Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 2 luglio 2011

Il Palazzo fa male alla Camusso.


di Pierfranco Pellizzetti. Fonte: ilfattoquotidiano

Ci è già stato spiegato in tutte le salse che l’accordo Confindustria-Sindacati, salutato con entusiasmo da Tito Boeri su la Repubblica e dai tanti aspiranti sterilizzatori del conflitto sociale democratico, non è altro che la trasposizione in sede di relazioni industriali della logica “suina” per cui agli elettori è stato sottratto il diritto di votare i propri candidati. Con il beneplacito sostanziale di tutti gli “utilizzatori finali”: la corporazione partitica complessivamente intesa.Resta solo da chiarire l’apparente mistero dell’allineamento da parte di Cgil alla normalizzazione che azzera i diritti (visto che i vari Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni non hanno fatto altro che assecondare la loro naturale vocazione al ruolo di caporalato del consenso; mentre, più passa il tempo, Emma Marcegaglia assomiglia a quelle donne padane di zigomo forte che, nel secondo dopoguerra, presidiavano a muso duro e doppietta in mano la fabbrichetta di famiglia insidiata dalle maestranze con le loro assurde pretese di una paga che non fosse da fame).

Ταπεινωμένος και βιασμένος.



Ταπεινωμένος και βιασμένος
Wed, 29/06/2011 - 23:02 — Mediasoup


Βιαστή μου Πρόεδρε της Ελληνικής Δημοκρατίας,
Βιαστή μου Πρωθυπουργέ της Ελληνικής Δημοκρατίας,
Βιαστή μου Υπουργέ Προστασίας του Πολίτη,

Σήμερα το πρωί γύρω στις 11.30, καθώς κατευθυνόμουν με έναν φίλο μου προς τη διασταύρωση των οδών Ριζάρη και Βασ. Κωνσταντίνου ομάδα της ΕΛ.ΑΣ μας διέταξε προς προληπτικό έλεγχο της τσάντας ώμου που κρατούσα και σωματικό έλεγχο στον φίλο μου.
Η τσάντα μου ανοίχτηκε παρουσία 10 περίπου μελών των ΜΑΤ.
Μέσα της βρέθηκαν ένα αντίτυπο ποιημάτων του Γιώργου Σεφέρη, το οποίο σκίστηκε από τα όργανα έννομης τάξης επιτόπου, ένα μπουκάλι Malox με το οποίο με περιέλουσαν, μια χάρτινη μάσκα αγορασμένη από φαρμακείο κι ένα μπουκάλι νερό.
Ανάμεσα στα αντικείμενά μου υπήρχαν στυλό, κάποια φυλλάδια από γερμανικές θεατρικές παραστάσεις του Βερολίνου που είχαν ξεμείνει από πρόσφατο ταξίδι(ανάμεσα τους φυλλάδιο από την παράσταση του Berliner Ensemble με τίτλο Freedom and Democracy I Hate you το οποίο επίσης σκίστηκε επιτόπου) αλλά και ένας διαφημιστικός σελιδοδείκτης από gay βιβλιοπωλείο του Βερολίνου ο οποιός έγινε αντικείμενο έντονου χλευασμού και αντιδικίας ανάμεσα στους 10 αστυνομικούς που με «εξέταζαν».
Κατά τη διάρκεια του κλήρου για το περιεχόμενο της τσάντας μου, ο πιο αφοσιωμένος εργάτης της ομάδας χώνοντας στην κυριολεξία ένα γκλόμπ πάνω από το παντελόνι μου, στον πρωκτό μου με ρωτούσε τι ομάδα είμαι στο ποδόσφαιρο.
Μεταφέρθηκα με περιπολικό στον 11ο όροφο της ΓΑΔΑ για εξακρίβωση προσωπικών στοιχείων σ’ ένα τμήμα με επιγραφή «ΕΓΚΛΗΜΑΤΩΝ ΚΑΤΑ ΖΩΗΣ» όπου μετά από μια ώρα αφέθηκα ελεύθερος. Η συμπεριφορά των αστυνομικών οργάνων στην ΓΑΔΑ αλλά και στο περιπολικό ήταν παραπάνω από φιλική και άψογη.
Δεν υπέγραψα κανένα έγγραφο προσαγωγής κι ούτε έλαβα γνώση των σχετικών εγγράφων που συμπληρώθηκαν.
Οδηγούμενος πια ελεύθερος στην Λεωφ. Αλεξάνδρας έλειπε μέσα από την τσάντα μου ο χρυσός βαφτιστικός μου σταυρός και 20 ευρώ.
Θα ζητήσω την αρωγή παντός δικαστηρίου εντός και εκτός της Ελληνικής Δημοκρατίας για τον εντοπισμό και την δίκαιη τιμωρία των βιαστών μου, των ηθικών αυτουργών του βιασμού μου αλλά και του βανδαλισμού των ποιημάτων του Γιώργου Σεφέρη.

Μετά ταπεινοτάτης τιμής,

Ταπεινωμένος και βιασμένος
Μάνος Λαμπράκης
Θεατρικός Συγγραφέας

L'OCSE e la diseguaglianza: a che punto e' la notte?


di Stefano Perri. Fonte: economiaepolitica

1. Dopo la ricerca del 2008 Growing Unequal[1], veramente utile nell’evidenziare come lo sviluppo economico nei paesi sviluppati sia stato negli ultimi decenni caratterizzato da un crescere delle diseguaglianze, l’OCSE è ritornata recentemente su questo problema con il Forum tenuto a Parigi il 2 Maggio del 2011[2].
Purtroppo i dati aggiornati sullo stato delle diseguaglianze non sono ancora disponibili nel sito dell’OCSE. Tuttavia alcune interessanti considerazioni possono essere già svolte.
L’OCSE conferma che i dati fino al 2008, cioè prima che gli effetti della crisi fossero evidenti, mostrano un trend di crescita delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito nella maggior parte dei paesi sviluppati.
Ad esempio 19 paesi dell’OCSE hanno visto dalla metà degli anni ottanta fino al 2008 il reddito reale disponibile del decile più povero della popolazione crescere ad un tasso molto inferiore rispetto al decile più ricco (in due paesi, Israele e Giappone, il reddito del decile più povero addirittura diminuisce in termini reali). Solo in 8 paesi, tra cui la Francia, il reddito del decile più povero è cresciuto ad un tasso più alto di quello più ricco. Impressionante in questa classifica è la performance di paesi in cui la distribuzione del reddito è tradizionalmente meno sperequata: in Svezia il tasso di crescita del reddito del decile più ricco è stato in questo arco di tempo 6 volte più alto del tasso di crescita del decile più povero (2,4 % contro lo 0,4%) in Germania addirittura 16 volte più alto (1,6% contro lo 0,1%). Anche l’Italia non brilla in questo confronto: i più ricchi hanno infatti visto i loro redditi crescere ad un tasso 5,5 volte più alto di quello relativo ai redditi dei più poveri (1,1% contro lo 0,2%). In questa triste classifica l’Italia giunge quindi terza dopo la Germania e la Svezia, se si escludono i due paesi in cui il reddito reale del decile più povero diminuisce. Occorre però ricordare che, in contrasto con la Germania e la Svezia, la diseguaglianza nella distribuzione del reddito di partenza era molto più alta in Italia.

Atene 29 giugno 2011

Il governo "socialista" di Atene contro Freedom Flotilla: bloccata "Us Boat to Gaza".



Che il governo "periferico" sia di sinistra o di destra, non importa. E' il governo centrale che decide e quando la sovranita' economica passa agli strozzini, passa anche quella politica.
=========================
di Raffaele Urselli. Fonte: dazebaonews
ATENE - Nel pomeriggio di ieri 1° Luglio la "US Boat to Gaza" (la nave statunitense che partecipa alla Flotilla), è salpata dal porto, ma è stata fermata dalla Guardia costiera greca.
Gli attivisti avevano deciso di salpare all'improvviso dopo che il ministero degli Interni greco aveva mandato la comunicazione ufficiale in cui dichiarava che la partenza della Freedom Flotilla era stata bloccata.
Problemi simili anche per la nave canadese “Tahrir”: Sandra Ruch, la proprietaria dell’imbarcazione, ha subito il “sequestro” della licenza di navigazione dalle autorità portuali greche a cui l’aveva consegnata per i controlli di rito.
Le autorità greche hanno ceduto alle pressioni del governo israeliano e hanno diffuso un comunicato in cui dichiarano ufficialmente che non daranno l'autorizzazione a partire alla Freedom Flotilla.
Dopo l'operazione dei commando militari sulla nave americana, il fermo decretato dalle autorità greche sulla nave canadese, e dopo i sabotaggi ai danni di alcune navi della Flotilla, gli attivisti della non-violenza di Freedom Flotilla oggi sostengono che "L'assedio di Israele sulla Striscia di Gaza, si è esteso sulle coste greche". Momenti di sconforto, in cui anche quei pochi partner europei favorevoli alla Flotilla hanno mollato il colpo. La Grecia, che ha da poco ricevuto un prestito-cappio finanziario, ora è volgarmente ricattata a seguire i Diktat israeliani, statunitensi ed Europei.

Un comunicato stampa a seguito degli avvenimenti di ieri, diffuso dalla coalizione italiana della Freedom Flotilla, recita in merito ai prepotenti impedimenti alla partenza come anche alla posizione di contrarietà ufficializzata dal governo greco: "E’ decisione che non solo calpesta le regole del diritto, non solo colpisce una missione di solidarietà con un popolo che soffre da anni la barbarie dell'assedio; si tratta anche di un atto che umilia lo stesso governo greco, costretto a subire il ricatto di Israele, degli Stati Uniti e della stessa Unione Europea".
Il comitato organizzatore della seconda Flotilla fa sapere che la missione partirà la prossima settimana, intorno al 5 luglio. Le imbarcazioni dovrebbero ritrovarsi nel punto del raduno, a largo di Creta e entro il 7 luglio partire alla volta di Gaza.

venerdì 1 luglio 2011

La brutalita’ della polizia non manda a casa il popolo greco. Piazza Syntagma gremita e arrabbiata.


di Marco Santopadre, Fonte: Radio Citta’ Aperta
Atene 1 luglio --- “Batsi, gourounia, dolofonoi!” grida la folla che si accalca sulle transenne investendo i poliziotti di guardia al Parlamento di insulti. “Sbirri porci assassini”, letteralmente. Sono le 19 di giovedi e Piazza Syntagma e’ di nuovo stracolma di gente. Gente che discute, che urla, che lancia slogan, che ricostruisce il campo distrutto dalla furia dei celerini che ieri, mentre i loro colleghi inondavano Syntagma di gas, spazzavano via a calci tavoli, tende e striscioni dal centro della piazza divenuta dalla fine di maggio il quartier generale della protesta contro Papandreou e la troika.
Ci sono gia' migliaia di persone a gridare la propria rabbia davanti al Parlamento per quello che e’ successo ieri. Non era affatto scontato, anzi. La brutalita’ delle forze dell’ordine e’ stata inaudita, esagerata, ingiustificata. Neanche i giornali e le tv vicine ai socialisti al governo hanno potuto fare a meno di denunciarlo, i video postati sui siti di movimento e in alcuni casi ritrasmessi dalle tv non lasciano spazio a interpretazioni minimaliste. “Neanche in Bahrein o in Giordania avevo visto usare tanto gas e tanta violenza contro I manifestanti inermi” dice alla tv di stato una giornalista di ritorno da Piazza Syntagma. Il conduttore del talk show e’ imbarazzato, prova a ridimensionare l’affermazione dell’inviata in Medio Oriente. “Ma li’ – dice – ci sono dei regimi!”. La giornalista non risponde. Per lei lo fanno altre immagini: teste aperte dai manganelli che colano sangue, la folla che grida “Pane, istruzione, liberta’. La Giunta non e’ caduta nel 1973. Questa piazza sara’ la sua fine!”. Uno slogan in auge nel 1973, ai tempi della rivolta contro la dittatura fascista e dell’occupazione del Politecnico, riadattato per l’occasione.

Finanzcapitalismo. Quel mostro tra noi.


L'ultimo libro di Luciano Gallino sulla finanziarizzazione dei mercati e sulle tremende evoluzioni del capitale.
Fonte: www.liberazione.it + comedonchisciotte
Dopo aver letto questo libro, andrete a letto e non riuscirete a chiudere occhio. Batterete i denti, avrete i brividi - altro che Intervista col vampiro - e anche da svegli continuerete ad avere paura. Va bene così, anzi vi consigliamo vivamente: abbiate paura. Il Mostro evocato da questo libro, e balzato fuori davanti a voi, ha la forza stratosferica di trilioni di trilioni di trilioni di dollari e in pratica nessuno, almeno per ora, sembra in grado di fermarlo, di combatterlo, di ammansirlo, di impedirgli di farci del male. Il Mostro dal nome cacofonico e altisonante che dà il titolo al nuovo libro di Luciano Gallino: "Finanzcapitalismo" (Einaudi, pp. 324, euro 19).
L'autore, che è tra i più importanti sociologi italiani, lo descrive così: «Il finanzcapitalismo è una mega-macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli ecosistemi». Hannibal the Cannibal: ci mangia vivi, e non c'è sito del pianeta dove si possa fuggire per scamparvi. Perché il Mostro, come Dio, sta in cielo in terra e dovunque; il Mostro è giunto «ad asservire ai propri scopi ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo». Ivi compreso «il sistema politico dominante a livello mondiale». Cioè noi siamo cannibalizzati. Cioè finanzacapitalizzati (da paura, appunto).

Il problema della Politica.


di Mario Tronti Fonte: centroriformastato
Pubblichiamo un’anteprima del nuovo libro di Mario Tronti "Dall’estremo possibile"
Siamo partiti, forse, da questioni troppo complesse (pensiero tragico, teologico-politico), ma non stiamo affatto divagando.
L’obiettivo di una tale scelta è, infatti, quello di creare lo sfondo, un contesto adeguato, per proporre ai giovani il
problema della politica, di contribuire alla diffusione tra di essi di una conoscenza seria della politica, che essi, anche quelli politicamente più impegnati e più sensibili, fanno fatica a comprendere in tutta la sua interezza, e in tutto il suo spessore. Più specificamente, l’intento è quello di far misurare i giovani e i giovanissimi con la politica, contribuendo alla loro formazione culturale e politica. Soprattutto quelli, già ben orientati, che la politica la cercano, ma non la incontrano, perché le ideologie (antipolitiche) che più direttamente hanno influenzato la loro formazione, e il loro stesso impegno «critico», gli impediscono di guardare con occhio critico alla storia del Novecento, e alla storia del movimento operaio, e, dunque, alla Politica come strumento insostituibile di trasformazione del mondo e delle nostre vite.

3r. Alla politica si arriva sempre. E sempre dalla politica si riparte. È un tema difficile. Oggi, il più difficile. Difficile,
non da pensare, ma da comunicare. Su di esso si è accumulato il più diffuso dei sentimenti di rifiuto, a livello popolare, di massa, in un concentrato impressionante di senso comune.
In più, una dannazione intellettuale, un rigetto culturale a farsi carico del problema. Motivi che, tutti insieme, hanno
segnato il passaggio di egemonia da sinistra a destra, che questa volta ha avuto questa precisa specificità. Non occupiamoci dell’antipolitica prodotta dal populismo conservatore. La conosciamo e la combattiamo. È l’impolitico prodotto dal campo progressista che dobbiamo qui mettere sotto critica.

giovedì 30 giugno 2011

Sì ai tagli e alla svendita, Atene brucia.



di ARGIRIS PANAGOPOULOS - IL MANIFESTO del 30 GIUGNO 2011

Il governo ha scelto la strategia della tensione: provocatori indisturbati, pioggia di lacrimogeni per i manifestanti pacifici. Decine di feriti e arresti Il parlamento dice «sì» ai tagli da 28 miliardi di euro voluti dalla Bce e dall'Fmi.

I manifestanti assediano la Camera per il secondo giorno consecutivo: scontri violentissimi con gli agenti Quello di ieri è stato l primo sciopero generale di 48 ore della storia del paese ATENE.

Papandreou ha guadagnato ieri una doppia vittoria. Da una parte è riuscito a far passare in parlamento 28,40 miliardi di euro di tagli, dall'altra grazie a poche decine di «soliti ignoti» e alla violenza gratuita della polizia, ha evitato di trovarsi di fronte al parlamento uno o due milioni di ateniesi che chiedevano le dimissioni del governo e la bocciatura del piano della Bce e dell'Fmi. I tagli sono passati con 155 voti a favore (su 300 deputati) e Papandreou ha perso uno dei suoi deputati ma ha guadagnato il voto di una deputata conservatrice. Contro il «Programma di medio termine» hanno votato i conservatori di Nuova democrazia, l'estrema destra del Laos e i tre partiti di sinistra, Kke, Syriza e Sinistra democratica. I cinque deputati del partito centrista Alleanza democratica hanno votato «presente», frenando le tentazioni della sua leader Ntora Mpakogiani-Mitsotaki di votare «sì». Il grande successo del primo sciopero generale di 48ore nella storia della Grecia ha paralizzato il paese. Gsee e Adedy, le federazioni sindacali dei settori privato e pubblico, devono ora affrontare il «giorno dopo». Le pesanti conseguenze economiche e sociali del taglio (del 20%) dei stipendi nel settore pubblico, la distruzione (per la pressione fiscale) dei liberi professionisti e delle piccole e piccolissime imprese, la distruzione dei rapporti di lavoro nel settore privato e uno tsunami di privatizzazioni, con la svendita di società e partecipazioni del settore pubblico. L'esecutivo ha scelto la strategia della tensione. Per evitare la rivolta popolare ad Atene e nel resto del paese ha scelto di trasformare Syntagma in un campo di battaglia: i poliziotti hanno messo a ferro e fuoco per due giorni la piazza e le strade vicine, utilizzando le provocazioni di un pugno di «soliti ignoti» per bombardare a tappeto i manifestanti pacifici, fino alle due di notte di martedì, con gas di tutti i tipi. Stesso copione ieri, con gli agenti fermi a guardare i pochi incappucciati che rompevano marmi e gradini ma a caricare con estrema violenza gli «indignati» che stavano in piazza pacificamente! I partiti di sinistra, i sindacati e perfino i mezzi d'informazione - molti dei quali molto vicini a Papandreou - hanno denunciato questa strategia delle forze dell'ordine. Dopo ore e ore di guerriglia urbana e la votazione dei tagli nel parlamento, centinaia di giovani e giovanissimi hanno partecipato con rabbia a una vera e propria intifada contro la polizia, avvolti in nuvole di fumo dai gas. Altre decine di migliaia di persone sono rimaste fino a notte fonda nei dintorni di Syntagma, resistendo ai gas e spostandosi di continuo per evitare le cariche della polizia ed i lacrimogeni. Le decine di medici e il personale di assistenza degli «indignati» hanno mostrato ieri una gran coraggio aiutando centinaia di persone di ogni età, mentre la polizia è arrivata a sparare lacrimogeni anche nella stazione della metropolitana di Syntagma, dove gli «indignati» avevano allestito un ambulatorio che aveva assistito più di 500 persone con problemi respiratori e ferite. Ancora peggio la polizia ha negato alle ambulanze di arrivare alla stazione di Syntagma per portare i feriti negli ospedali. I medici, attraverso i canali televisivi, hanno chiesto una «cintura di sicurezza», un'area senza agenti per permettere ai feriti di allontanarsi, ma la polizia ha risposto intensificando il lancio di candelotti. Il risultato è stato che è aumentata la rabbia non solo degli «indignati» ma anche di milioni di greci che hanno visto il comportamento disumano della polizia in diretta tv. Rabbia alimentata anche dalle scene e le fotografie di poliziotti delle squadre motorizzate «Dias» e «Delta» che salutavano facendo il segno della vittoria. Vittoria contro chi? La brutalità della polizia ha rotto anche la sottile linea di dialogo che negli ultimi giorni si era instaurata tra i sindacati della polizia e gli «indignati». Gli ospedali di guardia ieri sera erano pieni di manifestanti con ferite e problemi respiratori, mentre i giudici di turno del tribunale di Atene lavoravano a pieno ritmo visto che la polizia ha fatto decine di fermi e arresti. Le manifestazioni che si sono svolte nel resto del paese sono invece finite pacificamente e con enorme partecipazione, come la grande marcia a Salonicco contro la privatizzazione dell'acqua, dell'energia elettrica e del porto. Solo a Creta si sono verificati atti di violenza, con piccoli gruppi che hanno occupato e distrutto due sedi del Pasok a Hirakleio e Xania, dove è stata occupata anche la sede del comune.

C'è la crisi, licenziate solo le donne"Così stanno a casa a curare i figli".



Decisione shock alla MaVib di Inzago: "Tanto in famiglia il loro è sempre il secondo stipendio"I lavoratori annunciano sciopero e presidio, ma poi gli uomini vanno regolarmente al lavorodi GABRIELE CEREDA.

Fonte: repubblica
L'azienda licenzia, ma solo donne. "Così possono stare a casa a curare i bambini", dicono i dirigenti della MaVib di Inzago, produttrice di motori elettrici per impianti di condizionamento. All'indignazione dei sindacati ("sembra di essere tornati nel Medioevo"), si aggiunge la rabbia dei lavoratori - uomini e donne uniti - pronti a salire sulle barricate. Salvo spaccarsi al momento decisivo con gli uomini che rompono il patto di solidarietà ed entrano in azienda a lavorare. L'azienda di Inzago La Cgil: "Difenderemo le operaie"Invischiata nelle sabbie mobili della crisi, l'impresa a conduzione familiare fondata 25 anni fa da Ivaldo Colombo, ancora in plancia di comando, 5 milioni di fatturato, 30 dipendenti (12 uomini e 18 donne), finora era ricorsa solo agli ammortizzatori sociali. "Anche perché la situazione non è mai stata davvero drammatica", sottolinea Fabio Mangiafico di Fiom Milano. Una commessa per produrre impianti di raffreddamento di distributori automatici nell'Europa nord occidentale aveva dato ossigeno all'attività.Dieci fa mesi, in 14 erano finiti comunque in cassa integrazione ordinaria, tutte donne, tranne uno. "Un'anticipazione di quello che stava per accadere", dice ora il sindacalista rileggendo i fatti. Ieri pomeriggio, nella sede di Api (Associazione piccole medie imprese), al tavolo delle trattative ci sono tutti: sindacati, associazioni di categoria e proprietà. È qui che l'amministratore delegato della società comunica la decisione. "Dopo la cassa integrazione - fa sapere la Fiom Cgil - hanno annunciato il licenziamento di 13 lavoratori scegliendoli rigorosamente di sesso femminile", precisando che "quello portato a casa dalle donne è comunque il secondo stipendio". L'incontro viene sospeso e la notizia arriva sotto le volte del capannone di via Emanuele Filiberto, nella zona industriale di Inzago, quando manca una manciata di minuti alla sirena di fine giornata. Fuori dai cancelli basta un breve consulto tra gli operai. Tutti, nessuno escluso, decidono di presidiare la fabbrica, a partire dal giorno dopo. Ma al momento di mettere in atto la protesta, arriva la spaccatura. Gli uomini decidono di entrare in azienda e di lavorare regolarmente rompendo la solidarietà con le colleghe.
FINANCIAIR MANEUVER
FRIED AIR

mercoledì 29 giugno 2011

Intervista ad Emiliano Brancaccio: «Una finanziaria per ricchi. Ma non salverà i "ceti produttivi"».


di Tonino Bucci. Fonte: esserecomunisti
Intervista ad Emiliano Brancaccio, economista e docente all'università del Sannio

Primo, riduzione a tre delle aliquote fiscali, che in sostanza significa meno tasse per i redditi alti. Secondo, aumento di un punto dell'Iva, cioè lo spostamento (in parte) della tassazione dai redditi ai consumi. Terzo, abolizione dell'Irap nel 2014. Stando alle linee generali della bozza di riforma fiscale in cantiere nel governo, dubbi non ce ne sono: sgravi fiscali soprattutto per i ceti alti, più oneri per quelli bassi e per i lavoratori, zero prospettive per uscire dalla desertificazione del sistema produttivo italiano. Ne abbiamo conferma dalle parole dell'economista Emiliano Brancaccio, docente all'università del Sannio.

C'è qualcosa di organico nella politica economica oppure la nuova manovra è solo il frutto dei conflitti politici all'interno della maggioranza di governo?

Qualcosa di organico c'è, ma viene dall'esterno. Mi spiego. L'impianto della manovra di bilancio presentata dal governo è perfettamente in linea con l'indirizzo restrittivo del Consiglio europeo. In questo senso la politica economica nazionale è organica. Non c'è nessuno scarto. Giulio Tremonti che storicamente viene ricordato nei primi anni duemila come un Cristo in croce, una vittima degli assetti dell'Unione Europea, oggi si fa invece paladino della politica economica restrittiva, che se era discutibile dieci anni fa, lo è a maggior ragione oggi. Naturalmente gli input dell'Ue servono determinati interessi. Non soltanto la politica europea intensifica la corsa al ribasso dei salari relativi e quindi colpisce tutti i lavoratori del continente, ma è anche il riflesso di quella che potremmo definire una "germanizzazione" dell'Ue. Le periferie dell'Unione subiscono infatti veri e propri processi di desertificazione produttiva, mentre le aree centrali ne vengono rafforzate. Se dunque vogliamo trovare una logica profonda in questa manovra di politica economica, essa è più o meno inconsapevolmente conforme alla legge di tendenza della "centralizzazione" dei capitali di cui parlava Marx. Non solo colpisce i lavoratori europei, siano essi greci, tedeschi o italiani, ma anche i piccoli capitali periferici a vantaggio dei grandi capitali del centro dell'Ue.

Il prezzo della crisi.


Autore: Fonte: eddyburg
Le condizioni (il programma) che renderebbero realmente utile il “rigore fiscale” per uscire dalla crisi e costruire un futuro migliore. Il manifesto, 29 giugno 2011.
Una crisi finanziaria di dimensioni globali è di nuovo alle porte. E non sarà l'ultima. Il mondo si sta avvitando intorno ai suoi debiti. Con liberismo e globalizzazione («finanzcapitalismo», orribile termine introdotto da Luciano Gallino) gli Stati hanno ceduto il potere di creare il denaro - il diritto di «battere moneta» - al capitale finanziario. Quasi tutti gli Stati dei paesi sviluppati si sono pesantemente indebitati con il sistema finanziario (quelli dell'ex Terzo Mondo lo sono da sempre). Lo hanno fatto in parte per salvare banche o aziende sull'orlo del crack; in parte per finanziare spese sia essenziali (infrastrutture, «welfare» o stipendi del Pubblico impiego non sostenuti da sufficienti entrate fiscali), sia illegittime (costi della corruzione e dell'evasione fiscale), sia inutili e dannose (armamenti, costi della «politica», di grandi opere o di «grandi eventi»). Per esempio, gran parte del debito che sta portando la Grecia al fallimento è dovuto, oltre che alla corruzione e dall'evasione fiscale, alle spese sostenute (senza adeguati ritorni) per le Olimpiadi di Atene e per l'acquisto - da Francia e Germania, gli Stati che oggi la stanno strangolando - di armamenti per «difendersi» dalla Turchia: due paesi della Nato che si armano l'un contro l'altro, comprando le stesse armi dagli stessi paesi e addestrandosi a farsi la guerra (c'è di mezzo il petrolio dell'Egeo) nelle scuole militari degli stessi fornitori. Gli Stati si indebitano perché di nuovo denaro non ne possono creare più di tanto. In parte se lo sono vietato, con leggi nazionali (come negli Usa) o accordi internazionali (come le regole di governo della Bce e il Patto di stabilità dell'Unione Europea).

Mario Draghi, ex presidente di Goldman Sachs Europa, assume lapresidenza della Banca centrale europea.



Non che non l'avessimo capito, ma ogni ulteriore contributo èprezioso per capire l'abiezione del sistema in cui stiamo affondando.

Giuliana - Fonte: http://www.fabionews.info/

A cura di Attac Francia (Associazione per la Tassazione delleTransazioni finanziarie e l’Aiuto ai Cittadini).

Mario Draghi, ex presidente di Goldman Sachs Europa, assume la presidenza della Banca centrale europea. Presiedeva la banca d’affari americana quando, negli anni 2000, aiutava la Grecia a “truccare” i suoi conti pubblici. Il compito di Draghi sarà quello di salvaguardare gli interessi delle banche nell’attuale crisi europea. Ci si poteva chiedere fino ad oggi per quale motivo la Banca Centrale Europea e il suo presidente Jean Claude Trichet si opponessero in maniera così virulenta – perfino contro la cancelliera tedesca – a qualunque ipotesi di ristrutturazione del debito greco ... Un atteggiamento che appariva incomprensibile visto che tutti gli analisti, compresi gli economisti delle banche, concordano nel ritenere che la Grecia non potrà garantire il rientro del debito alle attuali condizioni contrattuali. È opinione diffusa che un diverso scaglionamento o meglio una parziale cancellazione, siano inevitabili.

Volerne ritardare la scadenza non fa che peggiorare i guasti economici e sociali provocati dai piani di austerità brutali e impopolari imposti al popolo greco.

La nomina di Draghi chiarisce le cose. La BCE non difende gli interessi dei cittadini e dei contribuenti europei, ma gli interessi delle banche. Grazie ai “piani di salvataggio” della Grecia e al “meccanismo europeo di stabilità” messo in atto da BCE, FMI e dall’Unione, “la parte di debito greco in mano ai contribuenti stranieri passerà dal 26% al 64% nel 2014. Vale a dire che l’esposizione di ciascuna famiglia della zona euro passerà dagli attuali 535 euro a 1.450 euro”. (Les Echos, 23 giugno 2011).

Il salvataggio della Grecia consiste di fatto in una gigantesca operazione di socializzazione delle perdite del sistema bancario. L’essenziale del debito greco – ma anche di quello spagnolo e irlandese – viene trasferito dalle mani dei banchieri a quelle dei contribuenti. Sara così possibile in seguito addossare i costi dell’inevitabile ristrutturazione di quei debiti ai bilanci pubblici europei. Come dicono gli Indignati spagnoli “Non è una crisi, è una truffa!”.

Il Parlamento europeo in questi giorni ha votato il “Pacchetto di governance economica” che riforma il patto di stabilità appesantendo i vincoli sui bilanci nazionali e le sanzioni contro i paesi che li infrangono. Il Consiglio europeo che si riunirà nei prossimi giorni completerà la bisogna. E non sarà la prossima nomina di Christine Lagarde a capo del FMI a ridurre il potere delle banche sulle istituzioni finanziarie internazionali, al contrario.

Ma la resistenza sociale e civile sta crescendo in tutta Europa. Governare per i popoli o per la finanza? Oggi la risposta è chiara: i popoli europei devono riprendere l’iniziativa per costruire insieme un’altra Europa.

Gli Attac di tutta Europa organizzano dal 9 al 13 agosto l’Università europea dei movimenti sociali a Friburgo, in Germania. Quest’estate sarà uno dei luoghi più importanti di coordinamento delle resistenze e di costruzione delle alternative europee.

Islanda: esempio superiore di Democrazia.



da Giuliana - FabioNews - Fonte: TechFanpage

I parlamentari islandesi ispirano il mondo decidendo di sottoporre al giudizio del popolo leloro idea di modifica della Costituzione.

Che il crowdsourcing (crowd = folla, moltitudine; outsourcing =esternalizzazione, approvvigionamento esterno) si stesse affermando un po’ ovunque era ormai evidente, ma che qualcuno se ne sarebbe servito per (ri)scrivere una Costituzione era assai meno scontato.

Accade nella piccola nazione islandese, dove i suoi circa 309.000 abitanti stanno collaborando via Facebook alla stesura di un nuovo testo costituzionale ... I parlamentari della repubblica islandese, infatti, hanno deciso divoler sottoporre il documento al costante giudizio della popolazione che, tramite like e commenti, potrà comunicare il livello del proprio gradimento rispetto alle decisioni prese dai suoi rappresentanti.

La Costituzione islandese ha più o meno la stessa età di quella italiana: è stata promulgata nel giugno del 1944 e, da allora, è stata modificata sette volte.

Che i social network si prestassero naturalmente a diventare uno strumento ideale per l’esercizio della democrazia diretta lo abbiamo sempre saputo e, negli ultimi mesi, ne abbiamo avuto riprova un po’ovunque; persino nel nostro sonnacchioso paese che deve proprio al web 2.0 il trionfo dei referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento. Ma quello che sta accadendo in Islanda va oltre ogni più rosea aspettativa. Chiamare i cittadini a esprimere periodicamente e con costanza il proprio giudizio circa l’operato dei suoi rappresentanti dovrebbe essere una pratica adottata in ogni paese che intende fregiarsi del termine “democratico”. Fermo restando l’utilità del principio di democrazia rappresentativa e la necessità di eleggere qualcuno che si occupi degli interessi del popolo, non è possibile smettere di confrontarsi con gli elettori per 5 anni prima di richiamarli in causa giusto un attimo prima della nuova tornata elettorale.


Qualcuno dirà che tutto questo è possibile solo in un paese minuscolo come l’Islanda, in cui è facile gestire 300.000 persone, ma la maggior parte delle nostre città non arriva ai 300.000 abitanti. Il nostro non è un paese fatto di metropoli e il web dovrebbe potersi candidare a strumento (gratuito!) di partecipazione alla vita politica del paese. I Comuni, tanto per cominciare, potrebbero aprire dei canali di dialogo diretto con i cittadini e non sarebbe poi così utopico immaginare che gli elettori facciano parte della vita amministrativa e politica del paese non solo per il limitato periodo elettorale.

L’Islanda lo ha fatto. Ed è il primo paese a servirsi di Internetper riscrivere la costituzione, il testo fondante di ogni nazione democratica, un testo la cui modifica dovrebbe essere approvata a larghissima maggioranza (se non quasi all’unanimità), e allora che c’è di meglio che chiedere ai cittadini “come volete cambiarla“? Quando si elegge un rappresentante politico, non si può sapere a priori che tipo di decisioni assumerà rispetto ad ogni singola problematica che si troverà ad affrontare nel corso del mandato e un politico onesto dovrebbe chiedersi sempre se il suo operato rispetta la volontà popolare. Bene, in Islanda il problema lo hanno risolto così: chiedendo ai cittadini. Semplice, no?

Gli Islandesi sono abituali utilizzatori di internet, ben due terzi di loro hanno un profilo su Facebook. Da qui la decisione di mettere gli incontri settimanali del consiglio costituzionale non solo sulsito del consiglio, ma anche sul popolare social network.

“Si può scegliere di passare attraverso altri mezzi, ma la maggior parte delle discussioni ha luogo su Facebook“, ha fatto notare Berghildur Bernhardsdottir, portavoce per la revisione del progetto costiruzionale. Ha affermato inoltre il Primo Ministro Johanna Sigurdardottir: ”Per me è chiaro da tempo che una revisione integrale della Costituzione è possibile solo con la diretta partecipazione del popolo islandese”.

I 25 membri del consiglio costituzionale sono stati eletti con voto popolare e scelti tra 522 candidati di età superiore ai 18 anni. Il consiglio sta basando il suo lavoro su un rapporto di 700 pagine preparato da un comitato che ha preso in considerazione i risultati aloro volta ottenuti dal Forum Nazionale. Questo è stato costituito da 950 Islandesi scelti a caso che per un giorno hanno discusso della divisione dei poteri, dei rapporti esteri, dell’ambiente e di molto altro.Internet resta comunque la via più diretta che la maggior parte degli Islandesi ha a disposizione per avere un peso nella compilazione della nuova carta costituzionale.


È sufficiente fornire il proprio nome e indirizzo e si possono mettere online le proprie raccomandazioni. Ciò che viene postato viene approvato dallo staff e quindi le idee sono trasmesse alconsiglio, che è aperto alle discussioni online.


I suggerimenti approvati dal consiglio sono aggiunti alla bozza di costituzione, che è accessibile on line e aperta ai commenti.


La bozza della nuova Costituzione dovrebbe essere completata entro lafine di Giugno, ma il Consiglio potrebbe chiedere un altro mese ditempo. Una volta pronta, verrà mandata al Parlamento per il dibattito e l’approvazione.
CARPE DIEM
BERLUSCONI "FINANCIAL" MANEUVER PASS THE BALL TO THE NEXT GOVERNMENT
... seguendo l'esempio di Karamanlis passa la patata al prossimo governo "de sinistra" ... :-)))

martedì 28 giugno 2011

Moody's Italia echissenefrega: il ritorno degli avvoltoi!


di Andrea Mazzalai. Fonte: icebergfinanza
Nel fine settimana sentivo nell'aria che qualcosa si stava preparando nei confronti dell'Italia, avevo un strana sensazione non solo per quanto stava accadendo alla Grecia.

Troppi interessi in gioco nel mondo finanziario tra gli avvoltoi che da sempre sorvolano il mondo della finanza, troppe scommesse giocate sulla pelle delle Nazioni, sulla nostra pelle!

“There are two superpowers in the world today in my opinion. There’s the United States and there’s Moody’s Bond Rating Service. The United States can destroy you by dropping bombs, and Moody’s can destroy you by downgrading your bonds. And believe me, it's not clear sometimes who's more powerful.” (M. Friedman, 2001)...

...Ovvero... ci sono due superpotenze oggi al mondo secondo la mia opinione. Ci sono gli Stati Uniti e c'è l'agenzia di rating Moody's. Gli Stati Uniti possono distruggerti facendo cadere bombe e Moody's è in grado di distruggerti facendo declassare le tue obbligazioni. Mi creda, non è affatto chiaro a volte chi delle due sia la più potente...

Moody's ha avviato ieri una ricognizione a tutto campo sulla capacità dell'Italia di mantenere il rating "Aa2": il «review for possible downgrade» dovrebbe risolversi entro 90 giorni, come di regola. Nella peggiore delle ipotesi, la retrocessione dovrebbe essere di un solo gradino.

La «modernità» è finita.


di Alberto Burgio in Ilmanifesto - Fonte: esserecomunisti
Dopo 25 anni di precarizzazione del lavoro e bassi salari, aumento della disoccupazione e riduzione dei diritti sociali, crack finanziari e privatizzazioni, il giocattolo si è rotto. Se ne accorgerà la sinistra?
Cos'ha in comune il no alla privatizzazione dell'acqua con la cacciata della Moratti da Palazzo Marino? E il trionfo di De Magistris con la sepoltura del nucleare e del «legittimo impedimento»? È davvero l'antiberlusconismo la cifra della possente sberla inflitta dagli italiani alla cricca governante? Forse è il momento di rompere gli schemi imposti dal discorso neoliberista e di ricominciare - direbbe qualcuno - a «parlare dei rapporti di proprietà».
Partiamo da qualche dato che aggiorna la fotografia del Paese. In tutto il mondo la crisi esplosa tre anni fa morde nella carne viva dei più poveri, costretti a pagare il «risanamento» dei bilanci pubblici dissanguati a beneficio dei privati in bancarotta. La Grecia e il Portogallo rischiano di morire strangolati per mano degli esattori del debito (Commissione europea e Bce) garanti delle banche tedesche, francesi e inglesi. Ma in questo panorama l'Italia è un caso a parte. Grazie alle innovazioni della Seconda Repubblica, siamo tra le società più ineguali e ingiuste, un paradiso per ricchi ed evasori fiscali. Negli ultimi quindici anni la distanza tra il reddito medio e quello della metà più povera della popolazione è aumentata dalle nostre parti più che in tutti gli altri Paesi Ocse. I profitti netti delle maggiori imprese sono cresciuti, tra il 1995 e il 2008, del 75,4%. I salari sono precipitati al ventitreesimo posto (su trenta). La Banca d'Italia stima che il 10% più ricco possiede oltre il 45% della ricchezza immobiliare e finanziaria, mentre il 50% più povero deve arrangiarsi con il 9,8%. Intanto l'evasione fiscale (grazie alla rendita immobiliare e al lavoro autonomo) ha superato il 17% del pil (oltre 220 miliardi di euro l'anno). Quanto all'«uomo che ha fottuto un'intera nazione», nel 2010, nel pieno della crisi, ha guadagnato 2 miliardi e mezzo di euro.

La crisi "robusta" del capitalismo tossico.


di Marco Bertorello e Danilo Corradi*. In Liberazione - Fonte: sinistrainrete
Economia globale. Cos'è cambiato in due mesi.
Lo scorso marzo il presidente della Bce Jean Claude Trichet definiva la ripresa economica globale «relativamente robusta», e sull'onda di commenti come questo si diffondeva il sentore che il peggio era ormai passato. Il ciclo avrebbe ripreso il suo corso, la crescita si affacciava non solo nei paesi emergenti, ma anche negli Usa e persino in Unione Europea. Il tutto senza che ci fosse stato un cambiamento concreto delle politiche che hanno coltivato questa crisi. La regolazione finanziaria invocata da tutti i governi non è mai stata attuata, l'attacco ai salari è continuato come la socializzazione delle perdite del capitale che ha condotto all'esplosione dei debiti pubblici dei paesi Ocse. "Robusta" diventa un termine taumaturgico, piuttosto che analitico, per scongiurare i pericoli di una lunga stagnazione o peggio di un ritorno della recessione, un termine che si aggrappa ad alcuni dati positivi che qua e là emergono, spesso in conseguenza di una sorta di rimbalzo dal precipizio in cui si era caduti nel biennio 2008-2009, ma che per lo più non vengono contestualizzati. I desideri dei vari establishment sulla situazione economica si confondono con la realtà.
Sono passati soltanto due mesi dalle dichiarazioni targate Bce e le coordinate del contesto in cui ci troviamo e delle sue emergenze sembrerebbero cambiate completamente. Eppure nel lasso di tempo intercorso non è intervenuto alcun elemento tale da invertire la rotta, fatta salva la catastrofe ambientale giapponese che, per quanto grave, non può essere addotta come causa di un'inversione di tendenza generale.
USTICA

MONUMENT TO THE UNKNOWN MURDERER

O la Borsa o la Vita. Basta ricatto del debito sovrano.



di Tonino Perna. Fonte: ilmanifesto
Le grandi banche d'investimento hanno procurato la crisi debitoria e devono pagarla loro. Chi a sinistra non lo capisce, finirà come Zapatero e Papandreou
Il debito è stato lo strumento principe che ha permesso,dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, di continuare a crescere superando i limiti strutturali di questo modo di produzione capitalistico. È stato grazie al processo generale di indebitamento - degli Stati,delle famiglie e delle imprese- se i paesi occidentali (ad eccezione del Giappone) hanno potuto rimandare di ben trent'anni la crisi da sovraproduzione e la conseguente, inevitabile stagnazione economica. È stata la prima volta, dalla nascita del capitalismo industriale, che sono state infrante tutte le teorie sul ciclo economico -da Schumpeter a Kalesky a Kontradieff - con una crescita economica che in occidente , con brevi interruzioni, è durata dalla fine della seconda guerra mondiale alla crisi finanziaria del 2007-08, ed alla conseguente «Grande Recessione» odierna, come la definisce il Nobel Paul Grugman. Adesso, è arrivato il tempo di pagare il conto di questa crescita «drogata» e di ridurre drasticamente il processo di indebitamento, a partire dal debito pubblico.
Ma, i debiti non sono uguali per tutti. Lo sappiamo bene.

lunedì 27 giugno 2011

I RICCHI E IL DEBITO PUBBLICO.


di Vicenç Navarro. Fonte: atenen
Questo articolo evidenzia come la diminuzione della tassazione dei redditi alti (risultato delle politiche fiscali di sensibilità neoliberista) abbia impoverito gli stati portandoli ad indebitarsi, chiedendo denaro in prestito alle banche (dove quelli che percepiscono i redditi elevati depositano il loro denaro) che richiedono interessi elevati. Questa situazione comporta una concentrazione dei redditi con un conseguente impatto negativo sulla crescita economica e sulla creazione di occupazione. I ricchi sono molto pochi in qualsiasi paese, ma posseggono un enorme potere. Un indicatore di questo potere è ciò che sta accadendo con il debito pubblico sia negli Stati Uniti che nell'Unione Europea, come anche in Spagna. La loro influenza sullo Stato di questi paesi ha determinato una notevole diminuzione delle tasse negli ultimi trent’anni (in Spagna negli ultimi quindici), cosa che gli ha permesso di diventare ancora più ricchi. Questa forte riduzione delle entrate ha fatto sì che gli stati si indebitassero, chiedendo prestiti alle banche in cui le persone facoltose depositano e investono i loro soldi. In questo modo questi, invece di pagare lo Stato (con le tasse), prestano i soldi che hanno risparmiato non pagando le imposte al paese, il quale deve pagare loro gli interessi. Per loro il sistema è perfetto (e per le banche in cui depositano i loro soldi), trasferendo così una grande quantità di fondi dal settore pubblico, ai ricchi e alle loro banche.

BILDERBERG REPORT 2011



DI DANIEL ESTULIN
Danielestulin.com. Fonte: ComeDonChisciotte
Premessa
Nel mondo della finanza internazionale, c'è chi dirige gli eventi e chi reagisce agli eventi. Mentre si conoscono meglio i secondi, più numerosi, e apparentemente più potenti, il vero potere rimane ai primi. Al centro del sistema finanziario globale c'è l’oligarchia finanziaria oggi rappresentata dal gruppo Bilderberg.
L’organizzazione del gruppo Bilderberg è dinamica, si adatta ai tempi, assorbe e crea nuove parti mentre espelle quelle che decadono. I suoi membri vanno e vengono ma il sistema non è mai cambiato. È un sistema che si perpetua, una ragnatela virtuale di interessi finanziari, politici, economici e industriali intrecciati con il modello di fondo veneziano ultramontano al suo centro.
Ora, il Bilderberg non è una società segreta. Non è un occhio maligno che tutto vede, nè una cospirazione giudaico-massonica. Non c'è alcuna cospirazione anche se tanta gente con fantasia infantile la ritiene tale. Non c'è nessun gruppo di persone, per quanto potenti possano essere, che si siedono intorno a un tavolo in una stanza scura tenendosi le mani, con gli occhi fissi sulla sfera di cristallo, che pianificano il futuro del mondo.
Il Bilderberg non è un mondo cartesiano di fantasia, nel quale le intenzioni isolate di alcuni individui, piuttosto che le dinamiche di processi sociali, determinano il corso della storia come movimento di idee e tematiche che si sviluppano per le generazioni a venire. È scientificamente significativo che le più svariate teorie cspirazioniste popolari riflettano lo stile peculiarmente patologico della fantasia infantile associata ai culti di The Lord of the Rings, Star Wars e Harry Potter. La caratteristica forma di azione mentale che questi culti esprimono è il potere magico della volontà, che agisce fuori dalla dimensione spazio-temporale.
Invece, è l’incontro di persone che rappresentano una certa ideologia. Il Bilderberg è un mezzo per far incontrare le istituzioni finanziarie che costituiscono i più potenti e predatori interessi finanziari del mondo. E in questo momento, questa combinazione è il peggior nemico dell’umanità.
Non il Governo Unico Mondiale nè il Nuovo Ordine Mondiale come tanti erroneamente credono. Piuttosto, l’ideologia di una S.P.A. MONDIALE. Nel 1968, George Ball, l’allora sottosegretario per gli affari economici di JFK e Johnson, in un meeting di Bilderberg in Canada dichiarò: “Dove è possibile trovare una base legittima per il potere della dirigenza delle corporazioni così da poter prendere decisioni che possono influire profondamente sulla vita economica delle nazioni presso i cui governi esse hanno solo responsabilità limitate?”
L’idea dietro ogni meeting del Bilderberg è quella di creare quella che loro stessi chiamano l’ARISTOCRAZIA DEI PROPOSITI tra l’élite europea e quella nordamericana, sul miglior modo di dirigere il pianeta. In altre parole, la creazione di una rete globale di cartelli giganti, più potente di qualunque nazione sulla faccia della terra, destinata a controllare le esigenze vitali del resto dell’umanità.

CHI VUOLE DISTRUGGERE LA GRECIA?


DI MIKIS THEODORAKIS. - Sur y Sur - Fonte: ComeDonChisciotte
Il compositore ed ex ministro greco Mikis Theodorakis non crede che il suo paese sia responsabile della crisi finanziaria che sta attraversando. Theodorakis intravede la mano di Washington dietro tutto ciò e denuncia il ruolo del FMI. Una riflessione interessante per comprendere quello che sta succedendo in Grecia.
Il senso comune di cui dispongo non mi permette di spiegare né tanto meno giustificare la rapidità della caduta del nostro paese dal 2009, una caduta che lo porta a ricorrere al FMI, privandolo così di parte della sua sovranità nazionale e mettendolo sotto un regime di tutela.
È curioso che nessuno si sia occupato finora della cosa più ovvia, ossia di spiegare la nostra traiettoria economica con numeri e documenti, per permettere a noi, gli ignoranti, di comprendere le vere cause di questa evoluzione vertiginosa e senza precedenti il cui risultato è la perdita della nostra identità nazionale e l’umiliazione internazionale.

Sento parlare di un debito di 360 miliardi di dollari, ma vedo allo stesso tempo che molti paesi hanno lo stesso debito, e alcuni anche uno peggiore.

Quindi, questa non può essere la causa principale di questo problema.

Un’altra cosa che mi incuriosisce è la smisurata importanza degli attacchi internazionali che il nostro paese deve subire e la cui coordinazione è quasi perfetta, malgrado si tratti di una nazione la cui economia è insignificante, e per questo la cosa desta molti sospetti.

Tutto questo mi porta a pensare che qualcuno ci sta colpevolizzando e che ci sta mettendo paura per consegnarci nelle mani del FMI - che riveste un ruolo essenziale nella politica espansionista degli Stati Uniti – e che la questione della solidarietà europea non è altro che una cortina di fumo perché non si riesca a vedere che si tratti di un’iniziativa totalmente statunitense per condurci verso una crisi economica artificiale, affinché il nostro popolo abbia paura e si sottometta, per far sì che perda conquiste importantissime e, finalmente, si metta in ginocchio accetti la dominazione straniera.

Fisco, populismo e lotta di classe in Italia.


di Vladimiro Giacchè in Contropiano. Fonte: sinistrainrete
Pubblichiamo un interessante saggio di Vladimiro Giacchè uscito sull'ultimo numero di Democrazia e Diritto sulla questione strategica del rapporto tra il sistema fiscale e il conflitto tra le classi.
Il problema della tassazione e della fiscalità si trova al crocevia dei più importanti snodi della politica contemporanea. Lo ritroviamo al centro della sceneggiata storica dei Tea Parties statunitensi, tutta rivolta a creare un’artificiosa continuità simbolica con la settecentesca “rivolta del tè” contro le tasse imposte dalla madrepatria inglese alle proprie colonie, affermando però oggi qualcosa di ben diverso, e cioè la libertà contro le tasse, intese come simbolo dello spauracchio del “Big Government”. Lo troviamo al centro delle gigantesche falle del tessuto istituzionale e di governance dell’Unione Europea rivelate dalla crisi attuale, che hanno uno dei principali luoghi d’origine precisamente nella volontà – iscritta nei Trattati – di non assoggettare tutti gli Stati dell’Unione (o almeno dell’Eurozona) ad una medesima disciplina e regolamentazione fiscale. Infine, lo troviamo al centro del discorso ideologico populista e reazionario berlusconiano, di cui rappresenta da sempre uno dei principali punti di forza. Grazie alla capacità di trasfigurare nella forma di una “lotta contro l’oppressione fiscale” quella che è in verità – come vedremo – una delle più efficaci e efferate configurazioni assunte dalla lotta di classe in questo Paese. La cosa migliore è partire proprio dall’esame di alcune delle più caratteristiche enunciazioni del Berlusconi-pensiero sulle tasse.

1. Il fisco nel Berlusconi-pensiero

“Se lo Stato ti chiede più di un terzo di quanto guadagni, c’è una sopraffazione nei tuoi confronti, e allora ti ingegni per trovare sistemi elusivi e addirittura evasivi ma in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità”.

In questa frase, pronunciata da Berlusconi – con audace mossa situazionistica – proprio alla festa della Guardia di Finanza (11 novembre 2004), è contenuta tutta intera l’ideologia berlusconiana del fisco. Questa ideologia, dispiegata con grande potenza mediatica, e accettata di fatto anche da buona parte dell’opposi­zione di centro-sinistra (di allora e di adesso), è facile a sintetizzarsi: il fisco è la manifestazione di uno Stato predone e onnipotente, e rappresenta un attacco alla libertà della proprietà ed al diritto di godere i frutti del proprio lavoro. Rispetto a questo attacco, il “cittadino” ha diritto di difendersi come può: cioè non pagando le tasse. Più di recente – a conferma della sua coerenza in materia – Berlusconi ha anche enunciato la quota-limite oltre la quale si situerebbe l’ “oppressione fiscale”, e cioè il 33%: il fisco è “equo” quando la “sua richiesta si situa pressappoco intorno a un terzo di ciò che il cittadino guadagna”. Lo ha detto il 10 settembre 2010 a Yaroslavl, in occasione del Global Policy Forum promosso dal presidente della Federazione Russa Medvedev.

Questa è la battaglia tra il bene e il male.


Iacopo Fo - Fonte: cacaoonline
Dirlo mi fa fatica.Ma come possiamo chiamarla altrimenti?C’è una linea rossa che taglia in due il tempo.

Un traguardo potremmo dire.

Ci sono due corridori.

Se il corridore con la maglietta grigia oltrepassa per primo la linea rossa un miliardo di persone muoiono nel giro di un anno.

Se passa per primo il corridore con la maglietta blu il mondo continua a essere il casino che è sempre stato ma si evita un’ecatombe. Un miliardo di persone, mi capisci? Non è cosa da poco. Un miliardo di vite.

Se questa non è la madre di tutte le battaglie non so che dire…

Eppure è una questione che sembra interessi a una minoranza… i media non ne parlano… nessun politico è andato in televisione a dire: “FERMATEVI! STATE PREPARANDO UN’APOCALISSE…”

Ma chi sarebbero questi due corridori?Sono due modi di pensare.Questo rende difficile questa guerra. Non ci sono eserciti a combattersi bellamente in un campo di battaglia cosparso di cadaveri e morenti. Non ci sono trombe e bandiere. E neppure il frastuono della battaglia che costringe la gente ad accorgersi che sta succedendo qualche cosa.Non c’è un fiume di sangue.La gente muore di fame senza sanguinare. L’Umanità si alza ogni mattina, ognuno segue le sue storie ma l’insieme di queste storie determineranno scelte che avranno un esito: determineranno o impediranno la più grande strage della storia del mondo.Ma perché succederà tutto questo? Cosa ucciderà a un miliardo di persone?Potremmo dire l’avidità umana, o la stupidità… Siamo nel bel mezzo di una crisi energetica, i consumi mondiali stanno crescendo grazie allo sviluppo di Cina, India, Brasile, Indonesia e Russia, il petrolio è sempre più costoso da estrarre, il nucleare fa paura…


domenica 26 giugno 2011

I paesi del Bric: similitudini e differenze.



Fonte: sbilanciamoci
Bric è la sigla che riunisce quattro grandi Paesi – Brasile Russia India Cina – sfuggiti al controllo delle potenze economicamente dominanti e che per di più usano incontrarsi per rendere autonome e alternative le proprie politiche e cambiare l'assetto del Pianeta
Premessa
I quattro paesi che sono stati a suo tempo inseriti nel raggruppamento dei Bric, cioè Cina, India, Brasile e Russia, non appaiono certo molto omogenei tra di loro né sul fronte economico né su quello sociale e politico. Ci si può chiedere quindi che cosa essi abbiano veramente in comune e in che cosa siano invece differenti.
Nel testo esamineremo dapprima alcune delle caratteristiche, in positivo e in negativo, che li rendono relativamente vicini e successivamente di quelle che li fanno invece diversi o anche molto diversi.
Alcuni caratteri comuni
Si tratta in tutti i quattro casi di grandi paesi da un punto di vista di estensione territoriale, inoltre con una popolazione importante – ma si va dai 140 milioni di abitanti della Russia ai 1.360 della Cina, circa dieci volte tanto –, che si trovavano in una situazione economica molto arretrata sino a qualche decennio fa – la Russia peraltro meno che gli altri –, ma che registrano da qualche tempo alti, anche se differenziati, ritmi di sviluppo economico e presentano prospettive di crescita ancora molto rilevanti, date anche le loro grandi potenzialità. Si tratta in tutti i casi di paesi destinati plausibilmente a pesare sempre di più sui destini del mondo.
Sono state sostanzialmente constatazioni di questo tipo che hanno spinto nel 2001 Jim O’Neill, della Goldman Sachs, a mettere insieme concettualmente le quattro economie inventando l’espressione BRIC, che avrà poi tanto successo.

Progressi nella concezione di progresso?



Quello che ci occorre non è più progresso, ma una maggiore capacità di affrontare le conseguenze del presunto progresso già raggiunto. Da "Il benessere oltre il Pil" numero della Rivista delle politiche sociali di Ediesse
L'articolo del politologo tedesco Offe apre il numero 1/2011 della Rivista delle politiche sociali, dedicato a "Il benessere oltre il Pil". Pubblichiamo qui un paragrafo dell'articolo di Offe (n. 4: "Un'alternativa progressista").
Le nostre società sono palesemente quasi del tutto incapaci di impedire catastrofi morali o fisiche e crisi autodistruttive da loro stesse provocate (o di occuparsene veramente). Alle élite politiche e filosofiche delle società schiavistiche fu dato, in qualche modo, di vivere in armonia con le loro premesse normative. Un’armonia di questo tipo tra esigenza normativa e realizzazione pratica a noi è negata. Tuttavia, se non vogliamo rassegnarci all’indifferenza, c’è (questa la mia tesi) un’alternativa progressista – in effetti l’unica concezione adeguata di progresso nelle condizioni attuali: rafforzare le nostre capacità collettive di prevenire le catastrofi e i regressi della civiltà. Quel che ci occorre non è «più» progresso, ma una aumentata capacità di affrontare le conseguenze del (presunto) progresso già raggiunto. Non abbiamo bisogno di nuovi valori, visioni o principi, quali sono stati declinati fin troppo dai teorici rivoluzionari di epoche passate. Tutto ciò di cui noi, in quanto fautori del progresso, abbiamo bisogno, è il coraggio di prendere noi stessi sul serio e creare condizioni che ci consentano di farlo.

Non solo i ricchi devono pagare la crisi che hanno prodotto ...


L'Europa e il centro sinistra italiano, grande il disordine sotto il cielo.
Fonte: controlacrisi
Ieri mattina, i tre capigruppo dei principali partiti del parlamento europeo (socialdemocratici, liberali, popolari) hanno firmato una lettera appello comune, che di fatto richiama all'Unione nell'Austerity sotto le ricette monetariste europee di tutte le forze politiche. Siamo stati gli unici a segnalare questo fatto insieme a Repubblica che ha invece pubblicato la lettera con uno scopo opposto al nostro, far capire che il centro sinistra italiano e quello europeo coincidono. L'altro ieri Napolitano ha rilanaciato con una dichiarazione il tema della riduzione del debito richiamandosi alle direttive europee dando il là alla Marcegaglia per dire che deve essere fatta subito una finanziaria da 40 miliardi. Sempre ieri è stato nominato Mario Draghi a presiedere alla guida della BCE, ed il suo insediamento è stato salutato da tutto il sistema bipolare italiano che ha vissuto la sua nomina come la vittoria dei mondiali. Con un lungo applauso la direzione del PD ha salutato la sua nomina, e pochi giorni prima Vendola ha parlato di Draghi come un papa laico da mettere in cattedra. Nessuno ha minimamente ricostruito la storia di Draghi, funesta per il nostro paese, ed il suo punto di vista liberista di totale appoggio alle ricette dell'Euro Plus Pact che hanno salvato le banche e distrutto l'Europa sociale.

FREEDOM FLOTILLA Lettera a un ammiraglio


di Vauro Senesi Fonte: ilmanifesto

Caro ammiraglio Eliezer Maron mi vorrà scusare se con questa mia le rubo un po' di tempo. So che è impegnatissimo ad addestrare i suoi commandos ad assaltare, per fermarle, le navi della Freedom Flotilla 2 che si apprestano a salpare cariche di aiuti umanitari alla volta di Gaza. Sa, io sarò su una di quelle navi ed allora mi perdonerà se prima di essere respinto o arrestato dai suoi soldati mi permetto di dirle poche e semplici cose a proposito di alcune sue affermazioni. Lei dice che non saremmo spinti da motivi umanitari ma da «odio verso Israele». Dovrebbe vedere i volti delle ragazze e dei ragazzi che stanno per imbarcarsi. Ci troverebbe sorrisi, sguardi di speranza, a volte l'ingenuità di chi ancora crede che valga la pena spendersi per gli altri. Ci troverebbe tutto meno che l'odio. Anzi, forse insieme alla solidarietà attiva verso la popolazione di Gaza stretta da anni in un assedio feroce c'è anche quella per Israele prigioniera di una logica che pare non riesca a concepire altra legge se non quella del più forte rischiando così di soffocare tutto ciò che di migliore la sua società ha espresso ed esprime. Lei che è un militare sa meglio di me che l'assediante è spesso vittima del proprio assedio.
GATEAU MARIAGE
"more peace..." "...and less sons to send to the war"

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters