Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 7 luglio 2012

Dazi o schiavitu'.


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di Beppe Grillo - beppegrillo -
Il capitale è amorale, si sposta dove il profitto è maggiore. Non è interessato ai diritti dei lavoratori o all'ambiente. Non li contempla neppure. La globalizzazione ha liberato gli sciacalli e gli avvoltoi delle multinazionali e della finanza tenuti prima alla catena. In alcune aree del pianeta come parte dell'Europa, grazie a durissime lotte sociali durate un paio di secoli, la tutela dei diritti dei lavoratori e del territorio sono diventate un fatto acquisito. Il WTO con con la globalizzazione dell'economia ed il commercio libero sta creando un mercato di schiavi di massa. Una serie di vasi comunicanti in cui i capitali migrano verso i Paesi con meno garanzie e diritti e, quindi, con un'alta remunerazione. Non c'è gioco. Il costo del lavoro di un rumeno o un indiano è imbattibile. Nessuna azienda italiana può competere se non riazzerando diritti e regole, come in effetti sta succedendo. Mi sembra una follia. Il mondo si sta allineando verso il basso, sempre più. Verso nuovi faraoni. Non c'è limite alla bulimia del capitale. Mentre si esportano capitali, si importano beni di qualunque tipo, trascurando del tutto l'impatto ambientale del trasporto. L'inquinamento non è conteggiato nel prezzo del prodotto.
Col tempo gli Stati importatori, con la perdita della produzione, si impoveriscono e gli Stati esportatori perdono quote dei mercati mondiali. E tutto torna al punto di partenza con, nel frattempo, un accumulo di grandi capitali, lo spostamento del potere politico verso le multinazionali e la perdita di diritti nei Paesi importatori senza alcun miglioramento sociale nei Paesi esportatori, che si ritroveranno il loro territorio devastato. Un disegno degno di menti criminali, di alieni che si sono impossessati dei corpi dei manager delle multinazionali e del WTO per distruggere il pianeta Terra. La libera circolazione delle merci può avvenire solo a parità di diritti sociali e sindacali. Altrimenti si applichino i dazi.

20 anni di mani pulite.

- antoniodipietro -
Nell’avvicinarci ai 20 anni di Mani Pulite, questa intervista di Piercamillo Davigo al Corriere della Sera di oggi è importante. Perchè ci fa capire a che punto siamo e le differenze con la Tangentopoli di allora.
«Mani Pulite? Non è servita Centrodestra e centrosinistra uniti nell’ostacolare i processi»
Nostalgia?
«Neanche un po’. La situazione dell’Italia vent’anni fa era indegna di un Paese civile».
Eppure lei stesso dice…
«Che girano più tangenti oggi di allora, certo. Mani Pulite poteva essere una svolta, invece è stata tentata una restaurazione».
E dunque?
«Dunque la Seconda Repubblica è semplicemente figlia della Prima. Ma la madre non era meglio: il debito pubblico che tuttora scontiamo continua a essere il frutto prodotto in quarant’anni da quel sistema là».
È questa la sintesi dell’allora pm e oggi giudice di Cassazione Piercamillo Davigo, vent’anni dopo l’arresto di Mario Chiesa che il 17 febbraio 1992 innescò un domino da quattromila inquisiti, la scoperta di tangenti per migliaia di miliardi in una rete sterminata di conti esteri, l’azzeramento di cinque partiti: e per riassumere il resto ci vorrebbe un libro.
Con che risultato?
«Direi duplice. Da una parte non c’è dubbio che dall’evento di Mani Pulite è derivata una cesura netta nelle dinamiche politiche del Paese. Determinata dall’elettorato, tengo a ricordare, non dai magistrati. Il cui ruolo è stato solo quello di portare a galla dei fatti».
E l’altra parte è stata Berlusconi?
«No. L’altra parte è stata che il potere politico, tutto, di centrodestra e centrosinistra, a fronte del quadro devastante emerso dalle indagini non si è affatto preoccupato di prendere provvedimenti per contenere la corruzione, ma semplicemente di contrastare e rendere più difficili i processi».
Anche il centrosinistra?
«Il centrodestra lo ha fatto in modo talmente spudorato da risultare vergognoso: rendere il falso in bilancio perseguibile solo su querela degli azionisti (di fatto di maggioranza) è come perseguire un furto su querela del ladro, dal momento che, se estranei, cambierebbero gli amministratori. Ma il centrosinistra ha dimostrato abilità più sottili, per esempio con la riforma dell’abuso d’ufficio e la precedente introduzione della “modica quantità” nell’annotazione di fatture per operazioni inesistenti: cose passate in silenzio, senza il clamore delle leggi ad personam, ma che hanno reso più difficile contrastare i fenomeni».
Adesso la responsabilità civile dei magistrati.
«Che è comunque demagogica, la sua estensione comporterebbe solo un maggior premio assicurativo da pagare. Ma a quel punto si porrebbe un problema di tutela sindacale visto che, per esempio, l’assicurazione per la responsabilità civile sui veicoli dello Stato è pagata dallo Stato e non dagli autisti: perché l’assicurazione per i processi la dovrebbero pagare i magistrati?».
Solo una questione di soldi?
«Naturalmente no, la citazione diretta di un magistrato avrebbe come conseguenza anche il suo obbligo di astenersi e nel procedimento penale ciò implica la rinnovazione degli atti compiuti: il che può far saltare il sistema».
Vi hanno detto mille volte: se la corruzione c’era da una vita voi dov’eravate prima del ’92?
«È una delle tante scempiaggini che si ripetono da vent’anni. Eravamo lì, ma la corruzione è come la mafia: non è come un omicidio, dove trovi un cadavere e fai le indagini. È un reato che si regge su un patto segreto tra chi lo compie: finché non viene uno a raccontartelo non lo sai».
E perché nel ’92 vengono a dirvelo?
«L’ho ripetuto in mille convegni, ogni volta in cui qualcuno rispolverava l’altra scempiaggine del complotto: Mani Pulite è partita banalmente perché il sistema aveva finito i soldi. Finché il costo delle tangenti poteva essere caricato sul prezzo degli appalti, e le amministrazioni pagavano, gli imprenditori erano ben contenti di corrompere i partiti. Altro che vittime. Poi, quando hanno cominciato a non veder più saldati i lavori per cui prima avevano pagato le tangenti, allora si sono arrabbiati e sono venuti da noi. Tutto qui».
Altre scempiaggini?
«Certo, e ancora più dannose perché a forza di ripeterle sono entrate nel pensiero comune. La prima è stata la giustificazione addotta per anni da chi veniva beccato a rubare: “Ma rubano anche gli altri, perché prendete me?”. Come se un ladro d’auto pretendesse di essere processato solo dopo che sono stati presi tutti gli altri».
A nessuno piace essere processato.
«Ci mancherebbe. Ma la cosa grave è che in questo Paese è diventato “normale” pensare di potersi difendere negando la legittimità del proprio giudice. Pretendendo di fondare le sempre più numerose istanze di ricusazione non sulla contestazione di atti specifici ma sul fatto che un magistrato abbia, per esempio, un orientamento politico».
Se è opposto al mio, e deve giudicare me, può darmi fastidio.
«Ma lui deve motivare per iscritto ogni decisione che prende, e lei può impugnarla nel merito! In un Paese anglosassone il giudice ti condanna semplicemente “poiché la giuria ti ha ritenuto colpevole”, punto: facciamo cambio? E se un imputato di terrorismo islamico chiedesse di ricusare un giudice perché va a messa? Dovrà smettere di andarci? Però allora potrebbe non piacere a un imputato cattolico: dovrà fare la comunione di nascosto?».
Nel ’92 dicevate: noi non facciamo politica. Qualcuno vi disse: sarà la politica a risucchiare voi. Gerardo D’Ambrosio è diventato senatore e Antonio Di Pietro ha fondato un partito.
«I magistrati non devono fare politica nell’esercizio delle loro funzioni. D’Ambrosio e Di Pietro non sono più magistrati e non hanno più tale vincolo».
Esiste un tasso di corruzione fisiologico?
«Tutto sta a intendersi sul quanto. In Italia ci sono meno condanne per corruzione che in Finlandia, che però Transparency International considera il Paese meno corrotto del mondo. Noi siamo a fondo classifica. È l’altra scempiaggine di quanti ripetono che la corruzione è il costo della democrazia: balle. Così la democrazia ce l’hanno rubata».
Al netto delle tangenti lievitate, in cosa la Seconda Repubblica è diversa dalla Prima?
«Per esempio nel fatto di aver lacerato il velo dell’ipocrisia, che per certi versi è considerata un difetto ma è anche la tassa che il vizio paga alla virtù: prima ci si mascherava da buoni perché essere cattivi era considerato brutto, adesso non c’è neanche più la maschera».
Gli italiani hanno i politici che meritano? Siamo condannati all’illegalità?
«Per niente, anzi. Non credo affatto a un Dna delle tangenti, non siamo un popolo sbagliato: siamo solo uno Stato con leggi sbagliate e più facili da aggirare. Pensare il contrario è il più pericoloso e qualunquista degli alibi».
In che senso?
«L’ho detto anche l’altro giorno agli studenti di un liceo di Milano, per me è la cosa più insopportabile di tutte: è quando sento qualcuno dire che “rubano tutti”. Allora ogni volta gli chiedo “Scusi, lei ruba? No? Ecco, neanche io: siamo già in due”. Ripartiamo da qui»

Come si possono leggere i datti.

di Zag in ListaSinistra
I dati statistici e quelli di tendenza, al di la delle parole e delle fraseologie ad effetto, parlano chiaro.Certo a sentire la tv , tutte le tv, a leggere i giornali cartacei ed elettronici, le notizie pur non risollevanti, sono pur consolatrici. Ce la faremo, ci stiamo allontanando dal burrone, pur se questo avanza più veloce, i sacrifici sono necessari, ci riusciremo e via di questo passo.  Ottimismo , ma con moderazione, per riuscire a indorare la pillola al veleno che ci propinano ogni giorno. Poi arrivano i dati e su questi c'è poco da scherzare, A volerli leggere. Si perché i dati si possono anche leggere in due modalità. Prendo ad esempio il dato sulla disoccupazione in USA, che è sintomatico di come è stata data in Italia.
Ferma al 8,2. Nonostante tutto è all'8,2%. Non cala la disoccupazione in USA. Riuscita a frenare la disoccupazione in USA.
e via di questo passo.
E qui siamo anche al di là della lettura del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno
.
Ma veniamo ai dati di quest'oggi di casa nostra.


Al netto dell'inflazione, il potere d'acquisto ha subito un calo nel primo trimestre del 2012 dell'1% rispetto al trimestre precedente, e del 2% rispetto al primo trimestre del 2011. In qualsiasi modo lo si voglia leggere si tratta del livello più basso rilevato negli ultimi 12 anni, cioè dal terzo trimestre del 2000. Che per quanto ottimismo uno ci può mettere rimane un fatto.
Certo qualcun altro  può anche arrivare a dirla come quel contadino che con il suo carro si era scontrato con il panzer tedesco e di fronte al nazista con la luger ancora fumante dopo che aveva ammazzato il suo cavallo agonizzante , senza un braccio, con il capo sanguinante, e zoppicante , saltellando dice " Che culo ! Non mi son fatto niente...non mi son fatto niente!" e si allontana, sperando di non fare la stesa fine del suo cavallo.

Ma i dati non sono ancora terminati
Il tasso di investimento delle famiglie consumatrici, cioè il rapporto tra gli investimenti fissi lordi, che comprendono esclusivamente gli acquisti di abitazioni, e il reddito disponibile lordo è stato pari al 6,7%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto all'ultimo trimestre del 2011 e di 0,4 punti rispetto al periodo gennaio-marzo 2011. Federconsumatori e Adusbef hanno sottolineato come il ribasso del potere d'acquisto delle famiglie comporta che «dal 2008 a fine anno la perdita complessiva delle capacità d'acquisto ammonterà a -11,8%».

Ma anche le imprese produttrici quelle non finanziarie, quelle non finanziarie,  non stanno messe bene. La quota di profitto nel primo trimestre del 2012 è scesa al 38,8%, con una diminuzione di 0,9 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Nel medesimo periodo il tasso di investimento delle società non finanziarie è stato invece pari al 21,6%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto all'ultimo trimestre del 2011.

Uno può anche stare chiuso nel suo guscio, non uscire, non andare al supermercato, chiuso nelle sue stanze in Università, in ufficio a Palazzo Chigi e nella sua stanza di redazione, non vedere la gente al mercato, nei negozi , per la strada , ma ai dati occorre che uno sguardo lo dia. E i dati in qualsivoglia li si vuole leggere sono questi. E non da oggi.

E quel qualcuno lo stesso che continua a lodare l'attuale politica recessiva, che continua a vedere il bicchiere mezzo pieno, che guarda a quel che potrebbe succedere e non vede a quel che sta succedendo deve per un solo attimo fermarsi e ragionare. Se non lo fa o è uno sciocco , o è uno che ha interessi che succede quel che sta succedendo. Si perché in questa guerra non è che siamo tutti  su lo stesso fronte. C'è chi ci sta rimettendo e chi ci sta guadagnando. E quel qualcuno sicuramente non ci sta rimettendo. Se non è uno sciocco!
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Grave è la situazione sotto il cielo. Però la situazione non è eccellente!

L'altra Europa da Bruxelles a Roma

di Giulio Marcon

Lunedì 9 luglio, presso la Casa Internazionale delle Donne – Roma, via della Lungara 19 – dalle 10.30 alle 20.00, si terrà il convegno: Uscire dalla crisi con un’altra Europa, una giornata di incontri e dibattiti promossa dalla Green European Foundation con il contributo di Sbilanciamoci!, un confronto per proseguire la strada delineata nel forum di Bruxelles

Dopo il Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno, l'Europa naviga in acque tempestose, nonostante le diplomatiche riappacificazioni (con la Merkel) e qualche passo indietro. Il conflitto tra governi e schieramenti di stati (Italia, Spagna, in parte la Francia da una parte e Germania, Gran Bretagna, Olanda, Finlandia dall'altra) prosegue. Un conflitto aperto e le pur timide novità sul possibile intervento della Bce per calmare lo spread e la realizzazione dell'unione interbancaria rischiano di impantanarsi nelle dispute interpretative (perché il diavolo è sempre nel dettaglio) e nelle farraginose e lunghe procedure attuative. Si vedrà cosa succederà il 9 luglio nella prossima riunione dell'Eurogruppo, che dovrebbe tradurre nella zona dell'euro le misure del Consiglio Europeo. Più che un primo passo, il Consiglio del 28 e 29 giugno è un leggero abbrivio dagli esiti ancora assai incerti e comunque modesti. La crisi non demorde e – proprio a causa dell'inerzia di Bruxelles – potrebbe essere destinata ad aggravarsi ulteriormente in Europa. Nel frattempo bisognerebbe aspettare molti anni per la modifica (in senso positivo, speriamo) dei trattati, o attendere anche meno tempo, un anno e più, per sperare di veder evolvere verso sinistra l'equilibrio politico in Italia (primavera 2013) e in Germania (autunno 2013) e modificare così l'equilibrio europeo. Comunque troppo tempo: frattanto saremo definitivamente travolti dalla crisi, dal fallimento dell'architettura europea e dal declino del modello sociale europeo.
Di fronte a questa situazione la sinistra, il sindacato e anche i movimenti sociali europei sono in difficoltà, incapaci di mettere in campo una forte ed incisiva mobilitazione contro le scelte dei governi europei e le politiche di austerity, che altro non sono che la "continuazione del neoliberismo con altri mezzi". Proprio contro il neoliberismo dieci anni fa i movimenti europei erano stati capaci di organizzarsi, coordinarsi, manifestare. E oggi, che di questa mobilitazione ci sarebbe ancora più bisogno, la debolezza della protesta e della capacità di coordinarsi e unirsi risulta paradossale e preoccupante. La crisi sembra avere messo in questione la capacità della società civile globale – in questo caso europea – di organizzarsi e costruire le alternative necessarie. Continuano ad esserci, ma non si coagulano, non fanno "massa critica".

venerdì 6 luglio 2012

Tsipras, il Che della Grecia

Tsipras, il Che della Grecia
3che
di Barbara Ciolli
Ha idee forti, carisma da vendere e il physique du rôle che, in Europa, gli è valso l'appellativo di «Che Guevara» della Grecia.
Alle elezioni del 6 maggio, il leader della Sinistra radicale (Syriza) Alexis Tsipras ha visto il suo partito schizzare dal 5% al 25%. E ad Atene è rimasto forse l'unico politico a poter girare indisturbato in centro con la sua moto, o addirittura a piedi, senza rischiare di essere aggredito a colpi di uova marce e insulti.
IL RIFIUTO A PAPANDREOU. E non solo perché, nel 2008, il 38enne astro nascente dei comunisti fece la scelta fortunata di snobbare l'alleanza (e il futuro governo) con l'ex premier socialista George Papandreou. «Ci releghereste in un angolo, con due o tre ministeri inutili. Grazie mille, ma diciamo no», rispose con orgoglio il leader di Syriza al Pasok.
L'ASCESA DELL'INGEGNERE. Già allora, l'ascesa di questo giovane ingegnere no-global era vista come «pericolosa» da chi, anche a sinistra, faceva parte del sistema.
Così per neutralizzarlo, Papandreou aveva provato a lanciargli l'esca di una grande coalizione riformista. Inutile dire che il leader cresciuto nel vivaio del Partito comunista greco Synaspismos e ora intenzionato a stracciare il memorandum dei controllori della Troika (Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) non abboccò.
Nei cinque di anni di recessione che hanno portato la Grecia al crollo del 7% del Prodotto interno lordo (Pil), Tsipras è sempre rimasto fuori dai giochi, giudicando l'operato dei governi dall'esterno e mantenendo fede ai principi che, nel 2006, gli valsero un sensazionale 10,5% di preferenze nella corsa a sindaco di Atene.
IL FRONTE ANTI-LIBERISTA. Come nessun altro l'allora 30enne - che, nel 2004, aveva dato vita alla coalizione della sinistra radicale ed ecologista Syriza - era riuscito a convincere le piazze sull'urgenza di bloccare le riforme neo-liberiste, foriere d'austerity. E sulla necessità di creare un fronte europeo comune, che, attraverso il Social Forum, si schierasse compatto contro i potentati finanziari globali.
Con la crisi economica del 2009 e il crollo dell'Eurozona del 2012, in Grecia e non solo, il manifesto politico di Tsipras è diventato l'unica alternativa al diktat dei tagli alla spesa e della demolizione dei diritti al lavoro, all'istruzione e alla sanità pubblica.
DIRETTO E DAI TONI DECISI. Padre di un figlio e compagno di Peristera Baziana - sua vicina di banco al liceo e militante, pure lei, nei giovani comunisti -, sin dai comizi studenteschi, Tsipras ci è sempre andato giù duro con i toni.
Forse perché, sui contenuti, non ha mai avuto dubbi. «Non credo negli eroi e nei salvatori. Ma credo nella lotta per i diritti. E nessuno ha il diritto di ridurre un popolo fiero come il nostro in un tale stato di miseria e umiliazione», ha dichiarato il leader parlando del suo Paese precipitato in un «clima di pessimismo, depressione e suicidi di massa».
«LA STRADA DELL'INFERNO SOCIALE». Sul perché si sia arrivati alla «strada dell'inferno sociale», il numero uno di Syriza ha le idee chiare e non da ora.
La Grecia, uno dei Paesi più piccoli e vulnerabili dell'Eurozona, è stata usata come «esperimento» da «banchieri globali, capitalisti e speculatori di Borsa», per imporre lo «choc neo-liberista» agli Stati membri.
Per Syriza, dunque, nell'Ue è in corso una guerra tra «popoli e capitalismo», con Atene in prima linea. «Se l'esperimento continua, il modello sarà imposto a tutti. Ma se riusciamo a fermarlo, sarà una vittoria non solo per la Grecia, ma per tutta Europa. La sola, vera sconfitta è una battaglia non combattuta».
Sia chiaro, Tsipras non ce l'ha con la Germania, anche se sostiene che il governo della cancelliera Angela Merkel ha «una responsabilità storica» nella crisi dell'Eurozona. Né, populisticamente, ha mai chiesto l'uscita di Atene dall'euro.
«Non siamo contro l'Unione europea o contro l'unione monetaria. Vogliamo solo convincere i nostri partner che il modo scelto per affrontare la crisi greca è totalmente controproducente. È come gettare i soldi in un pozzo senza fondo», ha ribadito in campagna elettorale.
Quel che conta, per Tsipras, è tenere la schiena dritta, rifiutando qualsiasi forma di sottomissione imposta dal ricatto della Troika.
LA FORZA DEI DEBITORI. È bene, infatti, ricordare a banchieri e governi alleati che, «in un prestito, la forza è anche dei debitori». «Se salta il memorandum», ha minacciato Tsipras, «saltano anche i pagamenti degli interessi. John Maynard Keynes lo diceva molti anni fa. Con il moltiplicarsi del debito, anche la persona che presta, cioè le banche, possono trovarsi in una posizione difficile».
A più riprese, i leader tedeschi hanno minimizzato, dichiarando come, ormai, l'effetto domino della Grecia «sia stato neutralizzato». «Ma poi ci sono il Portogallo, la Spagna, l'Italia... », ha ribattuto sicuro Tsipras. Che, di certo, non è uno che scherza.
Persino politici europei progressisti come il tedesco Martin Schulz, presidente del parlamento europeo, hanno espresso stima nei suoi confronti. Ma hanno anche ammesso di temerlo per alcune sue posizioni «rischiose».
LA LINKE TEDESCA DALLA SUA PARTE. I leader della Linke, la sinistra radicale tedesca, hanno invece stretto la mano al «Che Guevara greco», nato, ironia della sorte, il 28 luglio come il venezuelano Hugo Chávez, seppur qualche anno dopo.
Al suo fianco, nel Partito della Sinistra europea, c'è anche il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Perché, con «con Syriza che propone una modifica della politica economica a partire dall'azzeramento del memorandum», siamo «dalla parte della soluzione», non «complici della catastrofe». E il «re è nudo».
da lettera43.it

Modelli di welfare tra le due sponde

        Antonio Lettieri
       
Nel confronto con la crisi, l’asse Francoforte-Bruxelles si muove lungo il doppio binario dell’austerità e delle riforme strutturali. C’è un punto in cui i due binari s’incontrano per diventare uno solo. E’ il punto dove il taglio della spesa pubblica (austerità) si risolve nel taglio di alcuni capitoli della spesa sociale (riforme strutturali). In tutta l’Unione europea, i due capitoli sui quali s’interviene sono le pensioni e la sanità. In Italia è stata utilizzata la mannaia per le pensioni. Ora s’intensifica l’opera di erosione del sistema sanitario pubblico.
Quando le autorità europee dettano i canoni delle riforme strutturali, il paradigma di riferimento è la riduzione della spesa pubblica associata a dosi crescenti di privatizzazione del welfare. In altri termini il modello americano che nei sistemi pensionistici, sanitari, educativi è caratterizzato dal crescente predominio del mercato.
In questi giorni, mentre in Italia si discute di ennesimi tagli alla sanità, è stata portata all’attenzione la riforma sanitaria americana che, si è salvata dal rischio di essere cancellata dalla Corte Suprema – possibilità sulla quale contava Mitt Romney, il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre.
Quando Obama arrivò alla Casa Bianca, 47 milioni di americani erano privi di assistenza sanitaria, una vergogna per il paese più ricco del mondo. La via più semplice, lungamente coltivata dall’ala liberal del Partito democratico, era la generalizzazione del sistema di assistenza pubblica, Medicare, instaurato da Lyndon Johnson negli anni Sessanta a favore delle persone da 65 anni in su. Si sarebbe trattato di un servizio universale a più basso costo. Ma questo modello si scontò con la violenta opposizione del potente complesso assicurativo-sanitario privato. Lo scontro proseguì per oltre un anno nel Congresso e nel paese senza esclusione di colpi. Obama fu accusato di essere un “socialista”, e di voler importare negli Usa un sistema di welfare di tipo europeo. Il risultato finale fu il compromesso che oggi, per fortuna di Obama, la Corte suprema ha convalidato.
Sulla base della riforma, trentatré milioni di americani che ne sono privi avranno nel corso dei prossimi anni un’assicurazione sanitaria. Di questi, 17 milioni saranno associati a Medicaid, l’assistenza pubblica per i poveri; mentre altri 16 milioni fruiranno di una sovvenzione pubblica tramite un credito d’imposta correlato al livello di reddito. La riforma, cosa non meno importante, prevede anche che le compagnie assicuratrici non potranno rifiutare o revocare l’assicurazione in rapporto alla storia medica o alla patologia delle persone interessate. Come contropartita le assicurazioni hanno chiesto e ottenuto l’obbligo per tutti di contrarre una polizza assicurativa – obbligo che era al centro della denuncia alla Corte suprema da parte di alcuni governatori repubblicani, e che il presidente John Roberts, nominato da Bush, rovesciando la maggioranza di tendenza conservatrice, ha sorprendentemente risolto, interpretando l’obbligo assicurativo, di dubbia legittimità, come una tassa che il Congresso federale poteva imporre senza ledere l’autonomia dei singoli stati.
Obama ha salvato la riforma, e probabilmente il secondo mandato, ma la riforma, per quanto salutata con comprensibile sollievo dai democratici, rimane lontana dalla soluzione dei due fondamentali problemi del sistema sanitario americano: i costi e la diseguaglianza di fronte ai problemi della salute. I costi, infatti, continuano a crescere in termini esplosivi. Alla fine del 2011, il costo medio di una polizza familiare ha superato 15.000 dollari annui. La spesa sanitaria è cresciuta fra il 1999 e il 2011 tre volte di più dei salari e quattro volte di più dell’inflazione media. Poi, dietro le medie si celano profonde diseguaglianze. E’ evidente che,dal punto di vista della prevenzione e dall’accesso alle cure, una polizza, mettiamo, da 10 mila dollari ha un contenuto assicurativo radicalmente diverso da un’altra di 20.000 . Gli assistiti non sono tutti uguali, anche se uguali sono le malattie,le disabilità, i bisogni di cura. E, non a caso, a dispetto dall’alto livello di eccellenza che si riscontra al vertice del sistema per chi può accedervi, l’attesa media di vita è al di sotto della media dell’Ocse, mentre al di sopra è la mortalità infantile.
Intanto, la voracità del sistema fa crescere i costi complessivi a livelli astronomici. Alla fine del 2011, il costo totale ha raggiunto 2,7 trilioni di dollari, il 18 per cento del Pil americano. E, secondo le previsioni si avvia a toccare il 20 per cento del Pil, come dire che un dollaro su cinque della ricchezza prodotta in America sarà consegnato al complesso assicurativo-sanitario. Il confronto con i sistemi sanitari europei di carattere universale e, in linea di principio, gratuiti è clamoroso. Il costo totale medio nell’Unione europea è circa la metà di quello americano, intorno al 9 per cento del Pil. In Francia e Germania con i sistemi più costosi la spesa totale è intorno all’11,5 per cento del Pil. In Italia, la spesa sanitaria totale è pari al 9,6 per cento del Pil (gli ultimi dati comparativi dell’Ocse sono del 2009), al disotto della media europea, più bassa che nel Regno Unito, due punti di Pil al disotto della Francia e della Germania.
Secondo una vecchia graduatoria dell’Ocse, i sistemi sanitari francese e italiano spiccano per la loro eccellenza a livello mondiale. Il vantaggio derivante dal carattere pubblico del sistema è fuori discussione. Questo, ovviamente, non significa che nei sistemi pubblici non vi siano problemi di efficienza, di sprechi, di corruzione. Certamente vi sono. Ma, come ci ha insegnato Albert Hirshman nel suo celebre saggio sulla Retorica della reazione, è un tipico atteggiamento ideologico della conservazione dare l’assalto alle conquiste democratiche e, in particolare, allo stato sociale, denunciandone gli effetti perversi non per eventualmente correggerli, ma allo scopo di trarne motivo per corroderle e smantellarle.
In sostanza, il punto non è ignorare o negare l’insufficienza o lo scadimento della qualità di un servizio pubblico che deve rispondere a bisogni di massa, ma si tratta di intervenire in modo puntuale e razionale per correggerne le disfunzioni non per smembrarlo e, più o meno esplicitamente, avviarne la privatizzazione in nome di una superiore efficienza del mercato che, come dimostra l’esempio americano, è un puro fantasma ideologico alimentato da precisi interessi privatistici.
Sotto questo aspetto, non potrebbe esservi un paradosso più sconcertante. Mentre i democratici americani sognano un modello il più possibile europeo, la tecnocrazia dell”asse Francoforte-Bruxelles, alleata alle destre più o meno tecnocratiche che governano nella maggioranza dei paesi dell”Unione, guardano al modello americano. Va in questa direzione l’opera di erosione della spesa sociale del governo Monti che, sotto il titolo attraente quanto ingannevole della spending review, il carattere di attacco allo Stato sociale, sotto la maschera delle riforme di struttura.

Grecia, via ai tagli e alla svendita del patrimonio pubblico.

Fonte: il manifesto | Autore: Argiris Panagopoulos
       
Altro che rinegoziazione del Memorandum. Samaras, tornato dopo due settimane al palazzo della presidenza del governo, a causa dell’operazione all’occhio, ha promesso ieri ai rappresentanti della troika l’accelerazione del programma delle riforme strutturali per sostenere l’economia e l’occupazione e garantire la coesione sociale.
Samaras ha assunto già la veste del macellaio, promettendo ai rappresentanti della troika che il suo governo presenterà un generoso pacchetto di privatizzazioni, tagli nel settore pubblico e una riforma fiscale. Secondo Samaras le privatizzazioni saranno maggiori da quelle che prevede il Memorandum. Cercando di addolcire la minaccia di svendita del patrimonio pubblico, Samaras ha detto che l’economia greca non può sopportare nuovi tagli degli stipendi e delle pensioni, né nuove tasse.
Il nuovo governo “tripartitico” di Samaras sente già una doppia pressione. La troika e la Germania premono sulla Grecia per applicare le misure micidiali previste dal Memorandum, mentre la società si prepara a resistere ai nuovi tagli e all’annunciata svendita del paese, sulla nuova ondata di austerità che dilaga quasi in tutta l’Europa del Sud.
Il nuovo governo ha una schiacciante maggioranza in parlamento e i tre partiti che lo sostengono hanno eletto il presidente della camera con una votazione da record. Paradossalmente però il governo di Samaras è cosi debole e contraddittorio creando le prime liti interne nella Sinistra Democratica, visto che alcuni suoi dirigenti si ricordano ancora la loro appartenenza alla sinistra. La verità è che la Sinistra Democratica dovrà fare spesso un bagno di coscienza, visto che dovrà accettare un mare di privatizzazioni nel periodo prossimo.
Il nuovo ministro “tecnico” delle Finanze Giannis Stournaras ha fatto presente ieri che la troika ha avvertito il governo che il programma è uscito fuori dai suoi obbiettivi dopo le due tornate elettorali. «Noi non vediamo i membri della troika come conquistatori ma come nostri colleghi che rappresentano i creditori con i quali siamo obbligati a convivere», ha detto Stournaras, mentre quando i rappresentanti della troika lo hanno avvertito che lunedì non sarà facile per Atene nell’Eurogruppo lui ha risposto: «Lo so».
Il professor Stournaras ha avvertito anche i greci che li aspettano anni duri. «Da oggi entriamo in acque profonde. Ci aspettano tempi difficili e promettiamo solo una lavoro duro. Vedo una luce nel fondo del tunnel, anche se è lungo», ha detto Stournaras
Syriza ha già dato i primi segnali per una opposizione dura contro la nuova macelleria sociale che si prepara, denunciando anche il fatto che il primo ministro greco prima di presentare il suo programma di governo in parlamento si era incontrato ieri con i rappresentanti della troika ad Atene. Secondo la coalizione – partito di sinistra radicale Nuova Democrazia, Pasok e Sinistra Democratica – che sostiene il governo di Samaras, sarebbero già state dimenticate le premesse pre-elettorali per la rinegoziazione del Memorandum, sostenendo l’applicazione dei tagli senza modifiche.
Il portavoce del governo Simos Kedikoglou ha risposto che «l’esecutivo vuole la permanenza della Grecia in Europa e nell’euro. Syriza e gli interessati alla dracma possono aspettare le prossime elezioni».
Anche se le urne non sono per il momento all’ordine del giorno, Syriza sfiderà il solleone e le altissime temperature per tornare nelle piazze e trovare con la sua gente modi di resistenza contro il nuovo governo e forme di solidarietà e partecipazione cittadina attraverso i movimenti. La coalizione di sinistra vuole trasformarsi in un partito di massa in due tappe, con scedenze a ottobre e in primavera, mentre ha già aperto le sue porte a migliaia di simpatizzanti.
Da parte sua Samaras ha chiuso ieri il ristorante del palazzo presidenziale, che costava 63 mila euro ogni anno, mentre il deputato del Pasok Kremastinos ha detto che i deputati «fanno la fame» e ha denunciato come populisti i deputati che hanno rifiutato la macchina offerta dal parlamento, i bonus di 150 euro per ogni partecipazione in una commissione o ancora peggio hanno rifiutato la scorta.
Da parte loro, uno dopo l’altro i neodeputati di Syriza hanno già cominciato a rinunciare ai tanti extra a cui hanno diritto i parlamentari, mostrando una grande preferenza per le loro macchine da comuni cittadini e dichiarandosi assolutamente non a loro agio di fronte all’evenienza di essere accompagnati da poliziotti.

giovedì 5 luglio 2012

GIORGIO CREMASCHI – Come in Grecia. La criminalità economica governa

gcremaschiLa truffa più grande che stiamo subendo è quella che ci vuol far credere che le misure che il governo Monti ha preso, prende e prenderà, hanno lo scopo di evitare di finire come la Grecia.

- micromega -
E’ vero esattamente il contrario. Le misure sono come quelle che hanno portato la Grecia alla catastrofe economica e al disastro sociale.
Magari vengono scaglionate nel tempo, in modo da evitare un impatto complessivo ed immediato che forse avrebbe costretto i sindacati più tremebondi d’Europa – Cgil, Cisl e Uil – a lottare. Ma le misure sono le stesse.
Prima il massacro sulle pensioni, aggravato dalla manifesta incompetenza del ministro Fornero, a cui Bersani, Berlusconi e Casini non han fatto mancare la fiducia, alla faccia degli esodati. Poi la controriforma del lavoro, che ha liberalizzato precarietà e licenziamenti mentre la crisi economica avanza. Ed ora la manovra correttiva di tagli sociali, ipocritamente coperta dal
solito trucco dell’uso dell’inglese. Ma quale spending review del cavolo!
Assisteremo sicuramente a qualche operazione di facciata, che verrà esaltata dalla sempre più insopportabile stampa di regime per coprire i tagli veri. Che come in Grecia saranno su tre fronti.
Privatizzazioni con svendita del patrimonio pubblico. Licenziamenti dei dipendenti pubblici, che come ad Atene non bastano e non basteranno mai a far quadrare i conti, ma che scateneranno nuovi drammi occupazionali nel pubblico come nel privato. Tagli drammatici a tutti i servizi sociali e in particolare a quelli sui quali si può fare cassa subito, i trasporti e la sanità.
Sui trasporti è utile ricordare che secondo l’amministratore delegato delle ferrovie già ora non ci sono più i soldi per tutto ciò che non sia alta velocità. Sulla sanità il rischio è ancora peggiore, perché ciò che viene messo in discussione è il diritto alla salute.
Proprio in Grecia l’organizzazione mondiale della sanità ha riscontrato una pericolosa regressione delle condizioni sanitarie per una popolazione sempre più povera, soprattutto per fanciulli ed anziani. Con le misure in atto ed annunciate dal governo Monti succederà la stessa cosa da noi. Prevenzione, controlli, cure saranno sempre più difficili da ottenere senza costi insopportabili per chi ha un basso reddito. E i poveri si ammaleranno di più.
Quelle che si stanno attuando sono misure di criminalità economica che colpiscono a fondo le nostre vite. Sono quelle imposte dalla logica dei Memorandum della Troika – Fmi, Bce, Ue – che il governo italiano ha accettato a Bruxelles, mentre l’opinione pubblica credeva il contrario. Complice una stampa che quei giorni parlava solo di calcio e mescolava in piena malafede Monti e Balotelli.
E così andiamo verso la Grecia mentre ci spiegano che stiamo andando nella direzione opposta. È la più grande truffa politico mediatica del dopoguerra.
Giorgio Cremaschi
(5 luglio 2012)

Stiglitz: “L’accordo di Bruxelles serve solo a prendere tempo, mentre nessuno pensa alla crescita”

Posted by keynesblog
C’è poco da stare allegri, nonostante l’immediata euforia che è seguita alla conclusione del summit europeo sulle misure salva-euro: la voce di Joseph Stiglitz si unisce al diffuso scetticismo di molti economisti circa la possibilità degli accordi presi a Bruxelles di ristabilire la fiducia dei mercati nella moneta unica.

Secondo Stiglitz l’euro è ad oggi come un condannato a morte al quale è stata rinviata l’esecuzione. Insomma, è sì vero che sono stati compresi alcuni meccanismi di ordine finanziario – come l’inefficacia di azioni di prestito alle banche per salvare gli stati e di prestiti agli stati per salvare le banche – ma non è questo il cuore del problema e si tratta in definitiva di questioni molto semplici a cui si sarebbe potuto arrivare ben prima.
Ben poco si è fatto sull’aspetto cruciale della crisi, cioè la crescita economica, sapendo peraltro che non può essere certo conseguita con piani di austerità. Quel po’ che esiste nel merito, la ricapitalizzazione della Banca Europea degli Investimenti, è ben poca cosa ed è stato fatto troppo tardi, sottolinea Stiglitz. E i mercati badano al sodo: sanno che questo non può funzionare, che l’austerità non funziona, e quindi i tassi di interesse sul debito non scenderanno. La Germania nel frattempo sembra far finta di nulla e insiste con le sue ricette nefaste che non possono che portare al fallimento degli stati in gravi situazioni debitorie.
Ciò che davvero può garantire la solidità del sistema finanziario dei paesi in difficoltà – sostiene il premio Nobel – è la ripresa di un robusto processo di crescita. Nessuna regola, per quanto sofisticata, di controllo del sistema bancario può fare altrettanto. E’ necessario in tal senso ragionare sul fatto che i paesi in crisi finanziaria non riscontravano problemi prima della crisi. Allo stesso tempo la Germania dovrebbe rendersi conto che anche a sua economia dipende dalla tenuta dell’euro e dal buon andamento delle economie periferiche.
Debbono e possono essere messe in campo politiche di intervento alternative, questo è il punto, conclude Stiglitz. Temporeggiare è ormai pernicioso, tanto più che la sfiducia dei mercati non è specifica delle economie deboli della periferia, ma è riferita alla capacità che l’intero costrutto dell’euro sia in grado di funzionare efficacemente, dimostrando di saper riappianare i suoi squilibri.
Leggi l’articolo su Project Syndicate (in Italiano)

La storia si ripete

Riflessioni sulle conclusioni del summit europeo del 28-29 giugno 2012

di Andrea Fumagalli

La chiusura del vertice europeo di Bruxelles del 28-29 giugno è stata salutata dalla stampa europea, e in particolare da quella italiana, come una svolta. La conferenza stampa finale ribadiva il cambiamento. Ma siamo certi che sia proprio così?

Due erano i principali punti all’ordine del giorno. Il primo doveva trattare delle situazioni nazionali che vivevano una particolare situazione di crisi, soprattutto nell’ambito del mercato del credito. I riflettori erano puntati su Grecia, Spagna e Cipro. Con riferimento alla Grecia, si trattava di dare una risposta alla richiesta del nuovo governo ellenico, pressato da una crescente opposizione politica, di diluire nel tempo il piano, ancora di lacrime e sangue, di rientro del debito pubblico, in un contesto, comunque, in cui il commissariamento europeo, ledendo la sovranità greca sul solo lato della spesa, garantiva il reperimento della liquidità necessaria al pagamento degli interessi (da usura) alle banche creditrici di Germania e Francia. Ebbene, molto semplicemente tale richiesta non è stata nemmeno presa in considerazione. Si è preferito soffermarsi, invece, sul problema della sostenibilità finanziaria delle banche cipriote e spagnole. Al riguardo, con particolare riferimento alle banche spagnole (declassate più volte dalle agenzie di rating), oltre a confermare l’intervento dell’ammontare di circa 62 miliardi di euro deciso nelle settimane scorse sotto il patrocinio della BCE, si è provveduto a garantire e a definire il processo di ricapitalizzazione di alcune banche, anche attingendo al Fondo Salva Stati (come già dichiarato dal governatore Draghi). Questo aspetto è legato a una delle richieste che da più parti è stata sollevata negli ultimi giorni: quella di procedere a una unione bancaria europea.

L’idea è tanto semplice quanto perversa. Poiché, dopo 20 anni, ci si è resi conto che la sola Unione Monetaria non era sufficiente a fare da scudo alle pressioni speculative (nonostante quanto dichiarato più volte), allora si propone (sempre negli ambiti dell’oligarchia finanziaria) che un maggior coordinamento bancario a livello europeo possa costituire una sorta di scudo in grado di prevenire comportamenti opportunistici e speculativi. Di fatto, come ai tempi di Maastricht, lo scopo è quello di rinsaldare la struttura della governance finanziaria, oggi perno su cui ruota il processo di valorizzazione capitalistica. Tale strategia viene giustificata con l’argomentazione, tipicamente neo-liberista, che è il “mercato” come entità metafisica a volerlo. Nella realtà sappiamo bene che si tratta dell’ennesimo tentativo ribadire la forza dei dispositivi dominanti, nella stretta della crisi. Errare humanum est, perseverare diabolicum.

IL TEMPO DELLA POLITICA «AUSTERITARIA»

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OPINIONI di Angelo d'Orsi IL TEMPO DELLA POLITICA «AUSTERITARIA»
È nato un neologismo adeguato ai tempi della crisi, i tempi della postdemocrazia, espressione politica del turbocapitalismo (o finanzcapitalismo, o ultracapitalismo, o ipercapitalismo). Un neologismo che coglie in la coincidenza tra la politica di austerità - che significa sacrifici per i ceti medio-bassi - e l'attitudine a risolvere le tensioni sociali che quella politica genera con le maniere forti. Insomma: si tratta della nuova politica austeritaria: autoritarismo per imporre l'austerità. La promuovono e cercano con ogni mezzo di farla applicare governi che sono espressione degli stessi gruppi sociali che sono i primi responsabili della crisi, e che della sua gestione continuano largamente a beneficiare, come dimostrano i dati che testimoniano un allargamento della forbice tra ricchi e poveri, con una sostanziale, progressiva diminuzione (e in prospettiva forse sparizione) delle classi medie.
Dunque, nella politica austeritaria, mentre si riducono gli spazi di democrazia per i cittadini, ai quali si lascia credere di poter contare, con le elezioni, anche quelle referendarie, ma che non hanno alcuna possibilità di incidere sulla vita della collettività: ossia, il ruolo di cittadinanza viene meno, mentre si riaffaccia un rapporto di sudditanza verso il potere, che sia rappresentato da un sindaco, un assessore, un sottosegretario, un ministro, un presidente.
Si pensi alla esaltante battaglia condotta e vinta coi referendum di un anno fa. Mentre addirittura un neoministro in carica non evitò di affermare che sul nucleare non era detta l'ultima parola, e che ci si sarebbe potuto e dovuto ripensare, pressoché tutte le amministrazioni locali - in una inquietante identità tra centrosinistra e centrodestra - si sono affrettate a mettere in vendita quote di pubblici servizi, a cominciare dalle aziende erogatrici dell'acqua; si sono precipitate insomma a privatizzare i beni comuni. Non c'è che dire: un bel risultato per la democrazia.
Contemporaneamente, il governo mena fendenti allo Stato sociale, colpisce le garanzie dei lavoratori, li getta alla mercé di un padronato sempre più aggressivo e arrogante. Molte delle azioni governative, a cominciare da quella sull'articolo 18 (ossia per la sua eliminazione, o smantellamento), appaiono ideologiche, prive di qualsiasi effettivo risultato, prevedibilmente, sull'economia del Paese: ma si devono fare, e con l'alibi comunitario («le riforme che chiede l'Europa»), si conduce una guerra totale a fini puramente simbolici: si deve dare l'impressione alla controparte sociale - governo e classi dominanti da questo punto di vista sono tutt'uno - che è sconfitta, che non deve permettersi di rialzare la testa, che deve trangugiare ogni amaro calice che le venga offerto (imposto), e tacere.
Mi riferisco all'Italia, certo; ma la situazione è generale, e dovunque nel capitalismo finanziario dominante, anche se sull'orlo del baratro, si impongono scelte dolorose per i ceti subalterni, e come ci si può riuscire? Non basta più la macchina del consenso; non sono sufficienti gli editoriali dei grandi giornali, cartacei o radiotelevisivi; non è sufficiente una massiccia propaganda, che ci invade e ottenebra le menti; è inevitabile il ricorso alla violenza legittima: la violenza degli apparati di polizia. Da Wall Street al Québec, da Basiano alla Val di Susa, lo Stato mostra il suo volto feroce, con un accanimento che stupisce, ove non lo si connetta alla necessità di imporre i nuovi assetti sociali. Tutti coloro che provano a dire di no, ritenendo ancora di essere cittadini, pur essendo tra i meno garantiti (precari, licenziati,cassintegrati, disoccupati,per non parlar dei migranti, che, si sa, sono non persone), sono trattati come popolazione indigena da parte di truppe coloniali.
E intanto si incancreniscono le situazioni: i tanti esodati sfuggiti all'improbabile e goffo conteggio della professoressa Fornero, i lavoratori (e i titolari) di piccole imprese che chiudono giorno dopo giorno, e che dalla riforma del mercato del lavoro (una «boiata» secondo il nuovo presidente di Confindustria) certo non possono ricevere ossigeno.
E mentre il governo - questo, come altri nel mondo - che si è congratulato immediatamente per la vittoria della destra in Grecia, continua nelle sue manovre, all'insegna di una dichiarata volontà di ricupero della coesione sociale, le forze dell'ordine spaccano gambe, rompono teste, sbattono in cella di sicurezza i rappresentanti delle nuove (e vecchie) "classi pericolose". Le lacrime e il sangue non sono più una metafora.
THE DIAZ SCHOOL MASSACRE: POLICE :4 STUDENTS: 0
The police team received at the Republic’s Presidential palace
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mercoledì 4 luglio 2012

Come la speculazione ricade sui «costi» della vita di tutti i giorni

L'eventualità che la Gran Bretagna indica un referendum per decidere se uscire o restare nell'Unione europea, ventilata qualche giorno fa dal premier David Cameron, è forse un bluff. Fa forse parte della trattativa politica. Ma, in ogni caso, denuncia il noto malessere anglosassone. Che cresce anche perché le regole allo studio in Europa per contrastare la speculazione non piacciono Oltremanica: andrebbero infatti a sfavorire le banche inglesi. Andrebbero a imbrigliare la grande finanza. Eppure è ancora oggi proprio la finanza, con le sue mastodontiche proporzioni e la sua assenza di regole efficaci, a influenzare gli eventi e ad alterare il mondo reale: lo dimostra lo scandalo del tasso Libor manipolato, ma anche le dinamiche sui titoli di Stato, sui derivati, sulle Borse. Un po' più di regole, insomma, non farebbero male al mondo reale. Altrimenti sarà sempre la finanza, avvolta nell'opacità, il grande burattinaio del mondo. Come lo è da anni.
Il mutuo alterato
Lo scandalo del Libor lo dimostra. Il tasso è determinato ogni giorno in base alle segnalazioni che fanno 16 banche all'Associazione bancaria inglese. Ebbene: se le segnalazioni sono state manipolate, anche i tassi di tanti mutui, prestiti o titoli sono stati artefatti. Bene inteso: questo non necessariamente è stato svantaggioso per chi ha un mutuo ancorato al tasso Libor (equivalente in Inghilterra all'Euribor). Il sospetto è anzi che alcune banche abbiano comunicato all'Associazione tassi troppo bassi, avvantaggiando dunque chi ha un mutuo.
Ma questo cambia poco: la presunta manipolazione del Libor ha comunque "drogato" circa 800 miliardi di dollari di prestiti, mutui e titoli. A vantaggio (ingiusto) di alcuni, a svantaggio (ingiusto) di altri. Per non parlare delle banche: dichiarando tassi falsati, hanno influenzato a loro piacimento tutta la loro attività.
I derivati e i debiti statali
Anche i derivati possono cambiare la vita di tutti i giorni: con la loro stazza di 647mila miliardi di dollari (calcolava la Bri a fine 2011), il loro valore è 14 volte più grande del Pil del mondo intero. Ovvio che, con queste dimensioni, possano determinare gli eventi. Prendiamo, ad esempio, i credit default swap (cds): speciali polizze assicurative che servono agli investitori per coprirsi dal rischio di insolvenza di qualunque Stato o impresa. Dato che il costo della polizza varia a seconda della rischiosità di ogni Stato o azienda, quando il costo dei Cds sale lancia l'allarme rosso sui mercati e fa salire il costo effettivo del debito dello Stato o dell'azienda in questione. Si dirà: è il mercato a decidere se il costo del Cds sale o scende. Vero, ma il mercato è in gran parte in mano alle prime quattro banche Usa che da sole detengono 212mila miliardi di derivati. Ovvia la domanda: queste banche (o altre) sarebbero in grado di manipolare il mercato dei Cds, influenzando a loro piacimento il costo del debito di Stati o aziende?
Sugli Stati grandi, Italia inclusa, questo è forse difficile. Ma su Stati piccoli, come la Grecia, non lo si può escludere. Anzi: sul mercato si racconta che ad inguaiare Atene sia stata anche (non solo, ovvio) la speculazione sui Cds greci. Possibile che qualcuno abbia mosso quelli (che essendo illiquidi non necessitavano di grandi somme), alterando il costo del debito della Grecia e peggiorandone la crisi? Lo stesso discorso si può fare sulle aziende, che molto spesso hanno più Cds (cioè polizze sul debito) che debiti. Un esempio a caso: la catena di supermercati Carrefour ha 17,6 miliardi di euro di debiti sul mercato, ma 26 miliardi di polizze Cds. Questo, in un mercato opaco, può fomentare la speculazione? Può cambiare la vita di aziende o Stati? Nessuno può veramente saperlo.

Rossana Rossanda

Fonte: il manifesto | Autore: Rossana Rossanda
L’Europa difficile
Nel nostro forum «Un’altra strada per l’Europa» del 28 giugno a Bruxelles, la prima sessione ha avanzato delle proposte in larga parte convergenti sui limiti da porre al dominio della finanza e alle banche, e sugli interventi d’emergenza per i paesi colpiti dalla speculazione. Come è noto, il Consiglio europeo, che si svolgeva in contemporanea, ne recepiva una parte minima. È altrettanto noto che la stampa ha inneggiato a questo minimo – azione «antispread» e unione bancaria – con toni trionfalistici, attribuendolo al passaggio della presidenza della repubblica francese del liberista Sarkozy al socialista (se non keynesiano) Hollande, e al salto del liberista Monti da alleato con la Germania ad alleato con la Francia, la Spagna e l’Italia. Vittoria dei paesi del sud, hanno strillato, tale e quale come all’Euro 2012 del football. La signora Merkel ha incassato e ha fatto incassare anche al Bundestag il modesto passetto indietro…
Tutto questo è avvenuto nella sede della Ue ma fuori da ogni procedura comunitaria, perché non è scritto da nessuna parte che le decisioni continentali si debbano al cambiare di orientamento dei governi di un paio di nazioni. Qualche giorno prima un documento di Van Rompuy e Barroso faceva capire che la Commissione sentiva arrivare le proteste e cercava di farvi fronte con il minimo di concessioni, anzi con un elevarsi del prezzo da pagare da ciascun paese in cambio di un aiuto.
Al nostro forum, Susan George ne rivelava il meccanismo e nella seduta dedicata a «Una Europa democratica» ci mettevamo reciprocamente in guardia dalle ambiguità della domanda di «più Europa»: in bocca alla Germania e alle nazioni del nord significa più intrusione della Troika nel comportamento nazionale dei più deboli quando chiedono aiuto (si pensi al fatale Memorandum imposto alla Grecia) mentre per noi significa più partecipazione delle nazioni alle decisioni comunitarie, aiuti compresi.
Ma su questo tema neanche il nostro forum ha fatto consistenti passi avanti. Il nostro richiamo a «più democrazia» si trova di fronte a due spinte opposte. La prima, esplicita, è quella del gruppo Spinelli, che da anni ripropone la sua linea per un’Europa federale e sovranazionale, una strada giusta ma declinata più sul fronte tecnocratico che su quello della partecipazione. La seconda è la spinta populista che si mostra in quasi tutte le elezioni nazionali, verso un furioso distacco dalla Ue e la ripresa da parte di ogni paese della sua libertà d’azione, a ricominciare dalla propria moneta. Non per caso si dice «crisi dell’Europa» e «crisi dell’euro» come se fossero la stessa cosa.
A torto? Non del tutto a torto. Essi rivelano il carattere un po’ mostruoso della comunità europea attuale, assai più simile alla «Europa delle patrie» cara a de Gaulle che a una comunità effettiva di stati, decisi a mettere in comune i loro fondamentali indirizzi; oggi la Ue governa con alcune sue leggi fortemente costrittive – nate con il Trattato di Maastricht e imposte con i vari «Patti» su stabilità, crescita e politica fiscale – su paesi di tutt’altra forza, dimensioni, composizione sociale, situazione fiscale e diritti contrattuali. I trattati infatti, loquaci in tema di diritti umani e politici, sono singolarmente muti o vaghi quando si tratta di diritti sociali, – vulgo, quando si tratta di concordare il portafoglio.

Da che pulpito viene la predica

Da che pulpito viene la predica
9siria
di Manlio Dinucci
«Profondamente preoccupati per l'intensificazione della violenza», che rischia di allargare il conflitto a dimensioni regionali, chiedono con fermezza «la cessazione della violenza armata in tutte le sue forme». Chi sono i non-violenti? I membri del Gruppo di azione per la Siria che, riunitisi a Ginevra il 30 giugno, hanno emesso un comunicato finale. Alla testa dei non-violenti vi sono gli Stati uniti, registi dell'operazione bellica con cui, dopo la distruzione dello stato libico, tentano di smantellare anche quello siriano. Agenti della Cia, scrive il New York Times, operano segretamente nella Turchia meridionale, reclutando e armando i gruppi che combattono il governo siriano. Attraverso una rete ombra transfrontaliera, in cui opera anche il Mossad, essi ricevono fucili automatici, munizioni, razzi anticarro, esplosivi. Con un video su YouTube, mostrano come sanno ben usarli: un camion civile, mentre passa accanto a un magazzino, viene distrutto dall'esplosione di un potente ordigno telecomandato. Esprime la sua «opposizione all'ulteriore militarizzazione del conflitto», che deve essere «risolto attraverso un pacifico dialogo», anche la Turchia: quella che fornisce il centro di comando a Istanbul, da cui viene diretta l'operazione, e le basi militari in cui vengono addestrati i gruppi armati prima di infiltrarli in Siria; quella che, prendendo a pretesto l'abbattimento di un proprio aereo militare che volava a bassa quota lungo la costa siriana per saggiarne le difese antiaeree, ora ammassa le proprie truppe al confine minacciando un intervento «difensivo». Che farebbe da innesco a un attacco su larga scala della Nato in base all'articolo 5, rispolverato per l'occasione mentre per l'attacco alla Libia è stato usato il non-articolo 5. Dichiarano di essere «impegnati a difendere la sovranità, indipendenza, unità nazionale e integrità territoriale della Siria» anche gli altri membri del Gruppo: Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Qatar. Quelli che attuano in Siria la stessa operazione già effettuata in Libia: addestrando e armando il «Libero esercito siriano» e altri gruppi (circa un centinaio), reclutati in vari paesi, i cui membri sono pagati dall'Arabia Saudita; utilizzando anche militanti e interi gruppi armati islamici, prima bollati come pericolosi terroristi; infiltrando in Siria forze speciali, come quelle qatariane inviate l'anno scorso in Libia, camuffate da gruppi interni di opposizione. E i membri del Gruppo di azione che chiedono «libertà di movimento in tutto il paese per i giornalisti», sono gli stessi che, mistificando anche le immagini, conducono una martellante campagna mediatica su scala mondiale per attribuire al governo siriano la responsabilità di tutte le stragi. Gli stessi che hanno organizzato l'attentato terroristico in cui sono rimasti uccisi tre giornalisti siriani, quando un loro gruppo armato ha attaccato la televisione al-Ekhbaria a Damasco, colpendola con razzi e facendola poi saltare in aria. Salta così in aria anche l'assicurazione di Russia e Cina, membri del Gruppo di azione, che nessuno dall'esterno può prendere decisioni concernenti il popolo siriano. Le potenze occidentali hanno già deciso, azionando la loro macchina bellica, di annettere di nuovo la Siria al loro impero.
da Il Manifesto, 3 Luglio 2012

Europa, chi ha vinto?

Europa, chi ha vinto?
3mercati
di Giulietto Chiesa
Tutti imbambolati gl’italiani hanno fatto confusione tra la vittoria dell’Italia sulla Germania e la “vittoria” di Mario Monti sulla Merkel.
Hanno esultato le borse.
Voglio ben vedere! Erano le uniche che potevano esultare, visto che sono state le banche a prendersi il bottino.
E tutti ad applaudire come zombi. Non ci siamo accorti che tutta l’operazione serviva solo a ”rassicurare i mercati”. Cioè a sistemare i conti dei ladri. Non i nostri.
Adesso facciamo i conti. Ma, prima di tutto, facciamo una scommessa: quanto credete che duri la bonaccia dello spread? Io dico che durerà qualche mese, fino a settembre-ottobre. Poi si ricomincia il ballo di San Vito, il “loro ballo”.
Solo gl’ingenui di Repubblica e gli economisti di regime che tengono bordone possono pensare che la cosiddetta “speculazione” si accontenti di così poco. E’ come aspettarsi da una tigre affamata che ti mangi solo un braccio. Non esistono tigri del genere.
Il cosiddetto “Meccanismo di Stabilità” è come un antipastino prima della grande abbuffata. Che è la terza. Qualcuno ha fatto i conti: le banche hanno già ricevuto 4500 miliardi di euro, cioè circa un terzo del pil europeo.
La scommessa è facile. Basta guardare se, per caso, la compagnia di giro del gruppo Bilderberg-Goldman Sachs-Rockfeller e invisibili assortiti ha previsto di concedere qualche cosa.
Se non ve ne siete accorti ve lo comunico io: niente.
Divisione delle banche commerciali da quelle speculative? Niente. Divieto dei derivati? Non scherziamo. Chiusura degli off shore? Non fatemi ridere. Tassazione sui movimenti dei capitali? Risate a crepapelle. Imposizione di tasse adeguate alle grandi compagnie d’investimento? Questa è buona. Riduzione delle stratosferiche prebende ai banchieri? Se lo ripeti ti sparo.
Hanno annunciato l’unione bancaria. Cosa sia nessun lo sa. Sappiamo solo che sarà controllata dall’entità meno trasparente d’Europa, cioè la Bce.
A noi resta da pagare tutto. E ai maggiordomi il compito di privatizzare anche le nostre mutande. Avevamo previsto che saremmo andati tutti in Grecia, ma senza prendere l’aereo, visto che la Grecia arriverà in casa nostra. Questo ci preparano. E’ perfino possibile che non se ne rendano conto (quando sento parlare una come la Fornero mi viene il pensiero che questa non sappia nemmeno in che continente vive, non dico paese). Ma altri di questi forsennati lo sanno benissimo. Sono pronti e decisi. Preparano lo scontro sociale. La mia proposta è: prepariamoci a restituirglielo.
da ilfattoquotidiano.it

VERTICE UE: «SOLO LE BANCHE ESCONO VITTORIOSE DAL SUMMIT EUROPEO»


Dichiarazione congiunta di Pierre Laurent, segretario nazionale del Partito comunista francese (Francia) e presidente del partito della Sinistra Europea, Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, Alexis Tsipras, presidente di Syriza (Grecia) e vice presidente del partito della Sinistra Europea, Cayo Lara, portavoce di Izquierda Unida (Spagna), Jose-Luis Centella, segretario generale del PCE (Spagna), Katja Kipping & Bernd Riexinger,co-presidenti di Die Linke (Germania):
«I capi di Stato dei nostri paesi di ritorno dal vertice UE hanno dichiarato a gran voce che hanno strappato delle vittorie per i popoli, delle flessioni da parte della Cancelliera Merkel, di Mario Draghi o di Jean-Claude Junker. Avrebbero per la 19^ volta dall'inizio della crisi, "salvato l'Europa". Francois Hollande ha dichiarato persino che l’Europa si è “riorientata” nella giusta direzione.
Questa è pubblicità ingannevole. Il patto di bilancio (fiscal compact) resta intatto. Non c’è stata alcuna "rinegoziazione" e la componente di crescita promossa da Francois Hollande non ha alcun valore legale. Diretto o indiretto, finanziato dal Mes (Meccanismo europeo di stabilità) o no, il così detto "aiuto finanziario" sarà ancora una volta pagato interamente dai cittadini europei, attraverso tagli di bilancio e attacchi ai diritti dei lavoratori. Tutte le disposizioni adottate in nome della solidarietà con l'Italia e la Spagna sono solo misure di socializzazione delle perdite. Ciò significherà anche una perdita della sovranità dei popoli e il declino della democrazia parlamentare. La verità è che i negoziati nell'Ue liberale sono a 27 ma a vincere sono sempre le banche. Facciamo appello a tutti gli uomini e le donne di sinistra, a tutti gli eletti che siedono nei parlamenti affinchè si mobilitino per impedire la ratifica di questo patto fatale nei nostri paesi. Solo una rifondazione dell'Ue può permettere un’uscita dalla crisi. Continueremo a ripeterlo: l'austerità porta la recessione. Non ci può essere crescita in questo quadro. Noi proponiamo un'alternativa:
una soluzione europea per il debito pubblico esistente, insostenibile, che proponga la sua decisiva riduzione;
cambiare il ruolo e i compiti della Bce, per favorire la creazione di occupazione e la formazione, non gli speculatori;
creare una nuova istituzione: una banca pubblica europea, finanziata dalla Bce e dalla tassa sulle transazioni finanziarie, i cui fondi siano utilizzati esclusivamente per promuovere gli investimenti pubblici nei servizi pubblici e sviluppo industriale sostenibile;
uniformare al livello più alto i diritti dei lavoratori e tutti i diritti sociali».
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martedì 3 luglio 2012

La Costituzione esce dalle fabbriche

GIORGIO CREMASCHI 

gcremaschiIl 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro. Oggi ne esce, con la controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non è più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all’ attacco all’articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non è stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No, colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil. Non è vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. È vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C’era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese.
Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed è per questo che non si è fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si è trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l’articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte è saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva Monti, viva l’euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà, e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell’assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come è maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne è più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti e del Pd che lo sostiene. Dei quali dovremo essere solo intransigenti avversari.
Giorgio Cremaschi
(28 giugno 2012)

L'esempio di Cipro

L'esempio di Cipro: sottrarsi alla morsa Ue diversificando le proprie relazioni economiche
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di Fausto Sorini
Cipro è l'unico paese dell'Unione europea ad avere un Presidente comunista, il compagno Dimitris Christofias, e dal 1° luglio presiederà per 6 mesi il Consiglio dell'Ue. Certo non potrà far molto, dati i rapporti di forza e di classe interni all'Unione, ma un esempio di come affrontare con senso della dignità e sovranità nazionale, il presidente compagno ce l'ha dato nei giorni scorsi. Il Corriere della Sera (26 giugno 2012) ci informa che “il governo cipriota, che necessita di un'assistenza finanziaria pari a circa 4 miliardi di euro, oltre che rivolgere la sua richiesta agli istituti finanziari dell'Ue per una cifra pari a 1,8 miliardi di euro, si è rivolto anche ad altri paesi extra-Ue come Russia e Cina per accordi bilaterali di aiuti”.

E, scrivono il Corriere e il Sole 24 ore dello stesso giorno, che “da Mosca Cipro ha già ricevuto 2,5 miliardi”, e sarebbe “orientata a chiederle un secondo prestito bilaterale fra i 3 e i 5 miliardi”. Tali prestiti, come è noto per chi conosce le regole cui si attengono i Paesi del BRICS, vengono concessi senza quelle condizioni capestro in termini di interessi, vincoli e pretese di interferenza nella politica interna dei paesi interessati, con modalità assai diverse da quelle in uso nell'Unione europea e nella BCE, che sborsano a condizione che i paesi destinatari del credito si assoggettino a quei rigidi diktat di massacro sociale e di rigore in versione “fiscal compact” che abbiamo visto operare nel caso estremo della Grecia, ma anche nell'Italia del governo Monti.
Questa logica – al di là del merito – umilia e vanifica la sovranità nazionale dei singoli paesi; sovranità che in nome dell'”Europa politica più integrata e federale”, i poteri forti di questa Ue neo-imperialista ed euro-atlantica vorrebbero rendere ancora più subalterni agli interessi dei centri dominanti del capitalismo europeo (altro che “Europa dei popoli”!). Nessuno si faccia fuorviare da certa retorica “europeista” che a volte viene bevuta anche a sinistra senza il minimo senso critico: questa Unione europea “più politica e integrata” che proprio in questi giorni hanno discusso a Bruxelles i vari Merkel, Hollande, Monti, Cameron, con la benedizione del presidente Obama e del nostro Napolitano, è una Unione in cui, per dirla sempre col Corsera, “Bruxelles potrà riscrivere i bilanci dei singoli Stati”; per cui “la Finanziaria di uno Stato che abbia i conti in disordine sarà esaminata in Europa prima ancora di approdare in Parlamento”. E “sarebbe di fatto riscritta a Bruxelles se non convince, e con la pena di multe salate se non si adeguasse”.Ecco perchè la piccola Cipro indica le linee generali di una ipotesi alternativa che potrebbe valere anche per l'Italia, se essa fosse guidata da un governo non succube della Nato e della Ue. Stare o non stare nell'UE e/ nell'euro, non è un dibattito che può essere impostato in modo astratto (la Svizzera e la Norvegia non fanno parte dell'Ue ma sono fortemente integrate nella politica del continente; idem per la Svezia e la Gran Bretagna che sono nell'Ue ma non fanno parte dell'eurozona...). Né tale dibattito può essere risolto con battute semplicistiche secondo cui Ue e euro sono tabù intoccabili, soprattutto a sinistra, che non tengono conto che l'Ue di oggi, nella crisi mondiale, è divenuta cosa assai diversa di quella che fu l'idea di Europa dall'Atlantico agli Urali che in un contesto storico completamente diverso da quello presente affascinò (e illuse) anche alcune personalità di indiscusso profilo progressista, socialdemocratiche e non. La socialdemocrazia liberale europea di oggi, nella sua grande maggioranza e nei suoi assi portanti, non è portatrice di un disegno sostanzialmente alternativo di Europa rispetto a quello delle forze conservatrici imperniate sul Partito popolare europeo: e nel contesto italiano ciò viene messo in luce dalla straordinaria sintonia in materia di Ue che plasticamente ci trasmette il patto strategico tra Casini e Bersani, che in questo profilo “europeista” si colloca organicamente.Siamo chiari: non stiamo ammiccando a rigurgiti di tipo nazionalista o isolazionista che sarebbero fuori dalla storia. Il vero dibattito (e scontro) mondiale sulle questioni valutarie allude ormai – grazie alla spinta che viene dai BRICS, dal Giappone, e soprattutto dalla Cina - all'esigenza secondo cui è ora di porre fine - sia pure gradualmente e possibilmente senza pagare il prezzo di una terza guerra mondiale – al signoraggio neo-imperialista di certe valute (e di certi paesi) rispetto ad altri. Il tema all'ordine del giorno è ormai quello di un sistema valutario internazionale concordato mondialmente e che inevitabilmente porti con sé la fine del primato del dollaro, ma anche di un euro sempre più dominato da un rinascente imperialismo tedesco che – in un contesto dialettico di competizione-concertazione con l'alleato americano - vuole ormai dettare le sue condizioni ai popoli europei.Quello che la piccola Cipro ci indica, in piena autonomia dalla Nato e dai condizionamenti più pesanti di questa Ue di cui essa pure fa parte, è l'esigenza di una diversificazione delle proprie relazioni economiche, politiche, finanziarie dentro e fuori la Ue, con una sguardo attento ai BRICS e a quelle grandi potenze emergenti, come Russia e Cina, che, diversamente dai poteri forti della Ue, concedono prestiti (si pensi alla politica cinese in Africa) senza pretendere di interferire nella politica economica interna dei paesi debitori: semmai stabilendo con essi rapporti di cooperazione mutualmente vantaggiosi, nel rispetto rigoroso delle rispettive sovranità, così come dovrebbe essere in un nuovo ordine mondiale democratico, di cooperazione e di pace. Che non è certo quello che oggi ci viene prefigurato dalla cosiddetta “comunità euro-atlantica” di cui l'Italia e il suo governo sono ancora scandalosamente succubi. E che mentre tratta a Bruxelles come contemperare gli interessi dei poteri forti dei vari paesi, si prepara alla guerra alla Siria.
da Marx21

Il riformismo ha fallito. L'Europa del rigore va rovesciata.

Giorgio Cremaschi | socialismoesinistra

Si festeggiano assieme la vittoria dell'Ìtalia nel calcio e quella del governo nel vertice di Bruxelles. Ma è sbagliato perché Monti vince contro di noi.
La conquista, infatti, di qualche intervento per abbassare lo spread avviene al prezzo dell'accettazione dei piu rigidi meccanismi del fiscal compact. Cioè ancora controriforme, tagli, tasse e privatizzazioni. Si dice che però questo avviene avendo respinto l'intervento diretto dei poteri europei e del fondo monetario, la famigerata troika che ha portato alla fame la grecia.
Sì è vero non siamo stati formalmente invasi, ma ci siamo autoinvasi accettando tutte le condizioni degli invasori. Come la polonia del 1981 ove il generale Jaruselsky prese il potere per evitare l'invasione sovietica. Quindi niente gioia calcistica applicata allo spread, la direzione di marcia continua ad essere quella che ci ha portato alla crisi attuale.

La questione di fondo in Ìtalia e in europa è la necessità della rottura con il pensiero e la politica unica che le comandano. Oggi questa politica ha portato il continente nella più grave crisi economica dal 1929. Del resto la politica economica è la stessa dei governi di allora, austerità, tagli alla spesa pubblica, distruzione dei diritti del lavoro. Il risultato di allora fu il nazismo in Germania.

Oggi non sappiamo dove finirà la crisi sul piano politico, ma sappiamo che non finirà. Il governo Monti è l'espressione diretta di questa politica. Tecnicamente è un governo reazionario, perché al centro del suo operare sta la controriforma sociale. Tutto il sistema dei diritti sociali deve essere completamente smantellato, la crisi deve essere affrontata facendo ricorso agli spiriti animali del mercato e alla competitività selvaggia delle persone. Come ha detto la ministra Fornero il lavoro non è un diritto, ma deve essere conquistato nella dura lotta per la sopravvivenza. Un paese diventato una società low cost potrà tornare ad attirare gli investimenti. Questo è quanto pensa più in grande il presidente della Bce Mario Draghi, che ha recentemente affermato che il sistema sociale europeo è destinato a morire. E lui sta tra coloro che si prodigano per accelerarne la fine.

Questa Europa non è riformabile e va verso la crisi estrema, assieme alle classi dirigenti di centro destra e centro sinistra unite nel condurre al disastro.

Il governo Monti esiste e agisce con il sostegno determinante del Pd. In Grecia per la prima volta è stata la moneta a vincere le elezioni, e ha formato un governo con forze politiche gemelle a quelle che governano in Italia. Sarà ancora presto per dirlo, ma la prima impressione è che il riformismo progressista del governo Hollande sia già in difficoltà di fronte al sistema di comando europeo.
Se vogliamo salvare la democrazia sociale del dopoguerra, anzi farla progredire, questa Europa della Bce, del fiscal compact, dei patti di stabilità va rovesciata, non c'è nulla da salvare in essa. Le ridicole discussioni su come aggiungere crescita al rigore, prive di qualsiasi senso compiuto, lo dimostrano. Oggi una sinistra anticapitalista in Europa si ricostruisce a partire dal no al rigore. Questa è la discriminante costituente dei nuovi schieramenti e non la ridicola distinzione tra un centro destra e un centro sinistra che sostengono la stessa politica.
Deve saltare il banco, deve essere rifiutata la schiavitù del debito e tutto il corollario di austerità per i poveri e speculazione per i ricchi. E non ci si può far ricattare dalla moneta, ultimo spauracchio agitato di fronte alla crescente rabbia sociale, dopo che i ricatti della signora Merkel si sono indeboliti. Questa Europa va distrutta e ricostruita su altre basi realmente democratiche, pubblico, eguaglianza, beni comuni, riconversione delle produzioni e dei consumi.
Questo è il solo progresso che il nostro piccolo continente può portare all'umanità.
Giorgio Cremaschi
*No Debito

Il Vertice europeo e la situazione attuale dal punto di vista della borghesia e del proletariato

pc 3 luglio -
Il Vertice europeo tenutosi a fine giugno, salutato come una vittoria di Italia e Spagna sostenuti dalla Francia e come una sconfitta parziale della Merkel, non può ancora essere considerato un passaggio concreto e importante dei governi europei per fronteggiare in condizioni di maggiore unità la crisi finanziaria che li attraversa. Esso va visto da diversi lati.
Il rapporto tra i diversi paesi europei; il rapporto all'interno dei paesi europei; il quadro generale del rapporto tra governi, proletari e masse popolari in Europa.
Il rapporto tra i diversi paesi europei.
E' chiaro che con la caduta di Sarkozy si è temporaneamente indebolito l'asse franco-tedesco che finora era stato un punto di forza soprattutto per il governo tedesco che tramite questo asse aveva imposto la sua politica. Il cosiddetto “Merkozy” non è riconvertibile a breve in un “Merkhollande”. Questo ha incoraggiato nel Vertice l'azione dei governi italiano e spagnolo nel pretendere un maggiore e meno oneroso sostegno come contropartita alle politiche di rigore che essi stanno sviluppando. In questo senso, effettivamente, i governi spagnolo e italiano hanno ottenuto un risultato sulla carta che è concentrato nei punti del 'meccanismo salva spread' e nel 'Fondo salva Stati', vale a dire un intervento vicino all'automatismo nell'utilizzo e l'accesso a questo Fondo per fronteggiare la speculazione e ricapitalizzare il sostegno al sistema bancario ogni volta che esso fosse in grave difficoltà. Se questo però sarà effettivamente attuato sarà da vedere, perchè nell'accordo le parole “in modo flessibili ed efficace” si prestano ad interpretazioni in cui il bastone di comando è ancora essenzialmente nelle mani della Germania.
Il Vertice ha prodotto anche un'apertura verso gli Eurobond nella forma definita di projetbond che dovrebbero servire a finanziare lavori infrastrutturali, sostanzialmente un piano di crescita fondato quasi esclusivamente su questa voce. Su questo ha pesato il parziale cambiamento di politica del governo Hollande, più vicino all'impostazione Eurobond rispetto al governo Sarkozy. In questo senso la Merkel ha dovuto fare dei passi indietro rispetto ad affermazioni rigide delle settimane scorse. Questo si è riflesso subito sul piano interno in Germania nei movimenti interni al parlamento. Alcuni deputati della maggioranza Merkel si sono dissociati, rimpiazzati da parlamentari dell'opposizione Spd che sostengono la politica approvata dalla Merkel al Vertice. Queste modifiche nei rapporti tra governi è troppo presto per vedere se riflettono dei cambiamenti politici reali.
Il rapporto all'interno dei paesi europei.
All'interno di questi paesi i governo italiano, spagnolo e il nuovo francese hanno segnato un punto a favore nel compattamento delle loro maggioranze parlamentari e anche del loro legame di sistema interno, padroni, banche, ecc., mentre abbiamo già detto che il governo tedesco attraversa ora una fase di minore compattamento interno.
L'Europa nel suo insieme trae un vantaggio da questo passaggio nella contesa generale internazionale perchè dà un segno di maggiore unità interna . Se questo costituisca un segnale verso una maggiore integrazione e unità come blocco è ancora troppo presto per valutarlo.
Il quadro generale del rapporto tra governi, proletari e masse popolari in Europa.
Sotto questo punto di vista il Vertice ha segnato una vittoria della borghesia e un fatto molto negativo per i proletari e le masse popolari.
Come considerazione generale vale quella da noi sostenuta da sempre: nella crisi la borghesia scarica sui proletari e le masse popolari gli effetti di essa per salvaguardare sistema e profitti e i proletari sono vittime sacrificali sull'altare della salvaguardia e ripresa dei profitti. Ogni passo che va in questa direzione indebolisce i proletari e rafforza la borghesia. I proletari non hanno alcun interesse all'uscita della crisi da parte della borghesia, bensì al suo approfondimento perchè l'unica uscita dalla crisi che sia a vantaggio dei proletari è quella che comporta il rovesciamento della borghesia e l'uscita dal capitalismo.

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