Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 11 giugno 2011

Una politica economica per la decrescita.


Scritto da M. Badiale, M. Bontempelli – Alfabeta2. Fonte: megachip
La principale questione che si pone a chi voglia dare spessore concreto al pensiero della decrescita è quella della transizione dalla attuale società della crescita ad una società, appunto, della decrescita. Per prima cosa occorre precisare che ragionando su società della crescita e società della decrescita, si stabilisce una comparazione (che certo è necessaria) tra termini eterogenei. Società della decrescita significa società svincolata dall'obbligo della crescita del prodotto interno lordo, cioè della produzione rivolta al mercato, che è tipico del capitalismo.
Ma poiché tutte le società precapitalistiche sono state immuni da questo obbligo alla crescita (il che non significa, ovviamente, che non siano cresciute, in un senso o nell'altro, per periodi più o meno lunghi, come, ad esempio, nei secoli XI, XII e XIII dell'Occidente feudale), l'espressione “società della decrescita” non indica una configurazione definita di rapporti sociali di produzione, cioè (usando il linguaggio marxiano molto appropriato in questo contesto) non indica una formazione sociale specifica.
I fautori della decrescita non possono, allora, avere un modello determinato di società, nel senso di cui si è detto, al quale fare riferimento. La tipica domanda che viene posta a chiunque si opponga all'attuale capitalismo assoluto (dal punto di vista della decrescita, o da altri punti di vista) è sempre: ma voi cosa proponete?
Chi sostiene la decrescita non ha risposta per questo tipo di domanda, se la risposta richiesta è l'indicazione di un modello determinato e preciso di organizzazione sociale. La decrescita, in riferimento ad una configurazione di rapporti sociali di produzione, può essere definita soltanto in quella maniera logica che le filosofie di Kant e di Hegel hanno chiamato negazione indeterminata.

Le traiettorie della democrazia.


di Sandro Chignola in Il Manifesto. Fonte: sinistrainrete
L’angolo d’attacco potrebbe essere vario. Governi le cui politiche, per quanto evidentemente neocoloniali o segregazioniste, vengono certificati come democratici solo in base alle procedure elettorali che li hanno nominati (e poco importa, perciò, che sradichino ulivi, impediscano l’accesso all’acqua, confinino popolazioni); politici che alle stesse procedure si riferiscono per rinvenirvi quel sacré du peuple che li autorizza a fare quello che vogliono in spregio alla costituzione, quando non, più semplicenente, alla pura evidenza della loro inettitudine; alleanze che, recitando il mantra dell’esportazione, o della difesa, della democrazia, fanno rombare i motori dei caccia, accendono i puntatori laser e sganciano bombe. E tuttavia: piazze arabe che straboccano di passione, processi di soggettivazione che rovesciano equilibri secolari, mobilitazioni «indignate» che cingono d’assedio fortini della rappresentanza e trincee del ceto politico, cittadini che si attivano contro la desertificazione e il saccheggio del territorio, per i beni comuni, in difesa di un’idea di partecipazione che tendenzialmente rifiuta il monopolio statuale sulla formazione della volontà generale.

In un caso come nell’altro, il riferimento va alla parola «democrazia», di volta in volta evocata come forma di governo, ideologia, procedura, ma anche come rivendicazione, apertura, eccedenza, pratica costituente diretta. Se ne potrebbe dedurre – e talvolta indulgo a farlo – che quella parola tenda ad essere concettualmente evanescente, un puro riferimento retorico, un significante vuoto pronto ad essere occupato da materialissimi processi di potere o da altrettanto concreti processi di soggettivazione.

PRIVATO È CONTRO L’OTTIMO SOCIALE


di Luigino Bruni, docente di economia politica all’università di Milano Bicocca. Fonte: controlacrisi
Quando parliamo di “bene comune”, in economia intendiamo un bene consumato da più persone
contemporaneamente.
A differenza dei beni pubblici, quindi, il bene comune è un bene “rivale”: il consumo degli altri interferisce con il mio consumo, e lo riduce.
I beni pubblici sono infatti quei beni che possono essere goduti da tutti, senza contrasti. Un bene pubblico è la sicurezza, ad esempio.
L’acqua è un bene che sta divenendo sempre più scarso, ovunque nel mondo.
Per questo da bene pubblico puro sta diventando un bene comune (common, in inglese), il cui consumo è “rivale”.
Quando il bene diventa comune, si cade facilmente in quella che viene chiamata in letteratura la “tragedia dei beni comuni”: si parla di “tragedia”, perché tendiamo a distruggere il bene stesso, a consumarne troppo. Andiamo quindi oltre il cosiddetto “ottimo sociale”, quel quantitativo che garantisce a tutti di consumare quel bene, e di preservarlo per il futuro.

REDDITO, UN'OCCASIONE A SINISTRA


di Peppe Allegri. Fonte: ilmanifesto
La sinistra rischia di perdere un'occasione. Ridurre l'esito elettorale a Milano e a Napoli, e le prospettive sulla possibilità di fuoriuscire dal berlusconismo, al dibattito sulle nuove alchimie del centrosinistra significa solo una cosa: non rispondere alla domanda che Ulrich Beck rivolse provocatoriamente alle classi dirigenti europee all'indomani delle rivolte nelle banlieues francesi nel 2005: «Dobbiamo finalmente porre all'ordine del giorno queste questioni: come si può condurre una vita sensata anche se non si trova un lavoro? Come saranno possibili la democrazia e la libertà al di là della piena occupazione? Come potranno le persone diventare cittadini consapevoli, senza un lavoro retribuito? Abbiamo bisogno di un reddito di cittadinanza. Non è una provocazione, ma un'esigenza politica realistica». È su questa alternativa di civiltà rispetto al cupo e risentito dissolvimento al quale le politiche dell'austerità condannano l'Italia e l'Europa che si misurerà la politica della sinistra nei prossimi dieci anni. Al centro di questa alternativa si staglia la prospettiva indicata da Luigi Ferrajoli nell'intervista pubblicata ieri dal manifesto: bisogna arrivare a un reddito per tutti, che garantisca l'uguaglianza e la dignità della persona. Retrocedere rispetto a questo progetto significa rinunciare a immaginare, e a mettere in pratica, una vera, concreta e irrinunciabile soluzione alla crisi globale che diffonde impoverimento e miseria fin dentro il ceto medio garantito del capitalismo avanzato. Il rischio c'è e sarebbe da incoscienti non vederlo.

Lo spirito santo contro Berlusconi, quattro sì il giorno di Pentecoste.


di don Paolo Farinella. Fonte: arcoiris
Come volevasi dimostrare la cosiddetta sinistra, ormai destra riciclata, non ha nemmeno fatto raffreddare le elezioni amministrative e il successo del popolo delle primarie e ha cominciato di nuovo a litigare anche sui referendum: chi lo vuole politico e chi lo vuole liscio; chi vuole appendere il cappello, dopo mesi di silenzio e voto in parlamento a favore dell’acqua privata e chi si è fatto il mazzo per racimolare firme, andare nelle piazze, e portare a casa il referendum. Il Pd avrebbe potuto fare cadere il governo almeno sei volte e non lo ha fatto perché parecchi sucidi mangia-pane-a-tradimento, pronti a sproloquiare di successione, erano assenti dai lavori, ma non dalla diaria e dai benefit.
Invece di preoccuparsi del quorum e di portare la gente a votare impegnandosi direttamente, questi figli di nessuno continuano a litigare tra loro, senza avere imparato nulla dalle elezioni, segno che qualsiasi volontà popolare la subiscono e la sopportano, ma se potessero la eliminerebbero, come hanno fatto con la legge elettorale, detta dal suo stesso autore «porcata». Quasi peggio di Berlusconi perché fanno finta di essere diversi. Che pena, codesto pollaio di capponi rincitrulliti!
THEY WANT PRIVATIZE YOU!
YOU ARE 75% WATER
USE THE PART STILL DRY AND VOTE YES

venerdì 10 giugno 2011

Un nuovo modello di sviluppo questo l'obiettivo del SI


di Ugo Mattei. Fonte: federazionedellasinistra
Siamo vicinissimi al quorum e con un ultimo sforzo possiamo farcela. Le circostanze ci sono favorevoli. L’incredibile autogol prodotto dal tentativo di scippare il referendum pesa sugli umori del fronte del no. Ma è importante che l’allargamento del perimetro del sì non faccia perdere di vista l’essenza politica di questo voto: un’inversione di rotta rispetto a un ventennio di politiche liberiste e un modello di sviluppo nuovo, fondato sulla qualità della vita e finalmente libero dalla schiavitù del Pil, del pensiero economico mainstream dei Draghi e dei poteri forti, del falso realismo conservatore. Un sì che legittima politicamente la realizzazione delle idee (sul manifesto del 7 giugno Viale ne ha esposte alcune di grande importanza) che ci possono consentire di uscire davvero dalla crisi. Tutti quei sì metteranno all’ordine del giorno la riforma del servizio idrico proposta dai Forum con la legge di iniziativa popolare mai discussa in Parlamento, e la riforma della proprietà pubblica della Commissione Rodotà, a sua volta giacente in Senato, che per prima definisce giuridicamente i beni comuni.

DEVE ESSERE LA BCE A CONTROLLARE I POPOLI, O I POPOLI A CONTROLLARE LA BCE?



Fonte: controlacrisi
Mentre la speculazione delle grandi banche divora l'Europa senza che nessuno muova un dito scommettendo sui titoli sovrani degli stati periferici, Trichet, il presidente della BCE oggi ritorna alla carica con la proposta di una riforma forte del sistema della governance del vecchio continente. Una proposta che di fatto chiude ogni possibilità democratica in campo economico per costruire sopra la tomba della sovranità nazionale i pilastri di un nuovo ordine, autoritario e impregnato dal dogma liberista. Il vero attacco alla democrazia in Europa passa per questo continuo spostamento con procedure regolamentari, dai parlamenti alla burocrazia tecnocratica di Bruxelles. Governi come quello di Berlusconi, Bossi e Tremonti al limite sono la conseguenza di questo processo, ma la causa principale risiede nel progetto di riorganizzazione sociale delle classi dominanti europee che stanno utilizzando la crisi come spazio costituente, e l'alternanza bipolarista come elemento di garanzia del mantenimento dei loro poteri. «Le norme di governance economica definite negli anni Novanta non sono state implementate a dovere e comunque si sono rivelate troppo deboli in occasione della crisi» ha detto Trichet, come se quanto fatto in questi anni in nome del patto di stabilità sia cosa da poco. Per Trichet c'è "l'evidente bisogno di una riforma forte" con "sanzioni più rapide e automatiche" contro chi non rispetta le norme di bilancio previste dai Trattati, oltre a "maggiori controlli macroeconomici". Chi controlla i controllori come Trichet o il suo prossimo sostituto Draghi? Chi da a Trichet l'autorità di dire queste cose? Le sanzioni che propone a tutti noi in campo economico sono uno strumento democratico o sono da considerare come strumento di guerra economica? Ma poi ci spiegate perchè noi dobbiamo sacrificare il nostro futuro e quello dei nostri figli per salvare un'Europa che non fa altro che trasferire il debito delle banche private in quello degli stati? Onestamente ma chi ce lo fa fare?
Se il presidente della Banca Centrale Europea parla e propone «sanzioni finanziarie già in una fase iniziale». Questo significa "che non deve esserci spazio per valutazioni discrezionali nell'attuazione di un sistema di controllo». Cioè, che le finanziarie saranno già impacchettate da Bruxelles ancora di più di quanto già lo sono con il processo del semestre europeo e dell'Euro Plus Pact, i cui punti non sono niente altro che il più grande attacco al welfare mai visto nella storia moderna dell'Europa.
Forse sarebbe ora di rispondere a questi personaggi con proposte concrete, deve essere la BCE a controllare i popoli o devono essere i popoli a controllare la BCE?

Risveglio italiano


Autore: Petrella Riccardo. Fonte: eddyburg
Al di là della difesa dell’acqua per tutti, al di là della sfiducia per chi governa, un significato più profondo della campagna referendaria. Il manifesto, 10 giugno 2011
La battaglia dell'acqua in corso da alcuni anni nel nostro Paese ha già prodotto due risultati di grande importanza storica sul piano politico-culturale. Il primo riguarda l'affermazione in seno alla società italiana di milioni di persone che pensano che le nostre società, per funzionare in maniera giusta e corretta, devono essere fondate su una reale partecipazione dei cittadini al governo della res publica. Il notevole successo popolare, spontaneo, della campagna di raccolta delle firme per la legge regionale toscana sull'acqua di iniziativa popolare, poi per la legge nazionale e infine per i referendum, insieme alle lotte dei No Tav, contro il nucleare, del movimento viola, del movimento 5 stelle, dei Gas, di Altraeconomia, Altrafinanza, dei Comuni virtuosi, dimostrano che i cittadini italiani vogliono cessare di essere trattati come dei sudditi da mantenere tali grazie a un sistema nazionale di media asserviti e di proprietà dei potenti. Non vogliono più essere ridotti a consumatori beati, a degli indivualisti profittatori (evasori, abusivi...), ma vogliono (ri)diventare cittadini nel pieno senso della parola.

La battaglia per l'acqua pubblica rivela che gli italiani non desiderano affatto ritornare allo Stato di prima, ma vogliono partecipare alla costruzione di un altro Stato, di una maniera differente di vivere e far funzionare i comuni, le province, le regioni. Vogliono un altro pubblico, giusto, efficace, trasparente, dove i cittadini sono partecipanti attivi. Quel che nei referendum (nucleare ed impedimento inclusi, ovviamente) è fonte di paura per i gruppi al potere (anche della sinistra autodefinitasi moderata) è proprio questo gran desiderio di voler essere cittadini.

giovedì 9 giugno 2011

Europa, addio caro vecchio welfare.


di Riccardo Chiari su il manifesto del 09/06/2011 Fonte: esserecomunisti
Il rapporto tra finanza e economia reale è di 14 a 1. L'indagine curata da Cgil e associazioni L'ex Belpaese, tra il 2008 e il 2011, ha tagliato la spesa sociale del 78%. Un miliardo di euro a Cpt e Cie
Ultimo in ordine di apparizione ma non certo per nitidezza di analisi, anche il «Rapporto sui diritti globali 2011» certifica, numero dopo numero, la macelleria sociale portata avanti dal governo Berlusconi nei suoi tre anni di quotidiano, certosino lavoro ai fianchi di quanto restava del welfare italiano. Al tempo stesso, alzando lo sguardo alla dimensione europea che del welfare è stata portabandiera nei primi trent'anni del secondo dopoguerra, la nona edizione del Rapporto ribadisce la sproporzione record tra la finanza globale e l'economia reale. Con quel che ne consegue in tema di ricadute, anche e soprattutto sociali.
I numeri raccontanto che nel 2008 il mercato dei derivati conosceva una dimensione di 668mila miliardi di dollari, mentre la filiera della finanza più tradizionale copriva un mercato di 167mila miliardi di dollari, e il pil mondiale non arrivava a 61mila miliardi di dollari. In altre parole, il rapporto tra finanze ed economia reale era di 14 a 1. E l'andazzo, nonostante la crisi finanziaria, non è cambiato. Anzi.

Sovranità monetaria e democrazia.


di Sergio Cesaratto Fonte: sinistrainrete
Un grande primo ministro canadese, William Mackenzie King,[1] ebbe a dichiarare prima delle elezioni del 1935: “Una volta che a una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. … Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non sia restituito al governo e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile”.

La rinunzia alla sovranità monetaria è precisamente quello che il nostro paese ha fatto con l’adesione alla moneta unica. In verità, a ben guardare, l’aveva fatto già prima con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981. Con quell’atto, compiuto attraverso un fait accompli – uno scambio di lettere fra Andreatta e Ciampi – in barba a qualsiasi decisione parlamentare, i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito.[2] Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione. Le ulteriori conseguenze sulla nostra economia dovute all’abbandono della flessibilità del cambio estero sono davanti agli occhi di tutti con un crescente disavanzo delle partite correnti, dal pareggio del 1999 sino al -3,5% del 2010, con conseguente crescente indebitamento netto con l’estero.

Il lento sipario sulla seconda Repubblica

Il lento sipario sulla seconda Repubblica
di Ida Dominijanni. Fonte: informazionecontro
Il lento sipario sulla seconda Repubblica

Sta finendo un ciclo politico, e la sua fine rimanda all'esaurimento di un ciclo sociale, che è più lungo e più complesso del primo ma lo comprende. Tradotto: Berlusconi è agli sgoccioli, e insieme a lui è agli sgoccioli quel "cinquantennio della soggettività" iniziato negli anni Sessanta che il berlusconismo ha cavalcato, interpretato e curvato a modo suo. Questa, in sintesi, la diagnosi sullo stato delle cose di Giuseppe De Rita, sociologo (cattolico) di vaglia e presidente del Censis, che con i suoi Rapporti misura ogni anno la temperatura della società italiana, e che da almeno cinque anni segnala, nella società italiana, sintomi crescenti di un "disagio della civiltà" che sfugge all'analisi politica. Naturalmente c'è da discutere: a cominciare dalla continuità che De Rita traccia fra la cultura della soggettività degli anni Sessanta-Settanta e la cultura dell'individualismo berlusconiano, e che si potrebbe al contrario e motivatamente leggere come un rovesciamento della prima da parte della seconda.
Dunque cominciamo da qui. Il ventennio berlusconiano è davvero sovrapponibile a quello che lei chiama "ciclo della soggettività"?
Solo in parte. Il ciclo della soggettività a oltranza comincia con l'obiezione di coscienza di Don Milani nel '62, più di trent'anni prima della "discesa in campo" di Berlusconi, durerà di più, e sfumerà lentamente in qualcosa che ancora non conosciamo.
THE ITALIAN SPRING

mercoledì 8 giugno 2011

Referendum senza quorum.



Fonte: Beppe Grillo.
Il quorum è un furto di democrazia. Un modo costituzionale per fottere il cittadino. Le porte del Palazzo devono rimanere chiuse. E' inammissibile che chi ricopre una carica pubblica inviti la gente a non andare a votare, andrebbe denunciato. In giro ci sono solo manifesti per il SI, quelli del NO sono assenti. Chi vuole il nucleare e impossessarsi dell'acqua pubblica a scopi di lucro non può invitare a votare NO. Se lo facesse si sparerebbe nelle palle. Ci sarebbero infatti maggiori probabilità di ottenere il quorum. Preferisce quindi usare la tattica vigliacca di stare in silenzio, di depistare gli elettori fornendo persino date false attraverso le televisioni di Stato come il Tg1 e il Tg2. Sanno che l'opinione pubblica ha già deciso, che i SI saranno maggioranza con o senza quorum e allora puntano tutto sulla diserzione alle urne. L'Italia è una dittatura con due soli spiragli di democrazia. Due lumini sempre più fiochi di partecipazione: la proposta di legge popolare e il referendum. La prima è solo fumo negli occhi, puoi raccogliere 350.000 firme per una nuova legge elettorale, come per Parlamento Pulito, e Schifani può usarle per pulirsi il culo senza che nessuno possa obiettare, in questi giorni ricorre il secondo anniversario della mia audizione alla commissione affari costituzionali per presentare la legge... Il referendum, quando supera le barriere della disinformazione durante la raccolta di firme e il giudizio della Corte Costituzionale e viene finalmente messo in calendario, diventa allora una pistola caricata contro la partitocrazia che inizia subito l'osceno balletto per depotenziarlo. Il primo passo è evitare qualunque accorpamento con elezioni amministrative, politiche o europee. Il secondo passo è scegliere una data estiva per il voto. Il terzo è evitare di parlarne o invitare la gente a stare a casa o ad andare al mare, come hanno fatto Formigoni e a suo tempo Craxi. E' ormai evidente che democrazia e partitocrazia sono inconciliabili. Quando esiste la prima non può esistere la seconda e viceversa. La democrazia è per i partiti italiani l'equivalente della luce per i vampiri, non possono tollerarla. Per questo il MoVimento 5 Stelle cercherà di introdurre il referendum sia abrogativo e che propositivo senza quorum (chi non vota conta zero), come riportato nel suo Programma.

Il 12 e il 13 giugno votate e portate a votare amici e parenti ai referendum. QUATTRO SI contro il nucleare, per l'acqua pubblica e perché chiunque sia uguale di fronte alla legge.

DEBTOCRACY (DebitoCrazia) di Katerina Kitidi e Aris Hatzistefanou.


Debtocracy International Version by BitsnBytes
Per la prima volta in Grecia un documentario prodotto dal pubblico.
DEBTOCRACY [Wikipedia EN] cerca le cause della crisi provocata dal debito pubblico e propone soluzioni che non vengono prese in considerazione dal governo e dai media dominanti.
Una, forse, lunga visione ma che, assai pregevele nella fattura, tra analogie e differenze ci fa sentire che la Grecia è vicina, più di quanto non si pensi e più di quanto sugli organi di informazione se ne dia notizia.
ΧρεοΚρατία:
χρέος [krèos] debito e κράτος [kràtos] potere - stato
ΔημοΚρατία:
δήμος [dèmos] popolo e κράτος [kràtos]potere
Il documentario, finanziato attraverso donazioni, si avvale della partecipazione di personalità del mondo socioeconomico e culturale:
David Harvey geografo e antropologo
Hugo Arias Presidente del comitato per l’analisi del debito dell’Ecuador
Samir Amin economista
Gerard Dumenil
Costas Lapavitsas economista
Alain Badiou, filosofo
Manolis Glezos membro della Greek Resistance e politico di sinistra
Avi Lewis giornalista e regista cinematografico
Fernando Solanas regista cinematografico

Le rivoluzioni della gente comune.


di . Fonte: carta
Nei più diversi angoli del pianeta la gente comune sta uscendo nelle strade e occupando le piazze. Si incontra con altra gente comune che non conosceva e immediatamente riconosce. Non ha aspettato di essere convocata, è accorsa, spinta dalla necessità di scoprirsi. Non ha calcolato le conseguenze delle sue azioni, ha agito sulla base di ciò che sente, desidera e sogna. Siamo di fronte a delle vere rivoluzioni, a cambiamenti profondi che non lasciano nulla al proprio posto, malgrado los de arriba («quelli di sopra», ndt ) credano che tutto tornerà uguale quando le piazze e le strade avranno recuperato, per un certo tempo, quel silenzio di piombo che chiamano «normalità».
Il miglior modo di spiegare quel che sta succedendo resta, a mio modo di vedere, un memorabile testo di Giovanni Arrighi, Terence Hopkins e Immanuel Wallerstein: «1968: la grande prova», un capitolo del libro Antisystemic mouviment. Quel testo, ispirato dallo sguardo lungo e profondo di Braudel, si apre con un’affermazione insolita: «Ci sono state solo due rivoluzioni mondiali. La prima nel 1848. La seconda nel 1968. Entrambe sono state un fallimento storico. Entrambe hanno trasformato il mondo».
Subito dopo, i tre maestri del sistema-mondo affermano che il fatto che entrambe le rivoluzioni non furono progettate e furono spontanee «nel senso profondo del termine» spiega tanto il loro fallimento quanto la loro capacità di cambiare il mondo. Dicono, inoltre, che il 1848 e il 1968 sono date più importanti del 1789 e del 1917, con riferimento alle rivoluzioni francese e russa. Esse furono appunto superate da quelle del 1848 e del 1968.

Un teatrino tutto suo.



di Alessandro Robecchi. Pubblicato in Il Manifesto.

Fonte: alessandrorobecchi
La notizia che anche il PdL utilizzerà lo strumento delle primarie per eleggere il candidato alle prossime elezioni politiche ha generato un’ondata di entusiasmo nella destra italiana. In esclusiva mondiale, il manifesto è in grado di presentare la lista dei candidati.
Silvio Berlusconi – Anziano imprenditore estraneo al teatrino della politica, ha aperto un teatrino tutto suo, con luci soffuse e palo per la lap dance. Vantaggi: può garantire una campagna elettorale a budget illimitato. Svantaggi: gli elettori potrebbero vomitare sulla scheda causando qualche problema durante lo scrutinio.
Marina Berlusconi – Imprenditrice di mezza età, è partita da zero e si è fatta da sola. Guida un’azienda sottratta ai legittimi proprietari grazie alla corruzione di un giudice, dettaglio che garantirebbe una continuità etica alla leadership del centrodestra.
J.K. – Giovanissima danzatrice del ventre yemenita. La sua candidatura alle primarie del PdL sarà valida solo in caso di voto nel maggio 2013, data in cui sarà maggiorenne da pochi giorni.
Claudio Scajola – Un politico a tutto tondo, pare sia candidato alle primarie del PdL a sua insaputa. Due volte ministro e due volte dimissionario, potrebbe essere una garanzia per la sinistra in caso di incoronazione a candidato premier.
Cicciuzzo ‘a Mitraglia – Sostenuto dall’ala legalitaria del PdL (Cosentino e Dell’Utri), si presenta come elemento in grado di cementificare l’alleanza al Sud. In caso contrario, potrebbe cementificare gli avversari politici. Attenzione, è armato.
Fabrizio Cicchitto – Veterano di numerose formazioni democratiche, i suoi capi sono sempre finiti in galera (Licio Gelli) o latitanti (Bettino Craxi), cosa che fa ben sperare per le primarie del PdL.
Roberto Formigoni – Anziano beat cattolico, sogna da tempo un ruolo di primo piano nella politica nazionale. Cita Don Giussani e si veste come Elton John. Francamente, sarebbe meglio il contrario.

Atene, l’euro e il consenso di Berlino.


di Vincenzo Comito. Fonte: carta
Le agenzie di rating imperversano. Hanno di nuovo bocciato la Grecia, spingendola alla ristrutturazione del debito. Dopo, però, chi comprerà le merci tedesche?

Le vicende caotiche e affannose degli ultimi mesi relative alle difficoltà finanziarie di alcuni paesi europei, dalla Grecia all’Irlanda, dal Portogallo alla Spagna, con sullo sfondo le minacce di destabilizzazione dell’euro, ci spingono a cercare di mettere, per quanto possibile, alcuni punti fermi sulle questioni in gioco, cosa peraltro abbastanza difficile. Nel testo faremo riferimento in particolare, tra l’altro, a quanto è sinora emerso in proposito sulla grande stampa internazionale, nonché a un pamphlet pubblicato di recente con la firma di un certo numero di economisti francesi, testo che peraltro metteremo presto a disposizione dei lettori del sito. Riprenderemo, inoltre, alcuni concetti già espressi in un articolo scritto per questo stesso sito circa un anno fa, in data 12 maggio 2010 e che ci sembra che restino ancora validi.

Analizziamo quindi brevemente i punti che ci sembrano rilevanti.

martedì 7 giugno 2011

Come resistere al golpe.


di Carlo Formenti. Fonte: alfabeta2
Nessuna regola costituzionale può impedire che una democrazia si converta in regime autoritario. Nessun soggetto istituzionale super partes (Corti costituzionali, Presidenti, sovrani) ha mai impedito l’ascesa del duce di turno: non ne furono capaci né lo vollero – fra gli altri – Vittorio Emanuele III e Hinderburg. Ecco perché ritengo impraticabile la soluzione ventilata da Asor Rosa, il quale, su un numero del «manifesto» di qualche settimana fa, ha auspicato la possibilità di porre fine al regime berlusconiano attraverso un imprecisato intervento dall’alto, cui spetterebbe il compito di proclamare una sorta di schmittiano «Stato di eccezione». Impraticabile ma non, come si è sproloquiato da destra e da sinistra, «sovversiva»: in primo luogo perché un processo sovversivo è già in atto da tempo, poi perché il discorso di Asor Rosa pecca, semmai, di moderazione.

Premetto che, a mio parere, la democrazia – non solo in Italia – è finita da un pezzo, ma non credo che ciò significhi che assisteremo di nuovo ad arresti di massa, campi di concentramento e altri orrori di novecentesca memoria. È vero che la logica del regime richiede da un lato l’emarginazione di giornalisti, giudici e professori «comunisti» (qualifica attribuita a chiunque manifesti il proprio dissenso), dall’altro lato la manipolazione delle regole del gioco e la corruzione sistematica per rendere impossibile ogni forma di alternanza; tuttavia, in un’era caratterizzata dalla governance e dal soft power, è improbabile che si arrivi all’eliminazione fisica dei nemici: basta neutralizzarli. Gli unici a vedersi negare anche i più elementari diritti civili saranno – già sono – i migranti, eletti a capro espiatorio della frustrazione e della rabbia delle popolazioni autoctone immiserite dalla crisi.

L’acqua inonda la politica


di Guido Viale, da il manifesto, 7 giugno 2011 - Fonte

Che cosa lega i risultati dei referendum - se riusciranno a scavalcare i cavalli di frisia della Corte Costituzionale e del quorum - al "vento che cambia" delle ultime elezioni amministrative (un vento sempre più simile a quello che riempie le piazze di Atene e della Spagna contro l'azzeramento di ogni aspettativa per le nuove - e le vecchie - generazioni, ma che ha un preciso riscontro nelle rivolte che stanno cambiando il panorama politico del Mediterraneo e del Medio Oriente)? Per rimanere in Italia, con un occhio però ai paesi vicini, e al di là del ripudio di un modo di governare e di uno stile di vita che si è imposto per due decenni e più a tutto il paese, uno dei punti su cui tenere gli occhi puntati sono le opportunità che si aprirebbero con l'abrogazione dell'art. 23 bis della finanziaria 2008 (la norma che impone privatizzazione e svendita dei servizi pubblici locali), restituendo a sindaci e amministrazioni comunali le leve di una politica economica e industriale: quella che governo e opposizione, prigionieri del pensiero unico secondo cui non ci sono alternative al dominio dei mercati e della finanza, hanno da tempo rinunciato anche solo a formulare. Il quesito referendario restituisce ai sindaci - se lo vogliono - la possibilità di disporre di un insieme di "bracci operativi" per realizzare il loro mandato: che non è svendere il territorio per incassare oneri urbanistici al posto dell'Ici, o "salvare l'ordine pubblico" minacciato dai migranti musulmani; ma mettere in grado di governarsi tutti coloro che abitano su un territorio.Il quesito investe tutti i servizi pubblici locali e non solo l'acqua, anche se l'acqua esemplifica bene la svolta possibile. Perché si tratta di trasformare migliaia e migliaia di cittadini che hanno promosso o sostenuto la campagna referendaria il referente obbligato di una nuova modalità di gestione delle risorse: bilanci trasparenti, dibattito pubblico sugli indirizzi a livelli quanto più decentrati, diritto di ispezione e controllo su tutti gli aspetti della gestione.
GOOD MORNING,YOUNG ITALY

lunedì 6 giugno 2011

Napoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettorale.



QUESTO REFERENDUM E' UN'ELEZIONE
Napoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettorale
di Riccardo Orioles. Fonte: ucuntu
Le maggiori società industriali quotate in Borsa a Milano hanno chiuso il 2010 (analisi R&S-Sole24Ore) con un aumento medio del margine operativo netto del 19 per cento, e dei profitti del 29 per cento. Il margine della Fiat sale del 108 per cento ma la sua quota di mercato è scesa, in Italia, del 30 per cento. Marchionne, in altre parole, ha perso un terzo delle vendite, ma ha raddoppiato i profitti.

Ecco: il dato della politica italiana è tutto qua. Questi diciassette anni non sono stati gli anni di Berlusconi (anche), sono stati principalmente gli anni degli imprenditori. Elegantemente col centrosinistra, rozzamente con le varie destre, la Confindustria ha gestito il Paese ininterrottamente e a modo suo. L'industria (che rende meno della finanza) se n'è andata; il precariato ha sostituito il lavoro; è stato privatizzato, cioè regalato a privati, tutto il privatizzabile tranne (finora) i carabinieri. Le principali catastrofi sono state portate a compimento dalla destra ma cominciate, con le migliori intenzioni, da noialtri: la “riforma” dell'università comincia negli anni '90, e allora non c'era ancora la Gelmini.

* * *

Gli italiani, a Milano e a Napoli, hanno votato (o non sono andati a votare, come hanno fatto molti elettori di destra) soprattutto su questo. Hanno votato bene, perché i partiti e i politici non sono tutti uguali; c'è una gran differenza fra un teppista alla Bossi e un brav'uomo come Bersani. Ma di Fiat, nel complesso, non s'è parlato.

C'è nostalgia per la Repubblica, per tempi di minore ferocia e più civili; gli operai vanno trattati meglio, la mafia è una cosa brutta, l'Italia deve restare unita, non bisogna portarsi a letto le ragazzine. Ma di precarietà e di fabbrica s'è parlato – concretamente – molto poco. A tutt'oggi nessuno ha preso concretamente posizione contro Marchionne e se qualcuno parlasse di nazionalizzare la Fiat (cosa che in Germania sarebbe stata probabilmente presa in seria considerazione) verrebbe preso per matto o peggio per comunista.

Αγανακτισμένοι στην Ελλάδα: Μισό εκατομμύριο Αγανακτισμένοι βούλιαξαν το Σύνταγμα. 500.000 indignados ieri a Syndagma!







Obama, giù le mani dalle nostre rivoluzioni!


Fonte: senzasoste

Pubblichiamo questo articolo tradotto dalla redazione di Medarabnews del giornalista freelance Soumaya Ghannoushi apparso sul Guardian pochi giorni fa. Ghannoushi considerando il discorso di Obama e l'annuncio dei provvedimenti di "sostegno" ai governi di transizione egiziano e tunisino, e alla primavera araba riesce ad esprimere perfettamente l'opinione (e gli interessi) dei movimenti rivoluzionari e per il cambiamento nei paesi arabi, che fin dalle origini si sono manifestati come contrari ed opposti a quelli delle potenze occidetali. Le piazze arabe insorgenti si rivologono agli USA e all'Europa orientati da profonda e massificata inimicizia e ostilità.
Aver buttato giu Rais e lottare per smantellarne i regimi è nella prospettiva dei rivoltosi una lotta anche contro i regimi liberl-democratici occidentali e le cricche che li rappresentano e governano, considerati primi artefici delle sofferenze e delle atrocità subite a causa dei proprio vassalli arabi. Gli entusiasti della rivoluzione del gelsomino, i cooperanti colorati e arancioni, gli attivisti polacchi avranno un bel da fare per imporre le linee di credito con cui gli Usa e l'Unione Europea vogliono tornare a strozzare il proletariato arabo, cercando di consolidare i processi di normalizzazione e neutralizzazione delle istanze di trasformazione in atto un pò ovunque nella sponda sud del mediterraneo. tratto da www.infoaut.org - 2 giugno 2011

Obama, giù le mani dalle nostre rivoluzioni!

La prima ondata delle rivoluzioni arabe sta entrando nella seconda fase, che riguarda lo smantellamento delle strutture del potere autoritario e l’inizio del difficile cammino verso il vero cambiamento e la democrazia. Gli Stati Uniti, inizialmente spaesati per la perdita dei loro alleati chiave nella regione, sono ora determinati a dettare il corso e il risultato di queste rivoluzioni in atto.

Referendum, quattro sì per voltare pagina.


di Marco Travaglio - Fonte Qui
Buongiorno a tutti, domenica 12 e lunedì 13 giugno andremo a votare, almeno io andrò a votare, spero lo facciate tutti voi e portiate gente possibile a votare indipendentemente dal cosa poi si voterà, per 4 referendum, per dire sì o no a 4 quesiti che propongono di abolire 4 leggi. 4 norme: la prima lo sappiamo, riguarda il legittimo impedimento, la seconda riguarda il nucleare, la terza e la quarta riguardano la privatizzazione della gestione dei servizi idrici, dell’acqua, si sa poco o nulla di questi referendum se non in generale, se non che si terranno sul dettaglio, il colore delle schede, cosa prevedono i vari quesiti, cosa succede se vince il sì, cosa succede se vince il no, cosa succede se non si raggiunge il quorum, mistero, allora cerchiamo di fare chiarezza in termini molto semplici, spero, senza entrare nei tecnicismi, ma dando un’informazione completa di quello che ci aspetta domenica e lunedì fino alle 15 quando entreremo nel seggio e nella cabina elettorale con 4 schede in mano.
ISRAEL against the stone throwers; 23 dead,300 wounded

"a little Golan sin..." "...Obama will understand..."

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