Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 22 giugno 2013

Lavorare all’estero

 

Come trovare lavoro in Finlandia: le occasioni e i siti

A cura di Sara Banfi - linchiesta
Buoni stipendi, sistema previdenziale efficiente, ma fa un po’ freddo. Trovare lavoro in Finlandia
Helsinki, piazza Lasipalatsi: pallone ad aria calda costruito riciclando buste della spesa

Capitale: Helsinki
Forma di governo: repubblica parlamentare
Presidente: Sauli Niinistö
Primo ministro: Jyrki Katainen (Kok)
Area: 338.424 km2
Popolazione: 5.421.827 (112°)
Densità della popolazione: 16/km2 (201°)
Lingua: finlandese (ufficiale) 91.2%, svedese (ufficiale) 5.5%
Religione: Chiesa luterana di Finlandia 82.5%
Pil: $197.476 miliardi
Pil pro capite: $36.395
Crescita del Pil: -0.2% (2012), 2.7% (2011), 3.3% (2010)
Debito pubblico: 53.5% del Pil (2012)
Moneta: euro

I pro e i contro della Finlandia

PRO La Finlandia è un Paese dove la democrazia è pienamente applicata e i diritti sono ben tutelati. Secondo l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), la qualità della vita, in Finlandia, è tra le più alte del mondo. Con un valore di 0,892 si colloca ben al di sopra della media mondiale (0,69) e in linea con i valori degli altri Paesi della regione scandinava, Norvegia (0,955), Svezia (0,916) e Danimarca (0,905). Si trova, inoltre, al nono posto del Democracy Index dell’Economist, un indice che misura il livello di democrazia in un Paese. Con un valore di 0,92 ottiene il titolo di “democrazia piena”.
Grazie ai massicci investimenti in capitale umano, la Finlandia svetta ai primi posti mondiali in innovazione e competitività. Eurostat stima che l’industria finnica del software e dei servizi informatici sia cresciuta del 5% nel 2010 e dell’8% nel 2011. Il Paese è diventato un polo tecnologico di primo livello mondiale, soprattutto nel settore delle Itc, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Finlandesi sono Linux, Angry Birds e Nokia. Dal 2011, dopo la crisi della Nokia, i finlandesi stanno investendo in una nuova generazione di piccole imprese basate sull’innovazione. Nel 2010 un gruppo di studenti dell’università Aalto, alle porte di Helsinki, diede il via al progetto Start-Up Sauna, una Ong che si occupa di promuovere le start-up del Nord ed Est Europa. Offre un’ampia gamma di servizi: spazi per uffici, formazione per giovani imprenditori, internship in aziende della Silicon Valley e parecchie opportunità di fare network. Start-Up Sauna è finanziata dal governo, dalle aziende e dagli atenei.
Il mercato del lavoro finnico ha risentito della crisi molto meno dei suoi vicini europei. Secondo l’International Labor Organization (Ilo), il tasso di disoccupazione finlandese nel 2012 era del 7,7% contro il 10,5% della media europea. Anche in termini di occupazione giovanile la Finlandia si posiziona meglio della media europea (19,0% contro il 22,8%), ma anche di Svezia (23,7%), Francia (24,3%), Spagna (53,2%) e Italia (35,3%). L’alta qualità dei servizi pubblici, l’estensione e l’efficienza dello stato sociale e il sistema d’istruzione sono i veri fiori all’occhiello della Finlandia.
CONTRO Il problema principale della Finlandia è il clima. Tra i Paesi scandinavi è quello con il clima più rigido. Le estati sono miti e piovose, ma le temperature medie del mese più freddo (gennaio) variano tra i -5 °C della fascia costiera sudoccidentale e i -14 °C delle zone più fredde della Lapponia. I valori minimi annuali scendono frequentemente sotto i -30°, e in Lapponia le prime gelate autunnali si fanno sentire già tra settembre e ottobre. Con l’avvicinarsi della stagione estiva e del fenomeno del sole di mezzanotte, le temperature si aggirano intorno ai 15°C nel Nord e 20°C nel Sud. Durante la stagione fredda, nell’estremo Nord, nella regione della Lapponia, le ore di luce piena sono pochissime: il sole non sorge mai ma rimane sotto l’orizzonte per 51 giorni. Nella stessa regione, durante l’estate il sole non tramonta per circa 73 giorni, dando origine alla suggestiva aurora boreale. Anche al Sud le notti sono molto corte e chiare, in media due ore separano il giorno dalla notte.
L’altro problema per uno straniero che decide di vivere in Finlandia è l’alto costo della vita. Per rendere l’idea, una colazione con brioche e cappuccino costa in media 7€. Il costo di una tratta di autobus urbano a Helsinki è 6€. Secondo i risultati del “Household Budget Survey” del 2009, il costo dell’abitazione e del riscaldamento porta via in media il 26,8% del reddito di una famiglia. Inoltre, le famiglie spendono la maggior parte dei loro soldi in cibo (18,3%), trasporti (12,4%) e tempo libero (12%). Secondo i dati di Eurostat 2010, la Finlandia è il quarto Paese più costoso d’Europa, solo in Danimarca, Norvegia e Svizzera la vita è più cara. D’altra parte, il reddito medio dei finlandesi è tra i più alti del mondo. Nel 2011, il reddito medio di un lavoratore finlandese era di 3.119 euro al mese.
Rispetto ad altri Paesi europei, la Finlandia ha un livello di tassazione molto alta. Le tasse sono usate principalmente per finanziare i servizi che, rispetto agli standard internazionali, sono di livello molto alto. In Finlandia una persona ha il dovere di pagare le tasse se vive nel Paese per più di sei mesi. Se un lavoratore straniero si trasferisce in Finlandia per un periodo minore di sei mesi, il datore di lavoro tratterrà comunque un’imposta alla fonte pari al 35% del suo salario. Prima della riscossione delle tasse, dal salario verranno detratti 17 euro per ogni giorno di lavoro. L’imposta alla fonte verrà versata dal datore di lavoro allo Stato e il lavoratore non dovrà fare alcuna dichiarazione dei redditi. Se, invece, il lavoratore straniero si trattiene in Finlandia per un periodo maggiore di sei mesi, verrà tassato come un normale cittadino finlandese e sarà suo onere registrarsi presso l’apposito ufficio locale.

3) TROVARE CASA
La maggioranza dei finlandesi, il 70%, vive in case di proprietà. Il prezzo delle case varia molto a secondo delle zone del Paese. Trovare una casa in affitto a un prezzo ragionevole è un processo molto lungo, specialmente nelle grandi città. Nel secondo trimestre del 2012, il prezzo medio al metro quadro per affittare un’abitazione a Helsinki era di 13,37 euro, mentre nel resto del Paese era di 10,73 euro. Gli affitti al metro quadro sono più alti per i monolocali. Il prezzo medio di vendita per un appartamento in Finlandia, nel 2010 era di 2.134 euro/m², nell’area metropolitana di Helsinki saliva a 3.276 euro/m².
I contratti di affitto, e le successive modifiche, devono essere redatti in forma scritta. L’affitto è normalmente pagato con un mese d’anticipo. Il proprietario può richiedere il deposito di una cifra equivalente a fino tre mesi di affitto. La rottura anticipata del contratto di un affitto di un termine fisso è possibile sono in caso di circostanze eccezionali.

L’Est scettico: «Siamo europeisti, ma tenetevi l’euro»

 - linchiesta -

Nell’ex Patto di Varsavia la moneta unica convince sempre meno e si preferiscono le valute nazionali
Il simbolo dell’euro su un palazzone di Tallinn, in Estonia (Raigo Pajula/Afp)
Una banconota polacca da 50 złoty
C’è chi, per ora, non ne vuole proprio sentire parlare. C’è chi lo chiederebbe, ma non presenta ancora i requisiti necessari. Infine, c’è anche chi – nel dettaglio, la Lettonia – si appresta a diventare parte dell’eurozona, nonostante sia lecito domandarsi quali siano le ragioni per adottare una divisa (l’euro) proprio in un momento in cui molti, tra i diciassette Paesi che ne fanno uso, se ne dicono scontenti. Nell’Europa dell’Est la moneta unica europea è al centro di accesi dibattiti. E di considerazioni che, a volte, non sono soltanto economiche.
Sull’adozione dell’euro, teoricamente, non ci sarebbe possibilità di scelta. Essa è infatti resa obbligatoria dai trattati di adesione a partire dal 2004, per tutti i nuovi membri. Occorre specificare, però, che gli stessi trattati non prevedono termini temporali; conseguentemente, coloro che non intendono adottare l’euro possono semplicemente rinviarne l’introduzione di anno in anno, se non la ritengono conveniente. È quello che è successo, di fatto, in Polonia e in Repubblica Ceca.

«Europeisti sì, ma senza Euro»

Il dibattito sull’adozione dell’euro si è fatto particolarmente serrato a Varsavia, che negli ultimi anni ha potuto sopravvivere agli effetti devastanti della crisi soprattutto grazie a una politica deflattiva dello złoty che ha permesso di sostenere l’economia nazionale attraverso svalutazioni competitive e il rilancio delle esportazioni. Mentre nel 2009 l’euro-zona perdeva in media il 5% de Pil, la Polonia cresceva (anche se solo di qualche punto sopra lo zero). Nel corso degli ultimi quattro anni, il Paese è stato l’unico in tutta l’UE a non registrare diminuzioni del Pil. Mentre lo złoty fungeva da salvagente per Varsavia, l’euro perdeva molto del prestigio che lo circondava agli esordi, e le fragilità dell’unione monetaria venivano alla luce in tutta la loro brutalità. Abbastanza per raffreddare gli entusiasmi a est di Berlino, e per convincere il governo a posticipare sine die l’adozione della moneta unica.

La protesta vince e non si ferma

Governo e sei città revocano gli aumenti dei trasporti. Due le vittima degli scontri: un ragazzo investito da un suv che ha sfondato una barricata e una donna soffocata dai lacrimogeni. Dilma Rousseff annulla la visita in Giappone e riunisce d'urgenza il governo. Le manifestazioni continuano. Prime voci di sospensione della Confederations Cup smentite dalla Fifa

Geraldina Colotti - ilmanifesto -
Alckmin vattene. No all'aumento del biglietto. No alla repressione. Libertà per i manifestanti detenuti. Sono gli slogan che risuonano per le vie del Brasile dopo l'aumento del prezzo dei trasporti annunciato dal governo. Dal 16 - inaugurazione della Coppa delle confederazioni, preludio ai Mondiali di calcio che il paese ospiterà nel 2014 - la popolazione è scesa in piazza a Brasilia e in una ventina di altre città: contro gli sprechi, la corruzione e il carovita. La più importante mobilitazione da vent'anni a questa parte.
La presidente Dilma Rousseff, succeduta a Lula da Silva, ha subito teso la mano al movimento, che ha incassato una prima vittoria. L'aumento del biglietto è stato revocato in almeno sei città: a cominciare da San Paolo, guidata dal contestatissimo governatore Geraldo Alckmin, conservatore e autoritario. Stesso annuncio anche da parte del socialista Eduardo Campos, probabile candidato alle presidenziali del 2014, nel nord-est povero. «Abbiamo abbassato i prezzi per favorire il dialogo - ha affermato Campos - siamo consapevoli dell'esistenza di un malcontento generale».
Le manifestazioni però continuano in più di 70 località del Brasile. Si sono verificati nuovi scontri tra manifestanti e corpi speciali di polizia in tenuta antisommossa. L'altro giorno, il governo ha infatti deciso di fare appello alle squadre d'élite della Forza nazionale e di inviarle in cinque delle sei città in cui si svolge la Coppa di calcio delle Confederazioni: «Avranno però un compito di mediazione», ha spiegato Rousseff. A Fortaleza, dove il Brasile ha incontrato il Messico, le manifestazioni si sono svolte nei pressi dello stadio. Per disperdere le proteste (circa 30.000 persone) la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcuni video, molto gettonati su You Tube, mostrano invece poliziotti che si uniscono ai manifestanti, a San Paolo come a Rio de Janeiro: «Servire un governo simile? Mi vergogno», dice uno gettando via l'arma.
A Dilma Rousseff - la prima donna presidente del Brasile - e al suo Partito del lavoratori (Pt) si rimproverano le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari e educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali. Il costo dei mondiali ammonta a 13 miliardi di dollari, quello per costruire stadi moderni a 3.500 milioni: «Vogliamo scuole moderne come stadi», gridano perciò i manifestanti.
E un sondaggio dell'Istituto Ibope dice che il 94% dei brasiliani ritiene «legittime» le loro proteste e le appoggia. La presidente Rousseff, invece - sempre secondo l'inchiesta - ha perso l'8% di popolarità negli ultimi mesi. E la sua coalizione di centrosinistra, al governo dal 2003, è chiamata a rispondere su ritardi e timidezze rispetto ai piani di riforme promessi, da rinnovare in vista delle presidenziali di ottobre 2014.
La Federazione internazionale del football (Fifa) ha mantenuto un atteggiamento cauto. Il suo presidente Joseph Blatter, da una parte ha invitato i manifestanti a «non usare il calcio per farsi ascoltare», dall'altra ha però sostenuto di capire «che la gente non sia contenta».
Sono intervenuti anche i calciatori. Pelé, leggenda del calcio brasileño, ha invitato i manifestanti a dedicarsi al tifo e non alla protesta: «Dimentichiamo tutto questo disordine che scuote il Brasile, tutte queste proteste e ricordiamoci che la squadra brasiliana è il nostro paese e il nostro sangue», ha detto Pelè, ricevendo una valanga di insulti su twitter. Altre stelle del football come Neymar, David Luiz o Hulk hanno invece espresso pubblicamente il loro appoggio alle proteste: «Mi dispiace che per chiedere miglior educazione, casa e salute sia necessario manifestare», ha scritto Neymar. Negli stadi, incuranti del divieto della Fifa, molti tifosi hanno sostenuto le proteste: «Brasile svegliati, un professore vale più di un Neymar».

venerdì 21 giugno 2013

I committenti in ombra del finanz-capitalismo

Fonte: il manifesto | Autore: MAURO TROTTA              
TEMPI PRESENTI - «COME VINCERE LA GUERRA DI CLASSE» DI SUSAN GEORGE PER FELTRINELLI
Un saggio costruito come un'avvvincente fiction sui un mondo dove i ricchi esercitano un indiscusso potere
«C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». Questa famosa frase di Warren Buffett, investitore finanziario, la terza persona più ricca al mondo, campeggia in epigrafe appena si apre il nuovo libro di Susan George, intitolato Come vincere la guerra di classe, uscito di recente per Feltrinelli (pp. 175, euro 14). Chiunque conosca anche superficialmente l'autrice - stimata economista, presidente del «Transnational Institute di Amsterdam», presidente onorario di Attac France, esponente di spicco della stagione dei movimenti alterglobal e dei Forum sociali mondiali - vedendo un titolo del genere penserebbe subito a un testo dedicato agli oppressi che cerchi di riflettere su nuove strategie volte a sconfiggere la classe dominante. Ma le cose non stanno proprio così. E quella citazione iniziale è un segnale forte. Così come lo è anche l'immagine di copertina, dove compare il classico pugno chiuso che però fuoriesce dalla manica di una giacca e da un polsino di una camicia bianca chiuso da un gemello con impresso sopra il simbolo del dollaro. Si tratta allora sì della lotta di classe ma vista dalla parte dei padroni, di quelli che, come afferma Buffett, la stanno vincendo. Susan George, in questo suo ultimo lavoro - «un lavoro di finzione basata sui fatti», come lo definisce lei stessa nella nota iniziale rivolta al lettore - ripropone lo stesso espediente utilizzato nel precedente Il rapporto Lugano (Asterios), ovvero immagina che un gruppo di personaggi ricchi e potenti, denominati i Committenti, selezioni alcune delle personalità scientifiche e intellettuali più in vista e le riunisca in una Commissione di studio incaricata di redigere un rapporto sulle questioni chiave riguardanti il futuro del sistema capitalistico.

Il Principe del male

In questo modo, l'autrice costruisce un vero e proprio saggio su tematiche d'ordine economico, politico e sociale, dato che tutto quello che viene esposto all'interno del rapporto si basa su dati e proiezioni assolutamente veri e realistici, ma racchiude il tutto all'interno di una cornice di pura fiction. È un po' come se avesse fondato una sorta di nuovo genere letterario ribaltando, per così dire, il romanzo-saggio del primo Novecento nel saggio-romanzo, dove è il primo termine dell'endiade a farla da protagonista. Inoltre, tale operazione, proprio per il modo in cui viene portata avanti e per gli obiettivi che si propone, ovvero svelare tattiche e strategia del nemico di classe, richiama subito un altro grande classico, quel Machiavelli letto da Ugo Foscolo come «quel grande/ che temprando lo scettro a' regnatori/ gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela/ di che lagrime grondi e di che sangue». La struttura del testo della George è semplice e lineare. Inizia con la lettera dell'Assemblea dei Committenti che, esprimendo soddisfazione per il lavoro svolto in precedenza, conferisce il nuovo incarico alla Commissione di studio, per poi proseguire con il rapporto vero e proprio, introdotto da una lettera d'accompagnamento. Sono passati oltre dieci anni, tante cose sono cambiate, due membri della vecchia Commissione sono stati sostituiti, anche stavolta però gli studiosi saranno ospitati per tutta la durata del lavoro nella stessa splendida villa di Lugano e dovranno rispondere in modo esauriente a una domanda. Quella della volta precedente era: «Come può il capitalismo non soltanto funzionare ma prosperare e diventare infine invulnerabile nel ventunesimo secolo?».

Vecchie idee per ricchi, nuove idee per poveri

di Roberta Carlini - sbilanciamoci -

 

Non è vero che l'interesse individuale muove il mondo, non è vero che non c'è altro mondo possibile. La road map di Kaushik Basu “oltre la mano invisibile, per una società giusta”
Di questi tempi, con l'Europa a testa in giù, c'è davvero bisogno di scrivere 369 pagine fitte fitte per dimostrare che il modello economico dominante è fallito? Kaushik Basu pensa di sì, e riempie pagine, librerie e conferenze come astro ormai affermato di quella galassia che è stata definita, con un po' di ironia, degli economisti-guru. Gli economisti popolari, quelli come Krugman, Stiglitz, Sen, quelli che raccontano un'altra verità e finalmente possono gridarla ai quattro venti, ingaggiando anche epiche lotte accademiche contro la scuola di pensiero che tuttora domina università, centri di ricerca e cenacoli governativi. Nel raccontarla, spesso sono brillanti e anche spiritosi, non disdegnano il linguaggio semplice, strizzano l'occhio al coltissimo ma si fanno capire bene anche da chi si è tenuto sempre lontano dalle aule degli algoritmi dell'economia formalizzata. Così è Basu, economista indiano ben inserito nel mondo dell'ortodossia – docente alla Cornell University, senior vicepresident ed economista-capo della Banca mondiale -, autore di un libro eterodosso: Oltre la mano invisibile – ripensare l'economia per una società giusta. Un libro che dichiara nel titolo l'intento di “dimostrare che la scienza che ci ha donato Adam Smith si è fossilizzata in un'ideologia”. Per farlo, compie una dettagliata esplorazione e confutazione della teoria dominante, smantellando dall'interno l'individualismo metodologico che di tale teoria è base e cornice. Nella narrazione, intreccia continuamente logica, teoria economica, storielle popolari e letteratura (quanti sono gli economisti che citano Kafka?). Per arrivare infine a tre proposte concrete e un po' eversive per affrontare quello che lui considera il problema economico n. 1: la povertà.
Tra la povertà e certe idee sbagliate dell'economia c'è un nesso per Basu evidente. “La povertà che esiste oggi nel mondo ha dimensioni inaccettabili. Se il mondo non esplode contro questa ingiustizia è per via degli smisurati sforzi intellettuali profusi per farla apparire accettabile”. E gran parte di tali smisurati sforzi intellettuali ruota attorno all'originario teorema della mano invisibile: quello per cui la somma dei comportamenti singoli spinti dall'interesse egoistico dell'individuo porterà al benessere maggiore per la società nel suo insieme. Ne sono derivati, con costruzioni teoriche via via più sofisticate, varie conseguenze normative tutte tra loro coerenti: che l'iniziativa individuale va limitata e condizionata il meno possibile; che è il mercato a permettere la sistemazione più efficiente delle risorse; che bisognerebbe evitare di intromettersi nei mercati; e che questo è il migliore dei mondi possibili, non essendoci la prova di altri funzionamenti altrettanto perfetti. Se dunque, per avere un'economia efficiente, dobbiamo sopportare un certo grado di diseguaglianza e povertà, rassegniamoci: altre strade sarebbero peggiori, alcune hanno già dimostrato di esserlo.
Senonché, esiste anche un'altra narrazione della mano invisibile. È quella del Processo di Kafka, quella che guida, da posizione occulta, le avventure di Joseph K. “Kafka concorda con Smith riguardo alle forze che possono essere scatenate dalle azioni individuali atomistiche, senza nessuna autorità centrale, ma – scrive Basu - allarga la nostra visione mostrandoci che possono essere non solo forze di efficienza, di organizzazione e di benevolenza, ma anche forze di oppressione e malevolenza”.

giovedì 20 giugno 2013

La crisi arricchisce i paesi ricchi

Presseurop         
“Ecco come i paesi più ricchi hanno approfittato della crisi dell’euro mentre i poveri (come noi) stanno sempre peggio”, titola i dopo i dati pubblicati da Eurostat il 19 giugno sul pil pro capite di ciascun paese europeo nel 2012.
Le stime preliminari per il 2012 presentate da Eurostat, comparate dal quotidiano di Lisbona con i dati del 2009, mostrano che i paesi più ricchi del nord e del centro dell’eurozona sono diventati ancora più ricchi, mentre gli stati più poveri del sud si sono ulteriormente impoveriti.
Secondo Eurostat l’eurozona ha chiuso il 2012 con un pil pro capite equivalente al 108 per cento della media Ue, quando nel 2009 era del 109 per cento. Le differenze emergono analizzando i risultati paese per paese, spiega i:
I portoghesi, per esempio, sono passati da un pil pro capite dell’80 per cento rispetto alla media Ue del 2009 al 75 per cento del 2012. In Grecia il calo è stato ancora più drammatico, dal 94 per cento al 75. Nel frattempo i tedeschi hanno migliorato il loro potere d’acquisto passando dal 115 per cento al 121 per cento, mentre gli austriaci sono passati dal 125 per cento al 131 per cento.

Cosa sta succedendo in Turchia e cosa c’entra con noi

Un’analisi e alcune considerazioni - sinistrainrete -

[a tutti i compagni scesi in strada, ai morti, ai feriti, agli arrestati]
Il mio secolo non mi fa paura,
il mio secolo pieno di miserie e di crudeltà
il mio secolo coraggioso e eroico.
Non dirò mai che sono vissuto troppo presto
o troppo tardi.
Sono fiero di essere qui, con voi.
Amo il mio secolo che muore e rinasce
un secolo i cui ultimi giorni saranno belli:
il mio secolo splenderà un giorno
come i tuoi occhi.

Nazim Hikmet, Il mio secolo non mi fa paura


Perché è importante conoscere meglio la Turchia e sapere quello che sta accadendo lì?

Perché questo paese rappresenta un caso da manuale dell’applicazione delle “riforme” neoliberiste, le stesse che stanno imponendo e vorrebbero massicciamente imporre anche da noi. In questo senso, capire quello che sta succedendo in Turchia vuol dire appropriarsi direttamente di strumenti che ci servono nelle nostre battaglie quotidiane, comprendere perché i destini dei nostri popoli sono così intrecciati. Materialmente, e non per motivi ideologici o “estetici”.

Cosa troverete in questo testo?
- Innanzitutto una ricostruzione della storia della Turchia degli ultimi dieci anni, una storia che ci fa imparare molto su come funziona la “crescita” economica nel modo di produzione capitalista e come la dimensione politica si modelli plasticamente sulle esigenze del profitto.

- Su questa base, più documentata possibile, tenteremo un’analisi delle classi sociali in Turchia e delle loro rappresentanze politiche, raccontando anche le mobilitazioni degli scorsi anni e i nuovi movimenti sindacali che si stanno delineando nel paese.

- Nel quarto paragrafo cercheremo poi di fare il punto su quest’ultima rivolta, individuandone i tratti di maggior interesse e gli insegnamenti che ci consegna.
Cominciamo però con una precisazione...


1. Questioni di metodo

Già alcuni giorni fa abbiamo scritto un breve articolo sulla Turchia: lo spunto che lanciavamo era completamente diverso dal dibattito che sta ancora imperversando in rete, ipnotizzato dalla cronaca dei fatti o dalle opposizioni semplici (del tipo “ambientalisti vs governo”, “laici vs islamici”, “movimenti vs neoliberismo”)1. Con quell’articolo, così come con questo documento, noi non intendevamo affatto dire: “ecco spiegato tutto” o peggio: “questa è la verità!”. Sappiamo che la realtà è sempre dinamica e complessa, che ci vuole molto studio e una capillare conoscenza dei fatti per poter avere un'interpretazione globale, che la contingenza politica è fatta di un coacervo di tensioni, motivi, cause, che gli stessi partecipanti alle proteste assumono in maniera variegata, a seconda della propria storia, sensibilità, contesto. Non ci sorprende affatto che chi sta in piazza dica di essere sceso perché non voleva un centro commerciale nel suo quartiere, o perché è diventato sempre più costoso e difficile bersi una birra, o ancora perché stufo dei soprusi della polizia: e non intendiamo affatto sostenere che questi motivi siano “falsi”, e che la gente non sappia perché sta in piazza per davvero. Ogni momento di rottura si situa all'incrocio di più traiettorie, è una congiuntura unica, in cui convergono insoddisfazioni individuali e rivendicazioni collettive, in cui si sollevano tante figure sociali diverse. Non è una novità dei nostri tempi: è sempre stato così – ed è questo quello che il pensiero postmoderno ignora, quando rappresenta schematicamente il passato e insegue il marketing della discontinuità ad ogni costo...

Il problema però è che per capire davvero un movimento non ci si può limitare a una sommatoria di impressioni o all'idea che questo si fa di sé. Qualcuno diceva: “Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione2.

Sondaggio di Controlacrisi sull'Europa

Per votare QUI
 
Il fiscal compact impone all'Italia, già in recessione, il taglio alla spesa pubblica di 50 miliardi l'anno per venti anni. Tu cosa faresti?
Voti totali: 847
  1. Cancellerei il fiscal compact e attraverso un'alleanza dei Paesi mediterranei imporrei una modifica radicale delle politiche europee
    (634 voti) 74.85%
  2. Uscirei subito dall'Euro, salvaguardando stipendi e bloccando fughe di capitali
    (167 voti) 19.72%
  3. Chiederei l'allungamento dei tempi di pagamento del debito come ha fatto la Spagna
    (35 voti) 4.13%
  4. Rispetterei le misure del fiscal compact perché ormai è stato firmato dai tutti i Paesi europei
    (11 voti) 1.3%
     

lunedì 17 giugno 2013

L’economia è un biosistema

    
L’economia è un biosistema

Pubblicato il 17 giu 2013 - rifondazione -

di Francesco Sylos Labini -
Le teorie economiche classiche prescrivono specializzazione: quando le persone, le industrie o i singoli paesi si specializzano in una certa attività aumentano la propria efficienza economica in quanto, occupando una certa nicchia produttiva, possono sviluppare delle capacità particolari che gli permettono di acquisire un vantaggio nella competizione. Negli ultimi anni diversi gruppi di studiosi provenienti da diverse discipline, e in particolare fisici ed economisti, hanno analizzato le banche dati disponibili dei prodotti esportati dai vari paesi e sono giunti alla conclusione che questo paradigma non è verificato nei dati.
Il risultato empirico dimostra, infatti, che i paesi di successo sono caratterizzati da una produzione estremamente diversificata, piuttosto che da una specializzazione particolare. La conclusione è che il mercato fortemente dinamico del mondo globalizzato rende la flessibilità e l’adattabilità gli elementi essenziali della competitività. In questo senso si può pensare a un’analogia con i biosistemi in evoluzione in un ambiente dinamico e competitivo in cui la diversificazione di capacità è la chiave per la sopravvivenza. Questa situazione ha dato impulso alla ricerca di un metodo di valutare quantitativamente il vantaggio competitivo non monetario della diversificazione, che rappresenta il potenziale nascosto per lo sviluppo e la crescita (chiamata “fitness”), da affiancare alla variabile monetaria più generalmente considerata, il prodotto interno lordo (Pil). Sono state dunque introdotte nuove metriche per misurare la “fitness” dei paesi e la complessità dei prodotti. L’informazione fornita da queste metriche può essere utilizzata in vari modi; ad esempio, il confronto diretto del fitness con il Pil di un paese fornisce una valutazione del potenziale non espresso del paese.
I paesi che producono i prodotti tecnologicamente più avanzati sono anche quei paesi che producono più prodotti in genere: hanno una maggiore diversificazione sul mercato e dunque una maggiore capacità produttiva. Invece, i paesi che producono pochi prodotti, sono produttori di beni prodotti da tanti altri paesi. Per questo motivo una risorsa fondamentale di ogni paese è determinata dalla diversificazione della sua struttura produttiva che determina la potenzialità di sviluppo. In ultima analisi questa è legata allo sviluppo infrastrutturale materiale e di conoscenze di ogni paese che è rappresentato dall’insieme delle capacità produttive, delle materie prime, del livello di istruzione medio, della qualità dell’istruzione avanzata e del sistema di ricerca, delle politiche del lavoro, della capacità di trasferimento tecnologico dall’accademia al sistema produttivo, del livello di walfare sociale, di una burocrazia e di un sistema di leggi efficienti. In pratica di tutto ciò che concorre a creare un’ambiente adatto allo sviluppo economico. I beni si possono importare o esportare, mentre queste “capacità” sono intrinseche a ogni paese.
Un paese che ha più capacità produttive ha anche più potenzialità di produrre prodotti nuovi e competitivi sul mercato per un semplice motivo combinatorio: la produzione di un nuovo prodotto avviene dalla composizione di alcune “capacità”. In questo senso la potenzialità di sviluppo è legata alla complessità del sistema produttivo. Più numerose sono le capacità e più sono le combinazioni potenziali e dunque i nuovi possibili prodotti. Inoltre quante più “capacità” un paese ha già a disposizione, tanto più l’aggiunta di una nuova “capacità”, per esempio proveniente da una scoperta in ricerca fondamentale, può dar lungo, per lo stesso argomento combinatorio, allo sviluppo di nuovi prodotti validi sul mercato.
Mentre la conclusione di quest’analisi sembra ovvia, un paese che produce beni molto diversificati, in cui vi sia una conoscenza diffusa nella popolazione con un alto livello di sviluppo civile diffuso, ha una potenzialità di sviluppo maggiore di un paese molto specializzato in un singolo settore e con poche “capacità” diffuse, la situazione non è così semplice: da una parte si ha la possibilità di misurare delle quantità che non sono banalmente riconducibili alle solite variabili monetarie (il Pil) e dall’altra si può contrastare con solidi e quantitativi argomenti chi pensa che “L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro nel turismo”.
dal Fatto quotidiano

Grecia, Spagna e Italia. Sempre più cittadini scoprono l’emigrazione

    
Grecia, Spagna e Italia. Sempre più cittadini scoprono l’emigrazione

Pubblicato il 17 giu 2013 - rifondazione -

di Articolotre.com -
La crisi li schiaccia e, di conseguenza, l’emigrazione aumenta. Non c’è certo da stupirsi: se in Italia si parla tanto di fuga di cervelli e di speranza di lavoro all’estero, in Grecia e in Spagna la situazione non è molto diversa. Probabilmente peggiore e a dare l’allarme è l’Ocse.
Nella sua relazione annuale sull’immigrazione, infatti, l’Organizzazione ha illustrato come nel corso del 2012, i due paesi più vessati dalla crisi abbiano perso migliaia e migliaia di cittadini, i quali hanno deciso di abbandonare la propria vita e cercare fortuna altrove. Se gli ellenici diretti verso la Germania sono aumentati del 70%, infatti, gli spagnoli che hanno fatto le valigie sono aumentati del 50%.
Ciò che allarma maggiormente gli esperti è come, nella stragrande maggioranza, gli emigrati siano individui altamente qualificati e professionisti: una loro assenza dal panorama economico dei paesi natali implica pertanto una complicazione nella ripresa finanziaria. Era però immaginabile: la Spagna e la Grecia, d’altronde, hanno il più alto tasso di disoccupazione in tutta l’Unione Europea, con il 50% dei giovani in cerca di lavoro.
Non che vada molto meglio per l’Italia: secondo recenti stime, gli italiani stanno seguendo l’esempio e, nel 2012, l’emigrazione dei nostri connazionali è aumentata del 30%, con quasi 80.000 cittadini che hanno preferito andarsene. Anche in questo caso, la meta prediletta è la Germania, dove tutto sembra splendere e la crisi non esistere.

domenica 16 giugno 2013

La chiusura della TV pubblica greca ... per risparmiare!




Oggi e' al sesto giorno lo sciopero ad oltranza di tutti i notiziari e servizi giornalistici di tutte le emittenti radioTV greche per solidarieta' ai 2.800 lavoratori della emittente pubblica licenziati. Una notizia di due righe al massimo in coda ai notiziari nostrani. Provate a pensare se una cosa del genere fosse successa in un altro paese europeo.
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E' una sconfitta del potere al potere, dei potenti e della loro perversione. Niente di più triste e assurdo che ascoltare l' inno nazionale greco tra le lacrime dei suoi musicisti: si è celebrato l’ultimo concerto della National Symphony Orchestra. Dopo settantacinque anni di esistenza l’Orchestra Sinfonica Nazionale Greca e il Coro di Ert, la televisione pubblica del paese appena chiusa, hanno tenuto la loro ultima esibizione al Radiomegaro di Agia Paraskevi, la sede della tv di Stato. Tantissime persone si sono ritrovate per l’occasione davanti a quattrocento giornalisti accreditati da tutto il mondo, poche ore prima che gli emissari della Troika facessero ritorno ad Atene.Questo è accaduto venerdì sera, la nostra tv pubblica ce lo ha detto domenica sera, su Rai Tre...al Tg nazionale che sarebbe a sinistra. Grazie.
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=aUmubmoEjHo

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