Posted by - keynesblog -
“Ce lo chiede l’Europa” è ormai un refrain ricorrente nel dibattito pubblico italiano. Cancellare l’art.18? “Ce lo chiede l’Europa”. Tagliare le pensioni? “Ce lo chiede l’Europa”. Quando però si tratta di crescita e occupazione, l’Europa diventa immediatamente timida. L’intero bilancio UE, come abbiamo mostrato, ammonta all’1% del PIL complessivo degli Stati membri.
Sergio Rossi, su Economonitor (sito fondato da Nouriel Roubini), elenca una serie di cambiamenti necessari a rendere l’Unione Europea in grado di dare e non solo pretendere. In un articolo intitolato “Sostituire recessione e austerità con crescita e solidarietà in Eurolandia“, Rossi indica un programma di trasformazione dell’UE. In particolare punta l’attenzione sulla necessità di una riforma della BCE, anche riguardo i suoi obiettivi di inflazione che rischiano di essere “anticrescita”, una tassazione coordinata e non competitiva tra gli stati membri, il riequilibrio delle bilance commerciali, la stabilizzazione del precariato (riducendo anche la flessibilità in entrata) per indurre le imprese a investire e non affidarsi alla riduzione dei costi:
Devono essere introdotti standard minimi di assunzione dei giovani [...] I contratti di lavoro devono essere a tempo indeterminato, sia per ridurre l’incertezza (e quindi aumentare la propensione al consumo, fattore che favorisce la crescita) sia per ridurre l’incentivo alle imprese alla delocalizzazione. Aumentare il numero di contratti di lavoro a tempo indeterminato ridurrà il mark-up delle imprese sul costo dei fattori, inducendole a incrementare la loro attività di ricerca e sviluppo al fine di ristabilire il loro mark-up agendo su innovazione e investimenti in capitale umano. Così le dinamiche risultanti sul mercato del lavoro potrebbero contribuire ad innalzare i livelli di occupazione e il benessere delle famiglie, con conseguenze positive per lo sviluppo economico così come per la stabilità finanziaria in tutta l’area dell’euro.
Parole che suonano piuttosto lontane dal dibattito sulla riforma del mercato del lavoro non solo in Italia, ma in tutti i paesi periferici.
Rossi poi insiste sulla necessità di un’Europa federale, federale al punto che le tasse dei cittadini dovrebbero essere condivise in buona parte tra il livello nazionale e quello comunitari in modo da affrontare di petto il problema dello striminzito bilancio comunitario. Ross indica nel 10-15% del PIL la misura giusta. E ovviamente, servirà un debito pubblico europeo:
Un bilancio dell’UE tra il 10 e il 15 per cento del PIL dell’Unione può essere messo insieme, come spiegato in precedenza, [per] dare un senso alla richiesta a qualche istituzione europea, come il Fondo europeo di stabilità finanziaria o il meccanismo europeo di stabilità, di emettere euro bond al fine di sostenere una ripresa guidata dagli investimenti in tutta l’UE, sostituendo così l’austerità con la solidarietà. Come l’Olanda osserva a tale proposito, “se [gli investimenti finanziati attraverso euro-obbligazioni] fossero in campo sociale, in settori quali la sanità, l’istruzione, il rinnovamento urbano e l’ambiente, potrebbero sollevare il costo di queste spese dai bilanci nazionali e migliorare la capacità degli Stati membri con reddito inferiore nell’allineare i loro livelli di investimento, occupazione e benessere, con quelli di altri Stati membri avanzati, senza ricorrere a una politica fiscale comune.
Lavoro stabile, bilancio al 10-15% del PIL, Eurobond per finanziare lo stato sociale, la ricerca, le infrastrutture, la qualità della vita nelle città. E se l’Italia incominciasse a chiedere questo invece di farsi imporre l’austerità?
“Ce lo chiede l’Europa” è ormai un refrain ricorrente nel dibattito pubblico italiano. Cancellare l’art.18? “Ce lo chiede l’Europa”. Tagliare le pensioni? “Ce lo chiede l’Europa”. Quando però si tratta di crescita e occupazione, l’Europa diventa immediatamente timida. L’intero bilancio UE, come abbiamo mostrato, ammonta all’1% del PIL complessivo degli Stati membri.
Sergio Rossi, su Economonitor (sito fondato da Nouriel Roubini), elenca una serie di cambiamenti necessari a rendere l’Unione Europea in grado di dare e non solo pretendere. In un articolo intitolato “Sostituire recessione e austerità con crescita e solidarietà in Eurolandia“, Rossi indica un programma di trasformazione dell’UE. In particolare punta l’attenzione sulla necessità di una riforma della BCE, anche riguardo i suoi obiettivi di inflazione che rischiano di essere “anticrescita”, una tassazione coordinata e non competitiva tra gli stati membri, il riequilibrio delle bilance commerciali, la stabilizzazione del precariato (riducendo anche la flessibilità in entrata) per indurre le imprese a investire e non affidarsi alla riduzione dei costi:
Devono essere introdotti standard minimi di assunzione dei giovani [...] I contratti di lavoro devono essere a tempo indeterminato, sia per ridurre l’incertezza (e quindi aumentare la propensione al consumo, fattore che favorisce la crescita) sia per ridurre l’incentivo alle imprese alla delocalizzazione. Aumentare il numero di contratti di lavoro a tempo indeterminato ridurrà il mark-up delle imprese sul costo dei fattori, inducendole a incrementare la loro attività di ricerca e sviluppo al fine di ristabilire il loro mark-up agendo su innovazione e investimenti in capitale umano. Così le dinamiche risultanti sul mercato del lavoro potrebbero contribuire ad innalzare i livelli di occupazione e il benessere delle famiglie, con conseguenze positive per lo sviluppo economico così come per la stabilità finanziaria in tutta l’area dell’euro.
Parole che suonano piuttosto lontane dal dibattito sulla riforma del mercato del lavoro non solo in Italia, ma in tutti i paesi periferici.
Rossi poi insiste sulla necessità di un’Europa federale, federale al punto che le tasse dei cittadini dovrebbero essere condivise in buona parte tra il livello nazionale e quello comunitari in modo da affrontare di petto il problema dello striminzito bilancio comunitario. Ross indica nel 10-15% del PIL la misura giusta. E ovviamente, servirà un debito pubblico europeo:
Un bilancio dell’UE tra il 10 e il 15 per cento del PIL dell’Unione può essere messo insieme, come spiegato in precedenza, [per] dare un senso alla richiesta a qualche istituzione europea, come il Fondo europeo di stabilità finanziaria o il meccanismo europeo di stabilità, di emettere euro bond al fine di sostenere una ripresa guidata dagli investimenti in tutta l’UE, sostituendo così l’austerità con la solidarietà. Come l’Olanda osserva a tale proposito, “se [gli investimenti finanziati attraverso euro-obbligazioni] fossero in campo sociale, in settori quali la sanità, l’istruzione, il rinnovamento urbano e l’ambiente, potrebbero sollevare il costo di queste spese dai bilanci nazionali e migliorare la capacità degli Stati membri con reddito inferiore nell’allineare i loro livelli di investimento, occupazione e benessere, con quelli di altri Stati membri avanzati, senza ricorrere a una politica fiscale comune.
Lavoro stabile, bilancio al 10-15% del PIL, Eurobond per finanziare lo stato sociale, la ricerca, le infrastrutture, la qualità della vita nelle città. E se l’Italia incominciasse a chiedere questo invece di farsi imporre l’austerità?
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