Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 19 gennaio 2013

Pagatevi anche l'aria che respirate


 
Pagatevi anche l'aria che respirate
A Bologna il paradosso diventa realtà. Un assessore propone di pagare un ticket per entrare nei parchi pubblici e per i giochi dei bambini. La valorizzazione capitalistica delle metropoli non ha alcun pudore.


Molte volte ci siamo ripetuti come paradosso che prima o poi ci faranno pagare anche l'aria che respiriamo o introdurranno la tassa sulla tosse. Ma la realtà supera sempre la fantasia ed ecco che un assessore comunale di Bologna, anche lei un tecnico prestato alla politica, avanza la proposta adeguata. L'ispiratrice è Patrizia Gabellini, docente al Politecnico di Milano e assessora all'urbanistica della Giunta Merola. La proposta è quella di far pagare un ticket di uno o due euro per l'uso dei giochi nei parchi pubblici da parte dei bambini. “Si stiamo prendendo in considerazione l'idea di privatizzare alcuni dei giochi per bambini nei parchi pubblici, abbiamo già ricevuto alcune proposte da parte di imprenditori e, qualora andasse in porto, sarebbe previstoun ticket di 1 o due euro, dipende...” dice l'assessora Gabellini (nomen omen viene voglia di dire) al Corriere della Sera. Ma si sa che il modello emiliano del XXI Secolo ha sempre qualche correttivo per le opzioni più brutali. Tra le ipotesi per edulcorare questo orrore economico e sociale, ci sono anche altre strade come “l'autogestione da parte dei genitori o forme di sponsorizzazione”.

La motivazione come al solito è economica: il Comune spende quasi 800mila euro l'anno per la manutenzione di 128 parchi pubblici e quasi 1.300 tra scivoli, piccole giostre e casette dei sette nani. Quindi pagatevi l'aria “pulita” e i giochi dei vostri bambini.

Le innumerevoli imposte, tasse e balzelli già esistenti, e quelle in arrivo, non bastano più per assicurare il patto tra cittadini e istituzioni: tasse in cambio di servizi. Adesso oltre alle tasse occorre pagarsi anche tutti i servizi. E' la rottura unilaterale di un patto da parte dello Stato e delle amministrazione locali e la cosa non dovrebbe rimanere senza conseguenze.

Il paradosso bolognese non deve però sorprendere oltre un certo limite. Da tempo infatti segnaliamo che la lotta per lo spazio e il tempo nelle metropoli è un motivo di conflitto strategico tra la logica della valorizzazione capitalistica e il diritto alla città. Negli agglomerati urbani lo spazio è sempre meno, perchè uno spazio vuoto non messo a valore viene considerato dai “prenditori” uno spreco. Non solo ma diventando lo spazio vuoto (tali vengono considerate le aree verdi) un bene sempre più scarso, è dis-econonomico che sia gratuito e dunque la sua fruizione deve essere messa a pagamento. Un esempio lampante sono le strisce blu che disegnano le strade. E' sufficiente cambiare il colore delle strisce affinchè quello spazio vuoto debba essere pagato per parcheggiare. Coerentemente a questa logica non potevamo che aspettarci di dover pagare anche il verde pubblico e i giochi per i bambini. Anche l'aria resa un po' più respirabile dagli alberi o un tempo di vita sottratto alla giornata lavorativa sociale (sempre più lunga) come quello che magari uno dedica ai propri bambini per portarli a giocare in un parco, diventano uno sperpero nella logica del capitale. Se non possono estorcere valore direttamente sul lavoro, ti fanno pagare tutto il resto, incluso il verde pubblico, lo spazio vuoto, il tempo sottratto alla produzione sociale.

C'è materia per discuterne e mobilitarsi, ma soprattutto c'è materia per una rivoluzione, vera però.

Modello tedesco: lavoro "normale", salario "mini"

- senzasoste -
Negli ultimi anni in Italia si è parlato tantissimo di "modello tedesco" e della necessità di conformarsi a questo virtuoso sistema di relazioni industriali e sociali per uscire dalla crisi e riprendere a "crescere". Ma, a voler andare al di là dei proclami populisti dei leader dei maggiori partiti e di quell'attitudine rinunciataria a scegliere solo in quale paradiso dell'occupazione e degli alti salari dovremmo emigrare, ci sono cifre che parlano chiaro.
Non ci riferiamo ai dati sulla disoccupazione in aumento in tutta l'Eurozona o al calo della produzione industriale che ci sembrano restituire una realtà molto meno rosea di quella che ci presentano i media.
Ci riferiamo soprattutto al fatto che in Germania, negli ultimi anni, è aumentato a dismisura il numero di "mini-jobber", cioè di persone impiegate in lavori che di norma prevedono una retribuzione non superiore ai 450 euro mensili. Si tratterebbe di circa 5 milioni di persone, soprattutto donne (circa il 63% del totale), come sempre costrette a fronteggiare più difficoltà degli omologhi maschi nel trovare lavoro e peggiori condizioni una volta che l'impiego lo si è trovato.
Ma il numero cresce ancora - fino a 7 milioni - se si includono i tantissimi lavoratori che sono costretti a integrare il salario percepito per prestazioni di lavoro "normali" con un salario da mini-job. A dimostrazione del fatto che la locomotiva tedesca è alimentata dal peggioramento delle condizioni di lavoro, precarizzazione, taglio dei salari. Tutte cose che in effetti sono perfettamente in linea con le riforme del lavoro Hartz, messe in campo già dieci anni fa dal governo del "socialdemocratico" Schroeder. Proprio quelle riforme che Bersani e il centrosinistra ci presentano come la strada da seguire...

venerdì 18 gennaio 2013

Rivoluzione civile, l'eterogeneità è un elemento di forza della coalizione

Fonte: liberazione.it | Autore: Mimmo porcaro
          
Al momento Rivoluzione Civile è soprattutto una coalizione elettorale, fatta da forze politiche e sociali eterogenee, unite dall’obiettivo di tornare in Parlamento distinguendosi dal centro sinistra e dal grillismo, convergenti su alcuni importanti punti di programma, ma quanto al resto assai diverse per storia e per cultura politica. Tutto ciò, peraltro, non è poco: senza Rivoluzione Civile non esisterebbe nessuna credibile alternativa alle inaccettabile offerte elettorali che oggi sono sulla piazza. E senza quella coalizione Rifondazione Comunista sarebbe destinata ad una battaglia di minoranza, necessaria e lodevole, ma quasi certamente votata alla sconfitta.
Detto questo, però, va anche aggiunto che non siamo di fronte ad un puro e semplice colpo di fortuna: la nascita della lista Ingroia è anche il risultato della tenacia con cui Rifondazione Comunista ha “tenuto il punto” insistendo – anche quando tutto sembrava smentirla – sulla necessità e possibilità di mantenere una posizione autonoma dal centro sinistra e di tradurla in una lista elettorale alternativa. Considerata da questo punto di vista l’eterogeneità delle forze che compongono la coalizione non è indice della debolezza del nostro progetto ma della sua forza: dimostra che le esigenze da noi segnalate sono talmente oggettive e cogenti da essere colte da tendenze anche politiche abitualmente distanti tra loro e distanti da noi. Le inevitabili difficoltà presenti e future sono quindi il segno di una crescita potenziale, di un aumento della “capacità coalizionale” del partito, di un’uscita dalla posizione forzatamente minoritaria degli ultimi anni.
Peraltro, le difficoltà della coalizione possono essere gestite con lucidità ed efficacia solo se ci si rende conto che Rivoluzione Civile è, o può essere, anche qualcosa di più: può essere da una parte la stabilizzazione di un rapporto fruttuoso tra movimenti, associazioni e partiti, dall’altra l’inizio di una nuova stagione della lotta politica italiana.
Quanto al primo punto, l’esperienza (pur contraddittoria e diseguale) di Cambiare si può è il primo tentativo, dopo Genova 2001 e dopo i Social forum, di condensare le proposte dei movimenti e delle associazioni in una sede stabile e formale, e quindi di costruire un soggetto capace di interloquire autonomamente (in maniera, a seconda dei casi, più critica o più conciliante) coi partiti politici, arricchendo così la differenziazione del nostro fronte e quindi la sua capacità di dialogare con una società differenziata. Se il progetto di Csp continuerà, resistendo alle difficoltà derivanti dalla diversa – e a mio avviso poco lungimirante – scelta fatta dai compagni di ALBA, non si tratterà né della formazione di un nuovo partito (scelta legittima, ma contraddittoria rispetto all’obiettivo di differenziare e di arricchire le modalità di iniziativa politica), né di un assorbimento di associazioni e movimenti nei partiti esistenti, ma della costruzione di un soggetto politico intermedio tra società e partiti, capace di guardare ai partiti dal di fuori, di segnalarne gli eventuali limiti, di sostituire i partiti stessi quando questi si mostrano incapaci di iniziativa politica. Non si tratta qui di esaltare la società civile contro i partiti, ma solo di riconoscere che oggi, per fortuna, la politica si fa in molti modi, che non sempre i partiti hanno la capacità di intervenire positivamente (e giova ricordare che solo un movimento come Csp poteva, nella situazione data, innescare un processo di aggregazione che i partiti non erano in grado di produrre), che se il partito pretende un ruolo più “generale” e più “complessivo”, questo ruolo deve conquistarselo volta per volta.
Ma la vera novità del momento non sta tanto nel (possibile) rapporto positivo tra società e partiti: se riusciremo a costruirlo si tratterà più che altro dell’auspicato recupero di un ritardo, della realizzazione di un qualcosa che avrebbe dovuto compiersi subito dopo Genova 2001, per capitalizzare al meglio tutti gli spostamenti sociali e culturali di quella fase. La vera novità del momento riguarda piuttosto la convergenza, a mio avviso non puramente occasionale, trai movimenti “tradizionali” e la stessa Rifondazione Comunista da un lato, e forze precedentemente inesistenti, oppure significativamente distanti dalle abituali componenti della sinistra di alternativa, dall’altro. Molti di noi sono giustamente preoccupati per le oscillazioni e le esitazioni mostrate dai Di Pietro, dai De Magistris e dallo stesso Ingroia nei confronti del centro sinistra. Ma bisogna sforzarsi di ricordare che soltanto un anno fa, soltanto sei mesi fa queste forze sarebbero state sicuramente interne al centro sinistra, perché vi avrebbero trovato, o creduto di trovare, lo spazio per le proprie strategie politiche o professionali: la lotta per una democrazia comunale partecipata, la lotta alla corruzione e quella contro la mafia. Ma oggi un simile rapporto col centro sinistra non è più possibile, sia perché la sostanziale adesione del PD e di Sel alla linea Monti priva le realtà locali delle risorse necessarie ad attuare alcunché, sia e soprattutto perché il PD non può perdonare a Di Pietro e ad Ingroia il delitto di lesa maestà, ossia l’aver messo in discussione, e sul delicatissimo punto del rapporto tra Stato e mafia, la figura cardine del sistema istituzionale italiano, il garante principale delle (subalterne) alleanze continentali ed atlantiche del Paese, ossia il Presidente della Repubblica.

Germania rimpatria oro dagli USA.

 

Gli investitori si interrogano sulle ragioni alla base della mossa tedesca e scoprono che a fare paura a Berlino è la tenuta degli Usa, il paese che vive di debito. E l'oro della Banca d'Italia dove è depositato?

 
lingotti oro
 
  •  notizia non può passare inosservata e sta allarmando gli investitori di mezzo pianeta. La Banca Centrale Tedesca Bundesbank ha deciso di ritirare 300 tonnellate di riserve di oro dai forzieri della Federal Reserve, oltre a tutte le 374 tonnellate di oro depositate presso la Banque de France (La Bundesbank si riprende il suo oro: la Germania non si fida più).

Nessun rimpatrio, invece, avverrà dalla Bank of England, dove i tedeschi conservano il 13% delle loro 3.396 tonnellate. Con quest’operazione, nel giro di sette anni, la banca centrale tedesca disporrà fisicamente della metà delle sue riserve auree, mentre i suoi depositi presso Fort Knox scenderanno dal 45% al 37% del totale.

Germania rimpatria oro dagli Usa: l’epilogo di un caso durato decenni

La storia inizia nel Secondo Dopoguerra. I tedeschi posseggono riserve di oro in quantità inferiori solo a quelle degli USA, ma la Germania è divisa tra i due blocchi, tanto che in clima di Guerra Fredda si teme che l’URSS possa mettere le mani prima o poi sull’oro tedesco. Per questo, la Bundesbank conserva solo il 31% delle riserve totali, mentre il 45% viene espatriato in America, il 13% in Inghilterra e l’11% in Francia.
Ora, venuto meno il pericolo di un’occupazione sovietica, la notizia del rimpatrio del metallo prezioso non dovrebbe allarmare più di tanto, invece, le cose sono più complesse. Anzitutto, perché oggi? Già nelle scorse settimane, la Corte dei Conti tedesca aveva intimato a Francoforte di rimpatriare almeno 50 tonnellate di oro, invitandola a stilare anche un inventario aggiornato delle riserve di oro. Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva risposto picche, sostenendo che non ci fosse alcun bisogno di un’azione del genere. Perché si è smentito? E secondo: come mai la Federal Reserve ha bisogno di ben sette anni per riconsegnare ai tedeschi 300 tonnellate di oro, pari solo al 5% delle sue riserve complessive?

Noi, “plebaglia europea” ingannata dai trattati-capestro

- libreidee -

Il terzo stadio della crisi europea: ora tocca anche alla Germania

18 gennaio 2013- Fonte: keynesblog.com

di Ashoka Mody*
Mentre tutti gli occhi erano puntati sulla periferia dell’eurozona, i paesi centrali hanno subito un tracollo? La Bundesbank ha ridotto le sue previsioni per la crescita del PIL tedesco nel 2013 allo 0,4%, mentre la Banca Centrale dei Paesi Bassi prevede per quest’anno una contrazione del PIL olandese pari allo 0,5% e un’ulteriore contrazione nel 2014.

Sembra quindi che la crisi dell’eurozona stia entrando nel terzo stadio.
Durante il primo stadio, iniziato nella primavera del 2008, il fulcro della crisi nordatlantica si è spostato dagli Stati Uniti all’eurozona, mettendo sotto pressione le banche dell’eurozona e aumentando le tensioni interbancarie.
Nella seconda fase, iniziata nell’estate del 2009, la crisi si è poi diffusa ai debiti sovrani facendo aumentare la preoccupazione degli investitori per l’eventuale pressione sulle finanze pubbliche determinata dalla necessità di sostenere le banche. D’altra parte, la debolezza dei debiti sovrani ha comportato grandi rischi, in apparenza, per le banche, rendendole infine inseparabili dai loro governi.
Nel corso della crisi, si è presunto (almeno finora) che i paesi centrali dell’eurozona sarebbero rimasti solidi e che avrebbero continuato a finanziare i governi periferici e le banche in difficoltà. Una presunzione del tutto plausibile in apparenza. L’Europa “a due velocità” era infatti diventata la nuova norma.
In particolar modo, la Germania si posizionava al di sopra delle parti. Dopo una prestazione economica decisamente forte nel 2010, all’inizio del 2011 il PIL tedesco era infatti al di sopra dei livelli della crisi, un risultato di certo migliore rispetto a quello degli USA. E proprio vista la sorprendente prestazione nel settore dell’occupazione tedesco, sembrava prospettarsi un nuovo Wirtschaftswunder.
Ma poi si è verificato un sottile cambiamento. Gli Stati Uniti, nonostante un ritorno decisamente lento alla normalità, hanno superato la Germania, e, in assenza di uno scoglio fiscale di lunga durata e della confusione sul tetto del debito, potrebbero portare avanti una ripresa sostenibile. A seguito della forte contrazione dell’economia tedesca nell’ultimo trimestre del 2012, oggi la questione principale per il paese è se riuscirà ad evitare una recessione tecnica (ovvero una contrazione economica protratta per due trimestri consecutivi).
L’Europa non ha un suo motore di crescita. All’inizio, infatti, l’effetto rebound in Germania è stato forte in quanto il commercio mondiale è cresciuto rapidamente a seguito di una caduta repentina. L’appetito vorace della Cina per le auto e le apparecchiature tedesche ha fornito la spinta necessaria alla Germania, mentre i suoi tradizionali partner commerciali in Europa rimanevano in difficoltà.
Ciò nonostante, da allora la crescita della domanda cinese è rallentata mentre le condizioni dei partner commerciali europei della Germania sono peggiorate. Le politiche di austerità fiscale nei paesi periferici hanno comportato infatti un taglio delle importazioni, pertanto anche gli stati che esportano verso i paesi periferici si trovano a loro volta a dover ridurre le loro importazioni, e così via. Questo moltiplicatore commerciale sta comportando un trascinamento verso il basso reciproco delle economie europee, mentre il resto del mondo ne sta subendo le conseguenze.
Le prospettive al ribasso per l’economia olandese sono altrettanto allarmanti. I Paesi Bassi si trovano al secondo posto, subito dopo la Germania, in termini di volume di credito elargito ai paesi periferici dell’eurozona tramite il sistema “Target 2”, ed è inoltre il più grande creditore in termini pro capite.
Gli economisti continuano a prospettarci un ripristino della crescita a partire dalla seconda metà del 2013. Ma i precedenti della pianificazione di questa ripresa sono stati finora scoraggianti. Nel suo libro The Signal and the Noise, Nate Silver, statistico americano, sostiene che le previsioni degli economisti rispetto a contesti che non hanno mai affrontato in precedenza sono meno credibili. Ed è questo il caso.
Nell’aprile del 2010, il rapporto World Economic Outlook stilato dal Fondo Monetario Internazionale aveva prospettato una crescita annuale del PIL della Germania e dei Paesi Bassi pari all’1,8% nel 2013. Ad ottobre dell’anno scorso, il Fondo ha abbassato le sue previsioni per la crescita della Germania nel 2013 allo 0,9% e allo 0,4% per i Paesi Bassi. E, solo due mesi dopo, le banche centrali di entrambi i paesi hanno indicato che persino queste aspettative ridotte sono troppo ottimistiche. Chi può dire quindi se la seconda metà del 2013 porterà più speranza e positività?
Il procedimento di gestione della crisi europea è stato fondato sul principio di Rossella O’Hara “domani è un altro giorno”. Pur sapendo che posponendo le decisioni difficili si finisce solo per aggravare il problema, si pensa comunque, probabilmente, che ci sarà sempre una linea ferma di difesa. Ma ciò potrebbe tuttavia cambiare.
La terza fase della crisi dell’eurozona arriverà quando la forza dell’economia dei paesi chiave dell’eurozona verrà messa in dubbio. I dubbi sulle economie forti dell’eurozona indeboliscono infatti la credibilità della rete di sicurezza che ha finora sostenuto i paesi periferici europei.
La soluzione della crisi dell’eurozona tramite la Germania è sempre stata incerta da un punto di vista politico, ma potrebbe presto diventare anche economicamente insostenibile.
* già capo missione del FMI in Germania e Irlanda.

Una discussione sulle cose da fare

 
di redazione di Sbilanciamoci.info

Elezioni 2013, prima i contenuti. Facciamo il punto della discussione aperta da sbilanciamoci.info sulla "rotta d'Italia": la politica economica, e non solo, che vorremmo mettere in cima all'agenda del governo che uscirà dalle urne del 24 e 25 febbraio

Sapete tutto ormai sulle liste elettorali? Vi siete stufati delle polemiche su esclusi e ammessi, liste personali e schieramenti, presenze e assenze televisive, alleanze e desistenze? Pensate che siano importanti i contenuti della politica? Allora potete leggere su www.sbilanciamoci.info la discussione su “La rotta d’Italia”. L’articolo di apertura, “Vincere per cambiare” spiega perché le elezioni sono decisive per far cambiare rotta al paese e perché al centro devono esserci le politiche che potrà realizzare il prossimo governo, per chiudere con gli anni di Berlusconi e Monti. Il contesto europeo è analizzato da Claudio Gnesutta e Mario Pianta nell’articolo “L’Italia nella rotta d’Europa” che presenta le prospettive di scontro con Berlino e Bruxelles e gli spazi di manovra per fare politiche espansive e mettere limiti alla finanza. L’agenda italiana è in “Le cose da fare nei primi cento giorni”: meno armi più scuole, dai soldi sporchi lavori verdi, un fisco contro le disuguaglianze, il lavoro da tutelare. E una da fare prima: cittadinanza per chi nasce da noi. E il modo in cui la politica può iniziare a fare tutto questo lo spiega Guglielmo Ragozzino in “La politica come professione. Onesta”: contro l’idea che la politica sia una serie di compromessi accettati per arricchirsi in fretta occorrono regole sicure, parole chiare, azioni trasparenti e un rapporto stretto con la società.
I contributi finora pubblicati affrontano diversi problemi di come far “cambiare rotta” al paese. Il quadro europeo è esaminato nell’articolo di Francesco Bogliacino “Egemonia al centro, declino in periferia”. Felice Roberto Pizzuti fa una critica dell’agenda Monti nel suo “Cambiare l’agenda, scegliere le priorità”. Il che fare sulle banche è affrontato da Andrea Baranes in “Capitali spariti, banche da cambiare” che spiega perché il credito non c’è, i paradisi fiscali restano e le entrate Imu finiscono nel salvataggio di Monte Paschi.
La qualità dello sviluppo deve cambiare, lo spiegano gli articoli di Gianni Silvestrini e Sergio Andreis. Il primo, in “Un Pil al verde” spiega che per uscire dalla crisi servono politiche industriali verdi e un riorientamento dello sviluppo dell'economia in tutti i settori. Il secondo, in “Altre energie per cambiare clima” affronta la strategia energetica nazionale, l’occasione per ribaltare un'impostazione basata sul petrolio e legare le politiche energetiche a quelle per il clima.
Le tasse sulla casa sono al centro delle polemiche della campagna elettorale, un ritornello – spiega Roberta Carlini in “La casa al centro, i giovani al margine” - che oscura le vere emergenze del momento, che sono i giovani senza casa. E poi c’è il lavoro, come ricorda Francesco Garibaldo in “Recuperare imprese, creare lavoro”: ogni manovra economica deve darsi l’obiettivo dell'occupazione, e per farlo, non bastano le (pur necessarie) politiche espansive, e un mercato che selezioni le imprese: occorre recuperare il grosso delle forze manifatturiere del paese. I contributi alla discussione continuano, uno al giorno fino alle elezioni. Si può leggere tutto – e diffondere in rete – su www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/La-rotta-d-Italia-16276.
Infine, una notizia: le 50 organizzazioni della campagna Sbilanciamoci!, a seguito delle dimissioni del portavoce Giulio Marcon, candidato indipendente nelle liste di Sel alle elezioni – hanno nominato i nuovi portavoce: Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica e Grazia Naletto, presidente di Lunaria.

giovedì 17 gennaio 2013

Il grande imbroglio del “voto utile”

- lavorincorsoasinistra -        

20130117-122206.jpg
di Giacomo Russo Spena
“Non so se e chi voto. Deciderò all’ultimo”, è il tormentone prelettorale che accompagna, in questa fase, soprattutto i cosiddetti elettori di sinistra, disillusi in generale, che non sposano nessuno progetto in toto.
Ecco allora cercare di capire i reali progetti di ogni partito, studiare i differenti programmi, scrutare i candidati premier e mettere a setaccio la composizione delle liste. Almeno dovrebbe essere così. In Italia, invece, subentrano fattori esterni e il “voto utile” per arginare la rimonta di Berlusconi a cui si appella il centrosinistra (in primis il segretario Pd Bersani), mai come questa volta sembra una presa in giro. Uno scherzo di veltroniana memoria che nel 2008, in quell’occasione, portò in Parlamento i Calearo e le Binetti. Così fa ridere che la stessa richiesta venga da Sel dimenticando che il 5 aprile 2008, Nichi Vendola, allora rappresentante della Sinistra Arcobaleno, rispondeva così alla richiesta di voto utile al Pd: “Dateci un voto meravigliosamente inutile, sono visceralmente stufo di vivere nella società dell’utilitarismo. E poi, a chi chiede un voto utile, risponderei: utile a chi? A cosa?”. Ma andiamo per ordine per smontare passo passo la teoria.
Novembre 2011, crisi di governo. Berlusconi cadeva. Lo spread impazzava. Si poteva celermente andare alle urne (il ministro degli Interni Maroni parlava di metà gennaio) per tamponare l’emergenza. Il Centrosinistra – delineato a Vasto – volava nei sondaggi mentre Berlusconi sprofondava sotto il 15 percento. Per lui sarebbe stata la Caporetto definitiva. Per il centrosinistra una netta vittoria che avrebbe portato – malgrado il Porcellum – una stabilità di governo. E invece la sindrome Tafazzi nel Pd ha prevalso decidendo non la via del voto anticipato ma il sostegno al tecnico Mario Monti (il quale si è rivelato tutto, tranne che un tecnico). “Fossimo andati ai seggi avremmo vinto le elezioni ma, essendo una forza responsabile, abbiamo deciso di sostenere Monti” affermava alla Camera Dario Franceschini.
Ecco allora la parentesi del Professore: 13 mesi di austerity, tagli e macelleria sociale. Debito pubblico salito più che in tre anni di Berlusconi, disoccupazione giovanile in aumento, Pil fermo. A tal proposito interessante è l’articolo dell’economista Forges Davanzati pubblicato su MicroMega.
Ma lo spread si è abbassato ribattono i fautori di un Monti-bis quando su Il Sole24ore (non la Pravda) Guido Rossi ci spiega come non sia più possibile negare l’evidenza: le politiche di austerità sono servite a salvare ed arricchire le varie istituzioni finanziarie “too big to fail” senza risolvere, anzi peggiorando, la crisi depressiva dell’economia globale.
Eppure Monti si autonarra come il Salvatore della patria tanto da “salire in politica”, tra l’altro mentendo perché nella conferenza stampa prenatalizia aveva allontanato ogni ipotesi di candidatura. Crea una coalizione con il Terzo Polo con il super commissario Enrico Bondi costretto a visionare attentamente le liste. Poi le bordate contro il Pd, che invece – e sbagliando – l’aveva sostenuto fedelmente nell’anno di governo. Non solo quindi i democratici hanno voluto SuperMario, l’hanno appoggiato (votando leggi come la riforma Fornero), ora – pur essendo competitors – un giorno sì e l’altro pure un dirigente del partito apre al dialogo postvoto a Monti.
Anche nel caso di maggioranza alla Camera e al Senato “apriremo un dialogo con forze moderate saldamente europeiste” vanno ripetendo i leader democratici. Tafazzi 2, la vendetta. Inoltre a dir poco contestabili sono le liste del partito tra indagati, iperliberisti (in primis Gianpaolo Galli, uomo della Confindustria come n.2 in Lombardia) e vecchie conoscenze (Rosy Bindi capolista in Calabria). Sembra che il Pd giochi a perdere e faccia di tutto per far scappare gli elettori, eppure chi non vota il centrosinistra farà “un regalo a Berlusconi”. Insomma, se si perde è sempre colpa degli altri. Bah. La coerenza, cosa difficile da trovare in Italia!

Il programma del governo che verrà. Un’analisi critica dell'Agenda Monti

scarica in pdf - crashcityworkers -

Lo scorso 23 dicembre Mario Monti ha presentato con gran clamore la sua Agenda, ovvero il manifesto con cui intende raccogliere consenso alle prossime elezioni e il programma su cui si stanno misurando le classi dominanti italiane. L’Agenda è stata accolta con entusiasmo dai media, che hanno festeggiato la “salita in politica” di Monti (come se finora non fosse stato al governo!), e ha riscosso un consenso quasi unanime fra intellettuali, addetti ai lavori e politici.
Pochi hanno provato a chiarire cosa l’Agenda diceva per davvero, finché questa non è proprio scomparsa dal dibattito, espulsa dal sistema mediatico che ha già cominciato a ingurgitare la sbobba elettorale, le sparate di Berlusconi, le prediche di Bersani, le polemiche su Grillo, gli inviti alla responsabilità di Napolitano...
agenda mario montiagenda mario monti
Ci sembra invece il caso, per non soffocare nelle cazzate che ci propinano ogni giorno e nei finti scontri fra personaggi politici, per riportare l’attenzione sugli elementi davvero decisivi della situazione in cui ci troviamo, di analizzare attentamente le cose scritte in quest’Agenda, i contenuti che esprime e le logiche di classe di cui è espressione.
Anche perché a sinistra, soprattutto fra i giovani e nel movimento, il dibattito non è stato molto ricco, anzi: c’è stata una vera e propria disattenzione rispetto ai punti di questa Agenda e varrebbe la pena chiedersi il perché. Forse alcuni, come i partitini della sinistra, erano troppo impegnati con le alchimie tattiche per superare la soglia di sbarramento, troppo impegnati nell’aprire dialoghi con il PD, nell’esaltare acriticamente la “società civile”, affidandosi all’ennesimo leader, che per di più è un magistrato che celebra lo Stato e attribuisce tutti i problemi dell’Italia alla mafia… Come aspettarsi da questi qui un’analisi nel merito delle politiche di classe del Governo Monti, una critica dell’Unione Europea, del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio come norma costituzionale? Quanto al movimento, ai collettivi, alle associazioni etc, sembrano purtroppo avere interiorizzato la difficoltà di incidere a un livello “alto”, almeno nazionale, e quindi tendono a disinteressarsi di questa dimensione essenziale della politica, a ripiegare sui propri progetti e rinchiudersi in un quartiere, in una facoltà o in uno spazio sociale…
Invece l’Agenda Monti – per quanto non apporti troppe novità rispetto alla linea già seguita da questo governo e alle proposte che la borghesia ha messo in campo da diversi anni, per quanto risponda a esigenze principalmente elettorali e quindi deve essere per forza di cose vaga, anche per agevolare la costruzione di alleanze nel confuso scenario post-elezioni – è la sintesi e la schematizzazione degli interventi che la frazione della borghesia più internazionalizzata intende imporre al paese. È, in altri termini, il piano di lavoro del prossimo governo, indipendentemente dall'esito delle elezioni.
Per questo capire attraverso l’Agenda Monti quella che è la strategia del nostro nemico, misurarla con gli altri processi che accadono a livello continentale, ci potrebbe aiutare a migliorare la nostra azione politica, a renderla più organica e in linea con le preoccupazioni del nostro blocco sociale di riferimento, con gli interessi di milioni di lavoratori, disoccupati, studenti, pensionati.
Proviamo a procedere per punti, individuando alcuni grandi temi che attraversano tutto il testo. Temi che non a caso sono passati un po’ sotto silenzio…

1. L’Italia, il polo imperialista europeo e la sponda Sud del Mediterraneo

È singolare che l'Agenda si apra con un'ammissione quasi marxista, come se l’ex PCI ed ex PD Pietro Ichino, co-autore se non vero autore del testo (nota 1), si fosse ricordato del suo passato: “La crisi ha impresso al processo di integrazione europea una accelerazione che sarebbe stato difficile immaginare solo pochi anni fa”. Questa è una constatazione importantissima, perché ci fa capire che i padroni hanno più chiara di noi la posta in gioco dell’Unione continentale e ragionino a fondo sullo scenario che si è aperto dal 2007 in poi. Dopo l'unione monetaria raggiunta nel 2002 il processo di integrazione europea si era infatti arenato: ma la crisi ha dimostrato che non si può rimanere in mezzo al guado e che la necessità della borghesia più "avanzata" (cioè di quella che intende competere a livello internazionale con gli altri grandi blocchi del mondo globalizzato – USA, Giappone, Brasile, Russia, India, Cina etc), è di fortificare la propria "base" economica e i propri apparati di governo. Ecco il motivo per cui bisogna procedere velocemente sulla strada dell’integrazione bancaria (nota 2) e sulla costruzione di un Tesoro comune (nota3) anche attraverso la leva dei project bond, ecco perché bisogna realizzare l’integrazione fiscale. È con questi giganteschi processi, con questi enormi interessi che si devono misurare i partiti di governo in ogni paese europeo, e in particolare in quelli più in difficoltà. Detto per inciso, in quest’ottica si capisce sia come diventi necessario per il PD obbedire alle ingiunzioni del Fiscal Compact, sia come non si possa ritenerlo un partito di “sinistra”, in grado di avviare politiche sociali e redistributive.

mercoledì 16 gennaio 2013

Il voto “Futile"

Ma il bluff del Pd non ha più mercato

- liberazione -
Nelle acque torbide di questa campagna elettorale, il Pd prova a ricorrere, una volta ancora, al ricatto del “voto utile", pessimo argomento di propaganda politica che ha tuttavia bisogno, per essere alimentato, di qualche preliminare condizione.
Bersani e i suoi colonnelli tornano a sventolare il tema della paura. Ma paura di che? E di chi? Paura di non riuscire ad ottenere la maggioranza assoluta anche al Senato, dove i Democrat e i loro compagni di cordata non possono contare su quella legge elettorale, il famigerato “porcellum", che hanno tiepidamente contrastato nella legislatura trascorsa per l'ottima ragione che pensavano - nascondendo la mano - di trarne vantaggio nell'imminente consultazione elettorale.
Quanto allo spauracchio di un possibile ritorno del Caimano, ognuno può capire che si tratta di un argomento frusto e di un'arma spuntata. Non solo in virtù dei sondaggi, ma per il ben più significativo motivo - questo sì squisitamente politico - che l'alleanza fra il centrosinistra e i liberali delle liste che si stringono intorno a Monti, è cosa da tempo assodata. Loro governeranno, avvinti come l'edera, quale che sia l'esito del voto al Senato. Si tratterà solo di sapere come si spartiranno governo, ministeri e cariche istituzionali, quali equilibri troveranno per formare la “bolla di componenda" del potere. Attenti, dunque, mai perdere di vista la sostanza: la strategia è già tracciata. E il programma di governo di quella coalizione, pure.
Solo un'acuta vertigine da successo annunciato può ancora spingere Bersani a chiedere che gli si conceda una sorta di asso pigliatutto, per fare di sè il dominus incontrastato, con Vendola in funzione “ornamentale", di tutta la politica italiana. L'improntitudine con cui Bersani chiede alla sinistra di Rivoluzione civile di “desistere", cioè di ritirarsi dal gioco al Senato, è davvero stupefacente.
Il Pd ha rotto con la sinistra (e non passa giorno che non lo ricordi), recidendo ogni possibilità di costruire con essa un'intesa programmatica. Lo ha fatto perché la cultura politica di cui quel partito è espressione aderisce, con marginali varianti, al progetto dell'europa liberista e monetarista forgiato nei santuari del capitalismo finanziario. Il Pd ha cioè scelto consapevolmente di percorrere questa strada che sta portando il paese - e in esso le classi subalterne - a sfracellarsi.
Questa linea, e il governo che se ne renderà interprete, saranno da noi combattuti, con tutta la necessaria determinazione e con l'intelligenza che è richiesta ad una forza realmente alternativa e consapevole dei propri compiti.
Spacenti, signori, il bluff del “voto utile" questa volta non ha mercato. Prosit.
Dino Greco
in data:16/01/2013

Il terreno minato del futuro governo

Fonte: il manifesto | Autore: Piero Bevilacqua - controlacrisi
       
Credo che mai, alle persone della mia generazione, sia capitato di iniziare un nuovo anno con la certezza che esso sarà peggiore del precedente. E' quanto accade in questo 2013. Sotto il profilo sociale, per il nostro paese, per milioni di cittadini, l'anno che verrà sarà uno dei più devastanti nella storia dell'Italia repubblicana. Dopo tante prove - su cui si fonda tale sconsolata certezza - se ne è appena aggiunta un'altra, che rende il quadro economico nazionale perfettamente delineato. L'Istat ha comunicato un 'inflazione annua del 3%. Inflazione ufficiale, naturalmente, ma già da sola dà la misura di uno sconvolgimento senza precedenti dell'economia nazionale. Ma come, un Paese in cui il Pil scende del 2%, la disoccupazione dilaga a livelli di dopoguerra, il potere di acquisto della popolazione regredisce di decenni, migliaia di imprese chiudono i battenti, noi abbiamo un aumento dei prezzi di beni necessari di tale misura? I montiani collocati in tutto l'arco costituzionale - come si diceva una volta - hanno di che gloriarsi.
Queste considerazioni costituiscono la premessa indispensabile per alcune riflessioni politiche che riguardano la sinistra nel suo insieme, ma in primo luogo il centro-sinistra. Non c'è dubbio, tanto per cominciare, che quest'ultimo - se sarà chiamato a governare, come speriamo - erediterà un paese in condizioni peggiori di quanto non fosse un anno fa. In aggiunta esso dovrà fare i conti con la gabbia d'acciaio - alla cui costruzione ha dato un volenteroso contributo - del fiscal compact, su cui si è appena soffermato Luciano Gallino (repubblica dell' 8 gennaio). E' uno svantaggio di partenza enorme, sia per l'insieme dei problemi urgenti che si presentano, sia per come si configureranno i rapporti tra i partiti.

È già evidente, da queste prime battute di campagna elettorale, che le forze politiche che hanno condotto l'Italia alle attuali condizioni, e tra queste anche Monti, si libereranno di ogni responsabilità pregressa. Si presenteranno e già si presentano come oppositori di lungo corso, che mai hanno messo piede nelle stanze di palazzo Chigi. E' prevedibile che tale situazione politica venga aggravata da due componenti, in parte oggettive e in parte psicologiche. Le pretese delle masse popolari in condizioni di crescente disagio saranno maggiori nei confronti del centro-sinistra, più incalzanti di quanto non siano stati con i precedenti governi. A dispetto dei "buoni uffici" che può svolgere la Cgil. Anche perché le condizioni sociali si sono nel frattempo deteriorate: ciò che prima era grave oggi è intollerabile. Ci sarà poco tempo, al governo sarà concessa poca attesa. Il tempo che c'era per attenuare le punte più aspre delle sofferenze se l'è mangiato il governo Monti, impiegandolo per renderle ancora più estreme. Al tempo stesso, la psicologia da eterni penitenti degli ex comunisti, che si considerano sempre sotto esame di ortodossia da parte dei poteri europei, li porterà ad essere più realisti del re e a muoversi nel recinto della suddetta gabbia. Se il centro-destra si sposterà, come già sta facendo, su una strumentale posizione di critica antiliberista e realisticamente antieuropea (dell' Europa della Troika) le difficoltà politiche del centro-sinistra, già in campagna elettorale, aumenteranno di giorno in giorno. Ma potrebbero costringerlo ad assumere finalmente un profilo più smarcato dalle varie agende neoliberiste. Se perfino Monti prova a smarcarsi dal suo precedente governo!

Il discorso che vorremmo ascoltare da ogni politico.

Il discorso che vorremmo ascoltare da ogni politico. Il Presidente dell'Uruguay Josè "Pepe" Mujica tocca i cuori con la sua semplice, inoppugnabile, coraggiosa verità. E' l'uomo che governa il mercato o il mercato che governa l'uomo? Un discorso che passerà alla storia._Pepe Mujica, noto come "il presidente più povero del mondo", ha attualmente 77 anni, vive nella sua casa modesta, devolve il 90% del suo stipendio in beneficenza. E' stato in carcere 14 anni come oppositore del regime.

Le buone ragioni di Rivoluzione Civile

Alberto Burgio

 


 Se c’è un elemento caratteristico dell’attuale fase politica, questo è la potenza determinante del sistema mediatico. L’Italia, l’Europa, tutto il mondo capitalistico sono nella morsa di una crisi che sta scomponendo le società. Da una parte, la povertà vera. Strutturale, dilagante, senza prospettive di riscatto. Dall’altra, la concentrazione in poche mani di ricchezze immense, intraducibili in misure concrete. In mezzo, aree sociali precarizzate, che vedono messi a rischio i fondamenti stessi della propria condizione di vita: il reddito, l’occupazione, i diritti essenziali.
Ma se il quadro è di per sé limpido nella sua violenza, l’opinione pubblica non riesce a farsene un’immagine chiara, e non sa intravedere vie d’uscita. Oscilla tra angosce apocalittiche e attese fideistiche di uomini provvidenziali (si pensi alla santificazione di Monti al momento della sua incoronazione), appesa alla girandola di numeri che le viene quotidianamente propinata. Lo spread, gli indici di Borsa, i tassi di cambio, numeri magici della cabala postmoderna. Quando diciamo che il 99% è contro uno stato di cose voluto dall’1%, ci raccontiamo una favola. Bella, ma, come ogni favola, ingannevole. Di certo la stragrande maggioranza è scontenta e spaventata, ma è anche confusa e disorientata. E non sa a che santo votarsi.
La cifra del nostro tempo è questa: la cattura cognitiva dei corpi sociali, imprigionati in una gabbia – davvero un pensiero unico – che ne deforma la visuale, impedendo loro di vedere la situazione in cui si trovano. Non c’è discorso più pertinente di quello che fa Gramsci, nei primi anni Trenta, a proposito dell’«egemonia» come potente strumento di direzione politica. Nella consapevolezza – tratta appunto dalla gestione totalitaria dei mezzi d’informazione – che la produzione di un’immagine univoca della realtà e il convergente occultamento di aspetti rilevanti sono strumenti-chiave dell’organizzazione del consenso «spontaneo» e del controllo autoritario della società.
Ora chiediamoci: tale stato di cose incide nella situazione politica italiana di questi giorni? Influisce sulla campagna elettorale in vista del voto politico del 24 febbraio? Incide eccome. A tal punto che soltanto muovendo da questa premessa sembra possibile capire la posta in gioco nelle elezioni.
Proviamo a dirla così, con una semplificazione che aiuta a cogliere il punto: sotto gli occhi degli italiani viene quotidianamente squadernato un ricco catalogo di banalità utili ad accreditare l’idea che le maggiori coalizioni politiche (i tre poli, di centrosinistra, centro e centrodestra) divergano tra loro in modo significativo. CONTINUA|PAGINA15 L’attenzione pubblica è deviata con cura verso questioni di dettaglio (dalle regole delle primarie all’interscambio trasformistico tra l’uno e l’altro polo), mentre si nasconde che in queste elezioni è in gioco la vita stessa – l’occupazione, il reddito, la salute, l’istruzione – di decine di milioni di cittadini. Agli italiani è così impedito di vedere l’essenziale: il fatto che tutte le maggiori forze politiche concordano sulla lettura della crisi e sulle ricette per affrontarla. E che per questa ragione esse hanno convintamente sostenuto Monti per oltre un anno, rivendicando come necessarie misure che hanno esasperato le ingiustizie (tagliando pensioni, salari e servizi), colpito diritti (l’articolo 18), depresso l’economia e aggravato la situazione debitoria del paese, senza scalfire di un millimetro rendite e grandi patrimoni (anzi, procurando loro ulteriori benefici).

martedì 15 gennaio 2013

Loretta Napoleoni: "La democrazia è a rischio: vi spiego perché l'Italia deve rimettere in discussione l'euro"

L'economista Loretta Napoleoni
di Antonella Loi - tiscali -
 
Quel che resta dopo tre anni di crisi è un’Europa che “cannibalizza se stessa”, ampliando la distanza tra Nord e Sud e rendendo i Paesi periferici “economicamente e moralmente sudditi” a causa del debito sovrano. Prima del baratro, c’è l’urgenza di di risolvere un problema: come svincolarsi dal giogo del debito sovrano che crea un moderno “sistema coloniale” per il quale a pagare le spese sono i cittadini. Vedi alla voce Grecia, ma anche Italia, Spagna, Portogallo. Secondo Loretta Napoleoni, consulente della Bbc e della Cnn, esperta di terrorismo internazionale e docente di Economia alla Judge Business Schools di Cambridge, “è scandaloso che il tema sia assente dalla campagna elettorale italiana”. Il suo ultimo libro, Democrazia vendesi, appena uscito per Rizzoli (249 pagine, 15 euro), è sotto quest’aspetto un testo d’emergenza, scritto in collaborazione con altri studiosi, “nella speranza che si crei finalmente un dibattito interno”.
"Dalla crisi economica alla crisi delle schede bianche": il sottotitolo del suo libro è eloquente. La nostra democrazia è a rischio?
“In questa crisi attuale lo è. Innanzitutto perché l’emergenza è diventata normalità, sono tre anni che siamo in emergenza. E l’emergenza fa sì che si cerchi di risolvere la crisi attraverso una diminuzione della sovranità nazionale dei singoli Stati con conseguente trasferimento verso Bruxelles. Al cittadino non viene chiesto nulla. Queste decisioni vengono da istituzioni e individui non eletti che agiscono con strumenti eccezionali. C’è cioè un’erosione di democrazia”.
La nomina al governo di Mario Monti rientra in questo disegno?
“La nomina di Monti lo è sicuramente, nel senso che non è stato eletto e quindi parliamo di un governo tecnico rimasto in carica per un lungo periodo, più di un anno, a cui è stato dato l'incarico in un momento in cui si poteva anche andare alle urne. Non si è voluto correre il rischio che le urne non dessero un risultato convincente”.
A chi facevano paura le elezioni?
"All’euroburocrazia e a questi poteri politici non eletti da noi ma eletti da altri paesi. Quindi parliamo della Merkel e anche di Sarkozy, ma anche del presidente della Commissione Barroso, Van Rompuy, presidente dell'Eurogruppo. Ed è interessante secondo me quello che è successo la settimana scorsa, quando il Parlamento europeo, organo eletto, ha condannato le politiche di austerità della commissione, organo non eletto. Sono tre anni che il Parlamento non ha voce in capitolo”.
Politiche di austerità per salvare l'euro, grande responsabile della crisi.
“Sono convinta che la crisi sia legata all’euro però non che l'euro sia l'unica causa. Cioè ha creato delle distorsioni economiche e finanziarie che hanno da una parte impoverito le bilance dei pagamenti della periferia, peggiorando quindi la nostra performance nell'esportazione, però l'euro ha anche incoraggiato questo trasferimento monetario dai Paesi ricchi ai Paesi poveri, attraverso l'indebitamento. Detto questo, non è che l'euro abbia costretto i vari governi a indebitarsi”.
Stati masochisti o cosa?
“La verità è che abbiamo da una parte condizioni economiche confacenti all'indebitamento, dall'altra parte la propensione ad indebitarsi. La Spagna è uno degli esempi più eclatanti: sono stati costruiti aeroporti con i soldi dei trasferimenti da Eurolandia, aeroporti nei quali non è mai atterrato nessuno. La cementificazione italiana è un altro capitolo dello stesso libro: dall''80 ad oggi è stata cementificata una superficie grande quanto tutta la Lombardia più il Veneto”.
Nel prologo del suo libro lei fa un parallelo tra il debito sovrano degli Stati e il debito dei padri e dei nonni, pagato con la prostituzione delle figlie, presso una popolazione dell’Himalaya soggiogata dai feudatari. C’è insomma qualcosa di immorale nel debito sovrano.
“Questa dipendenza va superata. Però, come nel caso della popolazione dell'Himalaya, fino a quando noi continuiamo ad accettare i parametri etici sui quali poggia perdurerà per sempre. L'idea che noi ci indebitiamo per pagare l'interesse sul nostro debito - che tra l'altro è illegale perché si basa sull'anatocismo (cioè gli interessi calcolati anche sugli interessi) - in realtà ci sembra una situazione di normalità: il concetto va scardinato. Il debito è oramai arrivato ad un livello tale che sarà impossibile saldarlo, data la sua crescita esponenziale. Lo sa pure un bambino delle elementari che non si va da nessuna parte. Eppure si continua con l’austerità e nella campagna elettorale questo tema è assente”.
Perché secondo lei?
“E’ semplice: non sanno come uscirne e c'è un senso di sudditanza, di umiliazione profonda radicato in tutto il Paese riguardo la nostra posizione debitoria nei confronti di chi questi soldi ce li ha dati. Esattamente come nella storia dell'Himalaya. Il dibattito non c'è perché si vuole continuare a pagare questo debito. E continuare a pagarlo significa farlo crescere esponenzialmente anno dopo anno. A prescindere dalla volontà del cittadino, al quale invece si dovrebbe prospettare un’alternativa alla schiavitù”.
Per esempio?
“Uscire da questo euro, creare magari un euro a due velocità o ancora rinegoziare il debito e diminuirlo drasticamente: tutte politiche di cui nessuno parla. A parte Grillo e per la prima volta la settimana scorsa Berlusconi, nessuno propone come soluzione l'uscita o la ristrutturazione dell'Ue. In realtà c’è bisogno di un potere di negoziazione che noi non abbiamo, nonostante gli spiragli che arrivano dall’Europa; è evidente che le politiche di austerità non stanno funzionando, anzi hanno peggiorato la situazione”.
Alla fine è possibile che sia la stessa Bruxelles a decidere di “condonare” il debito di certi Stati per evitare un default a catena?
“Sicuramente Bruxelles si sta orientando in quella direzione, posto che il debito lo condoneranno solo a certe condizioni. La Grecia, in recessione da 5 anni, ha rinegoziato il debito al 75%. Anche noi dovremmo cominciare a rinegoziarlo subito, prima di diventare ricattabili. Più andiamo avanti, meno potere contrattuale abbiamo. Anche perché negli ultimi 3 anni c'è stata una riduzione del debito presso banche straniere a favore di banche italiane. Noi possiamo cioè rinegoziare il debito estero, ma non quello interno: significherebbe togliere i soldi ai risparmiatori italiani”.
Secondo una ricerca di Confesercenti-Swg l'86% degli italiani pensa che il 2013 sarà peggiore del 2012. Hanno ragione secondo lei?
“Sì, siamo lontanissimi dalla ripresa e secondo me è impossibile dire cosa succederà anche nel 2014. Tutte le previsioni a lungo raggio sono state puntualmente riviste in peggio”.
14 gennaio 2013

Ricchezza e povertà, i successi della globalizzazione

Bruno Amoroso* - sinistrainrete -

I. INTRODUZIONE

La produzione e riproduzione continua della povertà avviene oggi su scala globale dentro un sistema di potere che comprende l`economia, le istituzioni, i mass media e anche una parte importante dei centri di ricerca e formazione.

Questo sistema è stato chiamato Globalizzazione ed ha prodotto in cinquanta anni i recinti che delimitano gli ambiti delle nuove ricchezze e dei nuovi privilegi, a scapito degli impoveriti e degli esclusi. Un sistema di apartheid globale che ha trasformato la società dei 2/3 costruita con i sistemi di welfare (dove gli esclusi, i poveri, erano un terzo) nella società di 1/6, mediante la caduta verticale delle condizioni di vita di gran parte della popolazione mondiale (Petrella 1993, Amoroso 1999).

Il fenomeno più eclatante, via via accresciutosi nel corso degli ultimi trenta anni, è stato il crescere della povertà, anche nelle forme più manifeste, all`interno dei paesi industrializzati e dei sistemi di welfare europeo a fronte dell`ulteriore impoverimento e finanche della distruzione fisica delle aree remote e rurali e dei ghetti urbani. Il fallimento del Millennium Development Goal (MDG) che si proponeva di dimezzare la povertà nel mondo è riconosciuto dagli stessi organismi delle Nazioni Unite. Gli obiettivi e le soluzioni pratiche erano stati indicati, il quadro istituzionale istituito e i costi ritenuti sostenibili. Tuttavia l`obiettivo di porre fine alla povertà entro il 2015 appare ormai sempre più lontano e irrealizzabile.

La ricerca delle cause del fallimento è di certo utile, ma non deve offuscare il fatto che si tratta di un piano la cui irrealizzabilità non è dovuta ai numerosi singoli errori certamente presenti ma al ruolo di sussidiarietà che gli era stato assegnato rispetto alle scelte e agli indirizzi dell`economia globale. In tal modo ha finito per svolgere una funzione di oscuramento degli obiettivi e di ammortizzatore del dissenso. Questo è avvenuto alimentando l`illusione di una possibile , , , ecc. mentre, di fatto, si andava affermando una nuova divisione del mondo con i paesi della Triade capitalistica da un lato (Europa, Giappone, e Stati Uniti) saldamente in sella per il controllo delle materie prime e dei nodi strategici dell`economia mondiale, e il resto del mondo alla ricerca dell`accesso a migliori condizioni di vita.

La linea di divisione tra i no-global e i new-global, istituitasi dopo le proteste di Seattle del 1999 contro il vertice dell`Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), si è estesa dai movimenti ai governi e paesi: tra quelli che hanno scelto una linea di sganciamento dalla Triade riprendendo la valorizzazione e la crescita delle loro economie locali e nazionali su linee di rottura dalle politiche economiche neo-liberiste (privatizzazioni e liberalizzazioni) e quanti invece si sono qualificati come i migliori allievi della Banca Mondiale e del Fondo Finanziario Internazionale. Una linea di divisione che si ripropone oggi articolata tra gli , gli e i .

I dati sulla povertà nel mondo indicano con chiarezza che mentre questa è aumentata nei paesi occidentali e aderenti alle politiche neoliberiste del “Consenso di Washington”, diminuzioni significative si verificano in quei paesi che da quelle politiche e da quei sistemi economici si vanno distanziando.

Chiamare le cose con il loro nome

di Elisabetta Teghil - sinistrainrete -


I soliti noti ci raccontano che, in Italia, ci sarebbero due sinistre: una sarebbe identificabile con il Partito Democratico, l’altra con i partitini frutto dell’implosione di Rifondazione Comunista.

La prima, di impronta riformista, sarebbe l’erede della tradizione socialdemocratica, la seconda si definirebbe come radicale, anticapitalista e, in questa stagione, anti-neoliberista.

La prima viene rappresentata, perché di rappresentazione si tratta, dato che non fa nulla per darne conferma, come attenta allo stato sociale, con una vocazione pacifista e con un’attenzione ai diritti dei lavoratori.

Peccato che anni di governo ne abbiano dimostrato la natura guerrafondaia, in particolare nell’aggressione alla Jugoslavia e alla Libia, nonché quella neoliberista con il proliferare legislativo che ha minato il diritto allo sciopero, lo stato sociale e che ha attuato la svendita del patrimonio pubblico ai privati.

La lettura di questa che alcuni insistono ancora, non si sa bene perché, come diceva Luigi Pintor, a chiamare sinistra, omette a piè pari che la socialdemocrazia si è fatta destra moderna, assumendo caratteri reazionari, caratteristiche clericali e punte fasciste.


La seconda di radicale non ha nulla, perché radicale non significherebbe altro, al di là della demonizzazione che ne è stata fatta, che andare alle radici del problema. Tutto si riduce, invece, nel gestire o, meglio, nel tentare di gestire, cosa che le riesce sempre meno, i movimenti e/o il dissenso in senso lato.

Questo è il suo compito nella divisione capitalistica del lavoro politico. In cambio, posti in parlamento, qualche carica governativa, qualche incarico locale.


Questa versione di una doppia sinistra è accompagnata dal ritornello che, in Italia, ci sarebbe un’anomalia, la presenza di Berlusconi, che, però, non viene affatto raccontata per quello che è, e cioè il terminale di frazioni della borghesia i cui interessi sono asimmetrici rispetto a quelli delle multinazionali anglo-americane (da qui le campagne mediatiche guidate dalla bibbia neoliberista, il Financial Times). Si falsificano così gli elementi in gioco dimenticando che il PD è, delle multinazionali anglo-americane e dei circoli atlantici, in questo paese, proprio il referente, e ne tutela gli interessi anche a scapito della borghesia o di frazioni della borghesia nazionali.

E la così detta sinistra radicale è collusa con questo progetto e ne è partecipe, sia pure in un ruolo di servizio.

E’ in questa confusione, voluta, di ruoli e di letture, che proliferano i partiti che vengono dalla così detta “società civile“ e le rivoluzioni così dette “colorate” e che avviene la promozione ad icone della sinistra di personaggi che con quest'ultima nulla hanno a che fare.

Da dove partire?

Dallo smascherare l’improvvisa apparizione della crisi che non è dovuta a improvvide scelte, ma è il frutto maturo del capitalismo nella sua necessità imprescindibile autoespansiva che deve distruggere le economie marginali e di sussistenza e, pertanto, gli effetti non sono né sgraditi, né non previsti, ma il grimaldello usato in questa stagione per ridefinire i rapporti di forza fra gli Stati, le multinazionali e le classi.

Superare la crisi, creare occupazione utile, dare un futuro ai giovani*

Proposta di confronto su un progetto

Movimento per la decrescita felice - sinistrainrete -


La crescita è la causa della crisi (potrebbe esserne la soluzione?)

In un sistema economico fondato sulla crescita della produzione di merci la concorrenza costringe le aziende ad aumentare la produttività adottando tecnologie sempre più performanti, che consentono di produrre in una unità di tempo quantità sempre maggiori di merci con un numero sempre minore di addetti. L’effetto congiunto degli aumenti di produttività e della riduzione dell’incidenza del lavoro sul valore aggiunto comporta un progressivo aumento dell’offerta e una progressiva diminuzione della domanda di merci. Nei paesi di più antica industrializzazione questo squilibrio è stato accentuato dalla globalizzazione, che ha permesso alle aziende di delocalizzare le loro produzioni nei paesi dove il costo della mano d’opera è minore, per cui il numero degli occupati in questi paesi è diminuito e nei paesi in cui le delocalizzazioni lo hanno fatto crescere le retribuzioni sono così basse che non compensano la perdita complessiva del potere d’acquisto.

Il debito è l’altra faccia della medaglia della crescita
Lo strumento per compensare lo squilibrio tra incremento dell’offerta e riduzione della domanda insito nelle economie finalizzate alla crescita è stato il ricorso al debito, pubblico e privato, dello Stato e delle sue articolazioni periferiche, delle famiglie e delle aziende.
La somma dei debiti pubblici e privati nei paesi industrializzati ha raggiunto circa il 200 per cento del prodotto interno lordo. L’incremento del debito è stato superiore alla crescita del prodotto interno lordo perché sul suo ammontare gravano gli interessi composti e i tassi d’interesse aumentano con l’aumentare del debito. Inoltre la sua espansione non ha limiti se non nell’emissione di carta moneta, la cui convertibilità con l’oro è stata sospesa nel 1971 e dipende soltanto dalla volontà politica, mentre la crescita della produzione di merci trova limiti oggettivi nella disponibilità delle risorse, rinnovabili e non rinnovabili, da trasformare in merci, e nella capacità dei cicli bio-chimici di metabolizzare gli scarti della produzione, che è stata ampiamente superata soprattutto in relazione all’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica da parte della fotosintesi clorofilliana.

Le misure tradizionali di politica economica non funzionano più
I tentativi di rilanciare la crescita economica effettuati da cinque anni a questa parte non hanno dato i risultati sperati. Secondo la visione ottimistica dell’attuale primo ministro tedesco, signora Merkel, per superare la crisi ne occorreranno almeno altrettanti. Il fatto è che la domanda è sostenuta in maniera determinante dal debito, per cui le misure di politica economica finalizzate a ridurlo deprimono la domanda e aggravano la crisi, mentre le misure finalizzate a rilanciare la domanda attraverso la crescita dei consumi lo accrescono. Per superare questa impasse, senza peraltro ottenere i risultati sperati, le misure di politica economica adottate sino ad ora nei paesi industrializzati sono state finalizzate a:
1. ridurre i debiti scaricandone i costi sulle classi sociali meno abbienti e sui ceti medi, mediante drastici tagli alla spesa pubblica per i servizi sociali, riduzioni delle tutele sindacali dei lavoratori, licenziamenti e blocchi delle assunzioni che hanno penalizzato soprattutto le fasce giovanili, inasprimenti della fiscalità indiretta, cessione ai privati della gestione dei beni pubblici;
2. rilanciare la crescita finanziando col denaro pubblico grandi opere infrastrutturali, realizzabili soltanto da grandi aziende multinazionali.


Inasprimento della lotta di classe dei ricchi contro i poveri
Questa strategia, peraltro fallimentare, per superare la crisi, è sostenuta da un blocco di potere costituito da tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, che hanno la loro matrice culturale nell’ideologia della crescita di derivazione ottocentesca e novecentesca, dalle industrie multinazionali e dalla grande finanza, con un progressivo disprezzo delle regole democratiche a cui pure dicono di ispirarsi. Nei partiti politici di destra e di sinistra, le differenze sui criteri di distribuzione della ricchezza monetaria prodotta dalla crescita della produzione di merci sono sempre meno significative, rispetto alla sostanziale convergenza sulla scelta di scaricare sulle classi popolari e sul ceto medio i costi del rientro dal debito pubblico e di rilanciare la crescita attraverso la mercificazione dei beni comuni e un programma di grandi opere.

Ho un sogno, ma si badi, solo un sogno. Bruciarli vivi.

Al processo contro la gerarchia nazista tenutosi a Norimberga dal 1945 al ’46, il Procuratore Generale Benjamin Ferencz sancì che“la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarà da ora considerato il crimine supremo”.
Giratevi a Est per favore. A due passi da noi c’è l’olocausto di un popolo distrutto da una guerra d’aggressione. E anche questa volta l’aggressore principale è tedesco. Le notizia che arrivano dalla Grecia sono di quelle che uno non ci può credere. Li hanno ricacciati al medioevo. I greci stanno disboscando i parchi, i campi e le colline per scaldarsi. Buttano nel fuoco i libri di casa, i mobili, qualsiasi cosa bruci, con vernici e tutto. Ad Atene le malattie polmonari sono aumentate del 300% a causa dei fumi della legna arsa negli appartamenti. Ma vi rendete conto? Bruciano legna in casa, nel condominio, per non morire di freddo.
La Grecia dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90 cresceva, aveva un reddito pro capite solo di poco inferiore al resto d’Europa, infatti importava una montagna di prodotti soprattutto dalla Germania. Usava i deficit di bilancio, come l’Italia, come il Giappone, come la Francia. Poi è arrivata l’Eurozona e a ruota la catastrofe finanziaria globale. Ma peggio: arrivano i terroristi del debito pubblico, quelli che NON ti dicono che il problema NON è il debito troppo alto, ma un debito alto DENOMINATO IN UNA MONETA NON TUA, che devi prendere in prestito dalle banche internazionali, cioè l’euro. Quella è la catastrofe, ma non te lo dicono. E arrivano le ricette dei criminali tecnocrati europei per la Grecia. Arriva anche lì il golpe finanziario che installa il Monti greco (Papademos) eccetra, eccetra. La tecnocrazia e gli speculatori internazionali hanno aggredito la Grecia per letteralmente spolparla viva. E’ una guerra d’aggressione, con i morti, sì, coi morti. Centinaia di morti per mancanza di farmaci negli ospedali, i suicidi, e poi quei tre bambini arsi vivi a Dicembre proprio perché si bruciava legna in casa per il freddo. Poi tutto il resto dell’orripilante corredo che viene con l’estrema povertà.
I criminali non hanno limiti nella perfidia. Di fronte a questo olocausto, la Troika di Commissione UE, BCE e Fondo Monetario ha preteso ieri dal governo greco un ulteriore aumento delle tasse e soprattutto dell’elettricità. La spirale verso l’inferno della Grecia non ha sosta, i numeri non mentono: gli stessi criminali, mentre contemplano ottusi lo sfacelo delle loro ricette, ammettono che la Grecia il prossimo anno crescerà in negativo di nuovo: -4,5%. Ma…
… lui, uno dei tanti che dovrebbero essere trascinati a Norimberga domani mattina, cioè Mr Daniel Loeb, gestore del Hedge Fund americano Third Point, ha fatto una barca di centinaia di milioni di euro sfruttando la disperazione delle finanza greche, e la conseguente devastazione delle famiglie greche. Quando la Grecia ristrutturò il suo debito fra marzo e agosto, Mr Loeb si comprò un bel pacchetto di titoli greci per 17 centesimi di euro per ogni euro di valore teorico. Poi ha aspettato che le successive Austerità ‘naziste’ ridessero fiducia ai mercati alzando il valore dei titoli greci, ma STRAZIANDO LA GENTE sempre più, e Loeb a quel punto li ha rivenduti incassando una incredibile fortuna. Capite come funziona? Un bel gioco fatto su un pc a Manhattan che ti rende soldi se l’olocausto economico di un popolo va come vuoi tu, e incassi miliardi. E li incassano anche quelli che oggi comprano beni pubblici greci a prezzi da discout market, quelli che trovano manodopera greca a 400 euro al mese, quelli che… gli speculatori.
Mi chiamo Paolo Barnard, nel rispetto delle leggi e nel mio inequivocabile ripudio della violenza, io faccio un sogno, che, sottolineo, è solo un sogno: che il prossimo team della Troika che visita Atene venga preso a furore di popolo e arso vivo in uno di quegli appartamenti dove si ardono i mobili di casa per non morire di freddo. Perché lo so che le parole di Benjamin Frenecz oggi valgono come una cicca di sigaretta su un marciapiede. Norimberga non ci serve a nulla in questo olocausto.

Caro Antonio, felice di candidarmi per il rinnovamento

- rifondazione -
ruotolosandrodi Sandro Ruotolo
Caro Antonio, accetto con entusiasmo la candidatura nella lista di Rivoluzione Civile che tu e Luigi De Magistris mi avete proposto.
Ci ho pensato e riflettuto dopo aver firmato l’appello “io ci sto” con il quale donne e uomini della società civile si sono impegnati a sostenere il progetto per costruire un’alternativa di governo al berlusconismo e alle politiche liberiste del governo Monti. Non ho tessere di partito in tasca, l’unica che ho è quella dell’Anpi, dell’associazione nazionale dei partigiani, perché penso al loro sacrificio ogni volta che sento pronunciare la parola Costituzione, “la più bella del mondo” come l’ha definita Roberto Benigni.

Caro Antonio, non ho dubbi quando affermi di voler difendere i valori dei nostri padri costituenti. C’è un articolo della carta costituzionale per il quale mi sono battuto in tutti questi anni e per il quale penso sia necessario battersi ancora: l’articolo 21, quello che garantisce la libertà di pensiero, la libertà di informare e di essere informati.

C’è bisogno di libertà nel nostro Paese ma in gran parte del territorio nazionale questa libertà viene preclusa dalla presenza delle mafie e delle illegalità, dalle cricche che hanno impoverito la nostra terra. Penso alle parole di Norberto Bobbio che, dopo aver visto Samarcanda, scrisse che se non si era liberi in un piccolo paese del Sud non si era liberi nel resto del Paese.

Caro Antonio, una studentessa di Scampìa, il quartiere di Napoli dove i clan di camorra si combattono per il controllo dello spaccio di droga, qualche anno fa mi disse che lei non si sentiva libera, che era stanca di essere considerata cittadina di serie B. Lei dava un senso concreto alla parola di “libertà negata” ricordandomi che non poteva uscire di casa per paura di una pallottola vagante. Penso alle migliaia di ragazze e ragazzi ai quali le mafie hanno tolto la bellezza dell’innocenza.

Il lavoro oggi è negato ad intere generazioni. Quante imprese non investono e non producono ricchezza per le minacce della malavita o per le mazzette che sono costrette a sborsare ai politici corrotti?

C’è un altro diritto sancito dalla nostra Costituzione che voglio ricordare ed è quello alla salute, alla difesa dell’ambiente. Rifiuti tossici nascosti illegalmente, discariche abusive a cielo aperto, inquinano oggi interi territori. Mafie e cattiva politica mettono a repentaglio la vita di milioni di cittadini. Caro Antonio, hai detto bene che occorre oggi sconfiggere la mafia e non solo contenerla.

Ho grande rispetto per coloro che si impegnano nei partiti ma penso anche che i partiti che ci sono adesso non sono quelli a cui pensavano i nostri padri costituenti e che l’antipolitica sia figlia della cattiva politica. L’affermazione di Rivoluzione Civile può significare la nascita di un movimento che porti al rinnovamento generale dei partiti.

Ho sempre pensato e detto che un giornalista deve essere indipendente. Lo penso anche ora che ho deciso di impegnarmi con te e con gli altri in questa battaglia. Con la passione di ognuno di noi. Ci sono questioni sulle quali vale la pena battersi. Mario Monicelli nell’intervista a Raiperunanotte disse che ci voleva una bella rivoluzione che in Italia non c’era mai stata. Ti ricordi quando Libero Grassi diceva: cattivi politici producono cattive leggi, buoni politici, buone leggi? La presenza in Parlamento di Rivoluzione Civile potrà realizzare i sogni di Mario e di Libero.

lunedì 14 gennaio 2013

Ha da venì Baffone!

Fonte: L'Huffington post | Autore: Angela Mauro
          
Intervista a Sandro Ruotolo , giornalista di Serizio Pubblico e candidato in Campania per Rivoluzione Civile: “Monti e Berlusconi sono i nostri avversari e su questo non c’è dubbio. Del primo, è inutile parlare. Su Monti: beh, con lui il paese si è impoverito…”.
Per Sandro Ruotolo quella con Silvio Berlusconi è stata l’ultima puntata di Servizio Pubblico. Da ora, Ruotolo, classe ’55, cugino di Silvia Ruotolo (uccisa dalla Camorra), una vita da reporter nella squadra di Michele Santoro, è candidato con Antonio Ingroia. Una scelta maturata dopo l’adesione del giornalista all’appello ‘Io ci sto’, sottoscritto da diversi esponenti del mondo della cultura, politica e società civile per lanciare l’ingresso in politica dell’ex pm antimafia. Lo intervistiamo dandogli del tu perché non ce la si fa a dare del lei a un collega.
Curiosità: nella puntata con Berlusconi, ti hanno relegato a cronometrare gli interventi. Se lo sono chiesti in molti sui social network. La candidatura era già nell’aria?
Ho sempre messo al primo posto la squadra, per me è stato naturale svolgere quel ruolo, nessun retroscena.
Qualche retroscena sulla candidatura?
E’ nata quando Ingroia è arrivato in Italia dal Guatemala. Alla manifestazione organizzata al Capranichetta ho firmato l’appello per Ingroia come Vauro e tanti altri. E poi con De Magistris e Antonio stesso è maturata la candidatura.
Come sarà la tua campagna elettorale?
La mia storia parla per me. Dalla morte di mia cugina, ma anche prima, ho sempre operato con impegno civile nella professione e ovunque mi chiamassero, in scuole e associazioni. Nella guerra in Serbia firmammo un appello per fermare la guerra, stessa cosa per la prima guerra del Golfo. Poi sono legato alla mia terra.
Napoli, Campania. Dove correrai per la Camera, circoscrizione Campania 2. Stessa circoscrizione di Rosaria Capacchione del Mattino, candidata col Pd ma al Senato.
Comunque io non mi trasformo solo perché ora sono candidato. Ho sempre insistito sui temi della legalità, della libertà di informazione. Ora porto il mio contributo in politica. Ho rispetto per i partiti, ma penso vadano cambiati e mi piace che sia un movimento a farlo, mi piace farne parte anche se da indipendente, mi piace partecipare a questa impresa collettiva.
Sono molti i giornalisti candidati in questa tornata elettorale. Come consideri il fenomeno?
Rosaria era già stata candidata. Lo trovo naturale, non trovo nulla di scandaloso. Si fanno polemiche sui giornalisti o i magistrati candidati: e allora gli avvocati? Non c’è uno scendere né un salire in politica. C’è un continuare a impegnarsi: io ho la tessera dell’Anpi, non penso che credere in dei valori sia disdicevole per un giornalista. Anzi non ho mai creduto alla neutralità del giornalista che si assume l’onere dell’interpretazione, ma deve essere onesto. Anche se nel nostro paese scontiamo ancora il conflitto di interessi che non riguarda Berlusconi ma anche la Rai, dove ci sono ottime professionalità ma pesa l’influenza dei partiti. E io lo so bene, essendo stato assunto in Rai il 12 gennaio 1980. Poi me ne sono andato.
Alleanze: ritieni possibile un’alleanza con il Pd dopo il voto? Vendola dice a Bersani che non bisognerebbe guardare solo a Monti, ma anche agli arancioni.
Monti e Berlusconi sono i nostri avversari e su questo non c’è dubbio. Del primo, è inutile parlare. Su Monti, beh con lui il paese si è impoverito, le persone sono state trattate come numeri, sono state adottate misure economiche contro i soliti noti e in nome di alchimie universitarie e dell’austerità, non sono state considerate le storie e le sofferenze delle persone e non c’è stata alcuna misura di crescita. Per me vale l’immagine di quella persona che si è data fuoco a Bologna l’anno scorso, oppure degli operai dei treni notte in protesta contro i tagli o gli operai del Sulcis e della signora che al supermercato si fa fare il conto provvisorio alla cassa prima di quello finale per paura di non farcela con i soldi. Il dialogo pubblico tra Nichi e Antonio è un segnale bello e positivo.
La puntata di Servizio Pubblico con Berlusconi per te è stata l’ultima. Su quella sera ne sono state dette tante, soprattutto è opinione condivisa che il Cavaliere ne sia uscito vincitore. Tu cosa hai pensato?
Quando avviava Samarcanda, Michele diceva sempre: ‘Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda’. Vale anche ora: ‘Comunque la pensiate, benvenuti a Servizio Pubblico’.

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters