Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 10 dicembre 2011

Un appello europeo da Firenze

Fonte: sbilanciamoci 10/12/2011
"Un'altra strada per l'Europa". Il forum "La via d'uscita", che si è svolto il 9 dicembre al teatro Puccini su iniziativa di Sbilanciamoci, Rete@sinistra, il manifesto e Lavoro e Libertà, lancia un appello internazionale. All'interno, il testo e i link a tutti i materiali dell'incontro

Tutto esaurito il 9 dicembre a Firenze al Teatro Puccini. 800 persone per tutta la giornata hanno partecipato al Forum “La via d’uscita” promosso da Rete@sinistra, Sbilanciamoci, Il Manifesto e Lavoro e libertà. Gli interventi – molto attesi – di Rossana Rossanda hanno aperto e concluso l’incontro, in mezzo una fitta serie di proposte su che si può fare per l’Europa, per trovare alternative alle misure del governo Monti, per riaprire spazi di democrazia. L'incontro si è concluso con la proposta di un appello europeo, lanciato e firmato dai relatori e da oggi aperto alla raccolta di firme. Ne pubblichiamo qui integralmente il testo.

Proposta di Appello Europeo per “Un’altra strada per l’Europa”

La crisi dell’Europa è l’esaurirsi di un percorso fondato sul neoliberismo e sulla finanza. Negli ultimi vent’anni il volto dell’Europa è stato il mercato e la moneta unica, liberalizzazioni e bolle speculative, perdita di diritti ed esplodere delle disuguaglianze. Alla crisi finanziaria, le autorità europee e i governi nazionali hanno dato risposte irresponsabili: hanno rifiutato di intervenire con gli strumenti dell’Unione monetaria per arginare la crisi, hanno imposto a tutti i paesi politiche di austerità e tagli di bilancio, che saranno ora inseriti nei trattati europei. I risultati sono che la crisi finanziaria si estende a quasi tutti i paesi, l’euro potrebbe saltare, si profila una nuova grande depressione, c’è il rischio della disintegrazione dell’Europa.

L’Europa può sopravvivere soltanto se cambia strada. Un’altra Europa può essere possibile, se prende il volto del lavoro, dell’ambiente, della democrazia, della pace, di più integrazione. È la strada indicata da una parte importante della cultura e della società europea, dai movimenti per la giustizia, dalle proteste in tutti i paesi contro le politiche di austerità dei governi. È una strada che non ha ancora trovato un’eco tra le forze politiche europee.

La strada per un’altra Europa deve far convergere le visioni di cambiamento, le proteste sociali, le politiche nazionali ed europee verso un quadro comune. Proponiamo cinque obiettivi da cui partire:

Ridimensionare la finanza. La finanza – all’origine della crisi – dev’essere messa nelle condizioni di non devastare più l’economia. L’Unione monetaria dev’essere riorganizzata e deve garantire collettivamente il debito pubblico dei paesi che adottano l’euro; non può essere accettato che il peso del debito distrugga l’economia dei paesi in difficoltà. Tutte le transazioni finanziarie devono essere tassate, devono essere ridotti gli squilibri prodotti dai movimenti di capitale, una regolamentazione più stretta deve impedire le attività più speculative e rischiose, si deve creare un’agenzia di rating pubblica europea.

Tempo di saldi al discount Italia

DI GIANANDREA GAIANI Fonte: analisidifesa.it
Per decenni l’Italia è stata un Paese a “sovranità limitata” con una politica estera e di Difesa coordinata e in molti casi imposta dai nostri principali alleati e soprattutto dagli statunitensi. Dal dopoguerra non era però mai successo che il nostro Paese si trovasse guidato da un “governo d’occupazione” che rispondesse direttamente alle “potenze occupanti” come accade oggi con il cosiddetto governo tecnico imposto dai franco-tedeschi e dalla nomenklatura della Ue e messo insieme dal Quirinale consultandosi anche con la Casa Bianca che ha suggerito i ministri di Esteri e Difesa. Due figure di sicura fede atlantista come l’ambasciatore a Washington Giulio Terzi e il chairman del Comitato Militare della Nato, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola.

Uomini idonei a garantire che l’Italia resterà un fedele alleato dell’America e manterrà i suoi impegni militari in Afghanistan. Nella sua prima audizione in Parlamento, Di Paola ha infatti confermato questo impegno mentre il titolare della Farnesina (ormai un mito per la stampa italiana perché usa Twitter) ha esordito sulla crisi iraniana dichiarando che "l'Italia sostiene con piena convinzione il piano di sanzioni economiche nei confronti dell'Iran annunciato dall'Amministrazione statunitense". Più appiattiti di così! Dopo l’attacco all’ambasciata britannica a Teheran, Terzi ha ritirato il nostro ambasciatore nonostante sul piano commerciale l’Italia abbia molti interessi in Iran. Nel timore di apparire poco filo-americano si è poi recato in Turchia a perorare la causa dell’ingresso di Ankara nella Ue, come chiedono da tempo gli Usa. Posizioni che ci auguriamo siano state negoziate in cambio di robuste contropartite ma che temiamo costituiscono un pedaggio obbligato e gratuito nei confronti delle potenze occupanti. A Washington saranno certo soddisfatti ma per ora Terzi assomiglia più a un sottosegretario di Hillary Clinton che a un ministro italiano. Del resto Obama non ne poteva più di Silvio Berlusconi che aveva avuto (forse l’unica iniziativa degna di nota del suo governo) l’ardire di sviluppare una politica energetica e strategica con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi che ci garantiva ampia autonomia, forse troppa per i nostri “tutori”. Sia chiaro, la classe politica è indifendibile e la sua colpa più grave non è solo di aver consentito questa nuova forma d’invasione straniera ma di esserne in qualche modo complice. Le opposizioni e parte della stessa ex maggioranza non hanno fatto altro che ripetere che l’Europa (parola pronunciata sempre con tono solenne, come faceva Romano Prodi) e “i mercati” volevano le dimissioni di Silvio Berlusconi. Nessuno che abbia avuto il coraggio di affermare che i governi italiani vengono fatti cadere dagli elettori italiani, non dalle banche, dagli speculatori, dagli stranieri e dai burocrati di Bruxelles. Invece sono tutti in ginocchio davanti a loro, divinità supreme ma sobrie. Nella migliore tradizione italiana, “Franza o Spagna purché se magna”.

Eh no, caro Monti, le alternative ci sono

Fonte: controlacrisi
T.I.N.A. è l’acronimo di there is No alternative, «Non c’è alternativa», coniato dai fautori del pensiero unico, gli inventori della più colossale mistificazione ideologica della modernità, quella che spaccia l’economia di mercato, in modo di produzione capitalistico e i rapporti di proprietà che vi sono sottesi, come il solo sistema di relazioni sociali entro cui sia immaginabile vivere, produrre, consumare, riprodursi. E’ il regno del capitale oggi dominante nella forma di una devastante superfetazione finanziaria. Quella entro il cui perimetro, senza deflettere, operano Mario Monti e il suo governo “tecnico”. E «non c’è alternativa» è esattamente la frase usata dal Presidente del Consiglio, chiamato da Bruno Vespa a chiarire senso e ragioni della manovra, probabilmente blindata con il voto di fiducia, che fra breve il parlamento voterà in modo quasi plebiscitario.
Non c’è apparente arroganza nell’uomo della Trilateral, anzi. Egli si è mostrato sinceramente dispiaciuto dei sacrifici imposti alla povera gente; si è persino mostrato comprensivo per le proteste e per gli scioperi imminenti («Se ne sono fatti per molto meno» - ha detto). Ma poi ha riproposto il refrain: «Non c’è altro da fare, le misure sono necessarie pena cadere nel precipizio che è solo ad un passo da noi». C’è un che di persuasivo nello stile pacato, nell’apodittica certezza, nel disinteresse personale con cui Monti affonda il bisturi nelle carni del Paese più povero. E c’è persino il rischio che non poche delle sue vittime designate, appena liberatesi con un gran sospiro dei tentacoli di Berlusconi, finiscano per credergli, per affidarglisi, magari per disperazione.
Ora, abbiamo cercato più e più volte di spiegare, su questo foglio, perché le terapie della Bce, introiettate senza batter ciglio dall’Ue e dal nostro governo, siano la pura espressione della dittatura della finanza speculativa; abbiamo chiarito come quelle ricette produrranno un devastante impoverimento del sistema di protezione sociale, del welfare e - contemporaneamente - inibiranno ogni possibilità di ripresa, riproducendo le condizioni entro le quali si ripresenteranno - aggravati - i medesimi problemi. E a cui seguiranno terapie ancora più aggressive e debilitanti.

OWS, le dieci cose da fare secondo Michael Moore

di Michael Moore. Fonte: controlacrisi
Lo scorso fine settimana ho partecipato a una riunione di quattro ore degli attivisti di Occupy Wall Street, il cui scopo è stato quello di far venire fuori la visione e gli obiettivi del movimento. Vi hanno partecipato più di 40 persone e la discussione è stata stimolante e rigenerante. Ecco cosa ne è venuto fuori e sarà proposto come “vision” del movimento all’Assemblea Generale di Occupy Wall Street:Noi Immaginiamo:
1) una società veramente libera, democratica e giusta;

2) in cui noi, il popolo, ci incontriamo e risolviamo i nostri problemi con il consenso;

3) in cui le persone sono invitate ad assumersi la responsabilità personale e collettiva e a partecipare al processo decisionale;

4) in cui si impara a vivere in armonia e abbracciare i principi di tolleranza e rispetto della diversità e le diverse opinioni degli altri;

5) dove dobbiamo proteggere i diritti civili ed umani da tutte le violazioni delle forze armate e dai governi tirannici e ingiusti;

6) in cui le istituzioni politiche ed economiche lavorano a beneficio di tutti, non solo per pochi privilegiati;

7) in cui forniamo un’istruzione completa e gratuita per tutti, non solo per ottenere posti di lavoro, ma per crescere e fiorire come esseri umani;

dove il valore dei bisogni umani va oltre il guadagno monetario, per garantire standard di vita dignitosi, senza i quali la democrazia effettiva è impossibile;

9) in cui lavoriamo insieme per proteggere l’ambiente mondiale per assicurare che le generazioni future abbiano aria sana e pulita , acqua e viveri , e saremo in grado di godere della bellezza e della generosità della natura di cui le generazioni passate hanno goduto.

Il prossimo passo sarà quello di sviluppare un elenco specifico di obiettivi e richieste.

Come uno dei milioni di persone che partecipano al movimento Occupy Wall Street, vorrei offrire rispettosamente i miei suggerimenti su ciò che possiamo ottenere ora per togliere il controllo del nostro paese dalle mani dell’ 1% della popolazione e portarlo direttamente nelle mani della maggioranza del 99%.

Ecco quello che proporrò all’Assemblea Generale di Occupy Wall Street:

IL GOLPE DI BRUXELLES E' COMPIUTO. NOI PAGHIAMO LA LORO CRISI

Fonte: controlacrisi
Il più grande spettacolo prima del big bang sono loro, gli Europadroni che in un vertice notturno non hanno trovato di meglio che andare avanti a tutto gas verso un muro. Le prime dichiarazioni del vertice sono di una chiarezza disarmante, e sono peggio di quanto pensavamo, invece di rivedere il mandato della BCE aumentano le ricette rigoriste. Il «deficit strutturale annuale» - si legge nel documento finale -dovrà essere in linea di «principio» in pareggio o in attivo, in ogni caso non deve superare lo 0,5% del Pil. La regola «sarà introdotta nei sistemi giuridici nazionale a livello costituzionale o equivalente» e «conterrà un meccanismo di correzione automatico che entrerà in vigore in caso di deviazione». «Il meccanismo di correzione automatico» sarà «definito da ogni Stato membro sulla base dei principi proposti dalla Commissione Europea». Viene inoltre «riconosciuta la giurisdizione della Corte di Giustizia per verificare la trasposizione di questa regola a livello nazionale». Gli stati sotto 'Procedura per deficit eccessivò «dovranno sottoporre all'approvazione di Commissione e Consiglio» quello che viene definito «un programma di partnership» che «dettagli le necessarie riforme strutturali per assicurare una durevole correzione dei deficit eccessivi effettivamente durevole». Il monitoraggio della messa in atto di tale programma «e dei piani annuali di bilancio che la consentano» (ovvero le finanziarie) è affidato «a Commissione e Consiglio».  Queste norme sono un vero è proprio golpe finanziario che affida tutto il potere alla tecnocrazia europea. Hanno stracciato la nostra sovranità nazionale affidando a Commissione, Consiglio, e Corte costituzionale Europea il destino di interi popoli compreso il nostro. I parlamenti sono così completamente espropriati delle proprie funzioni. La Merkel canta vittoria, la sua linea difatto è passata. No Euro bond, autonomia totale della BCE, e Austerity per tutti. «Abbiamo preso una decisione importante - ha detto al suo arrivo al Consiglio, dove riprendono questa mattina i lavori - Sono molto soddisfatta per le decisioni del vertice, il mondo vedrà che gli europei hanno imparato dai loro errori». La vittoria della Merkel inoltre sancisce la fine dell'Europa a 27. L'Europa infatti si è spaccata. Hanno messo insieme una 'Unione di bilanciò, fatta di rigore e stretta, ma niente di più. Lo faranno però solo in '23' e sotto forma di accordo intergovernativo. Una sorta di cooperazione rafforzata cioè che riesce a mettere insieme i 17 paesi di eurolandia, più altri sei, ma non la Gran Bretagna che (con l'Ungheria) si sfila e sancisce di fatto la frattura. Per l'Italia questo vertice è un disastro sotto tutti i punti di vista, come si vede infatti la credibilità di Monti non serve, i rapporti di forza si.
Questa mattina i differenziali con i Bund sono schizzati di colpo a 470 punti, per poi ripiegare a 455 mentre stiamo scrivendo. Gli speculatori che possono continuare a fare i loro interessi dissestando le economie di intere nazioni come la nostra hanno vinto di nuovo. Pensionati e lavoratori italiani ed euroepi sono stati sacrificati sull'altare della credibilità dei mercati. La manovra Monti in questo quadro non risolve nulla sul versante della speculazione, è iniqua perchè fa pagare i soliti e non i ricchi, ed è dannosa perchè ci porta in recessione. Andiamo in piazza e restiamoci per parecchio, sono i popoli che devono spaventare i governi, non sono i governi che devono spaventare i popoli!

Vladimiro Giacchè': La BCE il suo lavoro non lo fa, in compenso come ufficio postale va alla grande

Fonte: controlacrisi
Segnaliamo questo interessante articolo di Marco Santopadre uscito su contropiano.org nel quale Rajoy ammette che la BCE ha inviato una lettera al governo spagnolo per indurire le manovre. La notizia è stata poi linkata da Valdimiro Giacchè che ha cosi commentato: La BCE il suo lavoro non lo fa, in compenso come ufficio postale va alla grande. Il significato del commento di Giacchè è semplice, la BCE non opera come una banca centrale bloccando la speculazione, ma opera come agenzia politica chiedendo ai paesi austerity in nome delle ricette liberiste.

Rajoy rivela: “Lettera della Bce anche a Zapatero”

di Marco Santopadre

Dimensione carattere Stampa E-mail Commenta senza usare facebook
Valuta questo articolo1 2 3 4 5 (1 Voto)

Incontrando imprenditori e sindacati, il neopremier spagnolo Rajoy annuncia che seguirà le raccomandazioni contenute nella lettera - finora segreta - inviata dalla BCE a Zapatero, ad agosto: "svalutazione dei salari" e minicontratti precari.

“Alla lettera che la BCE ha inviato ad agosto all’allora presidente del governo Zapatero (...) seguirà più che una ricevuta di ritorno”. Lo scrive il quotidiano spagnolo ’El pais’, a proposito di una vicenda che sta già avendo enormi ripercussioni a Madrid. Ma che non ha avuto finora alcuna menzione sui media italiani, nonostante le analogie con quanto è avvenuto nel caso dell’analoga lettera inviata dalla BCE a Silvio Berlusconi. Una concomitanza che evidenzia un vero e proprio copione, un modello standard dell'azione forzosa delle istituzioni europee nei confronti dei governi dei Piigs. Da agosto in poi i leader dei governi di Grecia, Italia e Spagna sono stati sostituiti da uomini che possono essere considerati espressione diretta del sistema finanziario e bancario europeo - Mario Monti e Lukas Papademos - o da esponenti politici che si sono impegnati esplicitamente a seguire alla lettera i diktat di Bruxelles - Mariano Rajoy.

A svelare alcuni dei contenuti della missiva inviata agli inizi di agosto da Trichet all’allora premier socialista, è stato nei giorni scorsi proprio il nuovo capo dell’esecutivo di Madrid, che ha naturalmente affermato che i ‘suggerimenti’ dell’istituzione finanziaria dell’UE saranno alla base della sua azione di governo in tema di riforma del mercato del lavoro. Rajoy ha affermato, davanti ad una platea di imprenditori e leader sindacati, che è entrato in possesso della lettera e che ha intenzione di applicarla “fino alle ultime conseguenze”.

CON IL GOLPE MONETARIO L'ORDINE DI BERLINO REGNA IN EUROPA

Fonte: rifondazione - Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista - Federazione della Sinistra ha dichiarato:

«Il vertice europeo si è concluso con la piena vittoria della Cancelliera Merkel: è stato deciso un vero e proprio Colpo di Stato Monetario e l'ordine di Berlino regna in Europa! Il modello a cui si ispira la Merkel sono evidentemente le folli politiche restrittive che il cancelliere Bruning impose alla Germania dopo la crisi del '29. Portarono a 5 milioni di disoccupati e alla vittoria di Hitler nelle elezioni del gennaio '33. Le misure adottate al vertice sono prima ancora che un disastro una follia:
1) sono pesantemente recessive, aggravano la crisi e spingono molti paesi - tra cui l'Italia - sulla strada della Grecia. Per un paese come l'Italia non si tratterà solo di garantire il pareggio di bilancio ma anche di fare - per vent'anni di fila - un ulteriore taglio di 40 miliardi all'anno al fine di rispettare l'Euro Plus Pact. Una stangata che demolirà l'economia italiana, distruggerà il welfare e porterà alla svendita di tutti i servizi pubblici locali e di tutto l'apparato industriale pubblico.
2) La modifica dei meccanismi di assunzione delle decisioni e le sanzioni automatiche riducono i paesi come l'Italia in un protettorato tedesco privo di potere reale. Si tratta di una palese distruzione della democrazia nel nostro paese e di una palese violazione della Costituzione italiana. E' del tutto incostituzionale che un governo di tecnocrati, non eletto dal popolo, possa decidere che l'Italia non è più un paese sovrano ma un protettorato tedesco.
3) Nell'accordo non vi è alcuna misura per sconfiggere la speculazione finanziaria e la BCE continua a non poter acquistare direttamente i titoli di stato. La destra prussiana della Merkel ha quindi vinto su tutta la linea e i miliardi stanziati nel fondo "salva stati" sono solo la misura di quanto gli speculatori possono succhiare agli stati europei prima di farli fallire. Con il vertice di ieri si è fatto un deciso passo in avanti verso il baratro e la demolizione dell'Euro».

9 dicembre 2011
Ufficio stampa Prc: Barbara Battaglia

Se Dio pagasse l'Ici

di Luca Kocci pubblicato su Il manifesto, il 09/12/11. Fonte: radicali
Eliminare l'esenzione dal pagamento dell'Ici, anzi dell'Imu, per gli immobili di proprietà ecclesiastica? «È una questione che non ci siamo ancora posti», ha ammesso il premier Mario Monti presentando la manovra «salva Italia», ma che bisognerebbe chiamare anche «salva Chiesa». «Non abbiamo avuto il tempo di pensarci», gli ha fatto eco il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Catricalà. Del resto era prevedibile che in un Consiglio dei ministri dove siedono, fra gli altri, il rettore dell'università Cattolica di Milano nonché vicepresidente del Consiglio di amministrazione del quotidiano dei vescovi Avvenire, Lorenzo Ornaghi, e il fondatore della Comunità di sant'Egidio, Andrea Riccardi, la priorità non sarebbe stata l'abolizione dell'esenzione. E così gli immobili di proprietà ecclesiastica (e degli enti «senza fini di lucro») continueranno a non pagare tasse per una cifra che, secondo i calcoli dell'Anci, si aggirerà - considerando anche la rivalutazione al 60% degli estimi catastali - attorno agli 800 milioni di euro l'anno. Un privilegio che ora, con l'imposta che graverà anche sulla prima casa, in precedenza esclusa, risulta ancora più intollerabile.

I1 patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica, attraverso una miriade di enti, diocesi, istituti religiosi, confraternite, è enorme: il Gruppo Re - che non è un'associazione anticlericale ma una società finanziaria nata a metà anni '80 «al servizio della Chiesa cattolica» - calcola che sia pari al 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano. Solo a Roma il radicale Maurizio Turco ha contato 23mila immobili di proprietà di 2mila enti ecclesiastici, alcuni appositamente creati per mimetizzarli meglio: la Congregazione vaticana per l'evangelizzazione dei popoli, più nota come Propaganda Fide, con sede in piazza di Spagna, per esempio, utilizza 48 diverse denominazioni sociali per coprire le sue proprietà. Il sindaco Alemanno ha valutato che il Comune, a causa dell'esenzione, non incassa 25 milioni di euro l'anno.

giovedì 8 dicembre 2011

il mercato delle vacche

La rinascita del darwinismo sociale.

di Robert Reich - Fonte: altervista
Che tipo di società, esattamente, vogliono i moderni Repubblicani?
Sono andato ascoltando i candidati Repubblicani nel tentativo di discernere una filosofia complessiva, una visione ampiamente condivisa, un’immagine ideale degli Stati Uniti.

Dicono di volere un governo più limitato, ma non può essere così. La maggior parte di loro cerca una difesa nazionale più massiccia e una sicurezza interna più muscolare. Quasi tutti vogliono ampliare i poteri del governo di perquisire e sorvegliare, all’interno degli Stati Uniti, di sradicare possibili terroristi e cancellare gli immigrati privi di documenti, di “rendere sicuri” i confini della nazione. Vogliono condanne più dure, compresa una più estesa applicazione della condanna a morte. Molti vogliono anche che il governo si intrometta negli aspetti più intimi della vita privata.

Si definiscono conservatori, ma non si tratta neppure di questo. Non vogliono conservare quello che attualmente abbiamo. Vorrebbero piuttosto riportare indietro il paese, a prima degli anni ’60 e ’70, della Legge per la Protezione dell’Ambiente e dei programmi Medicare e Medicaid; a prima del New Deal e dei suoi provvedimenti per l’assistenza sociale, l’assicurazione contro la disoccupazione, della settimana lavorativa di quarantaquattro ore , delle leggi contro il lavoro minorile e del riconoscimento ufficiale dei sindacati; addirittura a prima dell’Era Progressista e delle prime imposte nazionali sul reddito, delle leggi antitrust e della Federal Reserve.

Non sono conservatori. Sono passatisti. E gli Stati Uniti che cercano sono quelli che abbiamo avuto nell’Età d’Oro della fine del diciannovesimo secolo.

Quella è stata un’era in cui la nazione era ipnotizzata dalla dottrina della libera impresa, ma pochi statunitensi hanno effettivamente goduto di una gran libertà. Baroni della rapina come il finanziere Jay Gould, il magnate delle ferrovie Cornelius Vanderbilt e il tycoon del petrolio John D. Rockefeller controllavano gran parte dell’industria statunitense; il divario tra ricchi e poveri era diventato un abisso; i quartieri poveri finivano ai limiti della degradazione; i bambini lavoravano lunghe ore nelle fabbriche; le donne non potevano votare e gli americani neri erano soggetti a Jim Crow; e i lacchè dei ricchi depositavano letteralmente sacchi di denaro sulle scrivanie dei parlamentari compiacenti.

L'europarlamentare del Socialist Party Irlandese Paul Murphy sfida il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi sul tentativo della BCE di rendere le classi lavoratrici europee ostaggio dell'austerità.
GUBBIO: THE POPE LIGHTS UP THE BIGGEST XMAS TREE IN THE WORLD

La fabbrica dell’uomo indebitato.

Maurizio Lazzarato. Fonte: alfabeta2
In Europa la lotta di classe, così come è accaduto in altre regioni del mondo, si manifesta e si concentra oggi intorno al debito. La crisi del debito minaccia anche gli Stati Uniti e il mondo anglosassone, paesi dai quali ha avuto origine non solo l’ultimo crollo finanziario, ma anche e soprattutto il neoliberismo. La relazione creditore-debitore, che definisce il rapporto di potere specifico della finanza, intensifica i meccanismi dello sfruttamento e del dominio in maniera trasversale, perché non fa alcuna distinzione tra lavoratori e disoccupati, consumatori e produttori, attivi e inattivi. Tutti sono dei «debitori», colpevoli e responsabili di fronte al capitale, che si manifesta come il Grande Creditore, il Creditore universale. Una delle questioni politiche maggiori del neoliberismo è ancora, come illustra senza ambiguità la «crisi» attuale, quella della proprietà, poiché la relazione creditore-debitore esprime un rapporto di forza tra proprietari (del capitale) e non proprietari (del capitale). Attraverso il debito pubblico, la società intera è indebitata, cosa che non impedisce, ma anzi esaspera «le diseguaglianze», che è tempo di chiamare «differenze di classe».

Le illusioni politiche ed economiche di questi ultimi quarant’anni cadono le une dopo le altre, rendendo ancora più brutali le politiche neoliberiste. La New Economy, la società dell’informazione, il capitalismo cognitivo, sono tutti solubili nell’economia del debito. Nelle democrazie che hanno «trionfato» del comunismo, pochissime persone (qualche funzionario del Fmi, dell’Europa, della Banca centrale europea e qualche politico) decidono per tutti secondo gli interessi di una minoranza. L’immensa maggioranza degli europei viene espropriata tre volte dall’economia del debito: espropriata di un già debole potere politico concesso dalla democrazia rappresentativa; espropriata di una parte sempre più grande della ricchezza che le lotte passate avevano strappato all’accumulazione capitalista; espropriata soprattutto del futuro, ovvero del tempo, come possibile e dunque come decisione, come scelta.

La successione delle crisi finanziarie ha fatto emergere violentemente una figura soggettiva che era già presente ma che occupa ormai l’insieme dello spazio pubblico: l’«uomo debitore». Le figure soggettive che il neoliberismo aveva promesso («tutti azionari», «tutti proprietari», «tutti imprenditori») si trasformano e ci conducono verso la condizione esistenziale dell’uomo debitore, responsabile e colpevole della sua sorte. È dunque urgente proporre una genealogia e una cartografia della fabbrica economica e soggettiva che lo produce.

I DIECI COMANDAMENTI DI SAN MERKOZY

Fonte: controlacrisi
In chiave biblica, il quotidiano tedesco Handelsblattt pubblica oggi i 10 comandamenti per l'eurozona, secondo Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Controlacrisi.org ha accompagnato una breve spiegazione per ogni comandamento.

1) Non vivere al di sopra delle tue possibilità (cioè accetta bassi salari)
2) Non impedire le sanzioni giuste (cioè accetta l'austerity)
3) Abbi considerazione delle generazioni future (cioè vai in pensione più tardi)
4) Abbi timore della Corte di giustizia europea (della serie la sovranità nazionale non esiste)
5) Non rendere insicuri gli investitori (cioè salva le banche private)
6) Occupati della crescita (questa l'hanno detta per fare ambient)
7) Fai attenzione alla indipendenza della Bce. ( cioè tutto il potere alle banche private e tecnocrati)
8) Non desiderare i soldi del tuo vicino (no eurobond)
9) Dai retta alle economie nazionali più forti. (Comandiamo noi tedeschi e francesi)
10) Riconosci che il nucleo dell'Europa come nuova realtà (Dato che comandiamo noi non rompeteci troppo le balle, si va avanti anche da soli)

PS. Se questi sono i dieci comandamenti di "San Merkozy", noi da buoni comunisti non vediamo l'ora di infrangerli per meritarci serenamente l'inferno

mercoledì 7 dicembre 2011

Presidente, ci sarebbe anche la mafia!!

di BENNY CALASANZIO. Fonte: micromega
Sono assolutamente d’accordo che a pagare questa manovra lacrime, sangue, piastrine e globuli (rossi e bianchi) debbano essere i pensionati, che sono considerati pacificamente la vera causa della crisi economica universale. Loro che con l’evasione fiscale, con i soldi nei paradisi fiscali, con la loro pirateria borsistica hanno portato a fondo la nostra economia. Loro che vanno alla bocciofila in Ferrari e che dichiarano solo 6-700 euro al mese. Loro che dopo aver fatto finta di lavorare una vita pensavano di godersi la vecchiaia, organizzando feste e festini nei circoli ricreativi pagati da noi. Tiè!

Mi permetto solo di osservare un piccolo, insignificante aspetto, rimanendo ovviamente convinto della malvagità del pensionato italiano. Ci sono, dall’altra parte della strada, 138 miliardi di euro. Sono accatastati su un marciapiede. Basterebbe che (sobriamente, ci mancherebbe), il professor Monti voltasse l’anglosassone viso e guardasse quella montagna di soldi, titoli, beni immobili. Centotrentotto miliardi di euro nel 2010 di ricavi, 33 miliardi di costi per un utile d’esercizio di 104 miliardi di euro. Non è il Pil di una nazione in via di sviluppo, o per lo meno non ancora, ma è il conto economico di Mafia Spa, la più grande e fiorente azienda italiana.

Le due aziende che seguono, o meglio, cercano di inseguire i nostri sono Assicurazioni Generali, con 120 miliardi l’anno e l’Eni con 83. Come scrivono Massimiliano Del Barba e Alfredo Faieta, nel loro Grandi evasori, «se la mafia fosse un’azienda regolarmente iscritta alla Camera di commercio, dovrebbe pagare il 27,5 per cento sugli utili (la famosa Ires, l’imposta sul reddito delle società), ovvero 21,45 miliardi di euro. Se proprio non vogliamo metterla in ginocchio, almeno facciamole pagare le tasse, non mollando la presa sul malefico pensionato, ovvio.

Io, che non sono un sobrio economista, né un anglosassone consulente, né l’eroe di un videogioco, per prima cosa avrei pensato: «Ehi amici ministri, cosa ne dite di tagliare immediatamente sulle spese della politica, magari anche un 20 per cento netto sugli stipendi dei parlamentari, e investire domattina nelle forze dell’ordine, nel sistema giudiziario, nella sicurezza dei magistrati? Un rotolo di carta igienica in più, qualche risma extra, e magari, perchè no, una scorta adeguata ai magistrati anticamorra di Napoli. Potrebbe essere un’idea, che dite?».

La dittatura dei mercati e i cittadini disarmati.

di Guido VIALE. Fonte: ilmanifesto
Le differenze tra un cittadino greco, italiano e tedesco si attenuano di giorno in giorno: tutti vivono ormai sotto la cappa di una catastrofe economica su cui non hanno alcuna possibilità di influire. Perché a decidere non sono loro, ma «i mercati». Intanto le agenzie di rating prevedono di declassare anche Germania e Francia e annunciano la recessione in tutta l'eurozona.

L'Europa, intesa come Unione europea, è divisa in due: non tanto tra nazioni deboli e stabili, popoli viziosi e virtuosi, porci e porcari (Pigs). La linea di demarcazione è la Bce che governa e custodisce la valuta in cui sono espressi i debiti pubblici e privati. Ai piani alti ci sono «i mercati»: una massa sterminata di denaro e "simildenaro" (valute, bond, certificati di credito, derivati, futures) la cui consistenza è stimata da 10 a 20 volte il Pil mondiale; che può spostare (esentasse) in poche ore tanto denaro quanto tutte le banche centrali del mondo non ne riescono a creare in un anno.

Ai piani bassi ci sono i cittadini dell'Unione, sempre più simili, nella loro condizione di impotenza e di dipendenza dai diktat della finanza, agli altri 6 miliardi e mezzo di esseri umani che popolano il pianeta. Niente di quello che accade o accadrà loro dipende più da una loro scelta: né «individuale» (esercitando la cosiddetta «sovranità del consumatore»), né espressa a maggioranza (esercitando la loro asserita «sovranità» di cittadini). Persino le differenze tra un cittadino greco, italiano e tedesco si attenuano di giorno in giorno: tutti vivono ormai sotto la cappa di una catastrofe economica su cui non hanno alcuna possibilità di influire. Perché a decidere non sono loro, ma «i mercati».
Se questa è la vera ripartizione dell'Europa, la linea di demarcazione tra i due piani è invece meno chiara. Innanzitutto perché da questa parte del confine ci sono molti infiltrati: partiti e sindacati che si occupano più di predicare rinunce e sacrifici che di progettare un futuro dignitoso per le persone che rappresentano; economisti e giornalisti che imbrogliano i conti; imprese che vivono del peggioramento delle condizioni di coloro che lavorano per loro; e banche che, anche se ora si trovano a mal partito, hanno trascurato da tempo, con l'incoraggiamento dei governi, il loro mestiere per impegnare invece le loro risorse nel mercato assai più redditizio degli investimenti speculativi in titoli e derivati di ogni genere, o in progetti immobiliari senza futuro. Ma il guaio maggiore è che non si sa, o si sa troppo poco, chi c'è veramente dall'altra parte di quel confine: chi sono quei fatidici «mercati». Per molti sono una forza impersonale, una legge di natura, un fenomeno incontrollabile come un terremoto o la caduta di un asteroide; per altri non sono che «la democratizzazione del capitalismo»: perché in Europa, come negli Usa o in Giappone, sono ormai in milioni a dipendere, in tutto o in parte, da «risparmi» investiti in bond o altri titoli di credito: direttamente o attraverso una banca, un'assicurazione, un fondo di investimento; tutti organismi che per fare profitti sono in grado di mandare in malora da un giorno all'altro sia imprese che interi paesi.

Uso dei mercenari: il voto dei paesi dell'ONU smaschera l'ipocrisia dei governi degli Stati Uniti e dell'Unione Europea .


Fonte: Marx21.it da www.rlp.com
La condanna dell'uso di mercenari si è trovata di fronte, il 18 novembre scorso, la forte resistenza degli Stati Uniti e dell'Unione Europea (UE), come dimostra il risultato della votazione su questo tema alle Nazioni Unite.
Questa posizione si è manifestata in merito alla decisione da adottare su un progetto di risoluzione dal titolo “Utilizzo dei mercenari come mezzo per violare i diritti umani e ostacolare l'esercizio del diritto dei popoli alla libera determinazione”.
Il pronunciamento ha avuto luogo nella Terza Commissione dell'Assemblea Generale che doveva analizzare la proposta avanzata da Bolivia, Cuba, El Salvador, Nicaragua e Belarus e che è stata adottata con 118 voti a favore, 52 contro e cinque astensioni.

Il fronte del rifiuto di denunciare l'uso dei mercenari era guidato da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e da Germania, Bosnia Erzegovina e Portogallo che oggi hanno un seggio in questo organismo di 15 membri.
A completare con discrezione questa lista c'è l'astensione della Colombia che è parte di questa istanza dell'ONU fino alla fine dell'anno prossimo.

I restanti membri del Consiglio di Sicurezza hanno votato a favore del documento: Russia e Cina (membri permanenti), più Brasile, Gabon, Libano, Nigeria, India e Sudafrica.
Dei 52 voti contro la critica all'uso dei mercenari, 36 provengono dai paesi europei, appartenenti o meno all'Unione Europea.
L'America Latina ha espresso 26 suffragi a favore, nessuno in opposizione e tre astensioni (Cile, Colombia e Messico).
Il testo afferma che l'utilizzo, il reclutamento, il finanziamento e l'addestramento di mercenari infrangono gli scopi e i principi consacrati nella Carta dell'ONU.
Allo stesso tempo, riconosce che i conflitti armati, il terrorismo, il traffico di armi e le operazioni coperte favoriscono la richiesta di mercenari e fa appello ad assumere misure contro la minaccia rappresentata dalle attività di questi elementi.
Rispetto a ciò, la risoluzione chiede che gli stati adottino misure legislative per impedire che il loro territorio e loro cittadini siano utilizzati per reclutare, concentrare, finanziare, addestrare, proteggere o far transitare mercenari.
Rileva come tra le attività di questi elementi ci siano azioni dirette ad ostacolare l'esercizio del diritto alla libera determinazione e a destabilizzare o rovesciare governi ed anche a distruggere totalmente o parzialmente l'integrità territoriale e l'unità politica di Stati sovrani e indipendenti che agiscono in conformità con il diritto alla libera determinazione.

La grande bisca clandestina dello spread




Fonte: byoblu

Vi raccontano che lo spread è sceso perché Monti ha fatto il Decreto Salva Italia. E' l'altro lato della medaglia di quel "FATE PRESTO!" di soleventiquattroriana memoria. Lo spread sale? Fate presto: ci vuole Monti. Monti fa il decreto lacrime (per loro) e sangue (per noi)? Doveva farlo! Infatti guardate: lo spread scende. Che sollievo! Il nuovo dio irascibile e vendicativo che terrorizza milioni di nuovi adepti occidentali si è calmato. I sacrifici umani lo hanno placato. Non importa che le cavallette abbiano preteso in cambio tutto il raccolto di un intero anno.

Sembra "Z la formica", e invece siamo noi. Certo, si potevano prendere i soldi in mille modi diversi (vedi proposte del mio sondaggio di ieri su Facebook). Certo, ogni anno avremo qualche migliaio di euro in meno a famiglia. Però, però... hey... lo spread è sceso! Allora abbiamo fatto bene, vedi? Bisognava fare così! I mercati sono il nuovo Parlamento e gli speculatori ne sono i deputati. Naturalmente non hanno nessuna legittimazione democratica. Tanto per cambiare. Questione considerata ormai noiosa dai servitori del potere, di qualunque colore esso sia, come a suo tempo gli stessi lugubri figuri consideravano il problema del conflitto di interessi.

Quello che non vi raccontano è che lo spread non è sceso in conseguenza della conferenza stampa di presentazione del Decreto, avvenuta domenica 4 dicembre, ma in conseguenza di un articolo che per pura coincidenza è apparso sul Sunday Times il 3 dicembre (*). Il giorno prima. Un articolo curioso, in cui si riportava che la BCE di Mario Draghi è pronta a infondere mille miliardi di euro nei mercati dei titoli di stato dei paesi in crisi. Italia in prima linea.

Ora, chiunque immagina anche solo vagamente come funziona il giro, sa che il mercato secondario dei titoli di stato, ovvero il luogo ove la speculazione internazionale si scambia le aspettative e il futuro dei popoli come se fossero figurine di un album di calciatori, vende e compra a prezzi nominali che dipendono dal rischio del titolo oggetto dello scambio. Se gli scommettitori ritengono che un certo titolo sia oggi più rischioso di ieri, vende. Chi lo compra lo paga meno del suo valore nominale, il che determina la conseguenza che (siccome alla fine il titolo verrà comunque rimborsato dalla Stato, al valore originario concordato comprensivo dell'interesse stabilito alla sua emissione) i rendimenti salgono. Per farla breve: se un titolo alla sua scadenza verrà rimborsato a 100, essendo stato emesso ad un valore di 80, se viene scambiato correntemente a 70 perché considerato rischioso, questo significa che renderà di più dei 20 previsti all'origine: chi lo compra a 70 ci guadagnerà 30. Per questo si dice che se i rendimenti salgono, il valore dei titoli scende.
EQUALITALY

martedì 6 dicembre 2011

La “medicina amara” del dottor Monti

di Lucio Garofalo da Malpaese. Fonte: paperblog
Prime impressioni a caldo circa le “medicine amare” prescritte in conferenza stampa dal dottor Monti e dalla sua “equipe medica”. Temo che i dubbi siano legittimi e fondati.

Siamo di fronte ad una sorta di cane che si morde la coda, per cui non trascorrerà molto tempo prima che l’andamento schizofrenico della speculazione nel settore dei mercati azionari travolga nuovamente l’Italia. Di conseguenza, servirà un’altra manovra finanziaria che stangherà puntualmente e inevitabilmente le fasce sociali più deboli, ossia i proletari. I quali non potranno sopportare troppo a lungo il peso e gli effetti provocati da una serie perpetua di manovre estorsive che costituiscono una sorta di rapina istituzionale reiterata ai loro danni. Prima o poi esploderà una reazione popolare, come minimo qualche rivolta sociale di massa. Né serviranno i blandi sedativi morali somministrati dal governo in carica, come il goffo tentativo, o più semplicemente l’annuncio propagandistico di abolire, o quanto meno ridurre, le franchigie concesse alle varie caste privilegiate, in primis le immunità e i favori riservati alla “casta” dei politici.

Ho assistito in diretta al pianto di commozione della ministra del Welfare durante la conferenza stampa di ieri sera e mi è balzata in mente una riflessione “maligna” (sono scettico e diffidente, perciò le interpreto sospettosamente come lacrime di coccodrillo).

Monti e i suoi ministri rappresentano ipocritamente il volto “umano” ed “elegante” di un modello di organizzazione dei rapporti politici, materiali e sociali, di fatto fallimentare.

Il governo Monti è il “curatore fallimentare” di un assetto iniquo ed irrazionale, arido e disumano, in grado di generare solo debito, crisi, guerra, miseria e sottosviluppo. Un sistema ingordo e famelico, che stenta a funzionare e giace ormai in condizioni di lenta agonia, alla stregua di un malato terminale a cui non si stacca la spina e sopravvive a malapena in funzione vegetativa grazie a continue trasfusioni di sangue o a trattamenti intensivi che si traducono in semplici cure palliative. O come chi è sprofondato in uno stato di coma irreversibile e riceve forzatamente una sorta di accanimento terapeutico.

Il capitalismo è (appunto) una compagine moribonda, che si regge a fatica su un meccanismo di potere cinico e sprezzante, quanto abulico e autoreferenziale, che non ha più alcun fondamento di legittimità democratica e si avvita inesorabilmente su se stesso, varando politiche spregiudicate di emergenza permanente al fine di imporre e innescare una spirale infinita di manovre economiche estorsive a danno soprattutto delle classi lavoratrici e popolari. E’ facile prevedere che non possa durare troppo a lungo.

Lucio Garofalo

Standard & Poor's "in the cloud"

Fonte: Beppe Grillo
Standard & Poor's osserva, osserva. Oggi ha messo sotto osservazione 15 Paesi della zona Euro. Tutti i Paesi europei possono perdere la tripla A. Diventare meno affidabili sul mercato internazionale. In sostanza più poveri. Le valutazioni della Standard & Poor's possono far fallire una Nazione. Orienta gli investimenti, valuta bilanci, pubblica analisi. Fa cadere governi, influenza le decisioni economiche degli Stati, decide nei fatti le manovre finanziarie. Standard & Poor's risiede "in the cloud", sopra alla politica, sopra alla UE, all'ONU, agli elettori. Il suo dio è il mercato e solo ad esso riferisce. In teoria è un servizio per gli investitori, in pratica un'agenzia dotata di un potere illimitato.
Chi controlla il controllore? Persone con nomi che non dicono nulla a nessuno contano più di Obama, la Merkel e Sarkozy messi insieme. Il presidente è Douglas Peterson, i vice presidenti Pat Milano, James C. Daly, Catherine Mathis, John Weisenseel. I direttori esecutivi sono Paul Coughlin, Yu-Tsung Chang, David Jacob, Alex J. Matturri, Adam H. Schuman. Infine, Yann Le Pallec è responsabile per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa. Come si legge nel sito dell'Agenzia "Standard & Poor's Ratings Services è guidata da professionisti con anni di esperienza nel mondo finanziario". Esperti? Prima del disastro economico del 2008 dove erano questi signori? I derivati, i cdo e la varia merda finanziaria gli è passata inosservata sotto gli occhi.
La Standard & Poor's non è una società di beneficenza, ha un giro di affari annuo intorno ai 2,5 miliardi di dollari, un grattacielo a Manhattan e 10.000 dipendenti nel mondo. L'Agenzia fa parte del gruppo McGraw-Hill, un gigante dei media e dell'informazione con più di 6 mila miliardi di dollari di ricavi nel 2010. La nostra sovranità è decisa dal movimento del sopracciglio di "Dug" Peterson, fino al 2010 alto dirigente di Citigroup, la più grande azienda di servizi finanziari del mondo. Chi lo conosce? E chi lo ha eletto? E chi garantisce per lui? Il gruppo Bildeberg o Goldman Sachs? Una struttura sovranazionale, non eletta da nessuno, ha più potere della UE. Chi gli ha attribuito questo potere? Il potere è dei cittadini. Il mercato è delle vacche.

Chi c'è, chi non c'è

di Roberta Carlini. Fonte: sbilanciamoci
Lavoro, pensioni, tasse. La manovra si accanisce contro chi la crisi l'ha già pagata. E la aggrava. Grandi assenti: patrimoni ed evasione fiscale. C'era un'altra strada? Sì.

“La prossima volta che vi diranno che in assenza di tagli alla spesa l'America farà la fine della Grecia, rispondete pure che tagliando la spesa in corso di depressione economica faremo la fine dell'Europa”.. La fine dell'Europa, descritta nelle parole di Paul Krugman, è quella dei medici che uccidono il paziente non perché danno una medicina troppo forte, ma perché hanno sbagliato la diagnosi: pensano che la crisi dipenda da un eccesso di spesa nei paesi indebitati, mentre il problema è che si spende troppo poco nell'insieme dell'Europa. Tagliando e tassando si spenderà ancora di meno, la domanda di beni e servizi scenderà e si aggraverà la recessione: andando avanti così, si uccide l'euro, dice Krugman. Per questo non consiglierebbe mai agli americani di seguire il mantra europeo dell'austerità.

Dall'eurotassa alla neuromanovra

Non la prendiamo alla lontana, ma stiamo proprio nel cuore del problema della manovra economica del governo Monti, se per introdurla ricorriamo alle parole del premio Nobel Paul Krugman. Il primo e irremovibile difetto della manovra da 24 miliardi varata a mercati chiusi dal governo, salutata dalle lacrime della ministra del lavoro la domenica e dai sorrisi delle piazze finanziarie il lunedì, è lì, nel suo stesso obiettivo dichiarato: stringere la cinghia, cioè il bilancio, aiutando in questo l'economia a ruzzolare giù per la sua strada. Manovra pro-ciclica, dicono gli esperti. “Se aumentano l'Iva e la gente compra di meno, quando ci riprendiamo?”, dicono sull'autobus. Segno dei tempi: con l'eurotassa facemmo tutti un sacrificio utile per entrare in Europa, stavolta rischiamo di fare (e non tutti) un sacrificio inutile per evitare che i mercati facciano saltare l'Europa. E però, il circolo vizioso potrebbe diventare virtuoso, dicono i tecnici, per la bizantina logica della politica europea. Pare – a essere ottimisti – che ai piani alti dell'Ue abbiano capito che c'è bisogno di una copertura comunitaria per i debiti nazionali, per tenere a bada la speculazione; però prima di darla i governi dei paesi “disciplinati” vogliono essere sicuri (o vogliono far credere ai loro elettori di essere sicuri) che gli “indisciplinati” come Italia & co. hanno messo la testa a posto. Quindi, dopo il bastone di Monti arriverà – col ponte dell'Immacolata – la carotina europea e staremo più tranquilli, almeno in termini di spread.

Sarà. Intanto però – e comunque andrà a finire con l'euro e gli spread – il bastone ha colpito duro qui da noi. Dobbiamo ringraziare la sincerità portata in sala stampa dalla ministra Fornero con le sue lacrime, che resteranno per sempre la vera firma della manovra. Ma non rinunciare a guardare dentro la stangata sulle pensioni, e tutte le altre. Perché, se nel complesso si può dire che una manovra restrittiva da 24 miliardi di questi tempi è una follia sacrificale, va anche aggiunto che c'è – c'era – modo e modo di farla. E tra i modi, il governo d’impegno nazionale ha scelto il più antico e trito, reggendosi sui vecchi pilastri: tagli alle pensioni presenti e future; aumento dell'imposta sui consumi; tasse sulla casa. Non si fa la rivoluzione col fisco, ci avvertono gli scienziati delle finanze: le tasse non possono ribaltare la distribuzione del reddito e della ricchezza che il mercato ha stabilito. E' vero. Ma anche senza rivoluzioni e ribaltamenti, possono ben distribuire il peso tra varie spalle. Il che non è successo con questa manovra: e se non succede ora, in piena emergenza e pieni poteri del governo, succederà mai?

Altre 100 manovre come questa

Manovra "salva Italia". Per pagare il debito, ce ne vogliono altre 100 uguali a questa. Ancora convinti che "i debiti si pagano"?
di Debora Billi. Fonte: megachip

Mi stupisce la disperazione e lo stracciamento di vesti che si accompagna a questa manovra. "Lacrime e sangue", viene definita. Ma quando mai? Si tratta di una manovra soft, una robetta da nulla, una cosina irrilevante. A lamentarsi a voce più alta sono spesso gli stessi che finora hanno ripetuto la lezioncina "i debiti si pagano!", col severo tono moralista.

Ebbene, sappiano questi signori che si tratta di una manovra da 20 miliardi in tre anni. Il nostro debito pubblico è pari a 1900 miliardi, e il conto è presto fatto: affinché "i debiti si paghino" occorrono altre 95 manovre come questa.



E non si possono distribuire nel corso del prossimo secolo, vorranno mica che i nostri creditori aspettino così tanto, i debiti si pagano e in fretta altrimenti sai che brutta figura. E' il "paradigma sociale prevalente", come diceva Pietro Cambi.

Così, se l'obiettivo è davvero quello di pagare il debito, ciò che avete sentito ieri sera non è neppure l'antipasto, è un salatino. C'è da augurarsi che abbiano ragione i più complottisti, che sostengono che invece si tratta di un'operazione vòlta semplicemente alla spoliazione delle ricchezze del nostro Paese, perché in tal caso ci rimetteremmo di meno.

Mi auguro che il fare questi due conti riporti i toni dei maestrini moralisti a più miti consigli, e che si cominci invece ad affermare che il debito va ridiscusso, che in buona parte è illegittimo, che non dobbiamo pagare gli interessi sugli interessi, insomma che i cittadini comincino a chiedere di bloccare questa follia invece di preoccuparsi della brutta figura con gli strozzini.

In caso contrario, prepariamoci a piangere insieme alla Fornero per altre 95 volte.

Occupy London: la City è un paradiso fiscale e va abolito


<br>Altreconomia :: Occupy London: la City è un paradiso fiscale e va abolito
Fonte: altreconomia

Nella spianata della St Paul’s Churchyard sono circa 200 le tende di Occupy London sferzate dal vento freddo che sale dal Tamigi, a pochi metri da uno dei luoghi simbolo della capitale inglese. È ormai oltre un mese, per l’esattezza dalla fatidica data del 15 ottobre, che gli attivisti hanno messo in piedi il loro accampamento, nonostante la totale avversione della City of London Corporation. Ovvero l’entità che tutto gestisce e amministra nell’ambito del miglio quadrato della City of London, insieme a Wall Street il centro finanziario più importante del Pianeta.


Quando incontriamo gli esponenti di Occupy London è un giorno importante, visto che sono presenti gli avvocati per discutere della strategia legale da mettere in piedi davanti all’Alta Corte britannica, così da contrastare l’ingiunzione di sgombero intimata dalla Corporation, basata su presunti criteri di sicurezza e sull’occupazione di suolo pubblico. O meglio, di suolo di pertinenza della City.

L’avvocatessa Karen Todner è molto combattiva e determinata a raccogliere quanto più testimonianze possibili che dimostrino come non ci siano pericoli per le persone e preoccupazioni legate alla situazione igienica nell’accampamento. “L’Alta Corte terrà un processo della durata di tre giorni il 19 dicembre, poi si vedrà se la sentenza arriverà prima o dopo Natale”, avverte.
Mentre alcuni seguono l’incontro con i legali, altri attivisti preparano la partecipazione allo sciopero del settore pubblico previsto per l’indomani. “Sarà il più grande sciopero da quello per sostenere i minatori nel 1926, incroceranno le braccia quasi tre milioni di persone”, ci spiega George, tra una telefonata e l’altra.
“La nostra iniziativa, però, non è una forma di protesta e basta, siamo un movimento sociale che si sta formando e strutturando” ci tiene a ribadire Dan di Anonymous UK, con l’immancabile maschera di Guy Fawkes, resa celebre dal fil “V for Vendetta”, in testa.
“Siamo come un bambino, una volta nato non lo puoi più ‘rispedire indietro’, ma lo devi accudire e far crescere nel migliore dei modi, per questo stiamo imparando a discutere e organizzarci sulle tante tematiche che pensiamo vadano affrontate per stimolare un cambiamento reale nell’ambito della società globale”, prosegue Dan.
In effetti i gruppi di lavoro elencati su una lavagna posta all’interno della tenda principale sono numerosi, oltre una trentina. Si va dalle questioni climatiche a quelle finanziarie, ai conflitti sparsi per il Pianeta. Vista la crisi che imperversa, nel Regno Unito come in altre parti del mondo, non è un caso che il primo documento formale con delle richieste specifiche riguardi proprio il ruolo dei paradisi fiscali – quale è la stessa City of London, a detta della società civile internazionale – e la necessità che vengano finalmente smantellati.
“Quasi tutte le persone che si fermano a parlare con noi sono favorevoli a quanto stiamo facendo, i contrari sono una percentuale risibile, eppure i media continuano a parlare di oltre le metà del londinesi che si oppongono alla nostra iniziativa” continua Dan, che ribadisce come Occupy London sia formato da un insieme alquanto eterogeneo di gruppi di base, alcuni reduci dai “climate camp” promossi negli scorsi anni sulle questioni climatiche.
Il governo di coalizione guidato da David Cameron ha già fatto capire di vedere di buon occhio la “fine” dell’accampamento, mentre i laburisti non sembrano intenzionati a fornire alcuna forma di sostegno. Il sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, ha addirittura definito Occupy London “un gruppo di hippy perdigiorno”, forse preoccupato degli effetti della protesta sull’immagine “olimpica” della Città – Londra ospiterà i Giochi nel 2012.

Eppure, dopo alcune incomprensioni iniziali, pare che gli alti vertici della Chiesa d’Inghilterra, che sovrintende la Cattedrale di St Paul, siano intenzionati ad aiutare i ragazzi di Occupy, o quanto meno a non ostacolarli. Si parla addirittura di una tenda di “riconciliazione” che verrebbe messa a disposizione dall’organizzazione ecclesiastica.
Un segnale molto forte, che potrebbe rivelarsi decisivo nella permanenza dell’accampamento a due passi da Paternoster Square, la piazza dove ha sede la Borsa di Londra. Un fortino recintato e iper-sorvegliato – non ci è stato nemmeno permesso di scattare delle foto – ma che è sempre più sotto assedio. E non solo metaforicamente.
MONTI: "CALL IT : SAVING-ITALY DECREE"
"Thanks, president"

lunedì 5 dicembre 2011

Il solito ombrello, cambia lo stile

di Alessandro Robecchi. pubblicato in Il Manifesto
Si parla di stile quando non si può parlare di sostanza. Quindi fino ad oggi il governo Monti è stato descritto con i toni elegiaci tipici di chi si sveglia da una lunga seduta di ipnosi e torna alla vita reale. Il confronto è impietoso e i grandi giornali fanno a gara per farlo notare: al confronto dell’ Alvaro Vitali che avevamo prima a capo del governo, ora abbiamo Shakespeare. Quello usava l’aereo di stato per andare dal salotto alla piscina, questo prende il treno. Quello di prima mentiva come un venditore di tappeti, questo parla a stento con le frasi secche di un bancomat: “E’ possibile effettuare una nuova operazione”. Quello di prima si circondava di ceffi degni di un film sulla mafia marsigliese, questo parla alla pari con i banchieri di mezzo mondo, non guarda il culo alle deputate finlandesi, non fa cucù alla Merkel, non frequenta professioniste dell’amore e non viaggia con la scorta di avvocati. Quello di prima, tra capelli magicamente ricomparsi e cerone, sembrava un laboratorio di chirurgia estetica, quello di adesso è un signore elegante e posato. La forma è salva, anche se il salto è vertiginoso e potrebbe creare qualche trauma. Da domani, però, la forma conterà un po’ meno e si guarderà più alla sostanza. I tagli alle pensioni. I tagli alla sanità. Le tasse per i soliti che già le pagano. Le consultazioni invece delle trattative. Il Parlamento chiamato a dire signorsì. Quello di prima regalava nuove frequenze alle sue stesse tivù con una gara di dubbia correttezza (valore: oltre una decina di miliardi), quello di adesso conferma il regalo. Quello di prima spendeva come Creso in armamenti, bombardieri, caccia (oltre una quindicina di miliardi, ma probabilmente chi legge altri giornali e non questo non lo sa), quello di adesso non intende risparmiare un euro su quello spreco assurdo (ma probabilmente chi legge altri giornali e non questo non lo sa). Quello di prima andava a Porta a Porta, questo andrà a Porta a Porta. E’ il solito ombrello, direbbe Altan. Ma vuoi mettere lo stile?

Stato del debito etica della colpa

INTERVISTA - Ida Dominijanni. Fonte: ilmanifesto
La missione impossibile del salvataggio dell'euro, la frana della de-europeizzazione, il cataclisma geopolitico che ne può derivare. Ma con l'austerità non si esce dalla crisi, si produce recessione e depressione. Intervista a Christian Marazzi sulla penitenza dopo l'abbuffata neoliberale e sull'antidoto del comune

Economista, docente alla Scuola universitaria della Svizzera italiana e, in passato, a Padova, New York e Ginevra, militante e intellettuale di riferimento dei movimenti della sinistra radicale, Christian Marazzi è uno degli analisti più lucidi della crisi economico-finanziaria in corso. Fra i primi a diagnosticarne il carattere storico e l'impatto globale, già nel 2009, quando la crisi impazzava negli Usa, aveva previsto l'inevitabile coinvolgimento dell'eurozona. Fine analista della finanziarizzazione come modus operandi del biocapitalismo postfordista, non crede nella possibilità di uscire dalla crisi o di contenerne le contraddizioni attraverso le politiche del rigore. Partiamo dal salvataggio dell'euro per ragionare di quello che ci attende.

L'andamento della crisi ha dato ragione alle tue analisi. Nel giro di due anni l'epicentro si è spostato dagli Stati uniti all'Europa, e nel giro di poche settimane siamo passati dal rischio di default di alcuni paesi, Italia compresa, al rischio del crollo dell'intera eurozona, che equivale al crollo dell'Unione per come è stata fin qui (malamente) realizzata. Secondo te come può evolvere la situazione?
Gli indizi della cronaca sono eloquenti. In Europa cresce l'astio nei confronti della Germania e della rigidità di Angela Merkel, che non dà segni di cedimento sulle due proposte che ormai tutti considerano indispensabili per evitare il cataclisma di Eurolandia: la monetizzazione dei debiti sovrani da parte della Bce, e l'emissione di eurobond per ridurre il peso dei tassi d'interesse sui buoni del tesoro dei paesi più esposti alla speculazione dei mercati finanziari.

Anche tu le consideri indispensabili?
Sono due misure condivisibili, ma purtroppo fuori tempo massimo: la crisi ha subito nelle ultime settimane una tale accelerazione da renderle inapplicabili. La trasformazione della Bce in una vera banca centrale sul tipo della Federal Reserve - che possa fungere da prestatore di ultima istanza per acquistare i buoni del tesoro dei paesi-membri indebitati, strappando ai mercati il potere di decidere come e quando intervenire - è un'idea sacrosanta, ma ormai irrealizzabile a fronte della fuga di capitali dall'eurozona che è già in corso, come dimostrano l'andamento dell'ultima asta di bond tedeschi e le 1500 tonnellate di oro che pare siano entrate in Svizzera ultimamente. Arrivati a questo punto, la monetizzazione dei debiti da parte della Bce non farebbe che alimentare questa fuga e accelerare il collasso dell'euro: non a caso, almeno fino a oggi, anche Draghi si oppone a questa soluzione. Lo stesso vale per l'istituzione degli eurobond, obbligazioni emesse e garantite dall'insieme dei paesi-membri per "mutualizzare" o socializzare i vari debiti sovrani: anche questa è una misura sensata, ma non ha alcuna possibilità di essere attuata, perché i paesi forti, come la Francia, l'Olanda, la Finlandia, l'Austria e la Germania si vedrebbero aumentare i tassi d'interesse in un periodo in cui le imprese stanno già subendo aumenti proibitivi del costo del denaro per il rarefarsi della liquidità in circolazione. In ogni caso, anche se al vertice di giovedì a Bruxelles si trovasse un accordo parziale, i vincoli d'austerità imposti ai paesi indebitati sarebbero tali da vanificare qualsiasi salvataggio dell'euro. E' solo questione di tempo.
BUDGET MEMORANDUM FOR THE PRIME MINISTER :
131 F-35 fighters at 15 billions of euros For Italy's prestige in the world !!!

domenica 4 dicembre 2011

IL TITANIC D'EUROPA E LA NOSTRA SCIALUPPA


Fonte: il manifesto Autore: Mario Pianta
La sensazione è surreale. Siamo immersi nelle notte della recessione, abbiamo intorno a noi gli iceberg del tracollo finanziario e sul Titanic si balla come se nulla fosse. Nella prima classe di Angela Merkel si decide che la rotta non si cambia e che l'austerità finanziaria dovrà durare anni. Nella seconda classe di Nicolas Sarkozy si strepita senza costrutto e ci si attacca alla bandiera. Nella terza classe di Mario Monti ci si affanna su guerre tra poveri e i ricchi li si lascia dormire sonni tranquilli. I greci ammassati nella stiva si trovano già con l'acqua alle ginocchia.
Lo schianto potrebbe arrivare venerdì, quando il vertice europeo avrà scoperto le carte delle proposte di revisione dei Trattati europei. Se l'Unione fiscale sarà soltanto un più stretto controllo dei conti dei debitori, senza nuova domanda a far ripartire le economie, e se non ci sarà un impegno esplicito - dei politici e della Banca centrale europea - a fermare la speculazione contro i titoli di stato, l'Unione monetaria potrebbe rischiare il naufragio.
La corsa di queste settimane a disfarsi dei titoli di tutti i paesi euro diventerebbe frenetica, il rifinanziamento di tutto il debito, anche di imprese private, diventerebbe impossibile, si aprirebbe il problema di ristrutturare il debito dei paesi nei guai sul modello del taglio del 50% del valore dei titoli delle banche private stabilito nel caso della Grecia, ma in questo modo i bilanci delle banche finirebbero a fondo. Finanza e multinazionali sono già pronte sulle scialuppe di salvataggio: chiedono tassi d'interesse record ai paesi in difficoltà - in pratica, un rimborso anticipato del capitale prestato - e si preparano al "dopo-euro". In Italia è già partita una fuga di capitali in grande scala, che mette i ricchi al riparo anche dalle timide possibilità di una mini-patrimoniale, ma che lascia il paese senza risorse. Nel 2012 il governo dovrà rifinanziare 400 miliardi di titoli di stato: per tappare la falla servirebbe fare ogni 15 giorni una manovra come quella che sarà annunciata domani, intorno ai 20 miliardi.
Oppure. Oppure la politica potrebbe comparire sul Titanic, potrebbero entrare in scena le persone, la loro protesta, la democrazia potrebbe prendere il comando, legare le mani alla finanza e ricostruire un'Europa su misura della società.
La prossima settimana avremo poco tempo per capire che cosa succederà con la manovra Monti e le proposte Merkel. Invece che aspettare lo schianto dell'Europa, possiamo incontrarci, discutere, proporre una rotta diversa. L'appuntamento è a Firenze, venerdì 9 dicembre alle 10 al Teatro Puccini (Via delle Cascine 41): ci sono posti per 600 persone. Ci saranno Rossana Rossanda, Luigi Ferrajoli, Paul Ginsborg, Maurizio Landini, Giulio Marcon e molti altri che ci aiuteranno a capire che sta succedendo al Titanic d'Europa. Potremo lanciare la nostra "Via d'uscita" dalla crisi europea, presentare proposte concrete di cambiamento, e organizzare mille iniziative, da Bruxelles alle nostre città, per legare le mani alla finanza e costruire una politica che non serva i profitti dei mercati ma il bene comune delle persone. Sembra un impegno impossibile. Come quello di vincere i referendum la primavera scorsa. A Firenze, proviamoci.

I paesi «indebitati» devono allearsi contro la soluzione autoritaria della Germania.


Fonte: il manifesto Autore: BOAVENTURA DE SOUSA SANTOS *
Europa, cambiare i trattati o preparare l'uscita dall'euro

Basta con i minuetti. L'aggravamento della crisi europea ha reso possibile una nuova radicalità e una nuova trasparenza. Fino a poco fa, qui in Portogallo ma non solo, erano considerate radicali le posizioni di coloro che si opponevano all'intervento e alle ricette della troika (Ue, Bce, Fmi) per ragioni di sovranità, di democrazia e per il sospetto che la crisi fosse presa a pretesto dalla destra per applicare nel nostro paese «la politica di shock» delle privatizzazioni, sanità e istruzioni incluse. Queste posizioni proponevano, davanti al disastro greco, la disobbedienza al memorandum della troika o chiedevano un'approfondita verifica del debito per scontare da esso le sue fette illegittime o addirittura illegali. Erano considerate radicali perché mettevano in causa la sopravvivenza dell'euro, perché screditavano ancor di più il Portogallo nel contesto europeo e internazionale, perché, se messe in pratica, avrebbero prodotto un disastro sociale, esattamente quello che si diceva di voler evitare con il memorandum.

L'aggravamento della crisi sta offrendo l'occasione per una nuova radicalità che, paradossalmente e al contrario della radicalità anteriore, parte dall'osservanza stretta della logica che presiede la troika e il memorandum. Commentatori del Financial Times e politici di paesi del nord Europa appoggiano la fine dell'euro, perché in definitiva «l'euro è il problema», propongono un euro per i paesi più sviluppati e un altro per i meno sviluppati, sostengono che l'uscita dall'euro da parte della Grecia (o, è sottinteso, di altri paesi) potrebbe non essere una cattiva idea purché attuata sotto controllo, e sostengono in ultimo la permanenza dell'euro (attraverso gli eurobond o qualche altro meccanismo) a condizione che i paesi indebitati si arrendano senza condizioni al controllo finanziario della Germania (una sorta di federalizzazione senza democrazia).

In altre parole, la radicalità ha oggi due facce e questo forse ci consente una nuova trasparenza rispetto alla posta in gioco o a ciò che conviene a noi paesi indebitati.
La trasparenza di ciò che si omette è altrettanto imporante della trasparenza di ciò che si dice. Questo capita perché in entrambi i casi gli interessi sottotraccia sono visibilissimi in superficie.

La trasparenza di quel che si omette. Primo: nell'attuale quadro istituzionale europeo non è possibile tornare alla «normalità». In questo quadro, l'Unione europea cammina inevitabilmente verso la disgregazione. Dopo l'Italia, seguiranno la Spagna e la Francia. Secondo: le politiche di austerità, oltre che socialmente inique, sono non solo inefficaci ma anche controproducenti. Nessuno può pagare i suoi debiti producendo di meno e, quindi, queste misure dovranno essere seguite da altre ancor più gravose, fin quando il popolo (nessuna paura di usare questa parola), il popolo fustigato, oppresso, disperato dirà: basta! Terzo: i mercati finanziari, dominati come sono dalla speculazione, non compenseranno mai i portoghesi o i greci o gli irlandesi o gli italiani per i sacrifici fatti, dal momento che è proprio sostenendo che i sacrifici non bastano mai che essi alimentano i profitti degli investimenti speculativi. Se le dinamiche della speculazione non vengono domate e sempre nell'attesa che il mondo faccia quel che può e deve cominciare a fare a livello intanto europeo, il disastro sociale sarà in ogni caso inevitabile sia che si obbedisca o no ai mercati.

Lucio Magri

"Una coppia di innamorati sepolti insieme", l'ultimo messaggio di Lucio Magri tumulato stamane
Fonte: ilcittadinodirecenati

RECANATI – Lucio Magri è stato sepolto vicino all’amata moglie Mara. Il feretro è arrivato dalla Svizzera (lì il leader e fondatore del Manifesto aveva dato corpo al suo desiderio di togliersi la vita con il suicidio assistito, legale nella Confederazione Elvetica) poco prima delle 12. Ad attenderlo nel piccolo spiazzo-sentiero una settantina di persone, almeno un centinaio invece nascoste intorno, tra le cappelline, stante la ristrettezza del luogo che Lucio Magri aveva scelto per riposare.

C’erano gli on.li Luciana Castellina, Valentino Parlato, Valerio Calzolaio, Carlo Latini, figure che diedero vita al Manifesto, ed inoltre Massimo Serafini, Nazareno Re. Ed è toccato all'on.le Famiano Crucianelli leggere l’ultima lettera scritta da Magri agli amici.

"Ciò che desidero e spero di meritare qui e ora è unicamente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole rivolto ad una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme".

Questo il post scriptum della lettera di Lucio Magri che è stata letta in occasione della tumulazione dell'intellettuale e uomo politico, accanto alla moglie Mara. (il testo integrale della lettera, dopo le foto)
Una cerimonia sobria al cimitero di Recanati, così come richiesto da Magri.
Sulla bara di Magri, una bandiera rossa, quella del PDUP.
La bara è stata posta accanto a quella di Mara, morta di cancro tre anni fa.
"Il desiderio di sdraiarmi accanto a Mara - è scritto nella lettera di addio di Magri - per dimostrarle che l'amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci".
Le note della Messa da Requiem di Mozart per il saluto finale.
In forma privata ha anche partecipato il sindaco, Francesco Fiordomo.

La lettera di Lucio Magri:

“La mia morte è cominciata da tempo. Quando Mara è scomparsa ha portato via con sè tutta la mia voglia di vivere, ed ero già pronto a seguirla. Lei lo ha intuito e in extremis mi ha strappato la promessa di portare a termine il lavoro che avevo avviato negli anni della sua sofferenza e che in altro modo era anch’esso in punto di arrivo.

La promessa è più un atto di amore, il regalo di un tempo supplementare. Era uno stimolo e un aiuto per dare una conclusione degna al destino che ci aveva fatto casualmente ma più volte incontrare e poi dato tanti anni di felicità totale. Era anche un appuntamento, o almeno così lo ho vissuto ogni giorno. Ora posso dire che la promessa la ho mantenuta al meglio che potevo. Il libro è stato pubblicato anche in Spagna, Inghilterra, Argentina e Brasile.

Nel lungo e doloroso intermezzo ho avuto modo non solo di riflettere sul passato ma anche di misurare il futuro. E mi sono convinto di non avere ormai nè l’età, nè l’intelligenza, nè il prestigio per dire o per fare qualcosa di veramente utile a sostegno delle idee e delle speranze che avevano dato un senso alla mia vita.

Intendiamoci, non escludo affatto che quelle idee e quelle speranze, riformulate, non si ripresentino nella storia a venire: ma in tempi lunghi e senza sapere come e dove. Comunque fuori dalla mia portata.

Per tuto ciò mi pare legittimo, anzi quasi razionale soddisfare un desiderio profondo che anzichè ridursi, cresce. Il desiderio di sdraiarmi a fianco di Mara per dimostrarle che l’amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci. Può essere solo un simbolo, ma non è poco.”.

A seguire, un post scriptum, in cui Lucio Magri chiedeva di evitare cerimonie funebri, rimembranze e giudizi dettati dall’occasione, ma “semplicemente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole, rivolto ad una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme“.

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters