TEMPI PRESENTI - «COME VINCERE LA GUERRA DI CLASSE» DI SUSAN GEORGE PER FELTRINELLI
Un saggio costruito come un'avvvincente fiction sui un mondo dove i ricchi esercitano un indiscusso potere
«C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». Questa famosa frase di Warren Buffett, investitore finanziario, la terza persona più ricca al mondo, campeggia in epigrafe appena si apre il nuovo libro di Susan George, intitolato Come vincere la guerra di classe, uscito di recente per Feltrinelli (pp. 175, euro 14). Chiunque conosca anche superficialmente l'autrice - stimata economista, presidente del «Transnational Institute di Amsterdam», presidente onorario di Attac France, esponente di spicco della stagione dei movimenti alterglobal e dei Forum sociali mondiali - vedendo un titolo del genere penserebbe subito a un testo dedicato agli oppressi che cerchi di riflettere su nuove strategie volte a sconfiggere la classe dominante. Ma le cose non stanno proprio così. E quella citazione iniziale è un segnale forte. Così come lo è anche l'immagine di copertina, dove compare il classico pugno chiuso che però fuoriesce dalla manica di una giacca e da un polsino di una camicia bianca chiuso da un gemello con impresso sopra il simbolo del dollaro. Si tratta allora sì della lotta di classe ma vista dalla parte dei padroni, di quelli che, come afferma Buffett, la stanno vincendo. Susan George, in questo suo ultimo lavoro - «un lavoro di finzione basata sui fatti», come lo definisce lei stessa nella nota iniziale rivolta al lettore - ripropone lo stesso espediente utilizzato nel precedente Il rapporto Lugano (Asterios), ovvero immagina che un gruppo di personaggi ricchi e potenti, denominati i Committenti, selezioni alcune delle personalità scientifiche e intellettuali più in vista e le riunisca in una Commissione di studio incaricata di redigere un rapporto sulle questioni chiave riguardanti il futuro del sistema capitalistico.
Il Principe del male
In questo modo, l'autrice costruisce un vero e proprio saggio su tematiche d'ordine economico, politico e sociale, dato che tutto quello che viene esposto all'interno del rapporto si basa su dati e proiezioni assolutamente veri e realistici, ma racchiude il tutto all'interno di una cornice di pura fiction. È un po' come se avesse fondato una sorta di nuovo genere letterario ribaltando, per così dire, il romanzo-saggio del primo Novecento nel saggio-romanzo, dove è il primo termine dell'endiade a farla da protagonista. Inoltre, tale operazione, proprio per il modo in cui viene portata avanti e per gli obiettivi che si propone, ovvero svelare tattiche e strategia del nemico di classe, richiama subito un altro grande classico, quel Machiavelli letto da Ugo Foscolo come «quel grande/ che temprando lo scettro a' regnatori/ gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela/ di che lagrime grondi e di che sangue». La struttura del testo della George è semplice e lineare. Inizia con la lettera dell'Assemblea dei Committenti che, esprimendo soddisfazione per il lavoro svolto in precedenza, conferisce il nuovo incarico alla Commissione di studio, per poi proseguire con il rapporto vero e proprio, introdotto da una lettera d'accompagnamento. Sono passati oltre dieci anni, tante cose sono cambiate, due membri della vecchia Commissione sono stati sostituiti, anche stavolta però gli studiosi saranno ospitati per tutta la durata del lavoro nella stessa splendida villa di Lugano e dovranno rispondere in modo esauriente a una domanda. Quella della volta precedente era: «Come può il capitalismo non soltanto funzionare ma prosperare e diventare infine invulnerabile nel ventunesimo secolo?». Questa volta invece la questione è: «Viviamo in un'epoca di ineluttabile crisi, di declino e di definitivo collasso del mondo occidentale così come lo abbiamo conosciuto, o di rinascita di un rinvigorito sistema capitalista? E come possiamo fare per incoraggiare questa rinascita?». La prima parte del testo offre un breve riassunto del vecchio «Rapporto Lugano», dimostrando come gran parte delle conclusioni si siano poi avverate. Dall'altra effettua una disamina dello stato dell'arte nei tre settori in cui si strutturava il testo precedente: ambiente, società e finanza. Si insiste in particolare sulla catastrofe ambientale che ha colpito il pianeta, sul forte incremento della disuguagliana sociale, sul carattere ideologico delle politiche di austerità, volte a «pacificare i mercati disciplinando la forza lavoro», sulla crisi finanziaria che da cinque anni non è stata risolta ed ha anzi aggredito gli stati e il debito sovrano, rimarcando inoltre come tale crisi fosse stata prevista nel precedente lavoro. Tutto questo risulta utile non soltanto perché offre al lettore un quadro chiaro e supportato da dati e informazioni della sitazione attuale ma anche perché lo rende consapevole dei punti principali affrontati nel libro del 2000. La seconda e più corposa parte affronta direttamente la questione sottoposta al Comitato. E dopo un elenco di buone ed inattese notizie che vanno dal vuoto politico attuale al ritorno sulla scena di banche, banchieri e traders, dal trionfo dei paradisi fiscali all'utilizzo delle tasse come «arma suprema della lotta di classe» - grazie alla tendenza inarrestabile a diminuirle sui ricchi e ad aumentarle sugli altri - si propone sostanzialmente di agire con decisione e discrezione per imporre definitivamente un cambio di paradigma, per diffondere globalmente il nuovo mito portante, passando dal vecchio modello illuminista al cosiddetto «Men», il nuovo modello economico/elitario neoliberista.
Le enclave del privilegio
Così tra una rilettura di Gramsci e l'apologia di von Hayek, tra sterilizzazione della democrazia e investimenti nella green economy, tra colpi di stato striscianti e filantropia interessata, il quadro per tentare di rinverdire «le magnifiche sorti e progressive» del capitalismo si va delineando con sempre maggior precisione. Certo, occorre comunque prendere delle precauzioni perché non è detto che tutto vada come ci si augura. Ad esempio, per quanto concerne la catastrofe ambientale bisogna essere pronti, «se non per se stessi quantomeno per i propri figli» adottando misure quali «enclave fortificate, autosufficienza alimentare, idrica ed energetica e milizie private per respingere orde di gente arrabbiata e disperata». E poi ci sono sempre quei fastidiosi movimenti sociali. Certo, per il momento sono divisi, sembrano comunicare poco tra loro, la loro visibilità mediatica pare durare solo lo spazio di un mattino. Ma se dovessero iniziare a parlarsi, ad unirsi, a capire che le diverse lotte che portano avanti sono in realtà un'unica lotta, allora sarebbe meglio farsi trovare preparati. E il rapporto si chiude proprio con un elenco di armi non letali che, però, a volte, possono anche dimostrarsi letali: «Ma si tratta di casi eccezionali e il loro uso - anche solo la consapevolezza della loro esistenza - può dimostrarsi un significativo deterrente convincendo molti, con l'eccezione dei più coraggiosi o dei più disperati, a non partecipare».
il manifesto 2013.06.20 - 11 CULTURA
Un saggio costruito come un'avvvincente fiction sui un mondo dove i ricchi esercitano un indiscusso potere
«C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». Questa famosa frase di Warren Buffett, investitore finanziario, la terza persona più ricca al mondo, campeggia in epigrafe appena si apre il nuovo libro di Susan George, intitolato Come vincere la guerra di classe, uscito di recente per Feltrinelli (pp. 175, euro 14). Chiunque conosca anche superficialmente l'autrice - stimata economista, presidente del «Transnational Institute di Amsterdam», presidente onorario di Attac France, esponente di spicco della stagione dei movimenti alterglobal e dei Forum sociali mondiali - vedendo un titolo del genere penserebbe subito a un testo dedicato agli oppressi che cerchi di riflettere su nuove strategie volte a sconfiggere la classe dominante. Ma le cose non stanno proprio così. E quella citazione iniziale è un segnale forte. Così come lo è anche l'immagine di copertina, dove compare il classico pugno chiuso che però fuoriesce dalla manica di una giacca e da un polsino di una camicia bianca chiuso da un gemello con impresso sopra il simbolo del dollaro. Si tratta allora sì della lotta di classe ma vista dalla parte dei padroni, di quelli che, come afferma Buffett, la stanno vincendo. Susan George, in questo suo ultimo lavoro - «un lavoro di finzione basata sui fatti», come lo definisce lei stessa nella nota iniziale rivolta al lettore - ripropone lo stesso espediente utilizzato nel precedente Il rapporto Lugano (Asterios), ovvero immagina che un gruppo di personaggi ricchi e potenti, denominati i Committenti, selezioni alcune delle personalità scientifiche e intellettuali più in vista e le riunisca in una Commissione di studio incaricata di redigere un rapporto sulle questioni chiave riguardanti il futuro del sistema capitalistico.
Il Principe del male
In questo modo, l'autrice costruisce un vero e proprio saggio su tematiche d'ordine economico, politico e sociale, dato che tutto quello che viene esposto all'interno del rapporto si basa su dati e proiezioni assolutamente veri e realistici, ma racchiude il tutto all'interno di una cornice di pura fiction. È un po' come se avesse fondato una sorta di nuovo genere letterario ribaltando, per così dire, il romanzo-saggio del primo Novecento nel saggio-romanzo, dove è il primo termine dell'endiade a farla da protagonista. Inoltre, tale operazione, proprio per il modo in cui viene portata avanti e per gli obiettivi che si propone, ovvero svelare tattiche e strategia del nemico di classe, richiama subito un altro grande classico, quel Machiavelli letto da Ugo Foscolo come «quel grande/ che temprando lo scettro a' regnatori/ gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela/ di che lagrime grondi e di che sangue». La struttura del testo della George è semplice e lineare. Inizia con la lettera dell'Assemblea dei Committenti che, esprimendo soddisfazione per il lavoro svolto in precedenza, conferisce il nuovo incarico alla Commissione di studio, per poi proseguire con il rapporto vero e proprio, introdotto da una lettera d'accompagnamento. Sono passati oltre dieci anni, tante cose sono cambiate, due membri della vecchia Commissione sono stati sostituiti, anche stavolta però gli studiosi saranno ospitati per tutta la durata del lavoro nella stessa splendida villa di Lugano e dovranno rispondere in modo esauriente a una domanda. Quella della volta precedente era: «Come può il capitalismo non soltanto funzionare ma prosperare e diventare infine invulnerabile nel ventunesimo secolo?». Questa volta invece la questione è: «Viviamo in un'epoca di ineluttabile crisi, di declino e di definitivo collasso del mondo occidentale così come lo abbiamo conosciuto, o di rinascita di un rinvigorito sistema capitalista? E come possiamo fare per incoraggiare questa rinascita?». La prima parte del testo offre un breve riassunto del vecchio «Rapporto Lugano», dimostrando come gran parte delle conclusioni si siano poi avverate. Dall'altra effettua una disamina dello stato dell'arte nei tre settori in cui si strutturava il testo precedente: ambiente, società e finanza. Si insiste in particolare sulla catastrofe ambientale che ha colpito il pianeta, sul forte incremento della disuguagliana sociale, sul carattere ideologico delle politiche di austerità, volte a «pacificare i mercati disciplinando la forza lavoro», sulla crisi finanziaria che da cinque anni non è stata risolta ed ha anzi aggredito gli stati e il debito sovrano, rimarcando inoltre come tale crisi fosse stata prevista nel precedente lavoro. Tutto questo risulta utile non soltanto perché offre al lettore un quadro chiaro e supportato da dati e informazioni della sitazione attuale ma anche perché lo rende consapevole dei punti principali affrontati nel libro del 2000. La seconda e più corposa parte affronta direttamente la questione sottoposta al Comitato. E dopo un elenco di buone ed inattese notizie che vanno dal vuoto politico attuale al ritorno sulla scena di banche, banchieri e traders, dal trionfo dei paradisi fiscali all'utilizzo delle tasse come «arma suprema della lotta di classe» - grazie alla tendenza inarrestabile a diminuirle sui ricchi e ad aumentarle sugli altri - si propone sostanzialmente di agire con decisione e discrezione per imporre definitivamente un cambio di paradigma, per diffondere globalmente il nuovo mito portante, passando dal vecchio modello illuminista al cosiddetto «Men», il nuovo modello economico/elitario neoliberista.
Le enclave del privilegio
Così tra una rilettura di Gramsci e l'apologia di von Hayek, tra sterilizzazione della democrazia e investimenti nella green economy, tra colpi di stato striscianti e filantropia interessata, il quadro per tentare di rinverdire «le magnifiche sorti e progressive» del capitalismo si va delineando con sempre maggior precisione. Certo, occorre comunque prendere delle precauzioni perché non è detto che tutto vada come ci si augura. Ad esempio, per quanto concerne la catastrofe ambientale bisogna essere pronti, «se non per se stessi quantomeno per i propri figli» adottando misure quali «enclave fortificate, autosufficienza alimentare, idrica ed energetica e milizie private per respingere orde di gente arrabbiata e disperata». E poi ci sono sempre quei fastidiosi movimenti sociali. Certo, per il momento sono divisi, sembrano comunicare poco tra loro, la loro visibilità mediatica pare durare solo lo spazio di un mattino. Ma se dovessero iniziare a parlarsi, ad unirsi, a capire che le diverse lotte che portano avanti sono in realtà un'unica lotta, allora sarebbe meglio farsi trovare preparati. E il rapporto si chiude proprio con un elenco di armi non letali che, però, a volte, possono anche dimostrarsi letali: «Ma si tratta di casi eccezionali e il loro uso - anche solo la consapevolezza della loro esistenza - può dimostrarsi un significativo deterrente convincendo molti, con l'eccezione dei più coraggiosi o dei più disperati, a non partecipare».
il manifesto 2013.06.20 - 11 CULTURA
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