Jean Ziegler. Titolo: L'odio per l'occidente. Edizione Tropea, Milano, 2010,
Fonte: tecalibri
Prefazione all'edizione italiana.
Fonte: tecalibri
Prefazione all'edizione italiana.
La giornata era fredda, solo un timido sole trapelava fra le nubi. Pennsylvania Avenue era gremita di gente. Davanti alla facciata occidentale del Campidoglio era stato eretto un podio addobbato con i colori della bandiera americana.
Un uomo di quarantotto anni, slanciato, dal volto scuro e lo sguardo limpido che indossava un cappotto blu, è avanzato verso il centro del podio.
Il presidente della Corte suprema ha letto la formula del giuramento.
Barack Obama l'ha ripetuta.
Al suo fianco, la moglie Michelle e le sue due bambine, Sasha e Malia.
Il bisavolo di Michelle si chiamava Dolphus Shields. Era nato schiavo in una piantagione di cotone della Carolina del Sud nel 1859.
Tra l'immensa folla che si accalcava davanti al Campidoglio e lungo tutta Pennsylvania Avenue, molti avevano le lacrime agli occhi.
Era mercoledì 20 gennaio 2009.
Nel 2009, l'elezione di Barak Obama a 44esimo presidente degli Stati Uniti costituisce di certo l'evento più stupefacente che ha avuto luogo sul nostro pianeta. Frutto, per prima cosa, del risveglio e della mobilitazione della memoria ferita di milioni di persone, i discendenti degli africani deportati e gli appartenenti ad altre minoranze, questa vittoria ha fatto nascere ovunque nel mondo, ma soprattutto nell'emisfero Sud, un'immensa speranza.
Una speranza oggi in frantumi.
Nella più grande prigione militare del mondo, a Bagram, in Afghanistan, gli agenti dei servizi di sicurezza americani continuano a torturare i loro prigionieri. Le «Commissioni militari» sono rimaste al loro posto, e ai detenuti, «combattenti ostili» o semplici sospetti, non si applicano le Convenzioni di Ginevra.
L'avvocata newyorkese Tina Forster, che a Bagram si occupa, per conto dell'International Justice Network, di tre detenuti, due yemeniti e un tunisino, afferma: «Non c'è alcuna differenza tra l'amministrazione Obama e l'amministrazione Bush».
Obama porta avanti due guerre... e riceve il Nobel per la Pace!
Alla fine di novembre 2009, quattro giorni prima della cerimonia solenne durante la quale avrebbe ritirato, a Oslo, il riconoscimento, il presidente degli Stati Uniti ha deciso di intensificare la guerra in Afghanistan annunciando l'invio di altri trentamila soldati. D'ora in avanti i bombardieri americani saranno ufficialmente autorizzati a operare nelle zone tribali del Pakistan occidentale, dichiarate aree di ripiegamento e di rifornimento dei talebani. Sono soprattutto gli aerei telecomandati da una base militare sotterranea del Nevada, i droni, a compiere i massacri più terribili tra la popolazione civile di quella regione. Gli attacchi dei droni sulle città e i villaggi pashtun sono destinati ad aumentare considerevolmente.
Com'era prevedibile, il 3 dicembre, a Roma, il governo Berlusconi ha subito annunciato l'invio di rinforzi: mille soldati italiani supplementari partiranno per la guerra nel 2010. Ma per tenere buona l'opinione pubblica, Berlusconi ha contemporaneamente diffuso la notizie del "probabile" ritiro delle truppe italiane nel 2013.
Nel ghetto di Gaza, dove, su una superficie di soli 365 km2, sono ammassati un milione e mezzo di palestinesi, la sottoalimentazione e le epidemie fanno stragi.
Il blocco di Israele priva gli ospedali di medicinali. Dopo i massacri e i bombardamenti israeliani del gennaio 2009, nessuna ricostruzione è possibile perché la punizione collettiva inflitta alla popolazione civile assediata impedisce l'arrivo di materiali da costruzione. Nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, il furto di terre, acqua e case palestinesi continua senza alcun ostacolo.
Su mandato delle Nazioni unite, il giudice sudafricano Richard Goldstone ha condotto per sei mesi un'inchiesta sull'aggressione israeliana contro il ghetto di Gaza del gennaio 2009: 1.400 morti palestinesi, più di seimila mutilati e ustionati, tra cui numerose donne e bambini. La conclusione: crimini di guerra commessi dal governo israeliano (ma anche da Hamas). Il giudice ha chiesto che i colpevoli vengano giudicati dalla Corte penale internazionale. Ma al Consiglio di sicurezza e al Consiglio per i diritti umani dell'Onu, gli Stati Uniti hanno preso vigorosamente posizione contro il suo rapporto.
Tra gli alleati strategici degli Stati Uniti continuano a figurare alcuni stati – Uzbekistan, Arabia Saudita, Israele, Nigeria, Colombia, Kuwait – che, in base all'elenco stilato da Amnesty International, risultano fra coloro che violano in maniera costante i diritti dell'uomo.
Il Washington Post scrive: «Il punto debole di Obama sono i diritti umani».
Perché questo fallimento?
Barack Obama è costretto a piegarsi alla legge dell'impero. Nonostante una popolazione relativamente ridotta – trecento milioni di persone –, gli Stati Uniti restano ancora oggi la nazione industrializzata di gran lunga più creativa, competente e dinamica del mondo. Nel 2009, il 25 per cento circa di tutti i beni industriali prodotti in un anno sulla terra provenivano da imprese americane.
La principale materia prima di questa gigantesca macchina industriale è il petrolio. Gli Stati Uniti ne utilizzano circa venti milioni di barili al giorno, ma quelli estratti tra l'Alaska e il Texas sono meno di otto milioni. Il 61 per cento, ovvero poco più di dodici milioni di barili al giorno, viene importato dall'estero. E, cosa ancora più importante, da territori stranieri generalmente ostili, dove i conflitti sono accesi: Medioriente, Asia centrale, Delta del Niger.
Conseguenza? Gli Stati Uniti devono mantenere forze armate straordinariamente numerose e costose.
Nel 2008, per la prima volta nella storia, le spese per gli armamenti degli stati membri dell'Onu hanno superato i mille miliardi di dollari all'anno. Gli Stati Uniti ne hanno spesi il 41 per cento, la Cina, seconda potenza militare mondiale, l'undici per cento.
L'imperativo petrolifero – e militare – obbliga così il governo di Washington a stringere in tutto il mondo alleanze strategiche con alcuni degli stati che maggiormente calpestano i diritti dei popoli che governano.
Siamo dunque di fronte a questo paradosso.
Dopo l'elezione alla presidenza degli Stati Uniti di un afroamericano, l'odio dei popoli del Sud per l'Occidente è cresciuto ulteriormente.
Régis Debray scrive: «Oggi più che mai la memoria è rivoluzionaria». Il secondo fenomeno importante che si è potuto osservare in quest'ultimo anno è il rapido progresso e il consolidamento della rivoluzione degli indios nelle Ande.
Sulle immense e aride cordigliere, nel fondo delle vallate, tra le foreste lussureggianti delle terre basse dell'Amazzonia, la memoria ferita dei popoli indigeni sta vivendo una folgorante rinascita.
Questa memoria diventa coscienza politica, volontà di insurrezione, forza di resistenza e indomabile movimento sociale.
Maggio 2009: gli indios dell'Amazzonia peruviana si sollevano. Il governo di Lima ha appena accordato ad alcune società petrolifere occidentali i diritti di trivellazione che minacciano di distruggere le terre e i corsi d'acqua delle comunità autoctone. Sotto la direzione dell'Aidesep (l'Associazione interetnica per lo sviluppo dell'Amazzonia peruviana), le comunità organizzano la resistenza, bloccano le strade e i fiumi della regione. Corrotto dalle società straniere, il presidente Alain García decreta lo stato d'emergenza. La repressione si abbatte sulle comunità. Molti indios vengono assassinati. A Bagua, l'esercito apre il fuoco sui manifestanti uccidendone 34, tra cui donne e bambini, ma la resistenza non si indebolisce.
Mercoledì 17 giugno 2009, Alain García si presenta davanti al Congresso a Lima. Chiede l'annullamento dei decreti che prevedono l'esproprio delle terre amazzoniche.
In Bolivia, la rivoluzione silenziosa iniziata con l'ingresso al palazzo Quemado di Evo Morales Ayma, primo presidente indigeno eletto in Sudamerica nel corso di cinquecento anni, prosegue nella tormenta.
I contratti negoziati con più di duecento società straniere attive in ambito minerario, petrolifero e del gas, contratti che le trasformano in semplici società di servizi, procurano allo stato boliviano, anno dopo anno, decine di miliardi di dollari di entrate. Evo Morales utilizza questa manna per trasformare radicalmente la situazione materiale delle classi più povere. Lentamente, il popolo boliviano esce dalla sua secolare miseria. Dal 2009, ogni persona anziana di più di sessant'anni priva di reddito riceve duecento boliviani al mese.
Il Bono madre-niño è un'altra riforma generalizzata nel 2009. Dà diritto al controllo medico gratuito durante la gravidanza. Il neonato beneficia dello stesso servizio. Durante la gravidanza e fino a quando il bambino non ha compiuto due anni, la madre riceve duecento boliviani al mese. Un altro Bono mira a evitare che i bambini delle famiglie più povere lascino la scuola. Alla fine del quinto anno scolastico, la famiglia riceve un premio di duecento boliviani, equivalenti a trenta dollari circa. Questa somma può sembrare ridicolmente bassa, ma spesso le famiglie hanno da sei a otto bambini.
La lotta contro il lavoro schiavistico prosegue. Nell'Alto Parapeti, dipartimento di Santa Cruz, gli agenti dell'Inra hanno scoperto, nel 2009, dieci latifundios concentrati nelle mani di solo cinque famiglie ed estesi su una superficie complessiva di 36mila ettari. Parecchie centinaia di famiglie guaraní erano costrette a vivere e lavorare su questi latifondi, senza ricevere alcun salario e senza nessun altro tipo di compenso. Le terre su cui lavoravano questi schiavi sono state allora espropriate. Il 14 marzo 2009, Evo Morales si è recato di persona nell'Alto Parapeti per consegnare agli Anziani delle comunità guaraní i loro titoli di proprietà.
Ma il nemico non demorde e periodicamente hanno luogo dei massacri di contadini. Leopoldo Fernandez, governatore nel 2009 del dipartimento di Pando, nella regione dell'Oriente amazzonico al confine con il Brasile, è complice e amico dei grandi proprietari terrieri della regione. I suoi gendarmi e le sue milizie private vanno a caccia degli agenti dell'Inra, degli agronomi inviati da La Paz e dei geometri incaricati di predisporre la riforma agraria. In segno di protesta, migliaia di contadini senza terra, accompagnati da donne e bambini, hanno organizzato una marcia in direzione del capoluogo dipartimentale. All'altezza del villaggio di Catchuela-Esperanza, i pistoleros di Fernandez hanno teso loro un'imboscata. Diciassette partecipanti, uomini donne e bambini, sono stati uccisi; più di seicento i feriti; decine di persone risultano disperse. Nelle loro testimonianze, alcuni sopravvissuti hanno dichiarato che parecchi degli aggressori non parlavano spagnolo e si esprimevano in una lingua «sconosciuta».
Nell'aprile del 2009 si è riunita, a Trinidad e Tobago, stato caraibico al largo del Venezuela, la quinta Cumbre de las Americas, il summit dei capi di stato delle Americhe.
Barack Obama vi ha incontrato per la prima volta Evo Morales.
La loro conversazione è durata poco.
Nel frattempo, la campagna di sabotaggio condotta contro il governo legittimo della Bolivia da parte dell'oligarchia di Santa Cruz e dei suoi mercenari croati, sotto la direzione degli agenti dei servizi segreti americani, è proseguita con estrema violenza.
Due giorni dopo la stretta di mano di Trinidad, le unità speciali della polizia boliviana hanno circondato, a Santa Cruz, l'hotel Las Americas.
Al quarto piano dell'edificio, cinque veterani delle guerre dei Balcani di origine croata e ungherese avevano un vero e proprio deposito d'armi e di esplosivi.
L'assalto è cominciato alle cinque del mattino. Secondo gli appunti trovati sul posto, i mercenari avevano previsto di assassinare Evo Morales, il vice presidente García Linera e quattro dei principali ministri del governo. Tre mercenari sono stati uccisi e due fatti prigionieri durante l'attacco.
I complotti per organizzare omicidi e atti di sabotaggio non sono i soli pericoli che minacciano la rivoluzione silenziosa della Bolivia. L'albero della nuova Bolivia, che cresce lentamente, ha anche rami deboli o marci. Santos Ramirez, cofondatore del Mas (Movimiento al socialismo) che ha portato Morales al potere, per esempio. Era il terzo uomo più potente dello stato dopo Evo Morales e García Linera. Ex avvocato dei sindacati contadini, era diventato direttore generale dell'Ypfb, la società petrolifera nazionale. La polizia lo ha arrestato presso il suo domicilio nel febbraio del 2009.
In casa sua sono stati trovati 450mila dollari in contanti, un «regalo» – secondo il giudice d'istruzione – della società americana Catler Uniservice.
Quest'ultima ha ottenuto dall'Ypfb l'appalto per la costruzione di un nuovo impianto per la liquefazione del gas naturale.
Evo Morales ha cacciato Ramirez e al suo posto ha messo Carlos Villega... sesto direttore generale dell'Ypfb dall'entrata in funzione del presidente!
Ma né gli intrighi internazionali, né la diffamazione da parte della stampa europea, né i sabotaggi sono riusciti finora a spezzare il forte movimento identitario indio, a fermare la costruzione dello stato nazionale e la rivoluzione silenziosa perseguita dal Mas. La nuova Costituzione è stata democraticamente adottata e il 6 dicembre 2009 Evo Morales Ayma è stato trionfalmente rieletto presidente della Repubblica con più del 63 per cento dei suffragi. Il suo movimento, il Mas, ha ottenuto la maggioranza in entrambe le camere.
Terza nuova circostanza nell'ultimo anno: nell'autunno del 2008 uno tsunami finanziario si è abbattuto sul pianeta; con le loro speculazioni dementi e la loro avidità ossessiva i predatori del capitale finanziario globale hanno distrutto in pochi mesi migliaia di miliardi di valore patrimoniale.
Alphonse Allais scrive: «Quando i ricchi dimagriscono, i poveri muoiono». Il banditismo bancario ha prodotto in Occidente milioni di disoccupati, ma nei paesi del Sud uccide. Secondo la Banca mondiale, dallo scoppio della crisi delle borse parecchie centinaia di milioni di persone sono precipitate nell'abisso della povertà estrema e della fame.
Il 22 ottobre 2008 al palazzo dell'Eliseo, a Parigi, si sono riuniti i 15 capi di stato e di governo dei paesi dell'euro. Erano presenti, tra gli altri, José Luis Zapatero, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. In base alle loro decisioni gli stati della zona euro hanno stanziato 1.700 miliardi al fine di rimettere in moto il credito interbancario e sostenere l'aumento di capitale delle banche.
Durante i due mesi successivi alla riunione di Parigi, i paesi industrializzati hanno ridotto considerevolmente i versamenti alle agenzie internazionali di aiuto umanitario e i crediti destinati ai paesi più poveri.
Incaricato di garantire l'aiuto alimentare d'emergenza, il Pam (il Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite) ha un budget ordinario di sei miliardi di dollari. Nel 2008 si occupava di 71 milioni di persone, vittime di guerre, catastrofi naturali, migrazioni forzate. Oggi, i fondi a sua disposizione si sono ridotti a quattro miliardi di dollari. In pochi mesi il Pam ha perso insomma un terzo del budget a sua disposizione. Con quali effetti?
In Bangladesh ha dovuto annullare le mense scolastiche per un milione di bambini sottoalimentati. Nei campi profughi del Kenya, trecentomila rifugiati somali ricevono oggi una razione giornaliera di cibo pari a sole 1.500 calorie. L'Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che il minimo vitale per un adulto è di 2.200 calorie al giorno. In questi campi, sui quali sventola la bandiera bianca e blu dell'Onu, le Nazioni unite organizzano così direttamente la sottoalimentazione degli esseri umani a loro affidati conducendoli all'agonia e alla morte.
Dov'è la speranza?
Nella costruzione, da parte dei popoli del Sud, di nazioni sovrane, plurietniche, democratiche, padrone delle ricchezze delle loro terre e del sottosuolo, stati di diritto capaci di negoziare da pari a pari con le potenze occidentali.
Nel 1799, all'età di sedici anni, Simón Bolívar arrivò per la prima volta a Parigi. Lo spettacolo dei rivolgimenti rivoluzionari alimentò in lui il rifiuto del dispotismo spagnolo nelle Americhe. Le idee di Robespierre e di Saint-Just stimolarono anche altri giovani che ben presto si sarebbero messi alla testa degli eserciti di liberazione nelle Ande.
Antonio José Sucre, José San Martin, Bernardo O'Higgins e molti altri insorti hanno tratto la loro ispirazione dagli scritti e dalle lotte dei rivoluzionari francesi.
Ma oggi la guida non viene dall'Europa.
Maurice Duverger ha previsto la degenerazione delle nazioni europee. Dotate di un modo di produzione estremamente dinamico, ma soggiogate dalla volontà di conquista delle loro classi dirigenti, dall'ossessione del guadagno finanziario immediato, hanno lasciato morire i Lumi che avevano presieduto alla loro nascita.
Gli stati occidentali applicano ciò che Duverger chiama «fascismo esterno». All'interno dei loro territori costituiscono autentiche democrazie, ma i valori democratici che sono a fondamento delle loro Costituzioni si arrestano alle frontiere.
Nei confronti dei popoli del Sud praticano la legge della giungla, la legge del più forte, e schiacciano chiunque faccia resistenza. L'ossessione patologica del profitto delle loro rispettive oligarchie è inoltre alla base della politica estera portata avanti dagli stati occidentali.
Insensibile alle sofferenze dei popoli del Sud, alle loro memorie ferite, alle loro richieste di scuse e di riparazione, l'Occidente resta cieco e sordo, chiuso nel proprio etnocentrismo.
In Europa, la volontà di giustizia e la speranza in un'avventura collettiva portatrice di senso sembrano ormai scomparse. Il veleno dell'individualismo edonista, distillato con cura dai signori del capitale finanziario globalizzato, ha fatto il suo lavoro, e anche solo la parola «rivolta» provoca sarcasmo. Il cancro capitalista corrode l'Occidente. Sulla soglia del nuovo millennio la speranza viene dalle foreste amazzoniche dell'Ecuador e del Perù, dagli altipiani della Bolivia, dai Llanos del Venezuela e, in misura minore, dalle megalopoli del Brasile.
Abbonato a vari giornali rivoluzionari e in particolare, dal luglio del 1789, a L'Ami du Peuple, Immanuel Kant seguiva da Königsberg gli eventi di Parigi. Contrariamente ai suoi colleghi Johann Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller – che pure sono considerati «poeti della libertà» –, comprese subito in maniera intuitiva e profonda il senso di quella «frattura», la sua grandezza, il suo significato universale. Con gli amici della locanda Zum Ewigen Frieden (Per la pace perpetua), commentava quotidianamente e con passione le contraddizioni, i soprassalti e le illuminazioni della rivoluzione in corso.
Nel 1798, poco dopo il terrore e la scomparsa di Saint-Just e di Robespierre, Kant scrive:
[...] l'apparire di qualcosa del genere nella storia umana non si dimentica più, perché ha svelato una capacità e una disposizione della natura umana al meglio quali nessun uomo politico, anche arrovellandosi, avrebbe desunto dal corso della storia passata. [...] anche se il fine atteso da quest'avvenimento non venisse ora raggiunto quella predizione filosofica non perderebbe nulla della sua forza.
Quell'avvenimento è infatti troppo grande, troppo intrecciato all'interesse dell'umanità e, per la sua influenza, troppo esteso a ogni parte del mondo per non tornare, in un qualsiasi ricorrere di circostanze favorevoli, alla memoria dei popoli e per non essere evocato allo scopo di ripetere tentativi del genere».
Tra le mani degli occidentali, colpiti da una tragica debolezza, la fiaccola della Rivoluzione si è spenta. Oggi la rivolta dell'uomo a cui è negata la dignità si è spostata nei Llanos, nel cuore delle Ande. Sono i popoli del Sudamerica e dei Caraibi ad aver riattizzato la fiamma che forse presto avvamperà in tutto il mondo.
Il grande movimento di emancipazione dell'essere umano e di umanizzazione graduale della storia progredisce rapidamente in tutto l'emisfero Sud, in particolare tra le popolazioni musulmane, indios e chollos.
Ma nel cuore stesso di questa straordinaria rinascita identitaria, del desiderio di vivere insieme – nell'uguaglianza, nella libertà e nella fraternità – che è alla base di ogni costruzione nazionale, si insinua un pericolo mortale, un veleno: la tentazione permanente del ripiegamento tribale, del fanatismo identitario, della singolarità, che diventano rifiuto dell'altro, razzismo e odio patologico.
Felipe Quispe, 011anta Humala e i profeti della Raza cobriza incarnano questo pericolo nelle Ande, i salafisti e i talebani nel mondo musulmano.
Se l'Occidente persisterà nel suo accecamento, i profeti razzisti, i fanatici tribalisti avranno la meglio. Distruggeranno il movimento di emancipazione e con esso la speranza di una vittoria sull'attuale ordine cannibale del mondo.
La nascita di un mondo più vivibile, più degno, votato all'equità e alla ragione, dipende dalla nostra solidarietà di occidentali con le nuove nazioni sovrane dell'America latina e di altri luoghi dell'emisfero Sud.
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