di Franco Romanò. Fonte: megachipinfo
Quel che sta accadendo in Grecia è solo la punta di un iceberg che non si vuole vedere, a parte le poche personalità politiche per lo più ai margini del dibattito pubblico televisivo, che da anni ripetono che stiamo andando a tutta velocità verso lo schianto finale. La questione del debito greco va vista al di là del teatrino dei conti fasulli spacciati per veri: tale pratica ha ormai precedenti talmente illustri (dalla Enron alla Parmalat e alla Cirio, da Lehman Brothers a Goldman Sachs), che si dovrebbe se mai prendere atto che la pratica del falso in bilancio è una necessità contabile.
Una pratica che accomuna grandi poteri privati e pubblici (stati compresi). La mitologia delle loro differenze reali tende a scomparire nell´epoca della finanziarizzazione selvaggia, contrassegnata proprio dalla necessaria mancanza di regole, dal venir meno delle barriere - labili ma ancora esistenti fino a qualche anno fa - fra comportamenti legali e comportamenti criminali, ormai fin dentro l´ambito di quella che dovrebbe essere l´economia legale.
I greci non pagano per i conti pubblici falsificati, di cui peraltro erano tutti al corrente e su cui nulla si diceva finché è stato conveniente non dirlo, ma perché tutta la politica finanziaria europea è un mostro dai piedi d’argilla che per continuare a sopravvivere deve mangiare i suoi figli uno ad uno, e cioè i popoli europei, destinati a un massacro sociale senza precedenti.
La crisi, naturalmente, non investe solo l´Europa: i nuovi interventi di emergenza ipotizzati dalla presidenza Obama sono lì a dimostrarlo. Nessun provvedimento serio è stato preso dall´amministrazione statunitense, a parte le demagogiche promesse della campagna elettorale. Tuttavia è sull´Europa ai tempi dell’Euro che vorrei soffermarmi.
È ormai evidente che, dopo aver scaricato sui cosiddetti stati deboli dell´Europa i costi di questo progetto del tutto sconsiderato (e dopo avere veicolato l’ideologia delle “due velocità” europee, dei “ritardi storici” dei popoli del Sud dell´Europa e così via), uno dopo l´altro saranno i tutti gli stati europei a finire sotto il tiro di quella che impropriamente si chiama speculazione internazionale.
È una notizia del 12 luglio che, non appena partito l´attacco al Portogallo, è ricominciato quello ai titoli di stato italiani, poi nella stessa giornata è toccato alla Francia, al Belgio, all´Olanda e alla Finlandia. Quasi di dimentica di dire - probabilmente perché si tratta di un ´piccolo paese´ e quindi irrilevante sul piano mediatico - che il primo vistoso fallimento di uno stato europeo è stato quello dell´Islanda, finita in bancarotta dopo avere scrupolosamente seguito le indicazioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, cioè le due istituzioni che hanno governato, a modo loro, la cosiddetta globalizzazione.
Se ne stanno rendendo conto persino gli inglesi che scendono massicciamente in piazza in questi giorni perché il piano Cameron di riduzione drastica delle pensioni è una misura preventiva, che si rivelerà inefficace - come tutte le analoghe misure prese fin qui negli altri paesi – rispetto al suo fine esplicito: non servirà cioè a scongiurare il fatto che anche il Regno Unito entri in una fase di destabilizzazione, in cui neppure l´ombrello dell´alleato di oltreoceano potrebbe salvarlo.
eurostruzziUno dopo l’altro il destino della Grecia toccherà a tutti e questo significherà la fine di ogni politica sociale ma anche di ogni politica di difesa pubblica delle risorse strategiche, per non parlare delle politiche del lavoro.
Qualcosa di peggio di un accantonamento del compromesso sociale europeo basato sulle politiche keynesiane (già travolto da anni): si tratta di un trasferimento enorme di ricchezza dai ceti sociali più poveri a una élite di guru della finanza che non hanno fatto altro che causare un disastro dopo l'altro.
La sinistra, anche quella cosiddetta radicale, dopo avere criticato gli accordi di Maastricht in modo ideologico ma con scarsa cognizione di causa, ha del tutto abbandonato il terreno della critica, dando per scontato e irreversibile un processo che invece non lo è affatto. Le voci sul fatto che sia un edificio destinato comunque a crollare sono molte e provengono tutte dall´interno degli establishment europei. È un processo che rischia di travolgere tutto e tutti.
In Italia, il Partito Democratico, in previsione della fine seppure trascinata nel tempo del ciclo berlusconiano, si pone come alternativa pronta ad attuare la più feroce macelleria sociale che nessun governo democristiano si è mai neppure sognato di poter praticare: la politica di nuove liberalizzazioni e privatizzazioni di altri settori strategici, fa di questo partito il miglior garante delle politiche neoliberiste in Italia, destinato probabilmente a spaccare le forze politiche e a ricomporle in vista dell´uscita di scena di Berlusconi, con una ruolo ovviamente privilegiato per Giulio Tremonti: chi come Nichi Vendola ha pensato di poter spostare a ´sinistra´questo partito muovendo il popolo delle primarie (un modo di fare politica fra l´altro sull´immagine del leader e basta), è servito.
Se passerà questo progetto, anche gli esiti del referendum sono a rischio, visti i numerosi sindaci del PD che avevano già firmato accordi con i privati per la liberalizzazione dell´acqua, per esempio.
La sinistra cosiddetta radicale, da parte sua, è del tutto inadeguata, prima di tutto culturalmente, ad affrontare tale contingenza. A parte il non aver compreso la portata della guerra di Libia, è sulle questioni riguardanti l´Europa che rivela tutta la sua inadeguatezza. Alla critica tutta ideologica al trattato di Maastricht, è seguito il nulla, non una seria analisi sulle conseguenze ma una sostanziale accettazione di quanto avvenuto, reiterando giaculatorie di protesta che non sanno affrontare i nodi delle questioni.
Riprendere in mano oggi e rileggere il trattato, non solo è illuminate perché è persino troppo facile trovare in esso le premesse dei disastri già avvenuti e di quelli prossimi e futuri, ma anche perché è la sola strada per costruire una piattaforma e un percorso politico di netta opposizione, su cui attestarsi per combattere socialmente e politicamente le conseguenze logiche di quel trattato, che si stanno ora manifestando in tutta la loro carica di violenza sociale e di svuotamento totale delle prerogative di una società minimamente democratica.
ESISTE DAVVERO L'UNIONE?
La domanda non è retorica dal momento che anche alcuni capi di Stato, fra cui il nostro, sono intervenuti più volte per sottolineare come le istituzioni politiche europee siano bloccate, come la cosiddetta politica estera comune sia stata letteralmente fatta a pezzi dalle scelte opposte della Germania e dalla Spagna da un lato, da Gran Bretagna e Italia sulla guerra in Iraq. Divaricazione ancora più vistosa nel caso della guerra di Libia in corso, che ha messo persino in difficoltà la Nato, che in teoria dovrebbe prendere certe decisioni all´unanimità (come dichiarare una guerra per esempio), mentre in questo caso la guerra continua senza il consenso della Germania.
Lo stato di illegalità e di confusione permanente non riguarda solo i labili assetti giuridici delle istituzioni come la Nato, ma tutte le cosiddette istituzioni internazionali (Onu compresa); tanto che, alla corte di giustizia dell’Aia, per esempio, sono state presentate due denunce per crimini di guerra: una da parte lo ha fatto la confraternita dei bombardieri umanitari (cioè i governi britannico e francese) nei confronti del colonnello Gheddafi, e un altro, sempre per crimini di guerra e per violazione dello stesso statuto della Nato, da parte dell´ex ministro della giustizia statunitense Ramsey Clark.
Parlare di costituzione europea è la seconda grande finzione politica: il trattato di Lisbona è niente altro e di più di un modesto regolamento di condominio con norme in alcuni casi grottesche e involontariamente comiche. Le costituzioni oggi devono farle i popoli e non i governi e questo basterebbe a cestinare il trattato di Lisbona.
Ci sono stati importanti come la Gran Bretagna che godono di tali e tanti privilegi ed eccezioni da rendere semplicemente ridicola la loro partecipazione a un progetto, cui peraltro non hanno mai creduto, ma di cui incassano tutti i benefici senza pagarne tutti i prezzi. La Gran Bretagna è fuori dall´Eurozona, mantiene rapporti privilegiati con le ex colonie, mantiene il proprio rapporto privilegiato con gli Usa di cui è sostanzialmente il vigile gendarme affinché l'Unione Europea non si faccia davvero e non assuma connotazioni indesiderate da parte dell´alleato di oltre atlantico, e grazie al sistema di spionaggio Echelon da cui gli altri partner europei sono esclusi, conduce da anni una politica piratesca di spionaggio industriale e non solo, anche a scapito dei suoi alleati europei.
Infine Gran Bretagna e Francia hanno imposto la seconda guerra di Libia (la senza contare i bombardamenti americani del 1986), per rientrare in una politica di potenza sullo scacchiere mediterraneo, senza alcuna preoccupazione di collegamento con gli altri stati dell´Unione.
Ce n‘è quanto basta per dire che l'Europa politica semplicemente non esiste, ma è solo una mascheratura dietro la quale si combattono aspramente strategie geopolitiche diverse da parte di grandi e medie potenze.
Che cosa è allora l‘Europa di oggi? Rispondere semplicemente come ha fatto la sinistra in questi anni - ossia che si tratta di un’unione monetaria e basta - significa dire un’ovvietà e al tempo stesso una frase priva di contenuto politico, uno slogan neppure del tutto vero. Nel senso che è assai peggio di questo, ma che questo peggio va visto nella sua concretezza. Rileggiamo allora cosa dice il Trattato siglato a Maastricht.
Premetto che quel che segue non è un esame di tutti gli articoli del trattato, che può essere facilmente reperito in rete e letto nella sua interezza. Mi sono dedicato solo a quelli più significativi.
UNIONE ECONOMICA E MONETARIA.
Il mercato unico viene completato dall'instaurazione dell'UEM. La politica economica comporta tre elementi. Gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche ed istituire una sorveglianza multilaterale di tale coordinamento e sono soggetti a norme di disciplina finanziaria e di bilancio. La politica monetaria mira ad istituire una moneta unica e a garantirne la stabilità grazie alla stabilità dei prezzi e al rispetto dell'economia di mercato. La politica monetaria poggia sul Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), costituito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie. (il grassetto è mio).
Queste semplici parole sono già una parte considerevole del problema. Partiamo dal titolo: esso distingue fra unione economica e unione monetaria, le considera naturalmente insieme ma anche distinte. Nel prosieguo dell´articolo, tuttavia, la parte economica, distinta dalla monetaria, scompare pian piano fra le righe; da un lato si dice implicitamente che essa esiste già (il mercato comune storico, a partire dalla comunità del carbone e dell´acciaio del primo trattato di Roma), dall´altro viene lasciata nel vago qualsiasi altra specificazione. La scomparsa anche linguistica della politica economica (che è ovviamente articolata, fatta di una politica industriale e agricola, di una politica del lavoro, di una fiscale, ecc. Ecc.), viene sostituita da una frase del tutto generica sulla necessità di allocazione delle risorse, cui si fa riferimento in un articolo successivo. Cosa rimane dunque di questo articolo iniziale? La politica monetaria e finanziaria: che infatti vengono estrinsecate indicando tutta una serie di progetti e passaggi concreti, circostanziati e per nulla generici, portati a compimento con il varo della nuova moneta unica.
Proprio la concretezza delle disposizioni a fronte della genericità precedente, dimostrano come la politica monetaria, quella finanziaria più in generale (e di cui la monetaria è una parte), sia il solo aspetto che interessi veramente: ma si tratta solo del primo passo per raggiungere, come vedremo un altro scopo. L´obiettivo dell’Unione monetaria, in larga parte disatteso, sarebbe quello della stabilità dei prezzi cioè del contenimento dell´inflazione nell´Eurozona.
La frase sottolineata in grassetto, tuttavia, ci porta nel cuore del problema («Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie »). L´affermazione dell´assoluta autonomia della Bce e del gruppo di comando costituito dalle banche centrali degli stati (SEBC), infatti si configura in modo ben diverso dall'analoga autonomia di cui godono le banche centrali dei singoli stati rispetto ai loro governi.
Nel regime che precedeva Maastricht tale autonomia, nazione per nazione, trovava un potere altrettanto forte che ne bilanciava il peso, il potere costituito da parlamenti eletti e governi espressi da tali parlamenti. L'autonomia della Banca d'Italia, per esempio, ha sempre dovuto fare i conti con governo, parlamento e magistratura e ne sa qualcosa il precedente Governatore Antonio Fazio, travolto dallo scandalo dei cosiddetti “furbetti del quartierino”.
bankerpuppetsNel caso degli accordi di Maastricht, invece, la rinuncia e il trasferimento di sovranità (controllo delle politiche di bilancio dei singoli, stati, vincolo del 3% nel rapporto PIL debito sovrano e altro), non avviene dai singoli stati europei a un potere politico sovranazionale e comunitario, una sorta di governo dell'Unione, ma nei confronti delle banche coordinate dalla Bce: questo prefigura uno squilibrio completo nel rapporto fra espressione democratica dei popoli e direzione politico-economica: l'Europa di oggi non è solo un'entità monetaria, ma un direttorio di istituti di credito senza alcun controllo democratico, un vertice che ha espropriato della sovranità i popoli europei e i parlamenti nazionali: un attacco alla basi della democrazia rappresentativa, che nel caso italiano è anche in contraddizione con norme della nostra costituzione.
Sempre nel primo articolo, infatti, l'adesione senza alcun vincolo alla cosiddetta libertà di impresa è contraddetta in precisi articoli della costituzione italiana che fissano invece dei limiti, sia alla proprietà privata dei mezzi di produzione sia all´invadenza del mercato. Tale esproprio di sovranità spiega per quale motivo dal 1994 a oggi non si è andati nella direzione di una maggiore unità politica ma proprio nella direzione contraria: istituzioni politiche sempre più fragili, commissari europei di basso o nessun profilo, a fronte di una sempre maggiore potere della Bce e dei suoi presidenti.
Probabilmente, se si facesse un sondaggio fra gli europei, molti ricorderebbero il nome di Trichet, attuale presidente della Bce, o quello di Mario Draghi, futuro presidente, molti di meno saprebbero chi sia Barroso, quasi nessuno saprebbe citare il nome di uno qualunque dei commissari europei, che infatti non contano nulla.
In sostanza il mostro europeo è un finto stato sovranazionale governato da un pool di banche, del tutto fuori dal controllo democratico da parte dei cittadini europei e che dettano legge in tutti gli stati , distruggendo politiche sociali e minando alla base ogni istituto elettivo democratico.
L'articolo tre del trattato è una conferma ancora aggravata di quanto fin qui affermato. Vediamolo per intero.
Articolo 3
Compiti
3.1. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 2 del trattato, i compiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono:
- definire e attuare la politica monetaria della Comunità;
- svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 109 del trattato;
- detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
- promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3.2. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 3 del trattato, il terzo trattino dell'articolo 3.1 non pregiudica la detenzione e la gestione, da parte dei Governi degli Stati membri, dei saldi operativi in valuta estera.
3.3. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 5 del trattato, il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
Come si vede, l'accenno a qualsiasi misura di politica economica è del tutto scomparsa, ma è il paragrafo sulla detenzione delle riserve che configura un altro salto nel vuoto: ai singoli stati viene tolta la sovranità sulle proprio riserve e la loro gestione è affidata a un comando centrale unico e sempre più lontano da ogni controllo democratico, come si sottolinea nel successivo articolo sette (qui sotto riportato) che ribadisce l'illimitato potere del direttorio costituito dalla Bce e dalle banche centrali.
Ai singoli stati rimane la sovranità sui saldi operativi in valuta estera cioè il disbrigo delle spese correnti. Tutto questo pone, in ricaduta, dei vincoli sempre più stretti ai governi nazionali, impediti di fatto a svolgere una politica economica degna di questo nome. Rimane sì di competenza dei singoli paesi la leva fiscale, ma su questo tornerò successivamente.
Articolo 7
Indipendenza
Conformemente all'articolo 107 del trattato, nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal trattato e dal presente statuto, né la BCE, né una Banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti.
In sostanza L'Unione Europea assomma in sé due caratteristiche di un mostro mitologico a due teste: è la prima grande entità politica nella storia ad avere una moneta unica senza essere uno stato, è la prima entità politica nella storia non governata da uno governo, ma direttamente da una banca. La conseguenza logica di questo castello è la messa in discussione della stessa autonomia di iniziativa delle banche centrali nazionali, come recita l'articolo 14.
14.4. Le Banche centrali nazionali possono svolgere funzioni diverse da quelle specificate nel presente statuto a meno che il Consiglio direttivo decida, a maggioranza dei due terzi dei votanti, che tali funzioni interferiscono con gli obiettivi e i compiti del SEBC. Tali funzioni sono svolte sotto la piena responsabilità delle Banche centrali nazionali e non sono considerate come facenti parte delle funzioni del SEBC.
In sostanza e come è logico che sia, il processo di espropriazione va a intaccare la stesse prerogative delle banche centrali nazionali.
I successivi articoli 17 e 21, meno vistosi di quelli precedenti, vanno invece attentamente considerati.
Articolo 17
Conti presso la BCE e le Banche centrali nazionali
Al fine di svolgere le loro operazioni, la BCE e le Banche centrali nazionali possono aprire conti intestati a enti creditizi, organismi pubblici e altri operatori del mercato e accettare come garanzia attività, ivi compresi i titoli scritturali.
Altri strumenti di controllo monetario
Il Consiglio direttivo può decidere, a maggioranza di due terzi dei votanti, sull'utilizzo di altri metodi operativi di controllo monetario che esso ritenga appropriato, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 2.
Se tali strumenti impongono obblighi a terzi il Consiglio ne definisce la portata secondo la procedura prevista all'articolo 42.
Articolo 21
Operazioni con enti pubblici
21.1. Conformemente all'articolo 104 del trattato, è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle Banche centrali nazionali, a istituzioni o agli organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.
21.2. La BCE e le banche centrali nazionali possono operare come agenti finanziari per gli organismi di cui all'articolo 21.1.
21.3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di riserve da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla BCE lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
In altre parole, quello che viene qui prospettato, in un linguaggio a tratti oscuro e truffaldino è un meccanismo siffatto: BCE E SEBC possono aprire correnti intestati a organismi privati e pubblici, a patto che questi ultimi offrano come garanzia addirittura i titoli scritturali e le lora attività: sarebbe come se, per aprire un semplice conto corrente (non per ottenere un prestito, si badi bene, ma per aprire un semplice conto corrente), venisse chiesto a un privato cittadino come garanzia, le sue proprietà, la casa e altro.
In pratica questo sistema non è altro che l'imposizione di un regime forzato di ipoteche, che prefigurano un potere di ricatto da parte del sistema SEBC, nei confronti dei correntisti. L´articolo 21, d´altro canto, chiarisce fino in fondo qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il sistema SEBC non si comporta come una qualsiasi banca il cui compito istituzionale dovrebbe consistere nel prestare capitali alle imprese per favorire l´attività economica perché tale funzione è espressamente vietata dall´articolo 21, tranne che per il settore delle pubbliche imprese e questo spiega la furia liberalizzatrice e la corsa alle privatizzazioni che ha contrassegnato l´attività di tutti i governi europei di destra e di sinistra che si sono succeduti in ogni stato dell’Unione. In sostanza, il sistema SEBC non è altro che un colossale processo di centralizzazione del capitale nelle mani di una cricca di banchieri, sottratta a ogni controllo democratico perché economicamente più potente degli stati stessi e quindi dotata di un potere di ricatto e condizionamento senza precedenti.
Si possono paragonare le cifre che seguono con i bilanci statali per rendersi conto della entità di questo trasferimento di ricchezza. In sostanza il sistema SEBC non è altro che un saccheggio delle economie reali dei paesi membri dell´Unione.
DISPOSIZIONI FINANZIARIE DEL SEBC
Capitale della BCE
28.1. Il capitale della BCE, che diventa operativo al momento della sua istituzione, è di 5.000 milioni di ECU. Il capitale può essere aumentato per ammontari eventualemente determinati dal Consiglio direttivo che delibera alla maggioranza qualificata di cui all'articolo 10.3, entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio in base alla procedura di cui all'articolo 42.
Articolo 29
Schema di sottoscrizione di capitale
29.1. Dopo l'istituzione del SEBC e della BCE in base alla procedura di cui all'articolo 109 L, paragrafo 1 del trattato, viene stabilito lo schema per la sottoscrizione del capitale della BCE. A ciascuna Banca centrale nazionale viene assegnata, nell'ambito di questo schema, una ponderazione uguale alla somma del:
- 50 % della quota, relativa allo Stato membro di appartenenza, della popolazione comunitaria nel penultimo anno che precede l'istituzione del SEBC;
- 50 % della quota, relativa allo Stato membro di appartenenza, del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato della Comunità, registrati negli ultimi cinque anni che precedono il penultimo anno prima dell'istituzione del SEBC;
Le percentuali sono arrotondate verso l'alto al più vicino multiplo di 0,05 %.
29.2. I dati statistici da usare per l'applicazione del presente articolo sono predisposti dalla Commissione in conformità delle norme adottate dal Consiglio secondo la procedura di cui all'articolo 42.
29.3. Le ponderazioni assegnate alle Banche centrali nazionali saranno adottate ogni cinque anni dopo l'istituzione del SEBC in modo analogo alle disposizioni di cui all'articolo 29.1. Lo schema modificato si applica a decorrere dal primo giorno dell'anno successivo.
29.4. Il Consiglio direttivo prende tutte le altre misure necessarie per l'applicazione del presente articolo.
Articolo 30
Trasferimento alla BCE di attività di riserva in valuta
30.1. Fatto salvo il disposto dell'articolo 28, alla BCE vengono conferite da parte delle Banche centrali nazionali attività di riserva in valute diverse da valute comunitarie, ECU, posizioni di riserva sul FMI e DSP, fino ad un ammontare equivalente a 50.000 milioni di ECU. Il Consiglio direttivo decide sulla quota che può essere richiesta dalla BCE dopo che è stata istituita e sugli ammontari che possono essere richiesti in epoche successive. La BCE ha il pieno diritto di detenere e gestire le riserve in valuta che le vengono trasferite e di utilizzarle per gli scopi indicati nel presente statuto.
30.2. I contributi di ogni Banca centrale nazionale sono fissati in proporzione alla quota del capitale sottoscritto della BCE.
30.3. Ogni Banca centrale nazionale ha nei confronti della BCE un credito pari al proprio contributo. Il Consiglio direttivo determina la denominazione e la remunerazione di tali crediti.
30.4. Ulteriori richieste di attività di riserva in valuta oltre il limite previsto dall'articolo 30.1. possono essere effettuate dalla BCE conformemente all'articolo 30.2., entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio secondo la procedura di cui all'articolo 42.
30.5. La BCE può detenere e gestire posizioni di riserva sul FMI e DSP e provvedere alla messa in comune di tali attività.
Veniamo infine alla parte più nota del trattato, l´unica sempre citata, quella che si riferisce ai disavanzi, al debito sovrano e dal debito complessivo, ma che non può essere compresa senza l´analisi di ciò che la precede.
PROTOCOLLO sulla procedura per i disavanzi eccessivi
Articolo 1
I valori di riferimento di cui all'articolo 104 C, paragrafo 2, del trattato sono:
- il 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;
- il 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato.
Articolo 2
Nell'articolo 104 C del trattato e nel presente protocollo:
- per pubblico, si intende la pubblica amministrazione, vale a dire l'amministrazione statale, regionale o locale e i fondi di previdenza sociale, ad esclusione delle operazioni commerciali, quali definiti nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per disavanzo, si intende l'indebitamento netto quale definito nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per investimento, si intende la formazione lorda di capitale fisso, quale definita nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per debito, si intende il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell'esercizio e consolidato tra e nei settori della pubblica amministrazione quale definita nel primo trattino.
A parte la decisone di stabilire al 3% il rapporto fra disavanzo e PIL, che nessuno stato poté rispettare in prima istanza; a parte la mancanza di una qualsiasi politica economica e a parte i vincoli (di bilancio e non solo) posti alle economie nazionali, i singoli stati furono messi nella impossibilità di conseguire tali obiettivi se non attraverso la riduzione drastica della spesa sociale cioè attraverso un colossale trasferimento di ricchezza dai salari, stipendi e pensioni, nonché servizi sociali, al capitale finanziario centralizzato, dove i singoli istituiti di credito e le stesse banche centrali fungono da agenti di raccolta dei fondi e di rastrellamento delle risorse.
La fissazione del tetto dell'1,5% dell´inflazione nella comunità, di cui si parla nell´articolo qui sotto riportato, è quasi un corollario tragicomico visto quanto precede: non c´era bisogno di fissarlo, perché la capacità di spesa è talmente compressa che i prezzi non aumentano non tanto perché il governo europeo pratica una virtuosa politica ma perché la capacità la disponibilità di risorse destinate alla crescita è in costante diminuzione e questo ovviamente ha una immediata ricaduta sui consumi, tranne quelli di lusso, che - come sempre - crescono nei momenti di crisi economica.
PROTOCOLLO sui criteri di convergenza di cui all'articolo 109 J del trattato che istituisce la Comunità europea
Articolo 1
Il criterio relativo alla stabilità dei prezzi di cui all'articolo 109 J, paragrafo 1, primo trattino, del trattato, significa che gli Stati membri hanno un andamento dei prezzi che è sostenibile ed un tasso medio d'inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all'esame, non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. L'inflazione si misura mediante l'indice dei prezzi al consumo (IPC) calcolato su base comparabile, tenendo conto delle differenze delle definizioni nazionali.
Alla fine di tutto questo castello che ha già posto la camicia di forza alla sovranità degli stati e dei parlamenti e al funzionamento della democrazia, ecco che ritorna improvvisamente, nell´articolo qui riportato di seguito, l´economia reale in una serie di raccomandazioni generiche, per le quali non viene indicato alcuno strumento per renderle attuabili. E chi si deve occupare di attuarle? Non il sistema di banche centrali, ma la comunità, non meglio specificata: non si capisce neppure se si stia parlando della Commissione europea (supponiamo di sì) senza naturalmente alcuna indicazione di dove e come trovare e gestire le risorse necessarie ad attuare questo programma.
«Articolo 3
Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato:
a) l'abolizione, tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente;
b) una politica commerciale comune;
c) un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;
d) misure relative all'entrata e alla circolazione delle persone nel mercato interno, come previsto dall'articolo 100 C;
e) una politica comune nei settori dell'agricoltura e della pesca;
f) una politica comune nel settore dei trasporti;
g) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno;
h) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune;
i) una politica nel settore sociale comprendente un Fondo sociale europeo;
j) il rafforzamento della coesione economica e sociale;
k) una politica nel settore dell'ambiente;
l) il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria;
m) la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico;
n) l'incentivazione della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee;
o) un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute;
p) un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri;
q) una politica nel settore della cooperazione allo sviluppo;
r) l'associazione dei paesi e territori d'oltremare, intesa ad incrementare gli scambi e proseguire in comune nello sforzo di sviluppo economico e sociale;
s) un contributo al rafforzamento della protezione dei consumatori;
t) misure in materia di energia, protezione civile e turismo.»
Agli stati cosa rimane? Rimane la politica fiscale, cioè la possibilità sempre più limitata di reperire risorse da un´economia sempre più depressa: il caso italiano presenta – si sa - la peculiarità di un´evasione che non ha eguali in alcun paese della comunità, ma questo inficia tutto il ragionamento precedente, basato su dati di fatto strutturali e cogenti al modo in cui il processo unitario è stato costruito.
Cosa rimane allora, alla democrazia rappresentativa, alla Commissione europea, al Parlamento, insomma a quello che dovrebbe essere il baricentro istituzionale e il governo dell´Unione? Eccolo ben chiarito negli articoli che seguono.
2. La Commissione sorveglia l'evoluzione della situazione di bilancio e dell'entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:
a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che
- il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento;
- oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;
b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.
I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato al presente trattato.
3. Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro.
La Commissione può inoltre preparare una relazione se ritiene che in un determinato Stato membro, malgrado i criteri siano rispettati, sussista il rischio di un disavanzo eccessivo.
4. Il Comitato previsto dall'articolo 109 C formula un parere in merito alla relazione della Commissione.
5. La Commissione, se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo, trasmette un parere al Consiglio.
6. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo.
raccomandazioni.
9. Qualora uno Stato membro persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest'ultimo può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessaria per correggere la situazione.
In tal caso il Consiglio può chiedere allo Stato membro in questione di presentare relazioni secondo un calendario preciso, al fine di esaminare gli sforzi compiuti da detto Stato membro per rimediare alla situazione.
10. I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 169 e 170 non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 del presente articolo.
11. Fintantoché uno Stato membro non ottempera ad una decisione presa in conformità del paragrafo 9, il Consiglio può decidere di applicare o, a seconda dei casi, di intensificare una o più delle seguenti misure:
- chiedere che lo Stato membro interessato pubblichi informazioni supplementari, che saranno specificate dal Consiglio, prima dell'emissione di obbligazioni o altri titoli;
- invitare la Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso lo Stato membro in questione;
- richiedere che lo Stato membro in questione costituisca un deposito infruttifero di importo adeguato presso la Comunità, fino a quando, a parere del Consiglio, il disavanzo eccessivo non sia stato corretto;
- infliggere ammende di entità adeguata.
Il Presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo delle decisioni adottate.
Il Presidente della BCE e gli altri membri del Comitato esecutivo possono, a richiesta del Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle Commissioni competenti del Parlamento europeo.
Ne risulta concretamente che ciò che si chiede alle istituzioni europee in tema economico è di essere il cane da guardia della BCE e del sistema di banche centrali SEBC.
Possono persino “ascoltare” il presidente nelle commissioni apposite, l’articolo non dice neppure se possono anche parlare.
Una pratica che accomuna grandi poteri privati e pubblici (stati compresi). La mitologia delle loro differenze reali tende a scomparire nell´epoca della finanziarizzazione selvaggia, contrassegnata proprio dalla necessaria mancanza di regole, dal venir meno delle barriere - labili ma ancora esistenti fino a qualche anno fa - fra comportamenti legali e comportamenti criminali, ormai fin dentro l´ambito di quella che dovrebbe essere l´economia legale.
I greci non pagano per i conti pubblici falsificati, di cui peraltro erano tutti al corrente e su cui nulla si diceva finché è stato conveniente non dirlo, ma perché tutta la politica finanziaria europea è un mostro dai piedi d’argilla che per continuare a sopravvivere deve mangiare i suoi figli uno ad uno, e cioè i popoli europei, destinati a un massacro sociale senza precedenti.
La crisi, naturalmente, non investe solo l´Europa: i nuovi interventi di emergenza ipotizzati dalla presidenza Obama sono lì a dimostrarlo. Nessun provvedimento serio è stato preso dall´amministrazione statunitense, a parte le demagogiche promesse della campagna elettorale. Tuttavia è sull´Europa ai tempi dell’Euro che vorrei soffermarmi.
È ormai evidente che, dopo aver scaricato sui cosiddetti stati deboli dell´Europa i costi di questo progetto del tutto sconsiderato (e dopo avere veicolato l’ideologia delle “due velocità” europee, dei “ritardi storici” dei popoli del Sud dell´Europa e così via), uno dopo l´altro saranno i tutti gli stati europei a finire sotto il tiro di quella che impropriamente si chiama speculazione internazionale.
È una notizia del 12 luglio che, non appena partito l´attacco al Portogallo, è ricominciato quello ai titoli di stato italiani, poi nella stessa giornata è toccato alla Francia, al Belgio, all´Olanda e alla Finlandia. Quasi di dimentica di dire - probabilmente perché si tratta di un ´piccolo paese´ e quindi irrilevante sul piano mediatico - che il primo vistoso fallimento di uno stato europeo è stato quello dell´Islanda, finita in bancarotta dopo avere scrupolosamente seguito le indicazioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, cioè le due istituzioni che hanno governato, a modo loro, la cosiddetta globalizzazione.
Se ne stanno rendendo conto persino gli inglesi che scendono massicciamente in piazza in questi giorni perché il piano Cameron di riduzione drastica delle pensioni è una misura preventiva, che si rivelerà inefficace - come tutte le analoghe misure prese fin qui negli altri paesi – rispetto al suo fine esplicito: non servirà cioè a scongiurare il fatto che anche il Regno Unito entri in una fase di destabilizzazione, in cui neppure l´ombrello dell´alleato di oltreoceano potrebbe salvarlo.
eurostruzziUno dopo l’altro il destino della Grecia toccherà a tutti e questo significherà la fine di ogni politica sociale ma anche di ogni politica di difesa pubblica delle risorse strategiche, per non parlare delle politiche del lavoro.
Qualcosa di peggio di un accantonamento del compromesso sociale europeo basato sulle politiche keynesiane (già travolto da anni): si tratta di un trasferimento enorme di ricchezza dai ceti sociali più poveri a una élite di guru della finanza che non hanno fatto altro che causare un disastro dopo l'altro.
La sinistra, anche quella cosiddetta radicale, dopo avere criticato gli accordi di Maastricht in modo ideologico ma con scarsa cognizione di causa, ha del tutto abbandonato il terreno della critica, dando per scontato e irreversibile un processo che invece non lo è affatto. Le voci sul fatto che sia un edificio destinato comunque a crollare sono molte e provengono tutte dall´interno degli establishment europei. È un processo che rischia di travolgere tutto e tutti.
In Italia, il Partito Democratico, in previsione della fine seppure trascinata nel tempo del ciclo berlusconiano, si pone come alternativa pronta ad attuare la più feroce macelleria sociale che nessun governo democristiano si è mai neppure sognato di poter praticare: la politica di nuove liberalizzazioni e privatizzazioni di altri settori strategici, fa di questo partito il miglior garante delle politiche neoliberiste in Italia, destinato probabilmente a spaccare le forze politiche e a ricomporle in vista dell´uscita di scena di Berlusconi, con una ruolo ovviamente privilegiato per Giulio Tremonti: chi come Nichi Vendola ha pensato di poter spostare a ´sinistra´questo partito muovendo il popolo delle primarie (un modo di fare politica fra l´altro sull´immagine del leader e basta), è servito.
Se passerà questo progetto, anche gli esiti del referendum sono a rischio, visti i numerosi sindaci del PD che avevano già firmato accordi con i privati per la liberalizzazione dell´acqua, per esempio.
La sinistra cosiddetta radicale, da parte sua, è del tutto inadeguata, prima di tutto culturalmente, ad affrontare tale contingenza. A parte il non aver compreso la portata della guerra di Libia, è sulle questioni riguardanti l´Europa che rivela tutta la sua inadeguatezza. Alla critica tutta ideologica al trattato di Maastricht, è seguito il nulla, non una seria analisi sulle conseguenze ma una sostanziale accettazione di quanto avvenuto, reiterando giaculatorie di protesta che non sanno affrontare i nodi delle questioni.
Riprendere in mano oggi e rileggere il trattato, non solo è illuminate perché è persino troppo facile trovare in esso le premesse dei disastri già avvenuti e di quelli prossimi e futuri, ma anche perché è la sola strada per costruire una piattaforma e un percorso politico di netta opposizione, su cui attestarsi per combattere socialmente e politicamente le conseguenze logiche di quel trattato, che si stanno ora manifestando in tutta la loro carica di violenza sociale e di svuotamento totale delle prerogative di una società minimamente democratica.
ESISTE DAVVERO L'UNIONE?
La domanda non è retorica dal momento che anche alcuni capi di Stato, fra cui il nostro, sono intervenuti più volte per sottolineare come le istituzioni politiche europee siano bloccate, come la cosiddetta politica estera comune sia stata letteralmente fatta a pezzi dalle scelte opposte della Germania e dalla Spagna da un lato, da Gran Bretagna e Italia sulla guerra in Iraq. Divaricazione ancora più vistosa nel caso della guerra di Libia in corso, che ha messo persino in difficoltà la Nato, che in teoria dovrebbe prendere certe decisioni all´unanimità (come dichiarare una guerra per esempio), mentre in questo caso la guerra continua senza il consenso della Germania.
Lo stato di illegalità e di confusione permanente non riguarda solo i labili assetti giuridici delle istituzioni come la Nato, ma tutte le cosiddette istituzioni internazionali (Onu compresa); tanto che, alla corte di giustizia dell’Aia, per esempio, sono state presentate due denunce per crimini di guerra: una da parte lo ha fatto la confraternita dei bombardieri umanitari (cioè i governi britannico e francese) nei confronti del colonnello Gheddafi, e un altro, sempre per crimini di guerra e per violazione dello stesso statuto della Nato, da parte dell´ex ministro della giustizia statunitense Ramsey Clark.
Parlare di costituzione europea è la seconda grande finzione politica: il trattato di Lisbona è niente altro e di più di un modesto regolamento di condominio con norme in alcuni casi grottesche e involontariamente comiche. Le costituzioni oggi devono farle i popoli e non i governi e questo basterebbe a cestinare il trattato di Lisbona.
Ci sono stati importanti come la Gran Bretagna che godono di tali e tanti privilegi ed eccezioni da rendere semplicemente ridicola la loro partecipazione a un progetto, cui peraltro non hanno mai creduto, ma di cui incassano tutti i benefici senza pagarne tutti i prezzi. La Gran Bretagna è fuori dall´Eurozona, mantiene rapporti privilegiati con le ex colonie, mantiene il proprio rapporto privilegiato con gli Usa di cui è sostanzialmente il vigile gendarme affinché l'Unione Europea non si faccia davvero e non assuma connotazioni indesiderate da parte dell´alleato di oltre atlantico, e grazie al sistema di spionaggio Echelon da cui gli altri partner europei sono esclusi, conduce da anni una politica piratesca di spionaggio industriale e non solo, anche a scapito dei suoi alleati europei.
Infine Gran Bretagna e Francia hanno imposto la seconda guerra di Libia (la senza contare i bombardamenti americani del 1986), per rientrare in una politica di potenza sullo scacchiere mediterraneo, senza alcuna preoccupazione di collegamento con gli altri stati dell´Unione.
Ce n‘è quanto basta per dire che l'Europa politica semplicemente non esiste, ma è solo una mascheratura dietro la quale si combattono aspramente strategie geopolitiche diverse da parte di grandi e medie potenze.
Che cosa è allora l‘Europa di oggi? Rispondere semplicemente come ha fatto la sinistra in questi anni - ossia che si tratta di un’unione monetaria e basta - significa dire un’ovvietà e al tempo stesso una frase priva di contenuto politico, uno slogan neppure del tutto vero. Nel senso che è assai peggio di questo, ma che questo peggio va visto nella sua concretezza. Rileggiamo allora cosa dice il Trattato siglato a Maastricht.
Premetto che quel che segue non è un esame di tutti gli articoli del trattato, che può essere facilmente reperito in rete e letto nella sua interezza. Mi sono dedicato solo a quelli più significativi.
UNIONE ECONOMICA E MONETARIA.
Il mercato unico viene completato dall'instaurazione dell'UEM. La politica economica comporta tre elementi. Gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche ed istituire una sorveglianza multilaterale di tale coordinamento e sono soggetti a norme di disciplina finanziaria e di bilancio. La politica monetaria mira ad istituire una moneta unica e a garantirne la stabilità grazie alla stabilità dei prezzi e al rispetto dell'economia di mercato. La politica monetaria poggia sul Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), costituito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie. (il grassetto è mio).
Queste semplici parole sono già una parte considerevole del problema. Partiamo dal titolo: esso distingue fra unione economica e unione monetaria, le considera naturalmente insieme ma anche distinte. Nel prosieguo dell´articolo, tuttavia, la parte economica, distinta dalla monetaria, scompare pian piano fra le righe; da un lato si dice implicitamente che essa esiste già (il mercato comune storico, a partire dalla comunità del carbone e dell´acciaio del primo trattato di Roma), dall´altro viene lasciata nel vago qualsiasi altra specificazione. La scomparsa anche linguistica della politica economica (che è ovviamente articolata, fatta di una politica industriale e agricola, di una politica del lavoro, di una fiscale, ecc. Ecc.), viene sostituita da una frase del tutto generica sulla necessità di allocazione delle risorse, cui si fa riferimento in un articolo successivo. Cosa rimane dunque di questo articolo iniziale? La politica monetaria e finanziaria: che infatti vengono estrinsecate indicando tutta una serie di progetti e passaggi concreti, circostanziati e per nulla generici, portati a compimento con il varo della nuova moneta unica.
Proprio la concretezza delle disposizioni a fronte della genericità precedente, dimostrano come la politica monetaria, quella finanziaria più in generale (e di cui la monetaria è una parte), sia il solo aspetto che interessi veramente: ma si tratta solo del primo passo per raggiungere, come vedremo un altro scopo. L´obiettivo dell’Unione monetaria, in larga parte disatteso, sarebbe quello della stabilità dei prezzi cioè del contenimento dell´inflazione nell´Eurozona.
La frase sottolineata in grassetto, tuttavia, ci porta nel cuore del problema («Tali istituzioni sono indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie »). L´affermazione dell´assoluta autonomia della Bce e del gruppo di comando costituito dalle banche centrali degli stati (SEBC), infatti si configura in modo ben diverso dall'analoga autonomia di cui godono le banche centrali dei singoli stati rispetto ai loro governi.
Nel regime che precedeva Maastricht tale autonomia, nazione per nazione, trovava un potere altrettanto forte che ne bilanciava il peso, il potere costituito da parlamenti eletti e governi espressi da tali parlamenti. L'autonomia della Banca d'Italia, per esempio, ha sempre dovuto fare i conti con governo, parlamento e magistratura e ne sa qualcosa il precedente Governatore Antonio Fazio, travolto dallo scandalo dei cosiddetti “furbetti del quartierino”.
bankerpuppetsNel caso degli accordi di Maastricht, invece, la rinuncia e il trasferimento di sovranità (controllo delle politiche di bilancio dei singoli, stati, vincolo del 3% nel rapporto PIL debito sovrano e altro), non avviene dai singoli stati europei a un potere politico sovranazionale e comunitario, una sorta di governo dell'Unione, ma nei confronti delle banche coordinate dalla Bce: questo prefigura uno squilibrio completo nel rapporto fra espressione democratica dei popoli e direzione politico-economica: l'Europa di oggi non è solo un'entità monetaria, ma un direttorio di istituti di credito senza alcun controllo democratico, un vertice che ha espropriato della sovranità i popoli europei e i parlamenti nazionali: un attacco alla basi della democrazia rappresentativa, che nel caso italiano è anche in contraddizione con norme della nostra costituzione.
Sempre nel primo articolo, infatti, l'adesione senza alcun vincolo alla cosiddetta libertà di impresa è contraddetta in precisi articoli della costituzione italiana che fissano invece dei limiti, sia alla proprietà privata dei mezzi di produzione sia all´invadenza del mercato. Tale esproprio di sovranità spiega per quale motivo dal 1994 a oggi non si è andati nella direzione di una maggiore unità politica ma proprio nella direzione contraria: istituzioni politiche sempre più fragili, commissari europei di basso o nessun profilo, a fronte di una sempre maggiore potere della Bce e dei suoi presidenti.
Probabilmente, se si facesse un sondaggio fra gli europei, molti ricorderebbero il nome di Trichet, attuale presidente della Bce, o quello di Mario Draghi, futuro presidente, molti di meno saprebbero chi sia Barroso, quasi nessuno saprebbe citare il nome di uno qualunque dei commissari europei, che infatti non contano nulla.
In sostanza il mostro europeo è un finto stato sovranazionale governato da un pool di banche, del tutto fuori dal controllo democratico da parte dei cittadini europei e che dettano legge in tutti gli stati , distruggendo politiche sociali e minando alla base ogni istituto elettivo democratico.
L'articolo tre del trattato è una conferma ancora aggravata di quanto fin qui affermato. Vediamolo per intero.
Articolo 3
Compiti
3.1. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 2 del trattato, i compiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono:
- definire e attuare la politica monetaria della Comunità;
- svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 109 del trattato;
- detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
- promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3.2. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 3 del trattato, il terzo trattino dell'articolo 3.1 non pregiudica la detenzione e la gestione, da parte dei Governi degli Stati membri, dei saldi operativi in valuta estera.
3.3. Conformemente all'articolo 105, paragrafo 5 del trattato, il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
Come si vede, l'accenno a qualsiasi misura di politica economica è del tutto scomparsa, ma è il paragrafo sulla detenzione delle riserve che configura un altro salto nel vuoto: ai singoli stati viene tolta la sovranità sulle proprio riserve e la loro gestione è affidata a un comando centrale unico e sempre più lontano da ogni controllo democratico, come si sottolinea nel successivo articolo sette (qui sotto riportato) che ribadisce l'illimitato potere del direttorio costituito dalla Bce e dalle banche centrali.
Ai singoli stati rimane la sovranità sui saldi operativi in valuta estera cioè il disbrigo delle spese correnti. Tutto questo pone, in ricaduta, dei vincoli sempre più stretti ai governi nazionali, impediti di fatto a svolgere una politica economica degna di questo nome. Rimane sì di competenza dei singoli paesi la leva fiscale, ma su questo tornerò successivamente.
Articolo 7
Indipendenza
Conformemente all'articolo 107 del trattato, nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal trattato e dal presente statuto, né la BCE, né una Banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti.
In sostanza L'Unione Europea assomma in sé due caratteristiche di un mostro mitologico a due teste: è la prima grande entità politica nella storia ad avere una moneta unica senza essere uno stato, è la prima entità politica nella storia non governata da uno governo, ma direttamente da una banca. La conseguenza logica di questo castello è la messa in discussione della stessa autonomia di iniziativa delle banche centrali nazionali, come recita l'articolo 14.
14.4. Le Banche centrali nazionali possono svolgere funzioni diverse da quelle specificate nel presente statuto a meno che il Consiglio direttivo decida, a maggioranza dei due terzi dei votanti, che tali funzioni interferiscono con gli obiettivi e i compiti del SEBC. Tali funzioni sono svolte sotto la piena responsabilità delle Banche centrali nazionali e non sono considerate come facenti parte delle funzioni del SEBC.
In sostanza e come è logico che sia, il processo di espropriazione va a intaccare la stesse prerogative delle banche centrali nazionali.
I successivi articoli 17 e 21, meno vistosi di quelli precedenti, vanno invece attentamente considerati.
Articolo 17
Conti presso la BCE e le Banche centrali nazionali
Al fine di svolgere le loro operazioni, la BCE e le Banche centrali nazionali possono aprire conti intestati a enti creditizi, organismi pubblici e altri operatori del mercato e accettare come garanzia attività, ivi compresi i titoli scritturali.
Altri strumenti di controllo monetario
Il Consiglio direttivo può decidere, a maggioranza di due terzi dei votanti, sull'utilizzo di altri metodi operativi di controllo monetario che esso ritenga appropriato, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 2.
Se tali strumenti impongono obblighi a terzi il Consiglio ne definisce la portata secondo la procedura prevista all'articolo 42.
Articolo 21
Operazioni con enti pubblici
21.1. Conformemente all'articolo 104 del trattato, è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle Banche centrali nazionali, a istituzioni o agli organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.
21.2. La BCE e le banche centrali nazionali possono operare come agenti finanziari per gli organismi di cui all'articolo 21.1.
21.3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di riserve da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla BCE lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
In altre parole, quello che viene qui prospettato, in un linguaggio a tratti oscuro e truffaldino è un meccanismo siffatto: BCE E SEBC possono aprire correnti intestati a organismi privati e pubblici, a patto che questi ultimi offrano come garanzia addirittura i titoli scritturali e le lora attività: sarebbe come se, per aprire un semplice conto corrente (non per ottenere un prestito, si badi bene, ma per aprire un semplice conto corrente), venisse chiesto a un privato cittadino come garanzia, le sue proprietà, la casa e altro.
In pratica questo sistema non è altro che l'imposizione di un regime forzato di ipoteche, che prefigurano un potere di ricatto da parte del sistema SEBC, nei confronti dei correntisti. L´articolo 21, d´altro canto, chiarisce fino in fondo qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il sistema SEBC non si comporta come una qualsiasi banca il cui compito istituzionale dovrebbe consistere nel prestare capitali alle imprese per favorire l´attività economica perché tale funzione è espressamente vietata dall´articolo 21, tranne che per il settore delle pubbliche imprese e questo spiega la furia liberalizzatrice e la corsa alle privatizzazioni che ha contrassegnato l´attività di tutti i governi europei di destra e di sinistra che si sono succeduti in ogni stato dell’Unione. In sostanza, il sistema SEBC non è altro che un colossale processo di centralizzazione del capitale nelle mani di una cricca di banchieri, sottratta a ogni controllo democratico perché economicamente più potente degli stati stessi e quindi dotata di un potere di ricatto e condizionamento senza precedenti.
Si possono paragonare le cifre che seguono con i bilanci statali per rendersi conto della entità di questo trasferimento di ricchezza. In sostanza il sistema SEBC non è altro che un saccheggio delle economie reali dei paesi membri dell´Unione.
DISPOSIZIONI FINANZIARIE DEL SEBC
Capitale della BCE
28.1. Il capitale della BCE, che diventa operativo al momento della sua istituzione, è di 5.000 milioni di ECU. Il capitale può essere aumentato per ammontari eventualemente determinati dal Consiglio direttivo che delibera alla maggioranza qualificata di cui all'articolo 10.3, entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio in base alla procedura di cui all'articolo 42.
Articolo 29
Schema di sottoscrizione di capitale
29.1. Dopo l'istituzione del SEBC e della BCE in base alla procedura di cui all'articolo 109 L, paragrafo 1 del trattato, viene stabilito lo schema per la sottoscrizione del capitale della BCE. A ciascuna Banca centrale nazionale viene assegnata, nell'ambito di questo schema, una ponderazione uguale alla somma del:
- 50 % della quota, relativa allo Stato membro di appartenenza, della popolazione comunitaria nel penultimo anno che precede l'istituzione del SEBC;
- 50 % della quota, relativa allo Stato membro di appartenenza, del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato della Comunità, registrati negli ultimi cinque anni che precedono il penultimo anno prima dell'istituzione del SEBC;
Le percentuali sono arrotondate verso l'alto al più vicino multiplo di 0,05 %.
29.2. I dati statistici da usare per l'applicazione del presente articolo sono predisposti dalla Commissione in conformità delle norme adottate dal Consiglio secondo la procedura di cui all'articolo 42.
29.3. Le ponderazioni assegnate alle Banche centrali nazionali saranno adottate ogni cinque anni dopo l'istituzione del SEBC in modo analogo alle disposizioni di cui all'articolo 29.1. Lo schema modificato si applica a decorrere dal primo giorno dell'anno successivo.
29.4. Il Consiglio direttivo prende tutte le altre misure necessarie per l'applicazione del presente articolo.
Articolo 30
Trasferimento alla BCE di attività di riserva in valuta
30.1. Fatto salvo il disposto dell'articolo 28, alla BCE vengono conferite da parte delle Banche centrali nazionali attività di riserva in valute diverse da valute comunitarie, ECU, posizioni di riserva sul FMI e DSP, fino ad un ammontare equivalente a 50.000 milioni di ECU. Il Consiglio direttivo decide sulla quota che può essere richiesta dalla BCE dopo che è stata istituita e sugli ammontari che possono essere richiesti in epoche successive. La BCE ha il pieno diritto di detenere e gestire le riserve in valuta che le vengono trasferite e di utilizzarle per gli scopi indicati nel presente statuto.
30.2. I contributi di ogni Banca centrale nazionale sono fissati in proporzione alla quota del capitale sottoscritto della BCE.
30.3. Ogni Banca centrale nazionale ha nei confronti della BCE un credito pari al proprio contributo. Il Consiglio direttivo determina la denominazione e la remunerazione di tali crediti.
30.4. Ulteriori richieste di attività di riserva in valuta oltre il limite previsto dall'articolo 30.1. possono essere effettuate dalla BCE conformemente all'articolo 30.2., entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio secondo la procedura di cui all'articolo 42.
30.5. La BCE può detenere e gestire posizioni di riserva sul FMI e DSP e provvedere alla messa in comune di tali attività.
Veniamo infine alla parte più nota del trattato, l´unica sempre citata, quella che si riferisce ai disavanzi, al debito sovrano e dal debito complessivo, ma che non può essere compresa senza l´analisi di ciò che la precede.
PROTOCOLLO sulla procedura per i disavanzi eccessivi
Articolo 1
I valori di riferimento di cui all'articolo 104 C, paragrafo 2, del trattato sono:
- il 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;
- il 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato.
Articolo 2
Nell'articolo 104 C del trattato e nel presente protocollo:
- per pubblico, si intende la pubblica amministrazione, vale a dire l'amministrazione statale, regionale o locale e i fondi di previdenza sociale, ad esclusione delle operazioni commerciali, quali definiti nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per disavanzo, si intende l'indebitamento netto quale definito nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per investimento, si intende la formazione lorda di capitale fisso, quale definita nel Sistema europeo di conti economici integrati;
- per debito, si intende il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell'esercizio e consolidato tra e nei settori della pubblica amministrazione quale definita nel primo trattino.
A parte la decisone di stabilire al 3% il rapporto fra disavanzo e PIL, che nessuno stato poté rispettare in prima istanza; a parte la mancanza di una qualsiasi politica economica e a parte i vincoli (di bilancio e non solo) posti alle economie nazionali, i singoli stati furono messi nella impossibilità di conseguire tali obiettivi se non attraverso la riduzione drastica della spesa sociale cioè attraverso un colossale trasferimento di ricchezza dai salari, stipendi e pensioni, nonché servizi sociali, al capitale finanziario centralizzato, dove i singoli istituiti di credito e le stesse banche centrali fungono da agenti di raccolta dei fondi e di rastrellamento delle risorse.
La fissazione del tetto dell'1,5% dell´inflazione nella comunità, di cui si parla nell´articolo qui sotto riportato, è quasi un corollario tragicomico visto quanto precede: non c´era bisogno di fissarlo, perché la capacità di spesa è talmente compressa che i prezzi non aumentano non tanto perché il governo europeo pratica una virtuosa politica ma perché la capacità la disponibilità di risorse destinate alla crescita è in costante diminuzione e questo ovviamente ha una immediata ricaduta sui consumi, tranne quelli di lusso, che - come sempre - crescono nei momenti di crisi economica.
PROTOCOLLO sui criteri di convergenza di cui all'articolo 109 J del trattato che istituisce la Comunità europea
Articolo 1
Il criterio relativo alla stabilità dei prezzi di cui all'articolo 109 J, paragrafo 1, primo trattino, del trattato, significa che gli Stati membri hanno un andamento dei prezzi che è sostenibile ed un tasso medio d'inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all'esame, non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. L'inflazione si misura mediante l'indice dei prezzi al consumo (IPC) calcolato su base comparabile, tenendo conto delle differenze delle definizioni nazionali.
Alla fine di tutto questo castello che ha già posto la camicia di forza alla sovranità degli stati e dei parlamenti e al funzionamento della democrazia, ecco che ritorna improvvisamente, nell´articolo qui riportato di seguito, l´economia reale in una serie di raccomandazioni generiche, per le quali non viene indicato alcuno strumento per renderle attuabili. E chi si deve occupare di attuarle? Non il sistema di banche centrali, ma la comunità, non meglio specificata: non si capisce neppure se si stia parlando della Commissione europea (supponiamo di sì) senza naturalmente alcuna indicazione di dove e come trovare e gestire le risorse necessarie ad attuare questo programma.
«Articolo 3
Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato:
a) l'abolizione, tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente;
b) una politica commerciale comune;
c) un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;
d) misure relative all'entrata e alla circolazione delle persone nel mercato interno, come previsto dall'articolo 100 C;
e) una politica comune nei settori dell'agricoltura e della pesca;
f) una politica comune nel settore dei trasporti;
g) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno;
h) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune;
i) una politica nel settore sociale comprendente un Fondo sociale europeo;
j) il rafforzamento della coesione economica e sociale;
k) una politica nel settore dell'ambiente;
l) il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria;
m) la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico;
n) l'incentivazione della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee;
o) un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute;
p) un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri;
q) una politica nel settore della cooperazione allo sviluppo;
r) l'associazione dei paesi e territori d'oltremare, intesa ad incrementare gli scambi e proseguire in comune nello sforzo di sviluppo economico e sociale;
s) un contributo al rafforzamento della protezione dei consumatori;
t) misure in materia di energia, protezione civile e turismo.»
Agli stati cosa rimane? Rimane la politica fiscale, cioè la possibilità sempre più limitata di reperire risorse da un´economia sempre più depressa: il caso italiano presenta – si sa - la peculiarità di un´evasione che non ha eguali in alcun paese della comunità, ma questo inficia tutto il ragionamento precedente, basato su dati di fatto strutturali e cogenti al modo in cui il processo unitario è stato costruito.
Cosa rimane allora, alla democrazia rappresentativa, alla Commissione europea, al Parlamento, insomma a quello che dovrebbe essere il baricentro istituzionale e il governo dell´Unione? Eccolo ben chiarito negli articoli che seguono.
2. La Commissione sorveglia l'evoluzione della situazione di bilancio e dell'entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:
a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che
- il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento;
- oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;
b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.
I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato al presente trattato.
3. Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro.
La Commissione può inoltre preparare una relazione se ritiene che in un determinato Stato membro, malgrado i criteri siano rispettati, sussista il rischio di un disavanzo eccessivo.
4. Il Comitato previsto dall'articolo 109 C formula un parere in merito alla relazione della Commissione.
5. La Commissione, se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo, trasmette un parere al Consiglio.
6. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo.
raccomandazioni.
9. Qualora uno Stato membro persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest'ultimo può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessaria per correggere la situazione.
In tal caso il Consiglio può chiedere allo Stato membro in questione di presentare relazioni secondo un calendario preciso, al fine di esaminare gli sforzi compiuti da detto Stato membro per rimediare alla situazione.
10. I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 169 e 170 non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 del presente articolo.
11. Fintantoché uno Stato membro non ottempera ad una decisione presa in conformità del paragrafo 9, il Consiglio può decidere di applicare o, a seconda dei casi, di intensificare una o più delle seguenti misure:
- chiedere che lo Stato membro interessato pubblichi informazioni supplementari, che saranno specificate dal Consiglio, prima dell'emissione di obbligazioni o altri titoli;
- invitare la Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso lo Stato membro in questione;
- richiedere che lo Stato membro in questione costituisca un deposito infruttifero di importo adeguato presso la Comunità, fino a quando, a parere del Consiglio, il disavanzo eccessivo non sia stato corretto;
- infliggere ammende di entità adeguata.
Il Presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo delle decisioni adottate.
Il Presidente della BCE e gli altri membri del Comitato esecutivo possono, a richiesta del Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle Commissioni competenti del Parlamento europeo.
Ne risulta concretamente che ciò che si chiede alle istituzioni europee in tema economico è di essere il cane da guardia della BCE e del sistema di banche centrali SEBC.
Possono persino “ascoltare” il presidente nelle commissioni apposite, l’articolo non dice neppure se possono anche parlare.
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