Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 29 giugno 2011

Intervista ad Emiliano Brancaccio: «Una finanziaria per ricchi. Ma non salverà i "ceti produttivi"».


di Tonino Bucci. Fonte: esserecomunisti
Intervista ad Emiliano Brancaccio, economista e docente all'università del Sannio

Primo, riduzione a tre delle aliquote fiscali, che in sostanza significa meno tasse per i redditi alti. Secondo, aumento di un punto dell'Iva, cioè lo spostamento (in parte) della tassazione dai redditi ai consumi. Terzo, abolizione dell'Irap nel 2014. Stando alle linee generali della bozza di riforma fiscale in cantiere nel governo, dubbi non ce ne sono: sgravi fiscali soprattutto per i ceti alti, più oneri per quelli bassi e per i lavoratori, zero prospettive per uscire dalla desertificazione del sistema produttivo italiano. Ne abbiamo conferma dalle parole dell'economista Emiliano Brancaccio, docente all'università del Sannio.

C'è qualcosa di organico nella politica economica oppure la nuova manovra è solo il frutto dei conflitti politici all'interno della maggioranza di governo?

Qualcosa di organico c'è, ma viene dall'esterno. Mi spiego. L'impianto della manovra di bilancio presentata dal governo è perfettamente in linea con l'indirizzo restrittivo del Consiglio europeo. In questo senso la politica economica nazionale è organica. Non c'è nessuno scarto. Giulio Tremonti che storicamente viene ricordato nei primi anni duemila come un Cristo in croce, una vittima degli assetti dell'Unione Europea, oggi si fa invece paladino della politica economica restrittiva, che se era discutibile dieci anni fa, lo è a maggior ragione oggi. Naturalmente gli input dell'Ue servono determinati interessi. Non soltanto la politica europea intensifica la corsa al ribasso dei salari relativi e quindi colpisce tutti i lavoratori del continente, ma è anche il riflesso di quella che potremmo definire una "germanizzazione" dell'Ue. Le periferie dell'Unione subiscono infatti veri e propri processi di desertificazione produttiva, mentre le aree centrali ne vengono rafforzate. Se dunque vogliamo trovare una logica profonda in questa manovra di politica economica, essa è più o meno inconsapevolmente conforme alla legge di tendenza della "centralizzazione" dei capitali di cui parlava Marx. Non solo colpisce i lavoratori europei, siano essi greci, tedeschi o italiani, ma anche i piccoli capitali periferici a vantaggio dei grandi capitali del centro dell'Ue.

Una prima conseguenza politica di questa tendenza è che l'autonomia della politica economica dei paesi periferici si riduce. O no?

Per dare un'idea di quanto stia crescendo la condizione di dipendenza dei paesi periferici, e quindi anche la loro subalternità politica, basta vedere un dato che di solito viene trascurato. Si parla infatti spesso sempre di deficit pubblico, ma in realtà l'indicatore più significativo dei processi di crisi dell'Ue è il deficit verso l'estero dei paesi più deboli. Nel 2010, nonostante una crescita economica del reddito e delle importazioni molto modesta, l'Italia ha visto crescere ulteriormente il proprio deficit estero. La stessa cosa avviene per la Spagna, il Portogallo e la Grecia, mentre la Germania, al contrario, continua ad accumulare surplus commerciali, anche grazie a una feroce politica restrittiva e di contenimento salariale. Mi permetto di far notare al ministro Tremonti, il quale ci ha tante volte allarmati sul cosiddetto pericolo cinese, che in realtà il grande deflatore, il grande dumper, ce l'abbiamo vicino casa nostra: è la Germania, che tiene i salari reali fermi da dieci anni nonostante una notevole crescita della produttività. Anche su questo il ministro non proferisce parola, non apre una dialettica in seno all'Unione.

Un altro carattere antisociale della manovra è l'aumento di un punto dell'Iva, che è una forma indiretta di tassazione sui consumi. Peserà di più sui redditi bassi, di meno su quelli alti. Non è una novità irrilevante, vero?

Teniamo conto che stiamo ancora ragionando per grandi linee. Per quanto ci è dato sapere, la riduzione delle aliquote è congegnata in modo tale da spostare lo sgravio fiscale soprattutto a favore dei redditi alti. Sarebbero a questi a beneficiare della riduzione dei carichi. In secondo luogo, quando si sposta la tassazione dall'imposizione diretta alla imposizione indiretta, salvo evidenze contrarie si determinano effetti sperequativi. L'aumento delle imposte sui consumi è infatti indifferenziato e quindi in termini relativi colpisce soprattutto i lavoratori. Se poi l'aumento dell'Iva dovesse avere per conseguenza l'aumento dell'inflazione, qualcuno potrebbe invocare ulteriori compressioni dei salari proprio per compensare il rialzo inflazionistico. A quel punto avremmo la beffa, oltre al danno.

Oltre a scaricare i costi della crisi sui lavoratori, questa manovra può avere almeno effetti benefici per quel blocco sociale che il governo dice di rappresentare? C'è un idea di sviluppo o è solo demagogia?

Questa è una maggioranza che si è presentata agli elettori come rappresentativa dei cosiddetti "ceti produttivi". Questo ci hanno raccontato. Ma se esaminiamo gli effetti delle politiche del governo sul tessuto produttivo nazionale, noi rileviamo una desertificazione in atto. Se c'è una cosa che questo governo non sembra proprio in grado di concepire è uno straccio di politica industriale.

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