Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 22 ottobre 2011

Mantra del sollevarsi.

di Franco Berardi “Bifo”. Fonte: immaterialiresistenti
Il 15 febbraio del 2003 centomilioni di persone sfilarono nelle strade del mondo per chiedere la pace, per chiedere che la guerra contro l’Iraq non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente (I don’t need a focus group) e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo.

Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento etico, il movimento delle persone per bene che nel mondo rifiutavano la violenza della globalizzazione capitalistica e la violenza della guerra.

Il 15 Ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento
similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando
le popolazioni (come la BCE) sorridono nervosamente e dicono che sono
d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente.
Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la
semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche
o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di
precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia.

La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in
forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati,
perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le
ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce
anche rabbia psicopatica.

Il giorno prima della manifestazione del 16 in un’intervista pubblicata
da un giornaletto che si chiama La Stampa io dichiaravo che a mio parere
era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri,
per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di
acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la
mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io
auspicavo.

Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il
capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla
società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la
devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di
un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve
volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo e del finazismo è
dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione.
Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la
sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il
suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.

Distruggere la paura, affermare il comune

Fonte: controlacrisi
0. Nella sera romana illuminata dai fuochi di Piazza San Giovanni, abbiamo cominciato a interrogarci sulla giornata del 15 ottobre, su ciò che ha rivelato nelle molteplici scale geografiche che si sono incrociate a produrne la dimensione globale, sulla forza e sulle potenzialità che ha fatto emergere, sui problemi che consegna alla nostra riflessione e alle nostre pratiche. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo da materialisti, convinti – per citare uno che la sapeva lunga – che le azioni umane non vadano derise, compiante o detestate, ma prima di tutto comprese. Proviamo a farlo con queste note, segnalando alcuni dei punti che ci sembrano più rilevanti.
1. Partita da un appello degli indignados spagnoli, la mobilitazione del 15 ottobre si è diffusa in centinaia di città ai quattro angoli del pianeta, a riprova dell’efficacia di uno stile di azione e di un linguaggio politico (quello degli indignados, appunto) che meglio di altri paiono adattarsi alle modalità asimmetriche con cui la crisi colpisce società e popolazioni in diversi contesti geografici. La profondità della rottura dello sviluppo capitalistico si è riflessa nello specchio globale del 15 ottobre, offrendo un quadro ancora parziale ma tuttavia rivelatore dell’intensità delle lotte e delle ipotesi costituenti che ovunque cominciano a presentarsi. Straordinarie sono state le mobilitazioni di Madrid e Barcellona, concluse con assedi ai palazzi del potere, con occupazioni di scuole, palazzi e ospedali. Ma molto importanti sono state anche le manifestazioni negli Stati Uniti, che hanno portato un osservatore attento come Immanuel Wallerstein a parlare del più rilevante movimento sociale in quel Paese dal ’68. Anche qui l’occupazione fisica di uno spazio centrale a New York e l’indignazione di fronte al potere della finanza sono stati i tratti fondamentali di una radicalità che si è diffusa, in particolare dopo l’occupazione del ponte di Brooklyn, in altre città statunitensi. Attorno a questi punti alti della dinamica di indignazione si sono disposte le altre iniziative, più o meno consistenti dal punto di vista della partecipazione ma comunque essenziali nel dare un respiro globale alla giornata.

“Doveva essere un giorno di festa” Peccato…

di Mario Gangarossa. Fonte: sinistrainrete

Se non state attenti, i media vi faranno odiare
le persone che vengono oppresse
e amare quelle che opprimono!
(Malcom X)

Sarò un cattivo maestro ma, francamente, di fronte al coro unanime di “vibrate condanne” contro i “provocatori-blackblock-delinquenti-infiltrati-canaglie-sbirri-fascisti-ecc.-ecc.”, che vede accomunati nello stesso furore “non-violento” l’intero apparato politico da Berlusconi a Diliberto (passando per Cicchitto e La Russa, Casini e Fini, Bersani e Di Pietro, Vendola e Ferrero) non riesco a reprimere un conato di vomito.

Un coro unanime che ha condannato “l’inaudita violenza” (attorno agli stadi, a volte, abbiamo visto di peggio ma quella era “violenza liberatrice”, “comprensibile” valvola di sfogo, funzionale al mantenimento della “temperatura sociale” sotto i livelli di guardia). Un coro di “violenti” che, come sempre, cerca di rivestire con paludati richiami alla democrazia, alla convivenza, alla nobiltà degli ideali che dovrebbero ispirare i movimenti sociali (anche quando rivendicano l’elementare diritto alla sopravvivenza fisica), il tanfo reazionario e la paura di classe che li caratterizza ... e la cattiva coscienza di chi sulla violenza - quella fatta di bombe e di massacri di intere popolazioni - non ha mai perso l'occasione per dare il suo convinto sostegno (ricordate Diliberto che invocava i forconi contro il buon Turigliatto che di votare i crediti di guerra non ne voleva proprio sapere?)


Il copione dell'ignobile teatrino è già noto.

C’è chi non si lascia sfuggire l’occasione per stringere e rinsaldare le fila del “partito dell’ordine”, scatenando la canea forcaiola che chiede sangue e manette, preparandosi – e preparando l’opinione pubblica - a tempi peggiori in cui il conflitto sociale, che si appalesa all’orizzonte, farà apparire banali scaramucce gli scontri di piazza San Giovanni.

C’è chi esprime tutto il suo disappunto per non essere riuscito a incanalare la protesta nei “normali” binari di una manifestazione festosa e … assolutamente innocua sui cui partecipanti pescare a piene mani nelle prossime vicine elezioni politiche. Eppure perfino Draghi si era speso, indicando la strada della “comprensione” e del recupero delle ragioni dei manifestanti nel tentativo, a dire il vero troppo ambizioso, di recuperare consensi alle politiche di saccheggio che sarà impegnato a perseguire nei prossimi mesi.

U.S. TROOPS "ALL AT HOME FOR XMAS" "…AND ME TOO, "AM AFRAID…LATER"
"Do not despair, Wars are like xmas, they always come back"

venerdì 21 ottobre 2011

15 ottobre. L'altra manifestazione.

Nasce un punto di vista ... da dietro il passamontagna.

di Lanfranco Caminiti. Fonte: alfabeta2
Incolti, brutali, rozzi, prezzolati, criminali, teppisti, dementi, sfascisti, populisti, nemici. Neri. Eccolo, nei commenti sui quotidiani, l’identikit degli “incappucciati” di piazza san Giovanni.

Un unanime coro di condanna, di politici, di opinionisti – un arco che raccoglie la destra e la sinistra e i più radicali delle sinistre – che manda al rogo quei maledetti violenti.

Una trasversalità di opinioni che lascia sgomenti. Accade solo con le catastrofi, con i terremoti, l’unanime cordoglio. E i tumulti appartengono alla politica, non alla natura del mondo. Tutti hanno “espressioni di ferma condanna”, plaudono alla polizia, invocano azioni repressive – individuateli, toglieteceli dai coglioni.

Tutto il vocabolario dei comunisti d’antan – i Pajetta, i Pecchioli, i Berlinguer – avete tirato fuori. Untorelli, squadristi, chiamavano gli altri incappucciati, quelli del Settantasette, senza capirci un cazzo. E sono storie che non c’entrano quasi nulla, l’una con l’altra. Quelli, però, avevano stoffa e storia, oltre che il pelo lungo così sullo stomaco, voi chi cazzo credete di essere, pensate che basti il pelo? Loro poi andavano da Cossiga con le liste di proscrizione, indicando chi andava arrestato: lo farete anche voi? Andrete anche voi da Maroni? Farete come promise Cameron dopo il riot di Londra, li prenderemo a uno a uno nelle loro case? Avete già le vostre liste?

Chiedete consulenza a Carlo Bonini della Repubblica: lui conosce bene gli Acab, All cops are bastards, ci ha fatto un libro, dove racconta le sofferenze dei poliziotti – ognuno ha le sue debolezze –, e ora disegna le mappe dei violenti di piazza, i luoghi dove si annidano, dove andare a scovarli. La chiama informazione, lui.
P.S. SORRY, I cut out the CAT * "less criminal than her husband"

giovedì 20 ottobre 2011

Slavoj Zizek. Noi non siamo sognatori.

We are not dreamers. Fonte: indimedia
Discorso tenuto dal filosofo sloveno Slavoj Zizek domenica 9 ottobre in Liberty Plaza, New York.
Siamo il risveglio da un sogno che si sta trasformando in un incubo

Loro diranno che noi siamo violenti, che il nostro linguaggio è molto violento: occupazione e così via. Sì noi siamo violenti, ma soltanto nel senso in cui il Mahatma Gandhi era violento. Siamo violenti perché vogliamo porre un freno alla piega che gli eventi hanno preso – ma che cosa è questa violenza puramente simbolica rispetto alla violenza necessaria a sostenere il buon funzionamento del sistema capitalista globale?

Siamo stati definiti perdenti – ma i veri perdenti non sono forse tutti quelli di Wall Street che sono stati salvati dai vostri soldi, dalle centinaia di miliardi prelevati dalle vostre tasche?

Siete chiamati socialisti – ma negli Stati Uniti, c’è già il socialismo per i ricchi. Vi diranno che non rispettate la proprietà privata – ma le speculazioni di Wall Street che hanno portato al crollo del 2008 hanno cancellato più sudata proprietà privata che se noi fossimo stati qui a distruggerla notte e giorno – basti pensare a migliaia di case pignorate.

Vi diranno che state sognando, ma i veri sognatori sono coloro che pensano che le cose possono andare avanti all’infinito così come sono, solo con qualche cambiamento cosmetico. Noi non siamo sognatori, siamo il risveglio da un sogno che si sta trasformando in un incubo. Noi non stiamo distruggendo nulla, stiamo semplicemente testimoniando come il sistema si sta gradualmente distruggendo. Conosciamo tutti la classica scena dei cartoni animati: il gatto raggiunge un precipizio, ma continua a camminare ignorando il fatto che non c’è terra sotto i piedi, ma comincia a cadere solo quando guarda in basso e si accorge dell’abisso. Quello che stiamo facendo è proprio ricordare a chi è al potere di guardare in basso . Questo è quello che stiamo facendo qui. Noi stiamo dicendo ai ragazzi lì a Wall Street – Ehi, guardate giù!

A metà aprile 2011, i media hanno riferito che il governo cinese ha proibito di mostrare in TV e nelle sale film che si occupano di viaggi nel tempo e fantastoria, con l’argomentazione che queste storie introducono frivolezza in gravi questioni storiche – anche la fuga immaginaria in una realtà alternativa è considerata troppo pericolosa. Questo è un buon segno per la Cina. Significa che la gente ancora sogna alternative, quindi bisogna vietare questo sogno. Qui non si pensa a un tale divieto. Poiché il sistema dominante ha anche soppresso la nostra capacità di sognare. Guardate i film apocalittici che vediamo per tutto il tempo. E’ facile immaginare la fine del mondo. Un asteroide che distrugge ogni forma di vita e così via. Ma non si può immaginare la fine del capitalismo. Noi nell’ Occidente liberale non abbiamo bisogno di un divieto esplicito: l’ideologia esercita abbastanza potere materiale da impedire che narrazioni di storia alternativa siano prese con un minimo di serietà.

Per 48 ore la Grecia si ferma

19 e 20 ottobre 2011, Fonte: paneacqua
Si tratta del quinto sciopero generale dall'inizio dell'anno, e il secondo di 48 ore dalla fine di giugno. Oggi e domani il parlamento di Atene vota le misure di austerity. Sindacati e movimenti hanno chiamato la popolazione a manifestare in quella che si prefigura come la maggior protesta sociale da diversi anni a questa parte, mentre il parlamento si prepara a votare su nuove misure di austerità destinate a impedire il default che potrebbe provocare una crisi nella zona euro. Intanto, a un mese dalle elezioni politiche, Moody's declassa il rating della Spagna: pesa l'alto livello di indebitamento del settore bancario

Tagli alle pensioni, un colpo d'accetta sul settore pubblico e nuove tasse. Oggi e domani il parlamento greco vota l'ennesimo piano di austerity varato dal Governo Papandreou, imposto da Ue, Fme e Bce per sbloccare la sesta tranche di aiuti (pari a 8 miliardi). Il provvedimento più doloroso per la pace sociale greca è il colpo d'accetta sulla pubblica amministrazione. L'esecutivo, cedendo in parte alle pesanti pressioni della Troika, sposterà in una sorta di "riserva lavorativa" 30mila dipendenti statali entro la fine dell'anno. A questi lavoratori sarà garantito una paga pari al 60% dell'ultimo stipendio per 12 mesi (lo stipendio medio supera di poco le 500 euro). Scaduto l'anno, chi non avrà trovato un nuovo lavoro nel settore pubblico sarà formalmente disoccupato.
Si tratta solo dell'antipasto, visto che in base agli accordi con gli organismi internazionali lo stesso iter dovrebbe essere seguito per altre 120mila persone entro il 2015. Le misure prevedono pure un taglio del 20% per le pensioni sopra i 1.200 euro, un colpo di forbice agli assegni previdenziali di chi si è andato in pensione prima dei 55 anni. Altri mezzi freschi entreranno nelle casse dello stato grazie all'allungamento temporale della patrimoniale edilizia (una tassa fino a 10 euro al metro quadro sugli immobili di proprietà, gettito previsto 2 miliardi l'anno) che sarà prolungata oltre il termine previsto del 2014 mentre la soglia minima per l'esenzione fiscale è stata abbassata da 8mila a 5mila euro.
"AND WHAT IF WE ALL BECAME BLACK BLOCK?"
"…and we would not even need violence"

mercoledì 19 ottobre 2011

Studenti e studentesse della Sapienza in Mobilitazione

Oltre il 15 ottobre: Non un passo indietro, neanche per prendere la rincorsa
Fonte: liberoit
Il 15 ottobre oltre 50 000 studenti e studentesse provenienti da tutt’Italia si sono ritrovati a piazzale Aldo Moro, rispondendo all’appello della Sapienza per la costruzione di uno spezzone studentesco che confluisse nel corteo insieme a tutti gli altri soggetti sociali che hanno promosso la costruzione di quella giornata.

L’intuizione di costruire uno spezzone studentesco unitario si è dimostrata vincente, convinti che esista un filo conduttore che lega la crisi del debito pubblico e della finanziarizzazione dell’economia allo smantellamento della formazione e della ricerca pubblica. Non è retorica: ci sentiamo davvero quel 99% che non sopporta più di leggere le scelte della politica attraverso la lettera di Draghi e Trichet, quel 99% che pensa che non ci sia democrazia senza coinvolgimento dei soggetti sociali nelle scelte che riguardano le nostre vite. Siamo quel 99% che partendo da un’idea diversa di scuola e università, attraverso percorsi di mobilitazione reali, prova a costruire un’idea diversa di democrazia, di economia, di politica, di società.

Per fare questo il movimento studentesco ha scelto negli ultimi anni di costruire e praticare un conflitto sociale largo, attraverso pratiche di massa che sapessero tenere insieme pratica dell’obiettivo, conflitto sociale e consenso, radicalità ed efficacia. Non abbiamo mai esitato a sfidare i divieti di chi voleva impedirci di manifestare nei luoghi e nelle forme che sceglievamo durante la mobilitazione, convinti che il conflitto sia un’opportunità politica, nel momento in cui si pone l’obiettivo di invertire i rapporti di forza e di opporsi alla repressione del potere politico, per riaprire spazi di cambiamento. Tramite decisioni collettive, abbiamo deciso se e quando violare le zone rosse per manifestare sotto i palazzi del potere (politico ed economico), così come abbiamo deciso se e quando lasciare quei palazzi del potere soli nelle zone rosse per riprenderci le strade che ci venivano sottratte da un governo sordo e da un parlamento svuotato di senso.

Non possiamo condannare la rabbia

Matteo Iannitti Fonte: controlacrisi
Ho avuto paura il 15 ottobre nelle strade di Roma. Non fatico ad ammetterlo nella consapevolezza che la politica si fa con il corpo e con la testa, entrambi impauriti mentre a pochi metri da piazza San Giovanni impazzavano i roghi ed impazziva la gente, sempre di corsa a scappare da non si capiva bene cosa. Era impotenza di fronte alle auto bruciate, ai negozi assaltati, alle banche sfasciate. Era paura vera all’idea che la polizia potesse colpire, come avrebbe poi fatto in piazza, da un momento all’altro.

Genova tornava negli occhi di chi non c’era nel 2001 ma l’ha ricordata appena qualche mese fa. Non solo Carlo, non solo le cariche ma anche la Diaz, Brignole, Bolzaneto. Non ti sentivi sicuro da nessuna parte, un topo in gabbia. Quando eravamo partiti da Catania eravamo certi di rimanere accampati a Roma, nel pomeriggio non desideravamo altro che scappare. E col rombo dell’elicottero sulla testa a Termini, una volta aggregati tutti, siamo andati via.

Eppure è stata una giornata straordinaria. Eravamo tantissimi. Se fossimo arrivati a conclusione ed avessero permesso al corteo di sfilare compatto, avremmo detto, senza imbrogliare, che eravamo più di 500 mila. Un corteo variegato, incazzato, indignato. Per la prima volta un corteo marcatamente anticapitalista, antiliberista, antisistema e non per questo vecchio e identitario. Studenti, operai, migranti, compagne e compagni da ogni parte d’Italia. E soprattutto tantissime e tantissimi giovani consapevoli della necessità della lotta, esausti di una vita precaria, pronti a conquistare il futuro.

C’era gioia nell’essere tanti ma c’era anche rabbia e c’era la convinzione, ampiamente condivisa, che questa data doveva essere diversa dalle altre. Non il solito corteo. Per questo la polizia aveva blindato tutti i passaggi verso i palazzi governativi, per questo c’eravamo portati le tende ed al grido “Yes we camp” eravamo pronti a restare a Roma. Berlusconi aveva appena acquistato una nuova fiducia, la BCE aveva appena chiesto manovre aggiuntive, il mondo si apprestava a far sentire la sua indignazione. Era il momento giusto per dare un segnale forte. Ne eravamo convinti.

15 Ottobre: cause, fatti, conseguenze.

di Rete dei Comunisti Fonte: contropiano
Non era e non è possibile sottrarre la manifestazione del 15 Ottobre dal suo contesto....
Gli effetti della crisi hanno cessato di essere “percezione” per diventare pesante realtà e inquietante prospettiva per milioni di lavoratori, giovani, precari, disoccupati, pensionati anche nel nostro paese. In tanti, tantissimi stanno diventando consapevoli che già il prossimo futuro sarà peggiore dell’anno in corso perché agiranno gli effetti delle manovre antisociali imposte dal governo e dalle istituzioni finanziarie europee.

1. Le ipoteche sul futuro e sulle aspettative, ma anche su un presente diventato esso stesso minaccioso e insopportabile, stanno creando una tensione sociale crescente in tutto il paese. E’ una tensione che trova bloccata ogni possibilità di decidere o di incidere democraticamente sulle priorità sociali. Il sistema politico – spesso con modalità bipartisan - opera sistematicamente in subordine ai poteri forti economici per privare di ogni sostanza gli apparati rappresentativi esistenti. Che ciò non abbia conseguenze politiche e sociali è una pura illusione, questa sì, da vera e propria casta.

2. La manifestazione del 15 ottobre poteva e doveva cogliere e raccogliere questa enorme aspettativa e questa grande contraddizione rappresentando il passaggio – ma non il tutto – di un percorso di organizzazione e resistenza dei settori sociali sconvolti dalla crisi e dalle misure antisociali della Bce.

3. La lettera della Bce ha avuto il terribile pregio di definire lo spartiacque tra chi punta al massacro sociale come risorsa per tamponare i bilanci delle banche e riaffermare la gerarchia nei rapporti sociali verso chi non può che opporsi per non essere trascinato in una giungla senza diritti e certezze e nell’esclusione sociale. I diktat di Draghi e Trichet, hanno reso governo e parlamento degli apparati di passacarte e hanno confermato come lo stesso Berlusconi non fosse altro che una tigre di carta. In questo senso, hanno centrato il bersaglio le contestazioni alla Banca d’Italia e a Draghi e l’avvio di una campagna di massa per il non pagamento del debito. I silenzi o le complicità della politica verso i diktat della Bce, hanno reso entrambi irricevibili sia nella sua forma governo attuale sia verso quella che si candida a sostituirlo.

OLTRE IL 15 OTTOBRE: PER UNA RIVOLTA PERMANENTE

Fonte: ATENEI IN RIVOLTA controlacrisi
Nelle nostre intenzioni, la giornata del 15 ottobre doveva essere un grande momento di avvio (ripetiamo, avvio) di un processo di mobilitazione collettiva, permanente, che nascesse dal basso, dalla libera condivisione e dall’autodeterminazione di ogni singolo e singola. Una riappropriazione collettiva e stabile dello spazio pubblico sempre più urgente visto il precipitare della crisi economica e sociale, il carattere epocale e cruciale di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi. Un processo inedito di mobilitazioni permanenti in corso in molti paesi, dagli Usa al Portogallo e alla Spagna ma che in Italia non è stato ancora possibile innescare.
Le notizie sul 15 ottobre dal mondo fanno crescere in noi la convinzione che questo processo si sarebbe potuto innescare anche in Italia proprio in quella giornata e invece così non è stato.
L’irriducibile complessità della giornata del 15 ottobre ci obbliga a riflessioni approfondite e pure a mantenere la calma, il sangue freddo, a reprimere sul nascere ogni, opposta, ma simmetrica, reazione emotiva di fronte a quello che è successo sabato, ai commenti di molti, così come all’utilizzo strumentale che di quella giornata si sta facendo da più parti.
A Roma hanno manifestato più persone che in qualsiasi altra capitale europea, questo è il dato che per noi più di tutti sintetizza l’occasione perduta. Sì perché alle nove o alle dieci di sabato sera eravamo tutti e tutte a casa e per questo ci domandiamo: su cosa si misura la radicalità di una pratica?
Noi siamo convinti che si misuri sulla capacità di raggiungere un obiettivo politico, di comunicarlo e farlo percepire come praticabile a livello di massa. Quasi un anno fa, il 14 dicembre, scontrarsi con chi difendeva un despota e un palazzo corrotto era un obiettivo politico che in tanti hanno sentito proprio. Nessuno ha avuto la sensazione di essere stato sovradeterminato da pochi manifestanti quel giorno, perché era chiaro a tutti da dove veniva e dove voleva arrivare quella rabbia. Sabato questo non è successo. Siamo scesi in piazza con le nostre tende, per rimanerci, per occupare una piazza e aprire uno spazio pubblico di mobilitazione permanente. Un bisogno che abbiamo ritrovato nei volti delle centinaia di persone che abbiamo incontrato sabato con le tende in spalla.

15 OCTOBER, INDIGNADOS.

951 cities of 80 countries: violence only in Rome.

"every government gets the pacific demonstration that deserves?"

martedì 18 ottobre 2011

FREE!

Liberiamoci dalla schiavitù.

di Guido Viale su il manifesto del 18/10/2011.
Fonte: esserecomunisti
È sempre più chiaro che non solo la Grecia e l'Italia, ma anche l'Europa, gli Stati uniti, e il mondo intero, stanno marciando verso una recrudescenza irreversibile della crisi in corso. La questione del debito - dei debiti: quelli delle «famiglie», delle imprese, delle banche, dei «fondi», degli Stati - ha offuscato quasi completamente la questione ambientale, a partire dai cambiamenti climatici e, a seguire, dell'acqua, della biodiversità, della deforestazione, dell'esaurimento delle risorse rinnovabili e non rinnovabili.
Il pianeta Terra viene messo al tappeto da una «crescita» di prelievi e di emissioni che non è in grado di sostenere. Eppure è proprio alla «crescita», a una «ripresa» della crescita, al raggiungimento di tassi di crescita irrealistici e insensati, come quelli che sarebbero necessari per fare fronte alla crisi del debito, che tutto l'establishment politico, finanziario, industriale e accademico fa continuamente riferimento come ricetta per «uscire dalla crisi».
Prendiamo il caso dell'Italia: per raggiungere il pareggio - di cui è prevista addirittura la «costituzionalizzazione» - il bilancio dello Stato dovrebbe realizzare un avanzo primario (differenza tra le entrate fiscali e la spesa pubblica) del 5 per cento del Pil all'anno (ma con l'attuale spread si arriverà facilmente al 6,5 per cento). Per fare fronte alla nuova versione del patto di stabilità europeo (che impone di ridurre ogni anno del 5 per cento la quota di debito che eccede il 60 per cento del Pil) ci vuole almeno un altro 3 per cento annuo. Per avere la «crescita», una volta assolti questi obblighi, ci vorrebbe un altro 2-3 per cento: cioè un aumento annuo del Pil del 10-12 per cento: tassi «cinesi». Ma di una Cina che non esiste più. Perché si cominciano a pesare anche là scioperi, aumenti salariali, disastri ambientali, rivalutazione dello yuan e delocalizzazioni (che alla fine cominciano a coinvolgere anche quel paese: alcune «in senso inverso», con un ritorno delle produzioni nei paesi da cui erano emigrate; altre verso paesi ancora più «economici», sia in campo ambientale che salariale). E questo sta mettendo fine al dumping con cui sono stati costruiti quindici anni di «sviluppo» tanto accelerato quanto insensato e pericoloso.

Per guardare avanti

Fonte: globalproject
Mentre scriviamo è in corso una maxi-operazione delle forze dell'ordine, con perquisizioni e arresti. Quando tutto sarà finito, il piano della discussione sarà un altro: con buona probabilità si restringeranno gli spazi di libertà per tutti, lotte sociali comprese; ci si avviterà attorno al tema repressivo; le questioni che contano – costruire un'alternativa alla dittatura della finanza ‒ verranno messe all'angolo da un nuovo ordine del discorso. Forse andrà così, ma non necessariamente, se riusciamo ad esplicitare da subito un punto di vista radicale sui fatti di sabato.

Partiamo dall'inizio. Sabato 15 ottobre a Roma c'è stata una grandissima manifestazione, mezzo milione di persone hanno attraversato la capitale con la pretesa testarda di far pagare il debito a chi l'ha prodotto, le corporation, le banche, gli hedge fund, i protagonisti di quel processo di trasformazione del mondo segnato dalla precarizzazione del lavoro e dalla finanziarizzazione dell'economia. Mezzo milione a Roma, ma manifestazioni in 1.000 città e 82 paesi di tutto il pianeta terra: un nuovo movimento globale, consapevole e preparato si è messo in cammino, questo è ciò che effettivamente conta.


A Roma, e solo a Roma, occorre ricordarlo, la grandissima manifestazione è stata divisa e frammentata dagli incidenti con le forze dell'ordine e non solo. Non condanniamo, non siamo un tribunale. Ma nella nostra parzialità esprimiamo un giudizio politico, come tutti dovrebbero avere il coraggio di fare. L'unico modo per far fuori le semplificazioni giornalistiche che separano i buoni dai cattivi, la violenza e la non violenza, è dire con forza che le pratiche di conflitto, anche radicali, possono unire, connettere e costruire, ma possono anche dividere e distruggere. Le pratiche messe in campo da alcuni, pochi, durante la manifestazioni di sabato a Roma, hanno diviso il movimento, hanno messo in pericolo chi voleva manifestare (come definire altrimenti una macchina o un palazzo che brucia a due metri dal passaggio dell'intero corteo?), hanno messo in crisi lo spazio pubblico e politico che quella manifestazione voleva costruire. Assumendo questa differenza, il nostro giudizio è chiaro, nettissimo. A San Giovanni, poi, è successo ancora altro. La reazione della polizia è stata scomposta e violentissima: l'uso degli idranti, i caroselli contro l'intera piazza. In risposta a questo fatto c'è stato un gesto di resistenza più ampio che ha coinvolto altri giovani e giovanissimi che poco avevano avuto a che fare con chi, durante il percorso del corteo, aveva deciso di dividere il movimento, con pratiche di conflitto irresponsabili, oltre che inutili (bruciare macchine o cassonetti in via Labicana: altro che assedio ai palazzi del potere!), e che, soprattutto, aveva quasi come unico obiettivo, tutto politico, se non politicista, quello di colpire il Coordinamento 15 ottobre e la piazza, San Giovanni, dove dovevano esprimersi le lotte sociali e di certo non i partiti politici.

lunedì 17 ottobre 2011

THE CZAR NICHOLAS ll OF RUSSIA 1917
"But for a few hooligans, an otherwise pacific demonstration…"

domenica 16 ottobre 2011

cronaca e commento sulla giornata del 15 ottobre

La cronaca della partenza da Livorno, della composizione del corteo fino agli scontri a San Giovanni, cercando di fare chiarezza e sgombrando il campo dai ridicoli complottismi e dalla retorica.
Fonte: senzasoste
Non è facile raccontare la giornata del 15 ottobre a Roma, per due motivi: il primo perché c’era tantissima gente ed ognuno ha visto e vissuto il corteo in base alla parte in cui era posizionato. Il secondo perché la manifestazione di sabato era già complessa di suo, per organizzazione, per composizione politica e sociale, per gli obiettivi che aveva, e gli eventi la hanno complicata ancora di più.

Ma andiamo con ordine.

I numeri

Impressionanti. Non sbaglia chi ha detto che potevamo essere 300.000. E non è un numero scontato anche se alla vigilia la speranza di una partecipazione di massa c’era. Numeri impressionanti se si tiene di conto che in passato questi numeri sono stati raggiunti con la partecipazione attiva ed economica di partiti e sindacati (Cgil o Fiom) che hanno messo a disposizione pullman a prezzi politici o gratuiti. Questa volta invece il grosso del corteo è giunto a Roma molto più spontaneamente. I pullman organizzati erano una parte che pesava molto meno sui numeri del corteo rispetto al passato e molta gente si è autorganizzata con treni, mezzi propri o pullman organizzati da movimento o intergruppi e collettivi vari.

Da Livorno

Che i numeri potessero essere imponenti si è visto fin dalla mattina a Livorno dove si sono ritrovate oltre 300 persone a cui poi se ne sono aggiunte altre a Rosignano e Cecina. Il tutto su un appuntamento lanciato dal Comitato “Dobbiamo Fermarli” e rilanciato solo dal nostro sito e da tanti ragazzi su Facebook, ma completamente ignorato dai media “mainstream” (Il Tirreno ad esempio nonostante i numerosi invii dell’appello per l’appuntamento alla stazione ha completamente ignorato la cosa). Numeri grossi se si considera che da Livorno sono partite anche auto private e due pullman organizzati da Rifondazione Comunista.

Alla stazione c’erano tanti giovani, un’età media molto bassa di poco più di 20 anni e molti “non militanti” che tuttavia sentivano il grande evento secondo il refrain: “Se non si fa qualcosa ora quando c’è da farla? Cosa ci devono fare per farci svegliare?”. Parole semplici che tuttavia indicano che nell’immaginario popolare e giovanile la misura è colma. Non sarà certo un corteo che cambia la storia ma questa voglia e questa presenza deve essere di stimolo per tutti coloro che sui territori si impegnano quotidianamente e devono rendersi conto che per molti, specialmente giovanissimi, la misura è colma e la sensazione è che tanto ormai il futuro non si intravede nemmeno e c’è veramente poco da perdere. Basta leggere i dati della disoccupazione giovanile nella nostra città.

Noi indignati, loro indegni

ottobre 16, 2011 simone.oggionni Fonte: reblab
La prima notizia è che a Roma sono scese in piazza 500.000 persone, di cui tantissimi giovani. E’ un numero enorme, che rappresenta la realtà di un Paese che ha da molto superato il livello di sopportazione rispetto al suo governo e – quel che è forse ancora più importante – rispetto alle politiche neoliberiste che oggi sta attuando Berlusconi ma che domani potrebbe mettere in pratica qualsiasi altro governo. Esiste cioè una insofferenza nei confronti di questo sistema, delle sue crisi e delle sue ingiustizie, della sua violenza (che è la vera violenza, non dimentichiamocelo mai, quella che uccide e rende difficile se non impossibile vivere, giorno dopo giorno) che è grande e che va valorizzata in tutta la sua eccezionalità.

La seconda notizia è che, ovviamente, di questo non si parla. Non se ne parla nelle televisioni, non se ne parla nelle radio e se ne parla in parte solo sulla rete dove, per fortuna, l’informazione è più libera e le menzogne hanno le gambe più corte. Non si parla delle nostre ragioni, della forza numerica con la quale le abbiamo sostenute. E si parla di altro: delle violenze, delle auto bruciate, dei bancomat assaltati, della camionetta dei carabinieri data alle fiamme.Voglio dire con estrema chiarezza che tutto quello che è successo mi ripugna perché penso sia distante anni luce dall’idea di società che abbiamo in mente e anche dall’idea di rivolta e di rivoluzione che vogliamo costruire. Non ha alcun senso agire in questa maniera, con i volti coperti e le bombe carta (una delle quali ha colpito alla mano un manifestante in via Cavour, provocandogli la perdita di due dita della mano).

Vorrei capire chi si nasconde dietro questi passamontagna e che, con i propri gesti vigliacchi, sta occultando le nostre ragioni, fornendo tutti i pretesti possibili e immaginabili alle destre, alla stampa e anche al ventre molle di questo Paese per tentare di cacciarci sempre più nell’angolo. E tanta più indignazione mi provocano queste persone quanto più vedo che provano ad associare alle loro violenze il nome di Carlo Giuliani, e cioè il nome di un ragazzo la cui vita e il cui sacrificio ci consegnano tutt’altri insegnamenti.

Ma voglio dire con altrettanta nettezza che quello che abbiamo visto in piazza questo 15 ottobre è inaccettabile sotto un altro punto di vista. La gestione dell’ordine pubblico è stata, da metà pomeriggio in poi, semplicemente vergognosa, indegna di un Paese civile.

Il cammino della speranza aggredito dai black bloc.


di Alessandro Cardulli, 15 ottobre 2011, Fonte: paneacqua
Gli Indignati invadono Roma: un fiume immenso, pacifico e colorato. Poi l'arrivo dei Black block, i ritardi delle forze dell'ordine e gli stessi indignati a fare da argine contro i gruppi di violenti. Draghi: "hanno ragione ad essere arrabiati contro le banche". Il Pontefice invita i governi a mettere in atto " politiche che devono andare oltre la logica del profitto fine a sé stesso"

E' un'onda che si abbatte sul mondo intero, sono i giovani che scuotono le coscienze di donne e uomini Tokio a Sydney, a Taipei, a seconda dei fusi orari, partono le manifestazioni, enormi, variopinte, piene di fantasia negli slogan, negli striscioni, nei manifesti, nei cori, delle musiche.
A cinque mesi dal 15 maggio quando gli " indignados" a Madrid scendono in piazza, l‘onda è dilagata, sono stati costituiti mille comitati di lotta, manifestazioni in novecentocinquanta città. Emergono situazioni diverse, da continente a continente, da Paese a Paese, da città a città. C'è un dato comune: si tratta di uno straordinario movimento di che mette in discussione il sistema capitalistico travagliato da una crisi irreversibile, con la minaccia di una recessione globale. Questi ragazzi, giovanissimi come nel corteo di Roma,nostri figli, nostri nipoti, prendono di mira gli assi portanti di un capitalismo che si fonda sulle disuguaglianze sociali, si battono per avere un futuro. A differenza del sessantotto, dell'autunno caldo che prende le mosse da Parigi, le lotte degli studenti e degli operai, puntavano sui diritti,le libertà, la partecipazione, è l'epoca in cui nascono i consigli di fabbrica, ora a queste "elementari" rivendicazioni si affianca la rivendicazione di un " diritto" al reddito" e al " sapere". Sono, in tutto il mondo, giovani scolarizzati, studenti universitari, ricercatori, dottori, si dice in Italia, che non vedono futuro. Chiedono allo Stato di ripagare anni di studio, sacrifici delle famiglie, investimenti che lo Stato stesso ha fatto su di loro. II loro è un moderno cammino della speranza.
WE DO NOT WANT ANY MORE OF THIS PAP!
Wars, banks,Capitalism, racism

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