Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 21 aprile 2012

“I capibranco della politica”

CURZIO MALTESE da La Repubblica del 21 aprile 2012 - giovannitaurassi -

I capi dei babbuini, con i quali condividiamo il 98 per cento di patrimonio genetico, rimangono tali anche quando non sono più di alcun aiuto agli altri babbuini. Robert Sapolsky, genio californiano della biologia, descrive così il comportamento di un capobranco: «Solomon era ormai anziano e riposava sugli alberi, continuando a sfruttare la sua straordinaria capacità d´intimidazione psicologica. Da circa un anno non affrontava più un combattimento. Si limitava a guardare sdegnosamente il potenziale avversario, faceva qualche giro minaccioso lì intorno. O al massimo s´arrampicava su un albero e la cosa finiva lì. Erano tutti terrorizzati da lui». L´arte recitativa dei capi babbuini più esperti arriva a ingannare il branco in altri raffinati modi, per esempio nella ricerca del cibo. Se lo trova, non lo segnala agli altri, ma finge di continuare la ricerca, per poi tornare al boccone e divorarlo da solo.
Nella sua bellissima Anti storia d´Italia il grande intellettuale triestino Fabio Cusin, di formazione azionista, individua il modello della politica italiana nella signoria quattrocentesca, con un padrone assoluto circondato da una corte servile.
Ora, se incrociamo gli studi sui primati e l´intuizione di Cusin, abbiamo una fotografia esatta della politica e anche dell´antipolitica italiana. Dal punto di vista della struttura padronale di partiti e movimenti, politica e antipolitica sono infatti la stessa cosa. Semmai nell´antipolitica, la struttura proprietaria e assolutista è ancora più accentuata.
Si discute da decenni sulla crisi dei partiti, qualcuno vuole distruggerli e per farlo di solito è «costretto» ad aggiungerne un altro alla lista. Ma la verità è che i partiti in Italia non esistono più. Tranne uno, il Pd, che ricorda gli altri partiti occidentali. Almeno non ha un leader a vita, che sarebbe una cosa normale in democrazia, ma viene considerato un segno di debolezza. Per il resto la politica è fatta da una dozzina di oligarchi che dispongono delle risorse economiche di movimenti ormai designati col loro cognome e decidono tutto, dalle liste dei parlamentari in giù, senza dover consultare alcun organismo collegiale. Berlusconi ha nominato cavaliere lo scudiero Alfano come si faceva appunto nelle corti del Quattrocento, ma continua a essere il vero padrone del Pdl ed è capace di far saltare i vertici di maggioranza se soltanto si sfiorano i privilegi del suo regno televisivo. La Lega non è riuscita a fare a meno di un Bossi menomato dalla malattia e ora, dopo gli scandali che hanno toccato la famiglia stessa del capo, è costretta a fingere che Bossi non sapesse nulla di quanto gli accadeva intorno e a un palmo di naso. Il centro è pure composto da tre signorie personali, quelle di Casini, Fini e Rutelli. A sinistra Sel non esiste senza Nichi Vendola, dominus assoluto dei neo libertari. Quanto ai libertari storici, i radicali, sono sempre stati una lista con nome e cognome, prima Marco Pannella e poi Emma Bonino, circondati da un cerchio magico dove l´obbedienza contava assai più del merito. Salvo che più di un fedelissimo è andato poi a servire padroni più solvibili.

CONFLITTI D’INTERESSE E COMPLICITÀ MEDIATICHE

Gli economisti sul libro paga della finanza - lemonddiplomatique -
Editoriali, trasmissioni mattutine alla radio, palcoscenici televisivi: in piena campagna per le presidenziali, un pugno di economisti si spartisce l’intero spazio della comunicazione e delimita il terreno delle possibilità in campo. Presentati come accademici, incarnano il rigore tecnico nel mezzo della mischia ideologica. Ma se di questi “esperti” fossero note anche le altre attività, le loro analisi risulterebbero altrettanto credibili?

di Renaud Lambert
Si chiama «effetto Dracula»: allo stesso modo del celebre vampiro dei Carpazi, gli accordi illegittimi non possono resistere all’esposizione alla luce. Così, nel 1998, la scoperta del Multilateral agreement on investment (Mai), negoziato di nascosto allo scopo di accentuare la liberalizzazione dell’economia, ha determinato la sua disintegrazione. Questa volta, la controversia riguarda invece la collusione tra economisti e istituzioni finanziarie. Tanti fra gli accademici invitati dai media a illuminare il dibattito pubblico, ma anche dei ricercatori designati come consiglieri dai governi, sono infatti a libro paga di banche e grandi imprese. Può un esperto raccomandare quindi «in tutta indipendenza» la deregolamentazione finanziaria se allo stesso tempo occupa anche un posto da amministratore di un fondo d’investimento? Tali relazioni pericolose, fonte di conflitti d’interesse, non sono affatto un mistero. Tuttavia, i loro beneficiari si guardano bene dal renderle pubbliche. Prima del cataclisma del 2008, ci si accontentava dell’equivoco: i giornalisti esibivano i loro esperti che si presumevano neutri, i quali poi intascavano i dividendi della propria ubiquità sotto forma di maggiore notorietà e guadagni sicuri. Ma, dopo il 2008, gli economisti e i loro legami non passano più inosservati. L’effetto Dracula riuscirà ad avere ragione di questa forma di prevaricazione intellettuale? Per vincerla basterà renderla pubblica? La scommessa della prestigiosa American economic association (Aea) è proprio questa. Dall’inizio di quest’anno infatti, gli articoli pubblicati nelle riviste scientifiche aderenti all’associazione devono riportare gli eventuali conflitti d’interesse riguardanti gli autori. Gli economisti saranno così tenuti a menzionare «le “parti interessate” (1) che abbiano loro corrisposto una retribuzione finanziaria rilevante, vale a dire pari ad un ammontare superiore o uguale a 10.000 dollari [circa 7.600 euro] nel corso degli ultimi tre anni» (comunicato del 5 gennaio 2012). La misura riguarderà allo stesso modo le somme percepite da tutti coloro che agli autori sono «vicini». Alla testa di alcune fra le più prestigiose riviste del settore, la venerabile Aea, che si appresta a festeggiare il suo centotrentesimo compleanno, non va molto soggetta a infatuazioni passeggere. Ecco perché la sua decisione ha scosso gli animi. Dopo il successo del documentario Inside Job di Charles Ferguson, l’irritazione era ormai divenuta palpabile. Gli emolumenti di certi consiglieri nella cerchia del presidente Barack Obama coinvolti nella liberalizzazione del settore bancario avevano sollevato alcuni interrogativi nell’opinione pubblica. È il caso di Lawrence Summers, direttore del National economic council (Nec), che, tra il 2008 e il 2009, ha ricevuto 5,2 milioni di dollari dal fondo speculativo D.E. Shaw, e viene remunerato fino a 135.000 dollari per le sue conferenze, organizzate il più delle volte da società finanziarie – senza contare le sontuose collaborazioni con il Financial Times. La rabbia riecheggiava anche fra le stesse file degli economisti. Nel corso del 2011, ci spiega George DeMartino, dell’università di Denver, «una serie di studi scientifici ha dimostrato che i conflitti d’interesse costituiscono la regola piuttosto che l’eccezione». Il 3 gennaio 2011, per iniziativa dei professori Gerald Epstein e Jessica Carrick-Hagenbarth, una lettera aperta suonava un campanello d’allarme, invitando l’Aea a reagire. La missiva era firmata da più di trecento economisti, tra cui George Akerlof, premio Nobel per l’economia, e Christina Romer, ex-consigliera del presidente Obama. Dodici mesi più tardi, l’appello veniva ascoltato. Ma l’eco di tale sussulto etico fatica ad attraversare l’Atlantico (2)... Su Le Monde del 1° febbraio, l’economista Olivier Pastré sbraita contro i progetti di fuoriuscita dalla moneta unica europea, attribuendosi una missione: «Spiegare ai francesi più smarriti e più soggetti alla disinformazione quali sono i rischi di un abbandono dell’euro (3)». Il quotidiano della sera presenta l’autore come «professore di economia dell’università Paris-VIII». Ora, Pastré presiede anche la banca tunisina ImBank. E fa parte dei consigli di amministrazione della banca Crédit municipal de Paris (Cmp Banque), dell’Associazione dei direttori di banca, oltre che dell’Europlace institute of finance. Eppure, è il «professore universitario» che interviene ogni sabato mattina nella trasmissione di France Culture «L’Economie en questions», di cui è coproduttore. Se 2 +2 = 5 Quando gli sottoponiamo il caso, il professor Michael Woodford, membro del comitato direttivo dell’Aea, commenta: «Ecco un perfetto esempio del genere di situazione che ci ha indotto a reagire». L’associazione esorta infatti «l’insieme degli specialisti ad applicare gli stessi criteri a tutte le pubblicazioni: giornali accademici, editoriali, articoli di stampa, commenti radiofonici e televisivi». «Mi sembra che i lettori, continua infatti Woodford, abbiano il diritto di sapere all’occorrenza se l’esperto in questione difende una certa analisi o gli interessi dell’istituzione per la quale lavora». Pastré, nel suo articolo del 1° febbraio, assicurava che nell’ipotesi di un’uscita dall’euro, le banche «vedrebbero esplodere il costo del proprio indebitamento sia a corto che a lungo termine», dicendosi allarmato per l’eventuale «calo dei loro rendimenti». Per Patrick Artus, responsabile della ricerca economica per la banca Natixis e amministratore di Total, la tesi difesa da Woodford «ha un fondamento negli Stati uniti e nel Regno unito. Ma non credo veramente che possa applicarsi alla zona euro», perché «il numero di economisti legato alla finanza qui è molto più debole che nel mondo anglo-sassone (4)». Un piccolo gruppo, forse... ma certamente molto ben rappresentato tra gli esperti mediatici. 3 novembre 2011. La trasmissione del mattino di France Inter analizza le questioni in gioco al G20 in procinto di aprirsi a Cannes. E chi invita? «Jean Hervé Lorenzi, presidente del Cercle des économistes». Presentata solo in rare occasioni, l’associazione riunisce Jean-Paul Betbèze (capo economista di Crédit agricole), Laurence Boone (capo economista di Merrill Lynch), Anton Brender (capo economista di Dexia Asset Management), Artus, Pastré, ecc.

Manifesto per un soggetto politico nuovo

per un’altra politica nelle forme e nelle passioni - soggettopoliticonuovo -
Non c’è più tempo

Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’ impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.

In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli – la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell’appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l’Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste.

Oggi la sfera separata della politica in Italia, ‘il palazzo’ per intenderci, non rappresenta affatto parti intere del paese: le persone giovani, specialmente del Sud e donne, che non trovano sbocco ai loro sogni e ai loro percorsi educativi; le operaie e gli operai, che vedono giorno dopo giorno minacciati i loro diritti dentro la fabbrica, le commesse e i commessi intrappolati nella catena della distribuzione, i ceti medi del pubblico impiego, quelli della scuola, della sanità, dell’ amministrazione pubblica, che in questi anni sono stati tartassati e disprezzati; i giovani precari, spesso super-qualificati, vittime di una flessibilità selvaggia neoliberista inizialmente introdotta dal centro-sinistra che ha tolto loro dignità e futuro, la rete dei microproduttori e del cosiddetto lavoro autonomo di seconda generazione entrata in crisi con la recessione. Tutti questi elementi possono mobilitarsi nella società per poi trovare nel palazzo solo un muro di gomma o un ascolto distratto. E’ ora di spezzare questi meccanismi perversi. Al loro posto proponiamo un nuovo percorso in cui i cittadini riescano ad appropriarsi, attraverso processi democratici diversi, del potere di contare e di decidere.

La ‘poesia pubblica’, per utilizzare la frase del poeta americano Walt Whitman, deve entrare nella storia della Repubblica. E lo farà quando un gruppo sempre più grande di cittadini (donne ed uomini) qualificati, informati e attivi decideranno di farne la loro bandiera.

Il ‘non partito’ parte a Firenze

Daniela Preziosi - ilmanifesto -
Assemblea aperta per il «soggetto politico nuovo». Sette minuti a testa, poi si vota il nome. Appuntamento il 28 aprile, si lavora al programma. «Niente di deciso», ma si punta al 2013. Si inizia subito in difesa dell’art. 18

Il toto-nome già impazza. Perché, alla sinistra è chiaro dai tempi dello scioglimento del Pci, il nome è la cosa. Quindi ad appassionarsi alla scelta del nome del «soggetto politico nuovo» (lanciato da un «manifesto» sottoscritto da molti intellettuali e politici) sono in tanti. «Lavoro e beni comuni» il più gettonato. E «Libertà è partecipazione»; o «Democrazia comune», ma poi la sigla sarebbe Dc, sconsigliabile. Così come «Democrazia e partecipazione»: anche «Dp» non è alla sua prima uscita. «AltrItalia», «AltrEuropa». Per questo durante «l’assemblea nazionale aperta», convocata il 28 aprile a Firenze, saranno piazzate le urne per votare il nome, scelto nella rosa dei quattro più postati online. Il simbolo seguirà, tre agenzie si sono già offerte di lavorarci.
Oggi partono le convocazioni per l’iniziativa. Con una mail indirizzata a ognuno dei (a ieri) 3802 sottoscrittori, e telefonate ai tanti che – sulla rete ma anche sul nostro giornale – sono intervenuti anche criticando l’iniziativa. Gli organizzatori si aspettano grandi cose se hanno deciso di attrezzare per 1200 persone il ridotto del Mandela Forum (accanto allo Stadio).
Nessuna scaletta precostituita, solo indicazioni «di metodo democratico, partecipativo e fattivo nello stesso tempo». Sessione plenaria la mattina, relazione iniziale degli organizzatori max 15 minuti, sette minuti a intervento, facendo i conti ci escono una ventina di persone, con proposte finali di coordinamento nazionale e regole (da inviare prima al sito www.soggettopoliticonuovo.it). Votazione. Poi, dalle 15 e 30, dibattito nelle commissioni, per lavorare su programma e forma organizzativa. Quanto alla forma, «la crisi dei partiti si sta trasformando in crisi di legittimazione del modello democratico», scrivono gli organizzatori, e allora per «spezzare la spirale della sfiducia e dell’inazione» il soggetto nuovo non sarà uno dei tanti partiti, ma comunque «uno strumento costituzionale di partecipazione della cittadinanza alla vita democratica del paese, che intende essere protagonista non marginale né minoritario della lotta politica». Uno strumento «non esclusivo», orientato «al rigoroso principio di legalità e a un’assoluta trasparenza e condivisione dei processi decisionali», con una struttura a rete nei territori, «non centralistica, ma neppure acefala», con un’associazione di scopo per aprire un conto corrente per un finanziamento trasparente, come ossessivamente raccomandano tutti i visitatori del sito (più di 30mila dalla pubblicazione del manifesto).

venerdì 20 aprile 2012

MARCO REVELLI: STRAGI DI MERCATO

Marco Revelli - ilmanifesto -
L'ultimo è stato un piccolo imprenditore quarantacinquenne di Altivoli, in provincia di Treviso: si è impiccato nel capannone attiguo alla sua abitazione due giorni or sono. Il primo del 2012 era stato un pensionato di Bari: il 2 gennaio si era gettato dal balcone dopo aver ricevuto l'intimazione dell'Inps a restituire una consistente cifra. In mezzo l'operaio ventisettenne di Verona, morto col fuoco. Il corniciaio romano di 57 anni, impiccato anch'egli. L'elettricista quarantasettenne di San Remo, sparatosi...Litania alla quale aggiungeremmo la disponibilità alla macelleria sociale del governo che ieri ha prima cancellato l'esenzione dei ticket per i disoccupati e poi, dopo molte ore, li ha ripristinati «tecnicamente». È il costo umano pagato quotidianamente alla crisi economica. «Stragi di Stato», sono state chiamate. Ed è giusto, perché le politiche economiche, le normative, le inadempienze dei poteri pubblici non sono innocenti. Ma bisognerebbe aggiungere, subito dopo: «stragi di mercato».

Se leggiamo con attenzione le qualifiche professionali in questo elenco di necrologi che si allunga ogni giorno di più, vedremo che sono operai, disoccupati, piccoli imprenditori, pensionati: tutte le variegate figure di quel lavoro del cui mercato il governo sta ridisegnando la struttura. E di cui, quelle morti tragiche, ci dicono quanto sia inseparabile dalla vita delle persone. Quanto pericoloso (e criminale) sia l'atto, mentale e pratico, di ridurre il lavoro alla pura dimensione di merce: di cosa che si scambia secondo le leggi oggettive della domanda e dell'offerta.

Quando Luciano Gallino non si stanca di ammonirci che «il lavoro non è una merce», non si limita a un'affermazione, sacrosanta e doverosa, di carattere culturale e teorico, di cui discutere amabilmente nei seminari accademici (ovunque, tranne che in Bocconi!). Dice anche quale operazione estrema (e feroce) si compie sui corpi delle persone, quando si pretende di spezzare quell'unità bio-economica. Di ridurre la vita al lavoro a nudo fattore economico, sottoposto alle «leggi ferree» del mercato, senza più diaframmi, ombrelli protettivi, barriere opposte all'onnipervasivo processo di mercificazione dell'esistenza.

Il barzellettiere di governo le ignorava quelle morti, preferiva nascondere la testa del paese nella sabbia mobile dei suoi eccessi, ma nel 2010 la «strage di mercato» contò 362 suicidi tra i soli disoccupati, 192 tra i lavoratori in proprio, 144 tra i piccoli imprenditori (i grandi fuggono all'estero, non si sacrificano). Quasi due morti al giorno. Il professor Monti ne registra la realtà, anche se con un eufemismo che non ne diminuisce la drammaticità: «vite che si chiudono nella disperazione». Parla di un «prezzo altissimo», e ricorda che però in Grecia il bilancio supera già i 1.725 casi.

Gli Specialisti del Debito

- byoblu -
Se compri azioni di una società e questa società fallisce, sono problemi tuoi. Nessuno si riduce alla fame per rimediare ai tuoi errori e ricostituire il tuo capitale. Se invece compri titoli di stato e questo stato fallisce, tu non perdi niente: il tuo investimento è garantito dalla pelle di milioni di persone che non hanno mai investito un solo centesimo, perché non avevano i soldi, ma che saranno ridotte alla fame per rimediare alla tua scarsa oculatezza (o alla tua banale sfiga).

Ma chi sono questi ai quali, con l’austerity di Monti, stiamo ripagando investimenti sbagliati? Provate a scoprirlo, se siete bravi. Sul sito del tesoro ci sono i rapporti sulle aste dei titoli, ma sono riepilogativi: ti dicono quanti miliardi hanno piazzato e quale rendimento hanno garantito. Chi li abbia comprati, questi BOT o questi BTP, tuttavia non è dato sapere. Scrivetegli pure, rompete le balle anche a Maria Cannata se volete: per non tradire lo spirito di ogni buona amministrazione pubblica italiana, non vi rispondono. Forse non lo sanno neanche loro. Eppure anche questa sarebbe trasparenza: se io mi indebito voglio sapere con chi. Sapendolo, tra le altre cose, riesco anche a tutelarmi rispetto a possibili operazioni di speculazione, magari ottenute dando una spintarella allo spread prima dell’asta, così da alzare i rendimenti. Se so chi ci guadagna, ho uno strumento in più per tentare di risalire a eventuali comportamenti scorretti. Invece si sa solo che ci sono degli “specialisti”, selezionati mediante speciali graduatorie, che hanno diritto ad accaparrarsi il 10% garantito dei BOT ad ogni emissione. Gli specialisti del 2011, per esempio, erano nell’ordine: 1) Barclays Bank PLC; 2) Banca IMI S.P.A.; 3) Unicredit Bank A.G.; 4) JP Morgan Securities LTD; 5) Deutsche Bank A.G e via via fino a Morgan Stanley & Co.

Curioso che tra gli specialisti con diritto di acquisto sui nostri titoli di stato ci sia anche la Deutsche Bank, che è direttamente collegata ai tedeschi, quelli che da tutta questa storia ci guadagnano. Sì, perché una delle recenti aste di Bund è andata perfino deserta in quanto, dato l’ampio spread, avrebbe garantito rendimenti perfino negativi. Il che significa che in Germania arrivano soldi freschi ad ogni emissione praticamente gratis. Perché? Semplice: se lo spread è alto, succede che alla Merkel arrivano fiumi di denaro, per via della presunta affidabilità dell’investimento. Il che si traduce in ricchezza reale per il paese, in liquidità da usare per i prestiti alle aziende, quindi in prodotto interno lordo e conseguentemente in benessere. Il che, una volta di più, si traduce in un ulteriore impoverimento delle economie del sud Europa, che soffocano o vengono acquisite a prezzi stracciati: la massa monetaria è quella e la BCE non ne crea, senza ritirarne in altre forme. Di contro, chi vuole “osare” diversifica puntando una parte del gruzzoletto in titoli italiani (e ben il 48% del debito pubblico italiano è detenuto all’estero). Quindi la Deutsche Bank acquista i titoli italiani per le speculazioni più impavide e gli viene pure garantita una prelazione del 10% sulle emissioni. Vengono a fare caccia grossa da noi, insomma, come quel nonfatemidirecosa di Jaun Carlos fa con gli elefanti. E noi gli diamo pure una esclusiva "tessera gold".

ORGANIZZARE LA RESISTENZA CONTRO L'OCCUPAZIONE FINANZIARIA

FRANCESCO PIOBBICHI - controlacrisi -
Le classi dominanti hanno vinto ancora una volta una battaglia importantissima dal punto di vista politico, facendo regredire la nostra carta fondamentale (con l'inserimento del vincolo di bilancio in costituzione e l'adesione al Fiscal Compact) e costruendo le basi per l'affermazione egemonica nella nuova fase politica.
Nella crisi il Governo costituente ha raggiunto l'obbiettivo strategico, scrivere a proprio favore le regole del gioco ingabbiando la nostra democrazia. Monti manderà in recessione l'Italia, se ne andrà con molte maledizioni ma ha aperto una parentesi che rimarrà aperta per decenni. Monti è stato l'alfiere principale del sovversivismo delle classi dominanti. Lui è l'antipolitica per eccellenza, è un populista tecnocratico. Come scrive Mimmo Porcaro il populismo liberista di cui Monti è espressione “ si caratterizza prima di tutto per una frammentazione ed individualizzazione del popolo” lavora “ per la scomparsa del conflitto di classe e delle sue espressioni politiche. Il popolo diviene un aggregato di individui, di gente, che di volta in volta sceglie, senza “pregiudizi ideologici”, questa o quella soluzione politica in base a generiche e mutevoli preferenze che non fanno capo all’individuazione costante di precisi interessi di classe. Salta dunque in questa concezione, la mediazione offerta dai partiti che si richiamano ad identità stabili, e ciò che conta è il rapporto più o meno diretto, o mediato dai soli sondaggi, tra il popolo e l’esecutivo. Ma salta anche, pur se in modo più sottile, la mediazione del diritto, giacché la deregolamentazione tipica di ogni prospettiva liberista lascia campo libero al fluttuare delle norme in relazione ai rapporti di forza che si stabiliscono nel mercato. Infine, anche questo populismo non si esime dall’individuare comportamenti “difformi” da additare come esecrabili per costruire un conformismo di massa: il governo Monti, per esempio, col suo odio maniacale per tutti i lavoratori che hanno ancora memoria delle lotte e dei diritti, ha bandito una crociata a favore della parte sana del popolo,ossia quella che non vorrebbe altro che la piena realizzazione di un (presunto) universo meritocratico, contro la parte “garantita” e perciò profittatrice ed egoista, del popolo stesso.”
Come ci opponiamo al populismo liberista di Monti ed al processo di frammentazione dell'azione collettiva che l'egemonia delle classi dominanti favorisce ogni giorno?
Se i padroni si sono organizzati per fare la lotta di classe, i lavoratori non riescono ad andare oltre la semplice indignazione, all'affidarsi al parolaio di turno. 10 persone in Italia posseggono quanto 3 milioni di cittadini, ma questo non è uno scandalo. Nessuno punta il dito contro i ricchi.

Philippe Marlière: Il radicalismo di sinistra di Jean-Luc Mélenchon

Philippe Marlière: Il radicalismo di sinistra di Jean-Luc Mélenchon - maurizioacerbo -
Ho trovato su Counterpunch un articolo su Mélenchon e ve lo propongo nella mia solita traduzione raffazzonata. La sinistra radicale e i comunisti in Francia stavano solo pochi anni fa assai peggio di noi (1,97%), ora sono la rivelazione della campagna elettorale. Giustamente Paolo Ferrero ha citato l’esperienza francese come buon esempio nell’interlocuzione con i compagni che hanno lanciato il manifesto per un nuovo soggetto politico. Buona lettura!

Superbamente ignorato dai media fino a poco tempo fa, Jean-Luc Mélenchon è la nuova moda del momento nella campagna presidenziale francese. In verità, durante il tentativo di conto per il suo drammatico aumento nei sondaggi – ultime notizie lo danno al 17% dei voti – la maggior parte dei commentatori non poteva fare a meno di ridicolizzare il candidato del Fronte della Sinistra.

Un’indagine dei principali articoli recentemente pubblicati dai media britannici fornisce un interessante “case study” su pregiudizi e incomprensioni politiche. Mélenchon è descritto come un “Anglo-Saxon basher con una voce lamentosa” (The Independent), un “populista” che è “all’estrema sinistra” (tutti i giornali) e un “bullo e un narcisista, venutofuori per provocare” (BBC ). Commenti più comprensivi lo paragonano a George Galloway o lo raffigurano come un “agitatore di estrema sinistra”, un “anticonformista” e il “pitbull dell’anti-capitalismo”.

Colpisce il fatto che la valutazione più favorevole della politica di Mélenchon rimane fuori bersaglio. Mélenchon è visto come un “leftwinger amabile, ma old-fashioned”. Questo non riesce a catturare l’essenza delle sue ambizioni politiche. L’ascesa di Mélenchon non ha nulla a che fare con ““1970s-style politics and nostalgia”, ma è legata invece al suo risoluta approccio all’attuale crisi capitalista. Racconta al pubblico che le politiche di austerità attuate in tutta Europa non sono solo ingiuste ma anche controproducenti (persino il Financial Times è d’accordo). L’abilità di Mélenchon nel dibattere serve la sua causa, ma è anche un pedagogo letterato: un politico degno che non ha mai partecipato a reality show volgari. Per di più, Mélenchon è un repubblicano francese e un socialista, non un “di estrema sinistra” o un politico marginale. Ha trascorso 30 anni nel partito socialista, senza successo, sostenendo che dovrebbe essere una forza al servizio dei lavoratori comuni, e lui era un ministro nel governo di Lionel Jospin.

Un album di cadaveri e la doppia sconfitta dell'Alleanza

Tommaso Di Francesco - ilmanifesto -
Che nel bel mezzo del vertice Nato di Bruxelles, il capo del Pentagono e lo stesso Barack Obama abbiano sentito ieri il dovere di condannare le ultime foto di marine con cadaveri di insorti afghani pubblicate dal Los Angeles Times la dice lunga sulla tenuta dell'Alleanza atlantica. E rischia di contrassegnare ancora di più il vertice in corso a Bruxelles, che doveva «spianare la strada» a quello tutto politico ed elettorale (per Obama) del 20 maggio prossimo a Chicago, come lo specchio di una doppia sconfitta.
In Afghanistan, di fronte all'ininterrotta offensiva dei talebani, non solo militare ma anche politica con l'apertura in Qatar di un ufficio diplomatico; e intestina, con una Nato alle prese ormai dal 2008 con rovesci tali che ne minano credibilità e ruolo. Un ruolo che non avrebbe più ragione di essere, venuto meno nell'89 il nemico che costituiva la ragione della sua nascita. E che invece si è rilanciato dal 1999 in chiave non più solo difensiva, dai Balcani fino al disastro del Caucaso (conflitto tra Georgia e Abkhazia) a coronamento della strategia dell'«Allargamento a Est»; e dall'Afghanistan ai preparativi verso Africa e Medio Oriente fino alle imprese di Libia. Dove, entrata in guerra per difendere i civili, l'Alleanza più potente del mondo si ritrova ora accusata da un Rapporto dell'Onu (e dalle inchieste di Amnesty International) di avere «deliberatamente colpito molti obiettivi civili», uccidendo decine e decine di inermi; e dove, invece di soccorrere i disperati in fuga per mare dai combattimenti, li ha abbandonati a morte certa dall'alto delle sue portaerei. Avanti a collezionare foto di morte. Secondo il New York Times, un lungo rapporto della Nato di questi giorni rivela che in Libia senza il ruolo primario degli Stati uniti, le operazioni militari degli alleati sarebbero state a repentaglio per mancanza di forze aeree con capacità elettroniche adeguate, di pianificatori e analisti; tanto che l'esperienza, per ora, non è ripetibile contro la Siria.

Grecia. Il 6 maggio le legislative. Poi al via nuovi tagli

Fonte: il manifesto Argiris Panagopoulos - controlacrisi -
Un forte taglio aggiuntivo del costo del lavoro del 15% e nuove misure di austerità per il 2013-2014, sono le ulteriori richieste di José Barroso alla Grecia da mettere in pratica subito dopo le elezioni del 6 maggio. Il presidente della Commissione europea ha dunque rassicurato il parlamento di Strasburgo: Atene non avrà bisogno di un terzo pacchetto di salvataggio se applicherà le misure dei memurandum. Quelle che hanno distrutto un terzo dei posti di lavoro nel settore privato e faranno affondare il paese in una recessione del 4,7% per il 2012, secondo le previsioni ottimiste del Fmi.
In questo clima, con la disoccupazione ufficiale di gennaio al 21,8% (ma che supera il 30% se si contano i disoccupati di lunga durata) e con un aumento annuale del 46,6%, fare previsioni sul voto, diciassette giorni prima delle elezioni anticipate, è molto difficile. La campagna elettorale si apre ufficialmente oggi e per la prima volta dalla caduta della dittatura, per Nuova Democrazia e Pasok si tratta di una campagna blindata, controllata a vista dalle agenzie di guardie private. I due partiti – che puntano tutto sulla caccia agli immigrati, rei del malessere del paese e predicano per evitare un voto a sinistra: «Distruggerà la Grecia e la lascerà fuori dall’Europa» – hanno scelto comizi al chiuso dei palasport e nei locali supersorvegliati per paura di esporsi negli spazi aperti, al pubblico, ai cittadini. Il via lo dà oggi il Pasok di Venizelos asserragliato tra i muri di cemento del piccolo stadio di pallacanestro di Nea Smirni, mentre il tranquillo quartiere ateniese è già inondato da una marea di poliziotti in borghese. Le piazze e le strade appartengono da tempo all’altra Grecia.
L’ultimo sondaggio dell’agenzia Marc vede un parlamento di dieci partiti, con Nuova Democrazia al 22,30% e 110 deputati e il Pasok al 17,80% e 48 deputati. I conservatori dei Greci Indipendenti sono dati al 9,90% e 26 seggi, i conservatori «filo-troika» di Alleanza Democratica 3% e 8 seggi, l’estrema destra di Laos 3,90% e 10 seggi e i fascisti di Xrisi Avghi 5,70% e 15 seggi. A sinistra Syriza potrebbe raggiungere il 9,80% e 26 seggi, Kke 9,70% e 26 seggi, Sinistra Democratica 8,60% e 23 seggi, i Verdi 3,10% e 8 seggi, mentre la piccola Antarsya rimarrebbe fuori dal parlamento con 1%.
DIAZ The film about the Italian State Police incredible violence during the G.8 in Genoa
“it will give them a lesson about looking at the wrong film”

Lógos Dr. Rath Berlin 2012 Ellàda (Greece)

giovedì 19 aprile 2012

L'Italia è un capannone vuoto


- beppegrillo -
Ieri sono stato ad Arese, all'Alfa Romeo, o meglio, a quello che ne resta. Piovigginava. Un freddo autunnale. C'erano impiegati e operai "sgombrati" dall'azienda che mi aspettavano, oggi si dice così per le ex maestranze licenziate: "sgombrati", come se fossero inquilini abusivi o morosi sbattuti fuori di casa. Di fronte ai cancelli, per impedirne il rientro, agenti di polizia armati di tutto punto erano schierati in una linea compatta. Si vedeva dalle loro facce che non ne avevano alcuna voglia. Guardavano le persone che facevano capannello intorno a me e che potevano essere i loro padri e loro madri e abbassavano gli occhi. Vedevano gente veramente disperata, senza stipendio né altro reddito da mesi con una famiglia da mantenere. Mi sono ricordato di una frase celebre di Henry Ford, il più grande costruttore di auto mai esistito: "Quando vedo un'Alfa Romeo mi tolgo il cappello". e ho pensato a Prodi che la regalò nel 1986 ai becchini della Fiat.
Sono entrato in macchina nella gigantesca fabbrica vuota che si estende per due milioni di metri quadri. Ho provato un senso di smarrimento e di angoscia di fronte a questo vuoto immenso.

Mi è stato detto che l'area sarà destinata alla creazione di centri commerciali e alla costruzione di nuove unità immobiliari. Con il camper mi sono diretto poi verso Palazzolo e ho letto delle 146.000 imprese che hanno chiuso nel primo trimestre del 2012. Vuol dire che 600.000 imprese, quasi tutte piccole e medie, chiuderanno nel 2012. Ma esistono 600.000 imprese in tutta Italia? Sono numeri che sorpassano qualunque previsione negativa. E' vero che nel 2012 sono state aperte nuove imprese e che il saldo negativo è di 26.000, ma un'impresa che chiude ha un indotto, dei dipendenti, un fatturato. Un'impresa che apre è una scommessa, un investimento, il cui utile è incerto. Il 50% delle nuove imprese infatti non supera i 5 anni di vita. Le nuove PMI muoiono quasi sempre in culla. Il 58% dei nuovi posti di lavoro è creato dalle piccole imprese con meno di 10 dipendenti. Le grandi aziende delocalizzano e i piccoli imprenditori falliscono o si suicidano per la vergogna, per un fallimento che imputano a sé stessi e che è invece di una classe politica incompetente e cialtrona. L'Italia è come l'Alfa Romeo. Un capannone vuoto, sempre più esteso, che si riempie di banche, cemento e ipermercati. Non può durare e non durerà. O si rilancia la produzione insieme all'innovazione o il Paese chiude i battenti.

Belsito riconsegna i diamanti, i lingotti e l'Audi di Bossi jr

di Zag in - ListaSinistra -
Gli scandali dei partiti ormai non fanno più notizia. La notizie in se ormai non è più notizia. La cronaca ormai si sofferma sulle cose particolari, all'interno delle ruberie.
Stavo per dire che era prevedibile, scontata, visto che era palese che il referendum per il finanziamento ai partiti era stato stuprato( e si badi non ero e non sono favorevole a quel referendum), che gli stessi partiti chiamavano con un eufemismo "rimborso elettorale", ciò che in Italiano si chiama presa per il Kulo e che questi stessi rimborsi venivano costantemente aumentati dagli stessi beneficiari. E come se un operaio è chiamato a stabilire annualmente il proprio "giusto" salario. Anzi no, perché l'operaio, mediamente, almeno sa che il troppo poi finisce per far fallire la propria azienda. Per i politici nemmeno questo ritegno.
Ma la cosa che più mi fa rabbia sono le tesi difensive portate dai protagonisti e dai loro lacchè giornalisti.
Sentivo l'altro giorno in una emittente televisiva locale il leghista nel parlamento europeo ( che è una contraddizione in termini, visto che da sempre la Lega si è dichiarata euroscettica , anche qui per usare un eufemismo. Ma questo è un altro film) Speroni ( una faccia da Kulo che non ti dico!!!)
La sua tesi difensiva era che vi era una legge che elargisce questi finanziamenti e non impedisce di investire questi danari. E poiché loro sono per la legalità niente di illecito(salvo poi dichiarare che la bandiera serve a pulirsi il culo e che la Costituzione è solo carta straccia) Ed io sono uno che non è che si strappi le vesti per queste blasfemie, ma almeno un minimo di coerenza
Poiché questi soldi non possono essere spesi immediatamente, ma per esempio mensilmente per pagare gli stipendi e quindi per evitare che questi soldi giacciono inutilizzati in attesa di essere utilizzati mensilmente , vengono investiti là dove è maggiore la remunerazione. Anche in lingotti d'oro o in diamanti. E giù fuori una serie di numeri che dimostrerebbero qual'è l'investimento più remunerativo. Un astante chiedeva e perché non in titoli di Stato?
Ma primo perché , rispondeva l'onorevole, non è il miglior investimento e poi loro sono contro il fare favori a questo governo che loro osteggiano. Bella risposta, non trovate?
Chiaramente ne il giornalista ( sic) ne gli astanti hanno fatto una che dico una eccezione. Ma mi sarebbe piaciuto chiedere al sig onorevole. Ma il mese successivo , gli stipendi si pagano con lingotto d'oro? o si va in banca e si chiede. "Mi scusi vorrei cambiare in euro questo lingotto che devo pagare gli stipendi? "

Non è il furto in se che mi fa scandalo. Ma la sfacciataggine, la presunzione di credere che tutti gli italiani siano dei coglioni che mi fa incazzare!!
--
Zag(c)

Vladimiro Giacchè: "Da oggi Keynes è fuorilegge. Impossibile investire"

Daniele Nalbone - micromega -
L'economista non ha dubbi: "Con il pareggio di bilancio si subordinano diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione all'articolo 81"

Sera di martedì 17 aprile. Il Senato ha appena inserito in Costituzione il pareggio di bilancio. Per capire gli effetti di questa riforma, abbiamo intervistato Vladimiro Giacchè, economista, autore del libro dal titolo "Titanic Europa - La crisi che non ci hanno raccontato" (ed. Aliberti, gennaio 2012).

Professor Giacchè, inziamo col provare a capire la base di questa riforma. Qual è la ratio del pareggio di bilancio in costituzione?

Il pareggio di bilancio, di fatto, sancisce l'illegalità del keynesismo. Secondo Jhon Maynard Keynes, nei periodi di recessione, con la 'domanda aggregata' insufficiente, era lo Stato, tramite il deficit spending, a far ripartire l'economia. Secondo questo principio, il deficit si sarebbe poi ripagato quando la crescita fosse ripresa. Ora, impedendo costituzionalmente il deficit di bilancio dello Stato - se non per casi eccezionali e comunque per periodi di tempo limitati - tutto ciò sarà impossibile. Da oggi il nostro paese abbraccia ufficialmente l'ideologia economica per la quale la priorità è evitare il deficit spending, ossia che lo Stato possa finanziare parte della domanda indebitandosi. Questa cosa può sembrare apparentemente ragionevole per paesi indebitati come il nostro, ma in realtà è assolutamente folle. Così facendo si stanno replicando gli errori drammatici degli anni '30: quando ci si trova alle prese con la recessione, oggi come ottanta anni fa, accade che i privati investono meno. Ed è qui che sarebbe fondamentale un deciso intervento pubblico, con investimenti che facciano in modo che la 'domanda aggregata', cioè l'insieme dell'economia, aumenti, per ripresa. Questi effetti benefici, poi, si riassorbirebbero negli anni a seguire con effetti positivi sui conti pubblici. Ad esempio, con un maggior introito di tasse, il governo avrebbe avuto un rientro maggiore. Da oggi, invece, questo non sarà più possibile.

Cosa significa questo per un paese come l'Italia?

Lavoro e beni comuni Che ne dite?

Alberto Lucarelli e Ugo Mattei - controlacrisi -
Proviamo a dare qualche contenuto concreto alla discussione sul soggetto politico nuovo che si svolgerà il 28 aprile prossimo a Firenze. Così possiamo cominciare a rispondere alle diverse posizioni critiche che sono state avanzate nel dibattito (molto vivo e interessante) che sta svolgendosi sul Manifesto.
Innanzitutto, una decisione che va presa a Firenze, cominciando a sperimentare subito il piacere di decidere collettivamente, è il nome del nuovo soggetto. Il nome non è questione da poco, perché per suo tramite si offre un orizzonte di senso alla nostra operazione politica.
Un nome è poi indispensabile per qualunque uso istituzionale si voglia fare del nuovo soggetto sia prima che alle elezioni del 2013. Ciò risulta di una qualche urgenza perché autorevoli compagni hanno letto nella attuale denominazione di “soggetto politico nuovo” un accento di nuovismo politico. Nulla di più lontano dalle nostre intenzioni. Il nuovismo, la rottamazione, il far pulizia, il giovanilismo sono tutte manifestazioni becere di antipolitica e vanno in una direzione opposta rispetto al nostro scopo di contribuire a un’altra politica che pensi e rifletta prima di lanciare facili slogan e scorciatoie. Noi proponiamo di chiamarci Lavoro e beni comuni (Lbc).
Altri hanno parlato di Democrazia continua. A parte l’acronimo imbarazzante di quest’ultima denominazione, lavoro e beni comuni segnala senza ambiguità che il nostro soggetto politico nasce nel conflitto il quale si sta articolando, a livello globale, sulla ristrutturazione costituente del rapporto fra capitale e lavoro, declinato sulla questione proprietaria e sui beni comuni. Immaginando il soggetto politico nuovo come un “Cln anti-tecnocrazia”, noi collochiamo la nostra proposta come declinazione italiana di una grande resistenza globale. Diremmo quasi, se non fossimo pacifisti senza se e senza ma, che l’Italia deve schierarsi (dando l’ esempio fra le grandi economie occidentali) a fianco dei popoli oppressi del Sud globale, in una guerra mondiale di liberazione contro l’oppressione del neoliberismo che, come i peggiori regimi del ’900, sta devastando il mondo e lo stesso piacere e senso di vivere.

CRISI: GRECIA, L'ASSISTENZA SANITARIA È ORMAI UN PRIVILEGIO

- ansa -
ATENE, 16 APR - Dopo quattro anni di recessione e due anni di ampi tagli al bilancio statale per ridurre le spese e raddrizzare i conti, in Grecia ormai anche l'assistenza sanitaria sta diventando ogni giorno che passa sempre più un privilegio. Con la spesa sanitaria pubblica a circa 10 miliardi di euro, il 25% in meno rispetto al 2009, star bene «rischia di diventare un privilegio», dice Haralambos Economou, docente di sociologia all'Universit Panteion di Atene. Due anni di dura austerit hanno portato la Grecia ad avere oltre un milione di persone ufficialmente disoccupate, più del 20% della forza lavoro. Ed esperti nel settore sostengono che fino al 10% della popolazione, se ha bisogno di cure, è adesso costretta a fare ricorso ai propri risparmi in continua diminuzione. In passato, la maggior parte dei greci si rivolgeva - quando possibile - alle cure private anche se dovevano sborsare di tasca propria quasi il 40% del costo totale del trattamento, uno dei tassi pi— alti nei Paesi sviluppati. Adesso, però, la domanda di assistenza negli ospedali pubblici è salita del 20-30% mentre le spese ricadono di nuovo sul sistema statale già sotto forte pressione per il taglio dei costi. Ma, ancora peggio, molte persone cercano di aggirare il sistema (e ridurre le spese) presentandosi al pronto soccorso dell'ospedale come se fosse un caso d'emergenza allo scopo di ottenere cure immediate invece di chiedere un appuntamento in anticipo per il quale è necessario pagare. Gli ospedali, dal canto loro, fanno del loro meglio per rispondere alle attuali circostanze. «Dopo che le recenti riforme ci hanno costretto a chiedere soldi ai pazienti che non hanno una copertura sanitaria, sempre pi— persone cercano di evitare di prendere appuntamenti perchè non hanno denaro», spiega la dottoressa Meropi Manteou, specialista in pneumologia all'ospedale Sotiria di Atene. «Arrivano qui con l'influenza e cercano di farla passare per un'emergenza. Facciamo quello che possiamo per aiutare i pi— poveri, ma non so per quanto tempo saremo in grado di chiudere un occhio», ha detto Manteou. Ma i problemi non sono solo per i meno abbienti. Infatti la situazione è diventata difficile anche per coloro che vantano anni di contributi di assistenza sanitaria perchè - a causa della crisi - il ministero della salute ha ridotto la lista dei medicinali e delle analisi mediche che possono essere in parte rimborsate dai fondi della previdenza sociale, che versano in gravi difficoltà a causa della cattiva gestione finanziaria del passato ma anche a causa dei contributi cronicamente bassi, un problema ora esacerbato dal crescente tasso di disoccupazione. Gli ospedali pubblici ormai si trovano a dover combattere ogni giorno con finanziamenti ridotti, gli stipendi dei medici ridotti di un quarto, una carenza cronica di infermieri e mancato pagamento degli straordinari dallo scorso dicembre. È anche per questo che molti greci hanno cominciato a rivolgersi da mesi ai vari centri dell'Ong 'Medici del Mondò sparsi in tutto il Paese da oltre 20 anni e ai quali, sino a non molto tempo fa, si rivolgevano quasi esclusivamente immigrati ed emarginati. «Dalla fine del 2010 sempre più greci, e non solo immigrati, si rivolgono a noi», ha detto Christina Samartzi, portavoce dell'Ong «e sono oltre 100 al giorno, ormai, le persone che ci chiedono assistenza nella sola Atene. È un fenomeno nuovo ed è una conseguenza della crisi economica». La maggior parte dei greci che chiedono l'aiuto del'Ong sono disoccupati, pensionati o famiglie che non possono più permettersi neanche le vaccinazioni obbligatorie dei figli più piccoli. «Spesso arrivano da noi anziani che soffrono di pressione alta o di diabete e che non possono comprare ogni mese le medicine di cui hanno bisogno», dice Giorgos Papadakis, un giovane diabetologo. «Vengono da noi e ci chiedono se possiamo dargliele noi». Ma la cosa peggiore, come hanno confermato molti volontari dell'Ong, è che sempre più greci - invece che medicinali - chiedono generi alimentari. (ANSAmed).

THE PIRELLI BUILDINGS IN MILAN
The Lombardy Region headquarters, at the moment submerged by corruptions scandals

"Non poteva vivere in questa Italia asservita". Lettera di una mamma di una ragazza suicida

Fonte. quotidiano della calabria
“È sempre stata onesta, non ha mai cercato compromessi, si è sempre messa in discussione, troppo, e ci ha dato sempre il massimo...o forse no, perchè, ne sono certa, se non l'avessimo uccisa, tutti, ci avrebbe dato di più”. È quanto scrive in una lettera al direttore del Quotidiano della Calabria la madre di Lucia, una ragazza di 28 anni, laureata in ingegneria gestionale, che si è tolta la vita il 4 aprile scorso lanciandosi dal balcone della sua abitazione a Cosenza. “Non si può banalizzare - aggiunge - e liquidare il suo gesto come un suicidio dettato dalla depressione... Lei sì, lei sì che si è sempre impegnata fiduciosa nei nostri insegnamenti, sicura che il merito avrebbe pagato. Laureata in ingegneria gestionale, in condizioni molto difficili, con il massimo dei voti, 110/110, si è trovata a doversi accontentare di un lavoro che non era il suo, poco retribuito, si è trovata a doversi prendere cura della sua piccolina di appena due anni, affrontando tutte le difficoltà che già conosciamo noi donne...e noi donne del sud. Aveva un solo difetto: portare un cognome anonimo e credere nella meritocrazia”.

Secondo la madre della ragazza “lei non poteva vivere in quest'Italia asservita, e non poteva neanche allontanarsene, voleva semplicemente vivere nella sua Calabria, dov'era amata dai suoi innumerevoli amici. È una colpa da pagare a così caro prezzo? Se è così, giovani, andate via, andate via e abbandonate questa Terra, noi non vi vogliamo...E voi, mamme, non consentite che questo mostruoso Leviatano divori i nostri figli. Lottiamo insieme a loro, nella legalità, per i loro diritti, e chiediamo a testa alta ciò che è loro dovuto”. Per il Presidente del corso di studi in ingegneria gestionale dell'Università della Calabria, Luigi Filice, il suicidio di Lucia è una “grande sconfitta per quella società che la mia università deve far progredire”. “Assorbito il colpo, ripreso il respiro, resta l'immenso senso di impotenza - aggiunge - ma anche la rabbia e la volontà di impegnarsi ancor di più nello svolgere un lavoro che ci concede, ogni giorno, l'immeritato privilegio di vivere spalla a spalla con le generazioni future”.

mercoledì 18 aprile 2012

PAREGGIO DI BILANCIO. GIANNI FERRARA: REGRESSIONE COSTITUZIONALE

GIANNI FERRARA - controlacrisi -
Con l'approvazione del Senato in seconda deliberazione si è concluso ieri il procedimento di revisione dell'art. 81 della Costituzione. Male. Un giudizio non tanto distante da quello che si arguiva dalle parole di chi dichiarava, dai banchi della sinistra, un voto più disciplinato che convinto.

Con l'approvazione di tale legge costituzionale, la politica economica è sottratta al Parlamento italiano, al Governo italiano, al corpo elettorale italiano. Con tale approvazione la nostra Costituzione non è più nostra. È stata trasformata in strumento giuridico funzionale ad un feticcio, quello neoliberista, che la tecnocrazia finanziaria europea interpreterà volta a volta dettando le misure che dispiegheranno la mistica del feticcio.

Con tale approvazione un altro demerito si accompagnerà a quelli sciaguratamente ottenuti dal nostro paese in tema di regimi politici. Il demerito di aver inventato un nuovo tipo di Costituzione. A quelle scritte, consuetudinarie, flessibili, rigide, programmatiche, pluraliste, liberali, democratiche, lavoriste, si aggiungerà la Costituzione abdicataria, una costituzione-decostituzione. Un ossimoro istituzionale che preconizza una recessione seriale che, partendo dalla neutralizzazione della politica, porterà alla compressione dei diritti e poi alla dissoluzione del diritto, sostituito dalla mera forza del dominio economico.
Emerge, improrogabile, la necessità di un intervento. Votando questa autentica regressione costituzionale, i gruppi parlamentari della strana maggioranza delle due camere hanno tenuto in irresponsabile dispregio i giudizi di economisti di molti paesi del mondo, tra i quali 5 premi Nobel, di giuristi di varie discipline. Su un tema così intrinseco alla sovranità popolare, e su cui, e non per caso, è stato stesa una coltre fittissima di silenzio, hanno escluso che potesse pronunziarsi il corpo elettorale. I fondati dubbi sulla legittimità costituzionale della legge elettorale da cui deriva la loro presenza in parlamento non ne hanno frenato la cupidigia di sottomettersi al diktat della Cancelliera tedesca. Hanno respinto anche la richiesta di approvarla pure questa legge, ma non con la maggioranza dei due terzi, quella che impedisce l'indizione di un referendum su tale gravissima spoliazione della sovranità nazionale. Ci resta ora un solo strumento per chiedere a questo o al prossimo parlamento di invertire la rotta.

TUTTE LE FALSITA' CHE RACCONTANO SULLA CRISI ECONOMICA. INTERVISTA A MARIO PIANTA

fabrizio salvatori - controlacrisi -
Mario Pianta, economista, ha da poco scritto un libro che affronta i nodi della crisi economica a partire da uno dei nodi più delicati, quello della distribuzione del reddito. Se letta da questo punto di vista le vie di uscita dalla crisi rimangono ben poche in quanto tramonta l'interesse generale e si innesca una spirale verso il basso per le classi medio base e verso l'alto per i più ricchi. Alla faccia del richiamo alla responsabilità generale. "Nove su dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di dieci anni fa", di Mario Pianta (editori Laterza).

Cosa cambia con l’approvazione del vincolo di bilancio nella Costituzione italiana?
L’inserimento del pareggio di bilancio è un grave errore dal punto di vista istituzionale perché è in contraddizione con lo spazio che la Costituzione italiana riconosce alla politica economica e al ruolo dello Stato dal punto di vista economico. E’ un disastro a livello europeo perché l’imposizione del vincolo, che poi è l’estensione di una norma tedesca nel rapporto tra Stato centrale e Laender, viene imposto a tutti i paesi europei in un periodo di piena recessione con un effetto molto pesante di aggravamento della recessione stessa. Durante la recessione arrivano meno soldi dal pagamento delle tasse, in Italia già si prevede che saranno quindici miliardi in meno, e ciò non fa che aggravare ancora di più la situazione del rapporto tra debito e pil. Ecco perché c’è stato un aumento enorme del deficit.

Un quadro del tutto irreale quindi…
Imporre il raggiungimento entro il 2013 è tecnicamente impossibile. La Spagna ha già detto che non ce la può fare. L’Italia ce la farà, dichiarano i vertici, forse nel 2018. In Francia più o meno lo stesse date. C’è una schizofrenia preoccupante tra una imposizione di regole fatte apposta per tutelare la cosiddetta fiducia nei mercati in cui si finisce per pagare più che altro gli interessi e i richiami alla crescita. Una misura assolutamente inefficace dal punto di vista della solidità dei conti pubblici e completamente irrealistica. Questo stesso approccio viene replicato in grande nell’insieme complessivo delle norme del fiscal compact di cui il pareggio di bilancio è uno dei punti. Il fiscal compact è stato firmato da tutti e questo ripropone su scala più grande l’effetto distruttivo. Il fiscal compact impone i vincoli sul pareggio di bilancio e in più impone a chi va oltre il 60% un ventesimo l’anno di rientro da prelevare dalle tasse. Per l’Italia vale 50 miliardi l’anno, che vuol dire, con gli interessi, 80 miliardi di spesa in più se le regole rimangono queste. C’è sostanzialmente una colossale stupidità economica perché tagliare la spesa pubblica porta a una recessione certa. Tra l’altro, Hollande è contrario, e quindi se dovesse vincere salterebbe tutto.

Il Partito Democratico contro il pareggio di bilancio. Ma è quello americano!

Posted by keynesblog
Tratto dal sito ufficiale della campagna elettorale 2012 di Barack Obama.
Il pareggio di bilancio sulle spalle della classe media
Questa settimana la Camera dei Rappresentanti dovrebbe votare su un emendamento alla Costituzione per introdurre il pareggio di bilancio. Se approvata, la proposta repubblicana richiederebbe profondi tagli alla spesa che potrebbero compromettere tutto, dall’istruzione al Medicare (programma sanitario pubblio, ndr) ai programmi nutrizionali e sulla salute per i bambini a rischio. Ecco uno sguardo sull’impatto devastante che questo emendamento, ardentemente sostenuto da Mitt Romney e dai suoi colleghi candidati repubblicani, potrebbe avere sulla classe media americana.

Ti stai chiedendo come il pareggio di bilancio ti riguardi? Questi sono solo alcuni dei modi in cui i tagli potrebbero realizzarsi negli stati dell’Unione, il tutto mentre Romney e i candidati repubblicani stanno proponendo oltre 200 miliardi di dollari all’anno di tagli fiscali per le imprese e gli americani più ricchi:

il Medicare (programma sanitario per gli anziani, ndr) potrebbe essere ridotto di:
•2,4 miliardi in Virginia
•4,4 miliardi di dollari Michigan
•1.1 miliardi in Iowa

Tagli alla Social security (pensioni, ndr):
•12,9 miliardi dollari in Florida
•3,7 miliardi dollari nel Arizona
•5,9 miliardi dollari in North Carolina

Medicaid (programma sanitario per le famiglie a basso reddito, ndr) e CHIP (programma sanitario specifico per i bambini, ndr) potrebbero essere ridotti di:
•3,3 miliardi di dollari Ohio
•3,6 miliardi di dollari Pennsylvania
•1,9 miliardi dollari in Georgia

Il budget per l’istruzione primaria e secondaria potrebbe essere ridotto di:
•26,5 milioni dollari in Colorado
•36,9 milioni dollari in Wisconsin
•19,7 dollari in New Mexico
BLIND NAPOLITANO
"I do not see any blind exasperation"
"I do not see parties and politics as the reign of corruption"

martedì 17 aprile 2012

Naomi Klein sulla Grecia

Ken Loach sulla Thacher

Grecia e' la cavia.

La Riunione Internazionale sul debito a Bruxelles

Inserito da: Giuliana - Fabio News -
Lotte coordinate in Europa e Nord Africa per combattere il debito e l'austerità
E' nata la rete internazionale per le auditorie cittadine sul debito – ICAN - con lo slogan "Noi non dobbiamo pagare! Noi non pagheremo! " che riunisce movimenti e reti in diversi paesi europei e del Nord Africa in lotta contro le misure di austerità attraverso la realizzazione di audit cittadino sul debito.

Il primo incontro euro-mediterraneo della nuova rete internazionale per le auditorie cittadine sul debito, si è svolto sabato 7 aprile a Bruxelles. Attivisti provenienti da dodici paesi hanno partecipato all'incontro: Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, Polonia, Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Egitto e Tunisia. Le diverse regioni stanno sviluppando o avviando auditorie cittadini del debito o campagne contro l'austerità e il debito.

Durante l'incontro diverse organizzazioni, reti e movimenti sociali hanno condiviso esperienze, discusso dei vari tipi di auditoria in corso o programmate in ciascun paese, nonché di che tipo di azioni e strategie di mobilitazione sociale si stanno sviluppando in ciascun territorio. Per l'Italia le campagne Rivolta il debito e Smonta il debito hanno portato la loro esperienze fino ad oggi.

Al di là dello scambio di informazioni su come ogni paese sta affrontando la situazione del debito, l'incontro ha creato le basi per una migliore comunicazione ed il coordinamento della rete internazionale. Ha inoltre delineato un calendario comune, che identifica le date importanti di azione contro il debito e l'austerità: 1° Maggio Festa del Lavoro prima, proteste globali di maggio dal 12 al 15 (in coincidenza con il primo anniversario del movimento "15M/Indignados" in Spagna) e dal 17 al 19 maggio proteste, azioni, manifestazioni e blocchi contro la Banca Centrale Europea a Francoforte.

La proposta presentata dalla delegazione greca di organizzare una Giornata di azione globale contro il debito, l'austerità e in solidarietà con il popolo greco, è stata accolta positivamente, e la giornata probabilmente cadrà durante la settimana di azione globale contro il debito e le istituzioni finanziarie internazionali, che si tiene ogni anno dall'8 al 15 ottobre. Quest'anno coincide con il 25 ° anniversario della morte di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, ucciso (tra i vari motivi) per opporsi al pagamento del debito. E 'stato inoltre convenuto di studiare la possibilità di un secondo incontro internazionale, con una maggiore partecipazione degli attivisti di base, ed una più ampia presenza di organizzazioni e paesi, probabilmente a Barcellona all'inizio dell'autunno 2012.
Attivisti greci, autori di Debtocracy, hanno concluso l'incontro con la presentazione del trailer cinematografico Catastroika:

Come è successo tutto questo? La crisi europea spiegata agli Argentini

Posted by - keynesblog -
Pubblichiamo un articolo di Sergio Cesaratto, docente all’Università di Siena, apparso sul quotidiano argentino Pagina12 e, in inglese, sul blog Nakedkeynesianism col titolo originale “L’inutile austerità europea”. Sempre di Cesaratto segnaliamo un articolo, scritto con Lanfranco Turci, pubblicato ieri sull’Unità, anch’esso sulla crisi europea e i suoi recenti sviluppi.

La crisi finanziaria europea non è finita, solo agli inizi. Nel lungo termine la tragedia greca appare come un episodio minore. Non è difficile per gli argentini capire l’origine della crisi, anche se è sorprendente perché una delle regioni più ricche del mondo e un punto di riferimento globale per la crescita accompagnata dall’equità sociale si sta suicidando con l’adozione di misure di austerità che aggravano la crisi.
L’Unione monetaria europea (UEM) è nata da un progetto politico francese che ha cercato di legare il destino della Germania post-unificazione all’Europa occidentale. In caso contrario, la nuova Germania avrebbe guardato ad est, come ha fatto in ogni caso, per diventare il centro di produzione manifatturiera dell’Europa orientale, verso cui ha decentrato la produzione di minor valore aggiunto. Con la partecipazione all’UEM Italia e altri paesi puntarono a importare la disciplina fiscale, monetaria e del lavoro tedesco.

Gli economisti americani hanno avvertito gli europei che l’UEM non era un’ “area monetaria ottimale”, perché era molto eterogenea in termini economici, culturali e linguistici. Le élite europee videro queste critiche come un complotto americano per impedire la nascita di una nuova moneta internazionale. Qualunque cosa fosse, quello che è successo tra il 1999 e il 2008 è una storia familiare per gli argentini. La liberalizzazione finanziaria e la fissazione del tasso di cambio generarono enormi flussi finanziari dal “core” Europa – Germania, Olanda, Austria e Finlandia – alla “periferia”, fondamentalmente Spagna, Grecia e Irlanda. In senso stretto, Francia e Italia non appartengono a entrambi i gruppi, l’industria manifatturiera italiana è seconda solo dopo la Germania e questo dimostra le differenze tra Italia e Spagna. I flussi di capitale condussero ad un boom nel settore delle costruzioni in Irlanda e Spagna e spinsero il governo alla prodigalità in Grecia. Ciò ha portato ad una crescita effimera in quei paesi, accompagnata da un’inflazione relativamente elevata e la conseguente perdita di competitività. I conti con l’estero sono diventati negativi e si è accumulata una quantità enorme di debito, in particolare con la Germania.

L'Argentina espropria la Repsol

Madrid minaccia ritorsioni - larepubblica -
Il presidente Cristina Fernandez de Kirchner nazionalizza i giacimenti del gruppo petrolifero spagnolo. Funzionari del governo entrano nella sede della società e cacciano i dirigenti iberici
di OMERO CIAI

Il presidente argentino, Cristina Fernandez de Kirchner
LA FILIALE argentina della compagnia petrolifera spagnola Repsol è stata nazionalizzata ieri con un decreto d'esproprio firmato e annunciato in televisione a reti unificate dalla "presidenta" Cristina Kirchner. Poco dopo funzionari del governo argentino, guidati dal ministro per la pianificazione Julio de Vido, sono entrati nei locali della società petrolifera, l'YPF-Repsol, hanno preso possesso della sede ed espulso tutti i dirigenti spagnoli presenti. Il colpaccio - la succursale argentina rappresenta con una produzione di 472mila barili al giorno un terzo del fatturato di Repsol - era nell'aria da settimane ma la notizia è arrivata in Spagna nel momento meno opportuno per le difficoltà a contenere la speculazione sul debito. Ieri lo "spread", che volava oltre i 460 punti, ha segnato il risultato peggiore dall'insediamento del nuovo governo di centrodestra alla fine dell'anno scorso. Mentre la Borsa di Madrid era l'unica in Europa a registrare un segno negativo.

Nel discorso in tv la Kirchner ha difeso il decreto di esproprio (lo Stato controllerà il 51 per cento della compagnia mentre il restante 49 percento verrà diviso tra i governatori delle regioni argentine che possiedono greggio) affermando che "il petrolio è un interesse pubblico strategico e prioritario" e non può stare in mani straniere. E aggiungendo che Repsol non ha rispettato gli accordi investendo poco o niente nello sfruttamento dei giacimenti argentini. Parlando alla nazione Cristina è riuscita anche a scherzare allundendo alle polemiche sul safari in Botswana di re Juan Carlos di Spagna. "Nazionalizzo YPF-Repsol perché le loro colpe sono lunghe come la proboscide di un elefante", ha detto. A Madrid il governo del premier Rajoy si è riunito d'urgenza per studiare "misure adeguate" ad un atto che è stato definito "ostile". E oggi, quando arriverà in Messico per prendere parte al Foro economico mondiale sull'America Latina, il premier spagnolo dovrebbe annunciare le rappresaglie di Madrid all'esproprio.

Oscar Arias video in honor of the Global Day of Action on Military Spending


17 April, 2012 is the Global Day of Action on Military Spending (GDAMS).
Please watch this 5-minute video put together by the former Costa Rican President and 1987 Nobel Peace Prize winner Oscar Arias in honor of the Global Day of Action on Military Spending!
Without an army, Costa Rica has been able to invest public resources in the public interest - education, healthcare, development, humanity. Arias shares his thoughts on what might happen if the whole world shared the Costa Rican vision of a peaceful and just world - one with no armies, where human security is not measured in missiles.

Óscar Arias, president of Costa Rica (1986-1990, 2006-2010), won the Nobel Peace Prize in 1987 for his peacemaking efforts in Central America. Without any armed forces, Costa Rica is now a global model for demilitarization and the amazing social benefits it offers.

In this moving speech, Arias endorses the Global Day of Action on Military Spending and encourages people around the world to demand demilitarization as the first step towards achieving true human security and development.
STEFANO CUCCHI
Dead while in Carabinieri "Precautionary custody"

lunedì 16 aprile 2012

Gli affari del Pdl e del Pdmenoelle

- beppegrillo -
"E' arrivata talmente a un punto forte e profondo questa compenetrazione tra centro-destra e centro-sinistra che non è più soltanto politica, non è più soltanto di affari, è antropologica e culturale. I berlusconiani di centro-destra assomigliano sempre più ai berlusconiani di centro-sinistra, questo è il frutto del berlusconismo. Ci siamo tenuti Berlusconi per tanti anni proprio per questo, perché quelli di sinistra, di centro-sinistra avevano fatto spesso cose simili, se non uguali, a quelli della maggioranza e non potevano scagliare la prima pietra perché avevano molte colpe." Ferruccio Sansa

E' UFFICIALE: STANNO DEPREDANDO LA NOSTRA RISERVA AUREA

Ricordate il video "ALLUCINANTE: ORA LA GERMANIA VUOLE IL NOSTRO ORO!" (che vi proponiamo di seguito) che abbiamo pubblicato Su Facebook il 31 Gennaio, condividendolo anche di recente con l'invito a "fissarlo bene nella memoria, perché quanto illustrato è ciò che succederà nei prossimi mesi" ?

EBBENE, IL MOMENTO "ATTESO" SEMBRA PROPRIO ESSERE ARRIVATO!
Lo aveva previsto anche Nigel Farage, nell'ambito dell'intervista che ci aveva rilasciato in eslusiva il 14 Febbraio. Riportiamo le testuali parole:
"l'Italia, nonostante le sue immense riserve auree, (o forse per preservare la riserva aurea) diventerà certamente l'obbiettivo di un "attacco" della Troika. Questo se non succederà "molto presto", succederà "abbastanza presto".
Le riserve auree italiane sono diminuite (in valore) di 5,669 miliardi SENZA DIRE NIENTE AI CITTADINI! Tutto è andato secondo le (peggiori) previsioni. E' una cosa sconcertante, ma che ormai non ci stupisce. E ci conferma come il "disegno" dei banchieri e delle lobby dell'alta finanza, nonostante i loro giochetti mediatici, sia più prevedibile di quanto vorrebbero. A patto di analizzare le vicende con obiettività e lungimiranza, senza dare ascolto alle TV.
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Di seguito l'articolo di "Rischio Calcolato" - tratto da "frontediliberazionedaibanchieri"
L'ITALIA STA VENDENDO LE RISERVE D'ORO, SIAMO SEMPRE PIU' VICINI ALLA GRECIA !
di Mauro Bottarelli
Le riserve auree diminuite in valore di 5,669 miliardi a 98,123 miliardi al 31 marzo 2012. Si vendono l’oro e senza dire niente ai cittadini! Dov’è finito quell’oro: venduto ai russi o ai cinesi, avidi compratori di riserve auree in questo momento? Oppure è andato in pegno alla Bce come collaterale di qualcosa, su richiesta della Bundesbank sempre più terrorizzata dalle perdite potenziale del programma Target 2? Una cosa è certa, l’operazione non nasce dall’emergenza. Lo scorso novembre, infatti, fecero scalpore per qualche ora le dichiarazioni del presidente della Commissione parlamentare per l’Europa del Parlamento tedesco, Gunther Krichbaum, in un’intervista al quotidiano “Rheinischen Post”: per ridurre il debito pubblico, l’Italia deve mettere in vendita una parte delle riserve auree.

Anders Ias pacifista in bicicletta deve ringraziare Israele per il trattamento?


di Doriana Goracci - reset -
Un tenente-colonello dell’esercito israeliano, Shalom Eisner, ha usato il fucile in dotazione, un M-16 di fabbricazione americana, per colpire al volto un inerme manifestante pacifista sabato che insieme ad altri stava tentando di fare un giro in bicicletta della valle del Giordano. Il video dell’aggressione è finito sul web, via Haaretz… “Un portavoce dell’esercito israeliano ha definito “grave” l’incidente e ha annunciato che è stata aperta un’inchiesta interna sull’operato dell’ufficiale. “
Il giovane attivista è di nazionalità danese e ha un nome , Anders Ias : “Un ufficiale dell’esercito israeliano è stato sospeso dal servizio e ora è sotto inchiesta per aver percosso un giovane danese, militante dell’International Solidarity Movement, durante una manifestazione a Gerico, in Cisgiordania. Nel filmato, diffuso con grande rilievo in tv e sui siti web israeliani, si vede il tenente colonnello Shalom Eisner mentre colpisce duramente al volto il danese Anders Ias con il proprio fucile M-16. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu condanna l’azione dell’ufficiale “un comportamento del genere non rappresenta i soldati e gli ufficiali dell’esercito della difesa dello stato d’Israele “. L’incidente si è verificato durante una manifestazione in bicicletta dell’International Solidarity Movement (un’organizzazione di attivisti filo-palestinesi, lo stesso di cui faceva parte Vittorio Arrigoni). I manifestanti che portavano delle bandiere palestinesi hanno cercato di di varcare un checkpoint dell’esercito israeliano lungo la valle del Giordano. Lo scontro fra l’ufficiale e il giovane attivista danese è avvenuto dopo un tentativo dei militari di disperdere gli attivisti. Il giovane danese, ferito al volto, è stato soccorso in un ospedale palestinese. Il portavoce dell’esercito della difesa alla radio militare israeliana ha parlato di “leggere fratture al volto”.

Shalom, buffo destino quello dell’ ufficiale israeliano di avere questo cognome…Shalom (שָׁלוֹם ascolta) è una parola ebraica che significa pace, ciao, arrivederci o stare bene.
Doriana Goracci

La minacciosa

il manifesto - Autore: Francesco Piccioni
- controlacrisi -
Davanti a una platea di giovani metalmeccanici e precari, Landini annuncia che la mobilitazione per l’articolo 18 continua. «Non abbiamo paura, non accettiamo di menomare i diritti»

L’opposizione sociale si trova davanti a un passagio storico e ha un problema enorme: contrastare un’offensiva che sta distruggendo le condizioni di vita per la maggior parte della popolazione, ma senza disporre più degli strumenti «generali» all’altezza della sfida: uno o più partiti politici che difendono interessi sociali precisi, corpi intermedi dalle caratteristiche certe, in un quadro legislativo stabile e di garanzia. A Bologna, ieri, la Fiom ha riunito l’assemblea nazionale dei giovani delegati di fabbrica insieme a decine di altre realtà egualmente giovanili, ma che del lavoro vedono una faccia diversa e condizioni fin qui parecchio differenti.
Un dialogo in altri tempi difficoltoso e idelogizzato in una artificiosa contrapposizione tra «garantiti» e «non garantiti», tra «stabili» e precari che mai come oggi appare una costruzione ad hoc , abilmente costruita da «quelli che guidano i processi produttivi, e sono sempre gli stessi, mentre tra noi viene incentivata la frammentazione». Oggi non può più avvenire, anche se dal governo – e dai media mainstream ogni giorno piovono frasi di circostanza sulle «difficoltà dei giovani» e i «privilegi degli anziani», da «riequilibrare» togliendo qualcosa a tutti. Non ci crede più nessuno di questi ragazzi che spesso non arrivano alla trentina. Non ci credono gli operai di Pomigliano, e forse poteva essere scontato; ma non ci credono i giornalisti precari che qui prendono parola.
Ed è un segno rivelatore. L’analisi e i valori della tuta blu Maurizio Landini sono forzatamente meno distanti, ora, da quelli di un Luca Casarini, dai centri sociali o dei movimenti che stanno attraversando il paese (dall’acqua pubblica ai NoTav). Il «sostanziale smantellamento dell’articolo 18» azzera o quasi la libertà del singolo lavoratore di far valere il suo interesse nella prestazione lavorativa; senza più il baluardo del reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, infatti, si prefigura, dice Ciro in napoletano stretto, «la fine anche della Cgil». La precarietà e l’assenza di diritti stanno diventando insomma condizione comune, la necessità di unire le differenze in un’unico movimento assume evidenza solare. «Unire tutti», scandisce Landini. Davanti c’è un governo che – al pari ma con piu efficacia di Berlusconi – «sta usando la crisi per cancellare definitivamente un modello sociale e il sistema dei diritti». Un governo coerente con «un’idea di Europa che non ci piace».

BAR ATHRUM

domenica 15 aprile 2012

Come difendersi dalla dittatura turbocapitalista? Intervista a Ugo Mattei

Come difendersi dalla dittatura turbocapitalista? Intervista a Ugo Mattei
Articolo di Francesco Maria Toscano del 14.04.2012 - soggettopoliticonuovo -

Esiste e cresce nel Paese reale la consapevolezza circa il totale fallimento di quelle politiche liberiste, fatte di tagli al welfare e pareggi di bilancio, che stanno mettendo in discussione persino le fondamenta democratiche della civiltà occidentale. Questa massa critica, consapevole e determinata, costituisce certamente un’avanguardia culturale, non sparuta né settaria, orfana però di qualsiasi riferimento politico-partitico accettabile e in grado di recepirne le legittime istanze. Mentre la sopravvenuta debolezza di un modello turbocapitalista, al guinzaglio della peggiore finanza, costringe le principali forze politiche italiane a gettare la maschera collaborando alla luce del sole, sotto la sapiente guida del fratello maggiore Mario Monti, per difendere un sistema tribale che ne continui a soddisfare le mediocri ambizioni, c’è chi correttamente comincia a porsi il problema impellente e non rinviabile di come dare sbocco politico e organizzativo ad una realtà di pensiero che per adesso vive soltanto una dimensione accademica e sentimentale. Questa necessità è sicuramente avvertita da quel gruppo di intellettuali che, da Paul Ginsborg a Luciano Gallino, ha elaborato un manifesto per un soggetto politico nuovo (clicca per leggere), capace concettualmente di ribaltare in profondità quel nefasto paradigma liberista e neoschiavista che tiene in ostaggio anche partiti formalmente progressisti come il Pd di Bersani, malato cronico di montismo. Una iniziativa interessante che merita di essere approfondita. E proprio per capirne di più che ho intervistato, in esclusiva per i lettori del Moralista, uno dei fondatori e protagonisti di questo coraggioso progetto che si rivolge potenzialmente a quella vastissima platea di elettori desiderosi di cambiamenti sistemici e non formali. Ugo Mattei, giurista, editorialista de Il Manifesto, ha tra l’altro recentemente pubblicato per Laterza editore il libro “Beni Comuni, un manifesto”.

Professor Mattei, perché è necessario un nuovo soggetto politico?

Perché bisogna invertire la catena di comando dando rappresentanza alla base. La battaglia referendaria in difesa di beni fondamentali come l’acqua testimonia l’esistenza di una enorme massa critica che ha una forte sensibilità pubblica, capace di sviluppare un pensiero critico dell’esistente nonostante le mistificazioni veicolate di continuo da un blocco mediatico sostanzialmente monolitico.

A chi vi rivolgete?

E’ evidente una certa affinità con il pensiero politico che potrebbe, semplificando, definirsi di sinistra. Ma noi non abbiamo nessuna intenzione di creare l’ennesimo partitino che vive di rendita e si barcamena senza costrutto nell’agone parlamentare. La nostra ambizione è quella di costruire un blocco autenticamente democratico che contrasti la deriva autoritaria rappresentata dall’esperienza Monti. In questa ottica parliamo a tutti quelli che non si rassegnano ad essere commissariati da un tecnocrazia al servizio della grande speculazione internazionale.

In cosa consiste la vostra diversità?

Preliminarmente dalla chiarezza della proposta che ci permette di rifuggire dai sofismi di alcune forze politiche di pseudo sinistra che da troppo tempo, non solo in Italia, si sono rassegnate a recitare il ruolo degli utili idioti funzionali ad ammorbidire strumentalmente le durezze di un modello di destra che è tragicamente diventato terreno condiviso.

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