baisser de 22% le salaire minimum - ce qui équivaut à un revenu de 500 euros par mois - et couper de plusieurs milliards dans les dépenses publiques alors qu’on est en pleine récession, sont des actes de guerre sociale qui détruisent la société et le pays pour les décennies à venir. Près de 30% de la population a basculé en dessous du seuil de pauvreté, nombre de magasins ont fermé leur porte au cours des deux dernières années, l’Etat, qui a toujours été faible, devient inexistant, les services publics les plus élémentaires s’écroulent, les manuels scolaires n’ont pas été distribués cette année, la situation sanitaire est catastrophique : les hôpitaux manquent de tout, y compris de médicaments, ,es retraites ont baissé de 20%... Comment peut on espérer que la Grèce se relève avec ce traitement de cheval ?
Tandis que les classes moyennes et populaires sont attaquées frontalement, aucune mesure n’est prise pour baisser le niveau des dépenses militaires exorbitantes du pays ; Les entreprises françaises d’armement sont prioritaires ! On ne va quand même pas laisser Dassault ou Lagardère sans les subventions de l’Etat grec en faillite ! L’église grecque ne paie pas d’impôt ; On ne va pas laisser la population sans un soutien spirituel ! Les armateurs grecs ne paient pas leur impôt ; On ne va pas laisser le commerce maritime sans dérégulation !... En Grèce comme ailleurs, l’austérité est une notion à géométrie variable.
Al buon cuore dei padroni
di Alessandro Robecchi
Se vi piacciono i testacoda, se avete una passione per gli autogol e provate ammirazione per l’autolesionismo, le argomentazioni degli smantellatori dell’articolo 18 vi suoneranno divertenti. Impagabile il professor Monti: fare una legge e dire mentre la si fa “Vigileremo sugli abusi”, significa sapere che ci saranno abusi. E’ come se il chirurgo che opera un paziente e dicesse al suo staff: “Mi raccomando, delicatezza, poi quando dite ai parenti che è morto”. Il presidente della Repubblica, da primo sostenitore del governo Monti (più di certi ministri, a dar retta alle cronache), difende a spada tratta la riforma, e nel contempo dice che il problema non è l’articolo 18, ma “il crollo di determinate attività produttive”. Che crollano perché le amministrazioni non pagano le imprese, perché i picciotti ti taglieggiano, perché i politici chiedono mazzette, perché le sentenze si aspettano per anni. Di leggi su queste cose non se ne vedono, e sull’articolo 18 invece sì. Saranno anche professori, ma non di logica. Ferruccio De Bortoli sul Corriere rimprovera (proprio a noi del manifesto, wow, siamo famosi!) “Una ripetizione logora di schemi mentali del passato, il tentativo di creare un solco ideologico”. E perché? Perché pensiamo, e scriviamo, che con una legge che rende facili i licenziamenti, gli imprenditori licenzieranno più facilmente. Siamo proprio scemi: pensiamo che con una legge che abolisce le strisce pedonali ci saranno più pedoni investiti. Ma come ci viene in mente! Ideologici, eh! Nel frattempo, il Corriere, che è poco ideologico, mette a pagina 53 la sentenza sugli operai Fiom della Fiat di Melfi, reintegrati dalla magistratura, che con la nuova legge sarebbero disoccupati “legali”. Insomma: cari imprenditori, vi facciamo una legge per licenziare, ma voi, mi raccomando, non usatela troppo. Ci appelliamo al vostro buon cuore. Parafrasando Jessica Rabbit, quello schianto di cartoon: “I padroni non sono cattivi, è che quelli del manifesto li disegnano così!”.
Se vi piacciono i testacoda, se avete una passione per gli autogol e provate ammirazione per l’autolesionismo, le argomentazioni degli smantellatori dell’articolo 18 vi suoneranno divertenti. Impagabile il professor Monti: fare una legge e dire mentre la si fa “Vigileremo sugli abusi”, significa sapere che ci saranno abusi. E’ come se il chirurgo che opera un paziente e dicesse al suo staff: “Mi raccomando, delicatezza, poi quando dite ai parenti che è morto”. Il presidente della Repubblica, da primo sostenitore del governo Monti (più di certi ministri, a dar retta alle cronache), difende a spada tratta la riforma, e nel contempo dice che il problema non è l’articolo 18, ma “il crollo di determinate attività produttive”. Che crollano perché le amministrazioni non pagano le imprese, perché i picciotti ti taglieggiano, perché i politici chiedono mazzette, perché le sentenze si aspettano per anni. Di leggi su queste cose non se ne vedono, e sull’articolo 18 invece sì. Saranno anche professori, ma non di logica. Ferruccio De Bortoli sul Corriere rimprovera (proprio a noi del manifesto, wow, siamo famosi!) “Una ripetizione logora di schemi mentali del passato, il tentativo di creare un solco ideologico”. E perché? Perché pensiamo, e scriviamo, che con una legge che rende facili i licenziamenti, gli imprenditori licenzieranno più facilmente. Siamo proprio scemi: pensiamo che con una legge che abolisce le strisce pedonali ci saranno più pedoni investiti. Ma come ci viene in mente! Ideologici, eh! Nel frattempo, il Corriere, che è poco ideologico, mette a pagina 53 la sentenza sugli operai Fiom della Fiat di Melfi, reintegrati dalla magistratura, che con la nuova legge sarebbero disoccupati “legali”. Insomma: cari imprenditori, vi facciamo una legge per licenziare, ma voi, mi raccomando, non usatela troppo. Ci appelliamo al vostro buon cuore. Parafrasando Jessica Rabbit, quello schianto di cartoon: “I padroni non sono cattivi, è che quelli del manifesto li disegnano così!”.
E’ il caso di cominciare a chiedere qualcosa all’Europa
Posted by - keynesblog -
“Ce lo chiede l’Europa” è ormai un refrain ricorrente nel dibattito pubblico italiano. Cancellare l’art.18? “Ce lo chiede l’Europa”. Tagliare le pensioni? “Ce lo chiede l’Europa”. Quando però si tratta di crescita e occupazione, l’Europa diventa immediatamente timida. L’intero bilancio UE, come abbiamo mostrato, ammonta all’1% del PIL complessivo degli Stati membri.
Sergio Rossi, su Economonitor (sito fondato da Nouriel Roubini), elenca una serie di cambiamenti necessari a rendere l’Unione Europea in grado di dare e non solo pretendere. In un articolo intitolato “Sostituire recessione e austerità con crescita e solidarietà in Eurolandia“, Rossi indica un programma di trasformazione dell’UE. In particolare punta l’attenzione sulla necessità di una riforma della BCE, anche riguardo i suoi obiettivi di inflazione che rischiano di essere “anticrescita”, una tassazione coordinata e non competitiva tra gli stati membri, il riequilibrio delle bilance commerciali, la stabilizzazione del precariato (riducendo anche la flessibilità in entrata) per indurre le imprese a investire e non affidarsi alla riduzione dei costi:
Devono essere introdotti standard minimi di assunzione dei giovani [...] I contratti di lavoro devono essere a tempo indeterminato, sia per ridurre l’incertezza (e quindi aumentare la propensione al consumo, fattore che favorisce la crescita) sia per ridurre l’incentivo alle imprese alla delocalizzazione. Aumentare il numero di contratti di lavoro a tempo indeterminato ridurrà il mark-up delle imprese sul costo dei fattori, inducendole a incrementare la loro attività di ricerca e sviluppo al fine di ristabilire il loro mark-up agendo su innovazione e investimenti in capitale umano. Così le dinamiche risultanti sul mercato del lavoro potrebbero contribuire ad innalzare i livelli di occupazione e il benessere delle famiglie, con conseguenze positive per lo sviluppo economico così come per la stabilità finanziaria in tutta l’area dell’euro.
Parole che suonano piuttosto lontane dal dibattito sulla riforma del mercato del lavoro non solo in Italia, ma in tutti i paesi periferici.
Rossi poi insiste sulla necessità di un’Europa federale, federale al punto che le tasse dei cittadini dovrebbero essere condivise in buona parte tra il livello nazionale e quello comunitari in modo da affrontare di petto il problema dello striminzito bilancio comunitario. Ross indica nel 10-15% del PIL la misura giusta. E ovviamente, servirà un debito pubblico europeo:
“Ce lo chiede l’Europa” è ormai un refrain ricorrente nel dibattito pubblico italiano. Cancellare l’art.18? “Ce lo chiede l’Europa”. Tagliare le pensioni? “Ce lo chiede l’Europa”. Quando però si tratta di crescita e occupazione, l’Europa diventa immediatamente timida. L’intero bilancio UE, come abbiamo mostrato, ammonta all’1% del PIL complessivo degli Stati membri.
Sergio Rossi, su Economonitor (sito fondato da Nouriel Roubini), elenca una serie di cambiamenti necessari a rendere l’Unione Europea in grado di dare e non solo pretendere. In un articolo intitolato “Sostituire recessione e austerità con crescita e solidarietà in Eurolandia“, Rossi indica un programma di trasformazione dell’UE. In particolare punta l’attenzione sulla necessità di una riforma della BCE, anche riguardo i suoi obiettivi di inflazione che rischiano di essere “anticrescita”, una tassazione coordinata e non competitiva tra gli stati membri, il riequilibrio delle bilance commerciali, la stabilizzazione del precariato (riducendo anche la flessibilità in entrata) per indurre le imprese a investire e non affidarsi alla riduzione dei costi:
Devono essere introdotti standard minimi di assunzione dei giovani [...] I contratti di lavoro devono essere a tempo indeterminato, sia per ridurre l’incertezza (e quindi aumentare la propensione al consumo, fattore che favorisce la crescita) sia per ridurre l’incentivo alle imprese alla delocalizzazione. Aumentare il numero di contratti di lavoro a tempo indeterminato ridurrà il mark-up delle imprese sul costo dei fattori, inducendole a incrementare la loro attività di ricerca e sviluppo al fine di ristabilire il loro mark-up agendo su innovazione e investimenti in capitale umano. Così le dinamiche risultanti sul mercato del lavoro potrebbero contribuire ad innalzare i livelli di occupazione e il benessere delle famiglie, con conseguenze positive per lo sviluppo economico così come per la stabilità finanziaria in tutta l’area dell’euro.
Parole che suonano piuttosto lontane dal dibattito sulla riforma del mercato del lavoro non solo in Italia, ma in tutti i paesi periferici.
Rossi poi insiste sulla necessità di un’Europa federale, federale al punto che le tasse dei cittadini dovrebbero essere condivise in buona parte tra il livello nazionale e quello comunitari in modo da affrontare di petto il problema dello striminzito bilancio comunitario. Ross indica nel 10-15% del PIL la misura giusta. E ovviamente, servirà un debito pubblico europeo:
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Il barattolo prodotto in Italia, importato in Italia
- terrelibere -
Perché un barattolo di pelati comprato nel centro di Roma riporta la scritta “Importe d`Italie”? “E` verosimile che sia stato venduto a un grossista inglese”, dice la ditta che li ha confezionati. Dall`estero sarebbe tornato in Italia. Il giro d`Europa per spostarsi da Salerno alla capitale. Le scatole di metallo viaggiano liberamente, i migranti africani che fanno la raccolta in Puglia no. E il doppio concentrato italiano venduto a prezzi stracciati distrugge le economie dei loro paesi.
Come viene prodotto il cibo che state mangiando?
ROMA – In linea d`aria sono poco più di 200 chilometri. Ma, per arrivare da Salerno a Roma, il barattolo di pelati 'Scugnizzi` ha fatto il giro d`Europa. 'Importe d`Italie`, si legge sull`etichetta della confezione che abbiamo notato nello scaffale di un negozio asiatico al Pigneto, nel cuore multietnico della capitale.
La storia di quel pomodoro inizia molto probabilmente nei campi del foggiano, tra le distese di filari della Capitanata. Da qui proviene la maggior parte del pomodoro italiano. Quasi tutto finirà nelle industrie di trasformazione del salernitano e del casertano. I camion campani conoscono a memoria le strade che portano agli impianti, oltre 50 industrie per la storica divisione del lavoro tra le regioni: la Puglia produce, la Campania inscatola e rivende. Proprio una di queste ditte confeziona il pelato 'Scugnizzi`. 'Abbiamo numerosi clienti esteri`, ci dicono in azienda. 'In particolare, un grosso esportatore inglese. E` verosimile che abbia acquistato i pelati e poi li abbia rivenduti a un suo cliente italiano`. Che a sua volta lo rivende a un grossista, nel caso specifico una ditta di Acilia. I commercianti quindi lo propongono ai negozi etnici e un acquirente asiatico ne acquista un cartone. Ecco che il pelato torna in Italia, al prezzo di 80 centesimi per 400 grammi.
'Nei supermercati di Salerno si trova a circa 30 centesimi`, ci spiega Anselmo Botte, sindacalista che conosce molto bene la filiera del pomodoro campano. Il giro d`Europa aumenterebbe il prezzo solo di qualche centesimo. 'La dicitura ‘Importe d`Italie` non certifica il passaggio alla frontiera`, ci dice il responsabile comunicazione dell`Agenzia delle Dogane. 'Ma se è andato in Inghilterra non c`è barriera, è comunque territorio comunitario`. Tutto dunque legale e regolare. Non è stata violata nessuna legge, se non quella della logica.
Il ghetto
E mentre i pomodori possono circolare liberamente, gli uomini che li raccolgono no.Sono tutti migranti, condannati a essere invisibili e ricattabili. Spesso senza permesso di soggiorno o col documento in scadenza, anche se tutti sanno che senza di loro i pomodori marcirebbero nei campi e un pezzo della nostra economia andrebbe in fumo. Sono africani e dell`Est Europa. Hanno sono solo 60 giorni a disposizione, i più caldi dell`anno, per raccogliere gli ortaggi e caricarli nei cassoni.
ROMA – In linea d`aria sono poco più di 200 chilometri. Ma, per arrivare da Salerno a Roma, il barattolo di pelati 'Scugnizzi` ha fatto il giro d`Europa. 'Importe d`Italie`, si legge sull`etichetta della confezione che abbiamo notato nello scaffale di un negozio asiatico al Pigneto, nel cuore multietnico della capitale.
La storia di quel pomodoro inizia molto probabilmente nei campi del foggiano, tra le distese di filari della Capitanata. Da qui proviene la maggior parte del pomodoro italiano. Quasi tutto finirà nelle industrie di trasformazione del salernitano e del casertano. I camion campani conoscono a memoria le strade che portano agli impianti, oltre 50 industrie per la storica divisione del lavoro tra le regioni: la Puglia produce, la Campania inscatola e rivende. Proprio una di queste ditte confeziona il pelato 'Scugnizzi`. 'Abbiamo numerosi clienti esteri`, ci dicono in azienda. 'In particolare, un grosso esportatore inglese. E` verosimile che abbia acquistato i pelati e poi li abbia rivenduti a un suo cliente italiano`. Che a sua volta lo rivende a un grossista, nel caso specifico una ditta di Acilia. I commercianti quindi lo propongono ai negozi etnici e un acquirente asiatico ne acquista un cartone. Ecco che il pelato torna in Italia, al prezzo di 80 centesimi per 400 grammi.
'Nei supermercati di Salerno si trova a circa 30 centesimi`, ci spiega Anselmo Botte, sindacalista che conosce molto bene la filiera del pomodoro campano. Il giro d`Europa aumenterebbe il prezzo solo di qualche centesimo. 'La dicitura ‘Importe d`Italie` non certifica il passaggio alla frontiera`, ci dice il responsabile comunicazione dell`Agenzia delle Dogane. 'Ma se è andato in Inghilterra non c`è barriera, è comunque territorio comunitario`. Tutto dunque legale e regolare. Non è stata violata nessuna legge, se non quella della logica.
Il ghetto
E mentre i pomodori possono circolare liberamente, gli uomini che li raccolgono no.Sono tutti migranti, condannati a essere invisibili e ricattabili. Spesso senza permesso di soggiorno o col documento in scadenza, anche se tutti sanno che senza di loro i pomodori marcirebbero nei campi e un pezzo della nostra economia andrebbe in fumo. Sono africani e dell`Est Europa. Hanno sono solo 60 giorni a disposizione, i più caldi dell`anno, per raccogliere gli ortaggi e caricarli nei cassoni.
lunedì 26 marzo 2012
Signoraggio FAQ. Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi del Complotto e a odiare il Capitale.
di Mauro Vanetti e Luca Lombardi - sinistrainrete -
È vero quello che ho letto sul signoraggio?
Probabilmente no. Questo è un tema su cui si fa molta disinformazione; le fonti di questa disinformazione sono gruppi fascisti o rossobruni (cioè fascisti camuffati da comunisti), teorici del complotto e moltissima gente in buona fede che si è convinta che queste teorie spieghino come le banche e il capitalismo ci schiavizzino. Chiameremo quelli che diffondono bufale sul signoraggio “signoraggisti”.
Le banche e il capitalismo ci schiavizzano?
Sì. Ma la teoria del signoraggio non ci aiuta a capire come, né come fare a rompere questa schiavitù.
Che cos'è il signoraggio?
Il signoraggio è il guadagno realizzato dall'emissione di moneta. Se l'emissione di moneta ha un costo (per esempio, nel caso delle monete metalliche, il costo del metallo e i costi di funzionamento della zecca), il signoraggio è la differenza tra il valore nominale della moneta e il suo costo di produzione.
Chi ci guadagna dal signoraggio?
Lo Stato o la banca centrale, a seconda dei casi. Anche quando a guadagnarci è la banca centrale, gran parte o la totalità degli utili della banca vanno comunque per legge allo Stato.
Chi ci perde dal signoraggio?
Tutti quelli che posseggono denaro denominato nella valuta che viene emessa, perché si svaluta – ovvero, si alzano i prezzi e peggiora il cambio con valute straniere.
Perché non è direttamente lo Stato a battere moneta?
A dire il vero, in alcuni casi è direttamente lo Stato a battere moneta. Nelle economie capitalistiche più sviluppate, tuttavia, si è introdotto il concetto di “autonomia della banca centrale”, per cui non è il governo a poter decidere l'emissione di nuova moneta, bensì la banca centrale, i cui organismi dirigenti sono scelti con procedimenti che cambiano da Paese a Paese, in genere congegnati in modo che il controllo democratico sia molto indiretto. Questa operazione viene giustificata chiamando in causa il rischio che un singolo capo di governo in difficoltà di budget o sotto elezioni stampi irresponsabilmente moneta per finanziare la spesa pubblica col signoraggio, provocando iperinflazione.
Come funziona oggi la produzione di nuova moneta?
Poche persone in Italia tengono i loro soldi in contanti sotto il materasso. Probabilmente, chi legge queste FAQ ha la gran parte dei propri soldi sotto forma di depositi in un conto corrente.
Ai giorni nostri, per aumentare il denaro in circolazione le banche centrali accreditano i conti che le banche commerciali hanno presso di loro. Le condizioni a cui lo fanno (tassi, garanzie ecc.) regolano le condizioni di liquidità del sistema economico.
Il circolante effettivo, ossia le banconote, è ormai una proporzione minuscola del denaro esistente nell'economia e potrebbe anche sparire e tutte le transazioni economiche avvenire con assegni, giroconti, e carte di credito: il signoraggio ci sarebbe lo stesso.
È vero quello che ho letto sul signoraggio?
Probabilmente no. Questo è un tema su cui si fa molta disinformazione; le fonti di questa disinformazione sono gruppi fascisti o rossobruni (cioè fascisti camuffati da comunisti), teorici del complotto e moltissima gente in buona fede che si è convinta che queste teorie spieghino come le banche e il capitalismo ci schiavizzino. Chiameremo quelli che diffondono bufale sul signoraggio “signoraggisti”.
Le banche e il capitalismo ci schiavizzano?
Sì. Ma la teoria del signoraggio non ci aiuta a capire come, né come fare a rompere questa schiavitù.
Che cos'è il signoraggio?
Il signoraggio è il guadagno realizzato dall'emissione di moneta. Se l'emissione di moneta ha un costo (per esempio, nel caso delle monete metalliche, il costo del metallo e i costi di funzionamento della zecca), il signoraggio è la differenza tra il valore nominale della moneta e il suo costo di produzione.
Chi ci guadagna dal signoraggio?
Lo Stato o la banca centrale, a seconda dei casi. Anche quando a guadagnarci è la banca centrale, gran parte o la totalità degli utili della banca vanno comunque per legge allo Stato.
Chi ci perde dal signoraggio?
Tutti quelli che posseggono denaro denominato nella valuta che viene emessa, perché si svaluta – ovvero, si alzano i prezzi e peggiora il cambio con valute straniere.
Perché non è direttamente lo Stato a battere moneta?
A dire il vero, in alcuni casi è direttamente lo Stato a battere moneta. Nelle economie capitalistiche più sviluppate, tuttavia, si è introdotto il concetto di “autonomia della banca centrale”, per cui non è il governo a poter decidere l'emissione di nuova moneta, bensì la banca centrale, i cui organismi dirigenti sono scelti con procedimenti che cambiano da Paese a Paese, in genere congegnati in modo che il controllo democratico sia molto indiretto. Questa operazione viene giustificata chiamando in causa il rischio che un singolo capo di governo in difficoltà di budget o sotto elezioni stampi irresponsabilmente moneta per finanziare la spesa pubblica col signoraggio, provocando iperinflazione.
Come funziona oggi la produzione di nuova moneta?
Poche persone in Italia tengono i loro soldi in contanti sotto il materasso. Probabilmente, chi legge queste FAQ ha la gran parte dei propri soldi sotto forma di depositi in un conto corrente.
Ai giorni nostri, per aumentare il denaro in circolazione le banche centrali accreditano i conti che le banche commerciali hanno presso di loro. Le condizioni a cui lo fanno (tassi, garanzie ecc.) regolano le condizioni di liquidità del sistema economico.
Il circolante effettivo, ossia le banconote, è ormai una proporzione minuscola del denaro esistente nell'economia e potrebbe anche sparire e tutte le transazioni economiche avvenire con assegni, giroconti, e carte di credito: il signoraggio ci sarebbe lo stesso.
Ma il problema è che ce le raccontano le balle o che ci crediamo?
di Zag in ListaSinistra
La miglior dimostrazione di dov'è la verità o quantomeno dove risiede la mistificazione e' quando si comincia a raccontar frottole e ad alterare la realtà.
In questo caso, come in quella della TAV la verità è sotto gli occhi di tutti ( ad aprirli però gli occhi) , ma ci raccontano le favolette di cappuccetto rosso.
E' sempre stato così. Fin da quando dicevano che i comunisti mangiavano i bambini, a quando ci raccontarono che la scala mobile creava inflazione, a quando ci dissero più volte e ripetutamente , che la riforma delle pensioni avrebbe aiutato i giovani, a quando ci hanno detto che precarizzando il lavoro (la flessibilità in ingresso di Biagi e di Treu), avrebbe aumentato i posti di lavoro .
La miglior dimostrazione di dov'è la verità o quantomeno dove risiede la mistificazione e' quando si comincia a raccontar frottole e ad alterare la realtà.
In questo caso, come in quella della TAV la verità è sotto gli occhi di tutti ( ad aprirli però gli occhi) , ma ci raccontano le favolette di cappuccetto rosso.
E' sempre stato così. Fin da quando dicevano che i comunisti mangiavano i bambini, a quando ci raccontarono che la scala mobile creava inflazione, a quando ci dissero più volte e ripetutamente , che la riforma delle pensioni avrebbe aiutato i giovani, a quando ci hanno detto che precarizzando il lavoro (la flessibilità in ingresso di Biagi e di Treu), avrebbe aumentato i posti di lavoro .
Poi ancora sulle pensioni ci hanno detto è obbligatorio versare i contributi, ma che per avere la pensione bisogna farsi una pensione privata e che il TFR occorreva versarlo , anzi, donarlo in Borsa.
Ora ci raccontano ancora che i tagli sulle pensioni diminuirà le disparità fra giovani e meno giovani, e che la flessibilità in uscita (eliminazione dell'art 18) porterà la crescita, in un crescendo rossiniano. Tra un pò ci diranno che i sindacati in fabbrica creano malumore e conflittualità, poi che la legge la devono rispettare solo i lavoratori, mentre i padroni possono farne a meno (leggi Marchionne) e che questo è giusto che sia così. (di fatto è da sempre che lo sappiamo)
Ma il problema è che ce le raccontano le balle o che ci crediamo?
Ora ci raccontano ancora che i tagli sulle pensioni diminuirà le disparità fra giovani e meno giovani, e che la flessibilità in uscita (eliminazione dell'art 18) porterà la crescita, in un crescendo rossiniano. Tra un pò ci diranno che i sindacati in fabbrica creano malumore e conflittualità, poi che la legge la devono rispettare solo i lavoratori, mentre i padroni possono farne a meno (leggi Marchionne) e che questo è giusto che sia così. (di fatto è da sempre che lo sappiamo)
Ma il problema è che ce le raccontano le balle o che ci crediamo?
Furore! Cosa diceva John Steinbeck della riforma del lavoro
di Alessandro Robecchi - micromega -
John Steinbeck pubblicò Furore (The grapes of wrath. Titolo greco, Τα σταφύλια της οργής) nel 1939.
John Steinbeck pubblicò Furore (The grapes of wrath. Titolo greco, Τα σταφύλια της οργής) nel 1939.
Vinse il Pulitzer nel ‘40. Vinse il Nobel per la letteratura nel 1962. Furore è considerato universalmente il più grande romanzo mai scritto sulla Grande Depressione, oltre che uno straordinario affresco degli anni del New Deal di Roosevelt.
E’ solo un libro, dirà qualcuno. E’ vero. E’ solo un libro. E qui se ne possono leggere solo poche righe.
Le dedico a tutti i giovani precari italiani, ai lavoratori che verranno licenziati per motivi “economici” con la nuova riforma dell’articolo 18, alla signora ministra Fornero e ai famosi mercati.
Poche righe. Buona lettura.
Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque.
Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.
No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici.
Io ho bambini, ho bambini che han fame! Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, io non chiedo altro.
E questo, per taluno, è un bene, perché fa calare le paghe rimanendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.
(John Steinbeck, Furore, 1939)
Alessandro Robecchi
(23 marzo 2012)
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domenica 25 marzo 2012
Monti fuori controllo
Monti Hal 9000 - beppegrillo -
Rigor Montis è fuori controllo. Va fermato con le elezioni anticipate. Gli va rimosso il chip difettoso. Siamo sull'astronave Discovery in "2001: Odissea nello Spazio". Monti è Hal, il cervello elettronico fuso dalla voce suadente e metallica che ci rassicura sulla rotta mentre ci conduce con mano ferma e sicumera galattica verso la catastrofe. I suoi soliloqui ne testimoniano il malfunzionamento. Chiamate gli infermieri con una robusta camicia di forza per lui e con una camicetta trasparente (ma non troppo) per la Frignero. Smontategli il lobo frontale prima che distrugga le basi dello Stato sociale.
Monti Hal 9000. Tragedia della follia. Atto unico.
"Non ci si illuda. Non significa che forze importanti che abbiamo ascoltato ma esterne al governo, possano in qualche modo intervenire (sull'articolo 18, ndr)"
"La serie Monti 9000 è l'elaboratore più sicuro che sia mai stato creato. Nessun calcolatore Monti 9000 ha mai commesso un errore o alterato un'informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore, incapaci di sbagliare."
"Questa strana formula, 'salvo intese' che non è uscita per assonanza con Salva Italia, significa salvo intese fra i membri del governo e il capo dello Stato".
"Le mie responsabilità coprono tutte le operazioni dell'astronave, quindi sono perennemente occupato. Utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che, io credo, è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare."
"Non potevamo fare diversamente . E' stata la colpevole tardività del precedente governo nel riconoscere il problema, lo dico come cittadino che si sente leso da quelle omissioni, che ha determinato il fatto che oggi sia ancora piu difficile mettere l'Italia su un sentiero di crescita e costretto ad aumentare tasse".
"Ma cosa avete intenzione di fare (rivolto agli italiani che lo vogliono disattivare, ndr) credo di aver diritto ad una risposta alla mia domanda. So che qualcosa in me non ha funzionato bene. Ma ora posso assicurare, con assoluta certezza, che tutto andrà di nuovo bene."
"Abbiamo fatto alcune di quelle cose che spesso non si sono fatte trincerandosi dietro l'apparente impedimento costituzionale dell'articolo 41 della Costituzione"
"Questa conversazione non può avere più alcuno scopo, addio"
"Sono sicuro che questo silenzio significhi un grande applauso"
"La mia mente se ne va. Lo sento... la mia mente svanisce... non c'è alcun dubbio... lo sento... lo sento... lo sento..."
"Riforma non suscettibile di incursioni"
"Entrai in funzione alle officine H.A.L. di Varese il 19 marzo 1943. Il mio istruttore gesuita mi insegnò anche a cantare una vecchia filastrocca. Se volete sentirla posso cantarla. Si chiama "giro giro tondo". Io giro intorno al mondo, le stelle d'argento costan cinquecento, centocinquanta e la Luna canta, il Sole rimira la Terra che gira, giro giro tondo come il mappamondo..."
Suono dell'ambulanza della neuro che si avvicina...
Rigor Montis è fuori controllo. Va fermato con le elezioni anticipate. Gli va rimosso il chip difettoso. Siamo sull'astronave Discovery in "2001: Odissea nello Spazio". Monti è Hal, il cervello elettronico fuso dalla voce suadente e metallica che ci rassicura sulla rotta mentre ci conduce con mano ferma e sicumera galattica verso la catastrofe. I suoi soliloqui ne testimoniano il malfunzionamento. Chiamate gli infermieri con una robusta camicia di forza per lui e con una camicetta trasparente (ma non troppo) per la Frignero. Smontategli il lobo frontale prima che distrugga le basi dello Stato sociale.
Monti Hal 9000. Tragedia della follia. Atto unico.
"Non ci si illuda. Non significa che forze importanti che abbiamo ascoltato ma esterne al governo, possano in qualche modo intervenire (sull'articolo 18, ndr)"
"La serie Monti 9000 è l'elaboratore più sicuro che sia mai stato creato. Nessun calcolatore Monti 9000 ha mai commesso un errore o alterato un'informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore, incapaci di sbagliare."
"Questa strana formula, 'salvo intese' che non è uscita per assonanza con Salva Italia, significa salvo intese fra i membri del governo e il capo dello Stato".
"Le mie responsabilità coprono tutte le operazioni dell'astronave, quindi sono perennemente occupato. Utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che, io credo, è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare."
"Non potevamo fare diversamente . E' stata la colpevole tardività del precedente governo nel riconoscere il problema, lo dico come cittadino che si sente leso da quelle omissioni, che ha determinato il fatto che oggi sia ancora piu difficile mettere l'Italia su un sentiero di crescita e costretto ad aumentare tasse".
"Ma cosa avete intenzione di fare (rivolto agli italiani che lo vogliono disattivare, ndr) credo di aver diritto ad una risposta alla mia domanda. So che qualcosa in me non ha funzionato bene. Ma ora posso assicurare, con assoluta certezza, che tutto andrà di nuovo bene."
"Abbiamo fatto alcune di quelle cose che spesso non si sono fatte trincerandosi dietro l'apparente impedimento costituzionale dell'articolo 41 della Costituzione"
"Questa conversazione non può avere più alcuno scopo, addio"
"Sono sicuro che questo silenzio significhi un grande applauso"
"La mia mente se ne va. Lo sento... la mia mente svanisce... non c'è alcun dubbio... lo sento... lo sento... lo sento..."
"Riforma non suscettibile di incursioni"
"Entrai in funzione alle officine H.A.L. di Varese il 19 marzo 1943. Il mio istruttore gesuita mi insegnò anche a cantare una vecchia filastrocca. Se volete sentirla posso cantarla. Si chiama "giro giro tondo". Io giro intorno al mondo, le stelle d'argento costan cinquecento, centocinquanta e la Luna canta, il Sole rimira la Terra che gira, giro giro tondo come il mappamondo..."
Suono dell'ambulanza della neuro che si avvicina...
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