di Mario Pianta in Il Manifesto. Fonte: comedonchisciotte
«La rotta d'Europa». Prime risposte alle domande poste da Rossana Rossanda sul perché il progetto europeo è finito, fin dalla nascita, nelle trappole della finanza. Con la ricchezza travasata dai salari a profitti e rendite. Una crisi imprevista e rischiosa anche per la democrazia
La mitologia ci racconta di una giovinetta, Europa. Zeus la vede, si trasforma in toro, la fa salire sul dorso, la porta oltre il mare a Creta, la possiede. Ai giorni nostri il toro è il simbolo dei mercati finanziari, e il ratto e la violenza d'Europa sono un'efficace metafora di quanto sta accadendo. La nostra Europa non è una giovinetta, è l'economia più grande del mondo, con 27 paesi nell'Unione e 17 nell'area dell'euro, una complessa costruzione politica, una potenza mondiale. Come è potuto succedere che il toro della finanza la trascini sulle onde della speculazione, la pieghi alla sua volontà, la getti nella depressione?
Le domande che pone Rossana Rossanda - aprendo la discussione del manifesto e sbilanciamoci.info sulla «rotta d'Europa» - interrogano la crisi europea, il collasso di un progetto nato per rafforzare le economie del continente, allargarne l'autonomia politica, difenderne il modello sociale. Vediamo alcuni meccanismi che in vent'anni hanno portato la costruzione europea all'impasse di oggi.
1. L'integrazione europea
Il 7 febbraio 1992 i governi europei hanno firmato a Maastricht il Trattato sull'Unione europea che apriva la strada all'Unione economica e monetaria e alla creazione dell'euro. Era appena stato introdotto il mercato unico e liberalizzati del tutto, per la prima volta, i movimenti di capitale. Era finita la guerra fredda, caduti i regimi dell'est europeo, riunificata la Germania. Neoliberismo e finanza erano diventate le stelle polari dell'integrazione europea. L'orizzonte era quello di far arretrare il lavoro e aumentare profitti e rendite finanziarie. Il progetto europeo puntava sulle capacità del mercato di trainare la crescita attraverso più efficienza e investimenti favoriti da capitali mobili. La condizione necessaria era abbassare inflazione e tassi d'interesse, stabilizzare i cambi, ridurre deficit e debito pubblico, in modo da avvicinare tra loro - in termini finanziari - le economie interessate all'Unione monetaria. In altre parole, i governi europei rinunciavano agli strumenti «keynesiani» che avevano sorretto la crescita del dopoguerra (spesa pubblica e svalutazione del cambio) e confidavano nelle potenzialità della domanda privata per investimenti ed esportazioni in un'economia in via di globalizzazione.
«La rotta d'Europa». Prime risposte alle domande poste da Rossana Rossanda sul perché il progetto europeo è finito, fin dalla nascita, nelle trappole della finanza. Con la ricchezza travasata dai salari a profitti e rendite. Una crisi imprevista e rischiosa anche per la democrazia
La mitologia ci racconta di una giovinetta, Europa. Zeus la vede, si trasforma in toro, la fa salire sul dorso, la porta oltre il mare a Creta, la possiede. Ai giorni nostri il toro è il simbolo dei mercati finanziari, e il ratto e la violenza d'Europa sono un'efficace metafora di quanto sta accadendo. La nostra Europa non è una giovinetta, è l'economia più grande del mondo, con 27 paesi nell'Unione e 17 nell'area dell'euro, una complessa costruzione politica, una potenza mondiale. Come è potuto succedere che il toro della finanza la trascini sulle onde della speculazione, la pieghi alla sua volontà, la getti nella depressione?
Le domande che pone Rossana Rossanda - aprendo la discussione del manifesto e sbilanciamoci.info sulla «rotta d'Europa» - interrogano la crisi europea, il collasso di un progetto nato per rafforzare le economie del continente, allargarne l'autonomia politica, difenderne il modello sociale. Vediamo alcuni meccanismi che in vent'anni hanno portato la costruzione europea all'impasse di oggi.
1. L'integrazione europea
Il 7 febbraio 1992 i governi europei hanno firmato a Maastricht il Trattato sull'Unione europea che apriva la strada all'Unione economica e monetaria e alla creazione dell'euro. Era appena stato introdotto il mercato unico e liberalizzati del tutto, per la prima volta, i movimenti di capitale. Era finita la guerra fredda, caduti i regimi dell'est europeo, riunificata la Germania. Neoliberismo e finanza erano diventate le stelle polari dell'integrazione europea. L'orizzonte era quello di far arretrare il lavoro e aumentare profitti e rendite finanziarie. Il progetto europeo puntava sulle capacità del mercato di trainare la crescita attraverso più efficienza e investimenti favoriti da capitali mobili. La condizione necessaria era abbassare inflazione e tassi d'interesse, stabilizzare i cambi, ridurre deficit e debito pubblico, in modo da avvicinare tra loro - in termini finanziari - le economie interessate all'Unione monetaria. In altre parole, i governi europei rinunciavano agli strumenti «keynesiani» che avevano sorretto la crescita del dopoguerra (spesa pubblica e svalutazione del cambio) e confidavano nelle potenzialità della domanda privata per investimenti ed esportazioni in un'economia in via di globalizzazione.