Nel confronto con la crisi, l’asse Francoforte-Bruxelles si muove lungo il doppio binario dell’austerità e delle riforme strutturali. C’è un punto in cui i due binari s’incontrano per diventare uno solo. E’ il punto dove il taglio della spesa pubblica (austerità) si risolve nel taglio di alcuni capitoli della spesa sociale (riforme strutturali). In tutta l’Unione europea, i due capitoli sui quali s’interviene sono le pensioni e la sanità. In Italia è stata utilizzata la mannaia per le pensioni. Ora s’intensifica l’opera di erosione del sistema sanitario pubblico.
Quando le autorità europee dettano i canoni delle riforme strutturali, il paradigma di riferimento è la riduzione della spesa pubblica associata a dosi crescenti di privatizzazione del welfare. In altri termini il modello americano che nei sistemi pensionistici, sanitari, educativi è caratterizzato dal crescente predominio del mercato.
In questi giorni, mentre in Italia si discute di ennesimi tagli alla sanità, è stata portata all’attenzione la riforma sanitaria americana che, si è salvata dal rischio di essere cancellata dalla Corte Suprema – possibilità sulla quale contava Mitt Romney, il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre.
Quando Obama arrivò alla Casa Bianca, 47 milioni di americani erano privi di assistenza sanitaria, una vergogna per il paese più ricco del mondo. La via più semplice, lungamente coltivata dall’ala liberal del Partito democratico, era la generalizzazione del sistema di assistenza pubblica, Medicare, instaurato da Lyndon Johnson negli anni Sessanta a favore delle persone da 65 anni in su. Si sarebbe trattato di un servizio universale a più basso costo. Ma questo modello si scontò con la violenta opposizione del potente complesso assicurativo-sanitario privato. Lo scontro proseguì per oltre un anno nel Congresso e nel paese senza esclusione di colpi. Obama fu accusato di essere un “socialista”, e di voler importare negli Usa un sistema di welfare di tipo europeo. Il risultato finale fu il compromesso che oggi, per fortuna di Obama, la Corte suprema ha convalidato.
Sulla base della riforma, trentatré milioni di americani che ne sono privi avranno nel corso dei prossimi anni un’assicurazione sanitaria. Di questi, 17 milioni saranno associati a Medicaid, l’assistenza pubblica per i poveri; mentre altri 16 milioni fruiranno di una sovvenzione pubblica tramite un credito d’imposta correlato al livello di reddito. La riforma, cosa non meno importante, prevede anche che le compagnie assicuratrici non potranno rifiutare o revocare l’assicurazione in rapporto alla storia medica o alla patologia delle persone interessate. Come contropartita le assicurazioni hanno chiesto e ottenuto l’obbligo per tutti di contrarre una polizza assicurativa – obbligo che era al centro della denuncia alla Corte suprema da parte di alcuni governatori repubblicani, e che il presidente John Roberts, nominato da Bush, rovesciando la maggioranza di tendenza conservatrice, ha sorprendentemente risolto, interpretando l’obbligo assicurativo, di dubbia legittimità, come una tassa che il Congresso federale poteva imporre senza ledere l’autonomia dei singoli stati.
Obama ha salvato la riforma, e probabilmente il secondo mandato, ma la riforma, per quanto salutata con comprensibile sollievo dai democratici, rimane lontana dalla soluzione dei due fondamentali problemi del sistema sanitario americano: i costi e la diseguaglianza di fronte ai problemi della salute. I costi, infatti, continuano a crescere in termini esplosivi. Alla fine del 2011, il costo medio di una polizza familiare ha superato 15.000 dollari annui. La spesa sanitaria è cresciuta fra il 1999 e il 2011 tre volte di più dei salari e quattro volte di più dell’inflazione media. Poi, dietro le medie si celano profonde diseguaglianze. E’ evidente che,dal punto di vista della prevenzione e dall’accesso alle cure, una polizza, mettiamo, da 10 mila dollari ha un contenuto assicurativo radicalmente diverso da un’altra di 20.000 . Gli assistiti non sono tutti uguali, anche se uguali sono le malattie,le disabilità, i bisogni di cura. E, non a caso, a dispetto dall’alto livello di eccellenza che si riscontra al vertice del sistema per chi può accedervi, l’attesa media di vita è al di sotto della media dell’Ocse, mentre al di sopra è la mortalità infantile.
Intanto, la voracità del sistema fa crescere i costi complessivi a livelli astronomici. Alla fine del 2011, il costo totale ha raggiunto 2,7 trilioni di dollari, il 18 per cento del Pil americano. E, secondo le previsioni si avvia a toccare il 20 per cento del Pil, come dire che un dollaro su cinque della ricchezza prodotta in America sarà consegnato al complesso assicurativo-sanitario. Il confronto con i sistemi sanitari europei di carattere universale e, in linea di principio, gratuiti è clamoroso. Il costo totale medio nell’Unione europea è circa la metà di quello americano, intorno al 9 per cento del Pil. In Francia e Germania con i sistemi più costosi la spesa totale è intorno all’11,5 per cento del Pil. In Italia, la spesa sanitaria totale è pari al 9,6 per cento del Pil (gli ultimi dati comparativi dell’Ocse sono del 2009), al disotto della media europea, più bassa che nel Regno Unito, due punti di Pil al disotto della Francia e della Germania.
Secondo una vecchia graduatoria dell’Ocse, i sistemi sanitari francese e italiano spiccano per la loro eccellenza a livello mondiale. Il vantaggio derivante dal carattere pubblico del sistema è fuori discussione. Questo, ovviamente, non significa che nei sistemi pubblici non vi siano problemi di efficienza, di sprechi, di corruzione. Certamente vi sono. Ma, come ci ha insegnato Albert Hirshman nel suo celebre saggio sulla Retorica della reazione, è un tipico atteggiamento ideologico della conservazione dare l’assalto alle conquiste democratiche e, in particolare, allo stato sociale, denunciandone gli effetti perversi non per eventualmente correggerli, ma allo scopo di trarne motivo per corroderle e smantellarle.
In sostanza, il punto non è ignorare o negare l’insufficienza o lo scadimento della qualità di un servizio pubblico che deve rispondere a bisogni di massa, ma si tratta di intervenire in modo puntuale e razionale per correggerne le disfunzioni non per smembrarlo e, più o meno esplicitamente, avviarne la privatizzazione in nome di una superiore efficienza del mercato che, come dimostra l’esempio americano, è un puro fantasma ideologico alimentato da precisi interessi privatistici.
Sotto questo aspetto, non potrebbe esservi un paradosso più sconcertante. Mentre i democratici americani sognano un modello il più possibile europeo, la tecnocrazia dell”asse Francoforte-Bruxelles, alleata alle destre più o meno tecnocratiche che governano nella maggioranza dei paesi dell”Unione, guardano al modello americano. Va in questa direzione l’opera di erosione della spesa sociale del governo Monti che, sotto il titolo attraente quanto ingannevole della spending review, il carattere di attacco allo Stato sociale, sotto la maschera delle riforme di struttura.