Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 7 settembre 2013

Intervista a Giacché: “Ma quale ripresa, la disoccupazione potrebbe aumentare”

Fonte: liberazione.it | Autore: Fabio Sebastiani
                             
L’Italia non si sblocca dalla recessione mentre gli altri paesi, stando ai numeri, sembra abbiano imboccato una strada per uscire. Quali conseguenze?
Più ancora della differenza tra noi e gli altri è imporante vedere la differenza tra noi oggi e come eravamo qualche anno fa. A fine anno avremo perso 8,5 punti di prodotto rispetto a prima della crisi. E’ un risultato peggiore rispetto alla crisi del ‘29, dove dopo sei anni si era agli stessi livelli dell’anno di partenza. La produzione ha perso il 23%, e c’è stata una caduta degli investimenti catastrofica, con 31% in meno nel settore industria e -28% nelle costruzioni. Intanto, per i consumi arriviamo a un meno sette e mezzo. Questa è la situazione, tutto il resto sono chiacchiere. Tutto questo, a valle di una situazione in cui, per esempio, i redditi non crescevano già prima. In termini reali, la stagnazione dei redditi è dal ’92 ma con la crisi anche in termini nominali. Prima ancora di vedere come stanno gli altri, quindi, che stanno quasi tutti meglio, si tratta di capire noi cosa facciamo.

Ma paghiamo o no una tassa in più per come stiamo affrontando la crisi rispetto agli altri?
C’è una ristrutturazione pesante nel settore manifatturiero ma nel nostro caso la distruzione di capitale è stata più forte di quanto era necesario. A causa delle manovre di austerity lo stabilizzatore keynesiano ha girato nella parte sbaglata peggiorando la crescita reale e anche quella potenziale. Ed è qui che dobbiamo riflettere a fondo. Noi stiamo certamente distruggendo capacità produttiva con gioia di qualche concorrente europeo. E la capacità produttiva non è facile riscostruirla.

E per questo che la crescita anche fosse dell’1% non avrà alcun effetto sulla disoccupazione?
La caduta dell’occupazione rispetto ai dati che ho citato prima è probabilmente più bassa. C’è addirittura margine per altra caduta dell’occuapzione. E’ evidente, che quando si è perso l’8,5% che poi si riprenad a lo 0.5% non si recupera certo sul piano occupazionale. E poi c’è un problema di struttura. Non puoi lavorare su questi dati con aggiustamenti di piccola portata. Non puoi pensare che con le limate su Irpef e Imu vai da qualche parte. Siamo di fronte a un delirio surrealistico. L’idea che levi la micropatrimoniale e la trasformi in una tassa per gli inquilini è una follia. Rispetto a questo stiamo parlando di un altro tema.

E invece qual è il tema?
Abbiamo vissuto con la cessione del debito pubblico che è una derivata di tutto il discorso sull’economia e la ripresa, e non certamente un tema di politica economica. Stiamo andando a sbattere contro gli scogli mentre guardiamo da un’altra parte.

E cosa servirebbe invece?
Politiche molto energiche per salvaguardare i settori industriali fondamentali. Non posiamo perdere l’acciaio e altri settori importnati. E’ del tutto evidente che il mercato da solo ha dinamiche distruttive. Un forte e qualificato intervento pubblico e quando serve anche la requisizione, consentita da codici e costituzione. Più in generale, un’idea della programmazione dello sviluppo. Far ripartire il credito alle imprese, per esempio, con una banca pubblica per il credito a medio e lungo termine. A quel punto si possono usare anche i risparmi dei cittadini.

Volevo tornare alla domanda iniziale per capire se questo scarto di cui dicevamo ha una qualche attinenza con la divisione internazionale della produzione.
La distruzione di capacità produttiva è pilotata da una parte dell’Europa, la stessa che, in questo modo, tutela la propria capacità produttiva. Qui in Europa è successo che, complici le questioni valutarie e la deflazione salariale tedesca, la Germania sia diventata una macchina mercantilista perfetta non per esportare in Cina ma dentro l’Europa. Questa dinamica ci costringe alla deflazione salariale che di fatto comprime la crescita attraverso la mancata ripresa dei consumi. L’agenda la dobbiamo decidere noi e non qualcun altro. Tema degli interessi nazionali e dei ceti più deboli. Chiudere quindi la fase dei compiti a casa. Erano quelli sbagliati e ora è venuto il momento di decidere il nostro destino cominciando con il salvaguardare l’occupazione.

Un’assemblea che apre una speranza

Autore: Paolo Ferrero
                   
L’assemblea convocata per domani a Roma da Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky è molto importante.
Innanzitutto sarà il punto di partenza per una mobilitazione per la Costituzione e per il lavoro in vista della manifestazione del 12 di ottobre. Domani si apre anche in Italia – come negli altri paesi europei – un percorso di mobilitazione sociale e politica sui nodi di fondo delle politiche governative. Si tratta di un passaggio rilevantissimo perché non può sfuggire a nessuno che dopo il massacro sociale del governo Monti, il governo Letta procede a passi tanto felpati quanto rapidi alle privatizzazioni ed allo stravolgimento della Costituzione in senso presidenziale. Questo attacco alla Costituzione avviene con il consenso di larghissima parte del sistema politico e dei mass media e nel sostanziale disinteresse del paese. Anche perché la crisi macina le vite ma anche le coscienze e la mancanza di lavoro e di soldi tende a far passare in secondo piano i problemi della democrazia. Il rischio concreto è che la crisi sociale impastata con la crisi della politica produca un consenso passivo alla proposta neoautoritaria del presidenzialismo e allo scardinamento delle istituzioni democratiche.
Per questo è importante che la battaglia per la difesa della Costituzione sia intrecciata ad una battaglia per il lavoro, per l’attuazione della Costituzione. Solo tenendo insieme questione sociale e questione democratica, occupazione, salario e Costituzione, è possibile fare una battaglia efficace, costruire una mobilitazione di massa.
L’apertura di un percorso di mobilitazione sui temi del lavoro e della democrazia è quindi la strada per superare la drammatica situazione di impotente solitudine che vivono milioni di uomini e donne, per ricostruire percorsi, identità e lotte collettive.
L’assemblea di domani può essere importante per un secondo motivo. Può aprire una discussione su come costruire un punto di riferimento per quelle decine e decine di migliaia di uomini e di donne di sinistra, che fanno politica in mille forme diverse, ma che non sanno dove sbattere la testa. Oramai è evidente anche ai ciechi che il centrosinistra – in tutte le sue varianti – non fornisce alcuna risposta a questo quesito. Con Renzi – già incoronato anche da SEL – le cose semplicemente peggioreranno. Così come è evidente che Grillo non da una risposta a questa esigenza: la gestione aziendalistica e autoritaria del movimento 5 stelle sono il contrario della ricostruzione di un protagonismo di massa di cui abbiamo bisogno.
Il tema posto è quello della costruzione di una sinistra che sia in grado di proporre una alternativa al neoliberismo e quindi di avanzare un progetto di democratizzazione della vita quotidiana, di redistribuzione del reddito, del lavoro, del potere, di riconversione ambientale e sociale dell’economia. Una sinistra che a partire da questo progetto di alternativa si incontri con le forze della sinistra europea e si definisca come alternativa alle forze che compongono il governo. In un mondo in cui il Democratico Obama e il socialista Hollande si presentano come i maggiori guerrafondai dell’occidente vi è bisogno di una sinistra vera, autonoma ed alternativa.
Questo nodo sarà presente nella discussione di domani e noi proporremo di affrontarlo evitando di ripercorrere gli errori del passato. Non ha funzionato la Federazione della Sinistra così come non ha funzionato Rivoluzione Civile: Non funzionano le ambiguità nel rapporto con il centro sinistra e i patti di vertice a cui siamo stati costretti. Non si tratta di fare un nuovo partito: si tratta di dar vita ad un spazio pubblico della sinistra basato sul principio della democrazia e della partecipazione, in cui a partire da un comune progetto politico e da regole condivise, si possa ricostruire una comunità di dibattito e di azione civile, culturale e politica.
Per questo domani saremo in assemblea a Roma. L’autorevolezza e la serietà di chi ha convocato l’assemblea costituisce un fattore non secondario delle speranze che in essa riponiamo. L’obiettivo, al fondo, è dar vita ad una assemblea che rovesci il significato storico che l’8 settembre ha assunto nel nostro paese.

Atene licenzia gli olimpionici

900 atleti in mobilità - controlacrisi
Posto fisso per gli olimpionici? Atene li licenza. Ad annunciarlo è stato il neo ministro delle Riforme, Kyriakos Mitsotakis, in un incontro con le Federazioni olimpiche elleniche.

La legge 2725/99, quella che permetteva di premiare i greci che si distinguevano per meriti sportivi con un'assunzione pagato dallo Stato, è finita anch'essa nel mirino di Ue, Bce e Fmi. Gli atleti compresi i medagliati dei Giochi, finiranno in mobilità come dipendenti qualsiasi.
La legge, di 15 anni fa, ad oggi avrebbe garantito lo stipendio a 900 campioni nazionali dello sport di Atene. "Noi lavoreremo per far cambaire idea alla Troika", avrebbe dichiarato Mitsotakis secondo il quotidiano ToVima. Il piano di tagli agli organici (Atene ha promesso di licenziare 15mila dipendenti statali entro fine 2014 per sbloccare le ultime tranche di aiuti) non risparmierà però nemmeno i campioni che lavorano nelle entità pubbliche destinate alla chiusura: finiranno per 8 mesi in mobilità con lo stipendio ridotto all'80%. E poi, se non si troverà un altro posto per loro, si ritroveranno per strada senza una busta paga a un'età in cui le uniche Olimpiadi cui possono partecipare, nel caso, sono quelle "Master" per gli ultra quarantenni".

A scendere in campo per difendere i simboli dello sport ellenico la sinistra radicale di Syriza: "Noi siamo contro i tagli al pubblico impiego in assoluto - ha scritto in una nota il principale partito d'opposizione -. Ma i Campioni olimpici a maggior ragione sono dipendenti diversi dagli altri e questo è un modo di dividere gli atleti per far tacere le voci di dissenso".

giovedì 5 settembre 2013

la guerra dei bugiardi al cubo

Giulietto Chiesa
Il 2013 finirà in guerra. Il colpo contro Damasco viene presentato come "limitato", "breve", come un "avvertimento". È un trucco per una guerra lunga.

Redazione
giovedì 5 settembre 2013 17:21



di Giulietto Chiesa
da La Voce delle Voci di settembre 2013.

Con tutta probabilità il 2013 finirà in guerra. Il colpo contro Damasco viene presentato come "limitato", "breve", come un "avvertimento". In realtà è solo un trucco (questa è una storia di trucchi) per cominciare una guerra lunga. Quanto lunga? Infinita. Cioè fino alla fine. La nostra fine, quella di coloro che leggono queste righe.

In realtà è la prosecuzione di una guerra che cominciò l'11 settembre 2001, ma furono in pochi ad accorgersene. E non se ne accorsero perché non avevano capito che l'Impero era entrato in una crisi ormai irreversibile, e che stava cercando di predisporre gli strumenti politici, militari, psicologici per cambiare il corso della storia, e prolungare a tutti i costi (nostri) il suo potere.
Siamo dunque in guerra da dodici anni, ma facciamo fatica a capire come mai le cose vanno sempre peggio e come mai gli eventi accelerano la loro caduta verso il basso.
È perché, di nuovo, non abbiamo capito bene quello che sta succedendo.

Kosovo, Afghanistan, Iraq, "primavere arabe", Libia, colpo di stato in Egitto, erano e sono mosse della stessa partita.
Quella siriana è l'ultima in ordine di tempo, ma non è l'ultima affatto.
Come sa ogni discreto giocatore di scacchi, non si può vincere nessuna partita se non si sa prevedere le mosse successive. Quella dopo sarà l'Iran. E ogni passo in avanti delle pedine sarà più grave del precedente, poiché l'Impero ha perso il controllo e la sua "cura" della crisi è peggio della malattia. Non funziona. E sapete perché? Perché Impero vuole dire crescita infinita. E la crescita infinita è invece "finita".

È finita "l'era dell'abbondanza" ed è cominciata "l'era dell' insufficienza". E, se si poteva convincere, costringere a comprare tutto il comprabile, con il fascino della bellezza e, appunto, dell'abbondanza, è molto difficile convincere la gente a tirare la cinghia. Ci vuole la violenza per ottenere questo risultato. Diciamo dunque che ci stanno facendo entrare nella fase pedagogica in cui dobbiamo imparare a subire la violenza.

Ma c'è grande confusione sotto il cielo. Questo nuovo avvitamento ha un che di stralunato. Anche i Padroni Universali pare siano sotto l'urgenza del tempo. Dunque pasticciano. Le guerre precedenti erano state preparate decisamente meglio. Questa sembra avviarsi nel mezzo di convulsioni gravi. Il Parlamento britannico si ribella e mette alle corde Cameron.
Obama è costretto a fare marcia indietro e a chiedere il parere del Congresso. Lo avrà, io penso, ma sarà utile ricordare che Obama prende una tale decisione contro la volontà di tutto lo staff del proprio Consiglio di Sicurezza. E sapete con quale argomento? Questo, in sintesi: potremmo attaccare senza l'avallo del Congresso, ma dobbiamo sapere che, dopo (la "mossa successiva" di cui ho parlato prima, ndr) quando dovremo andare contro l'Iran, cioè quando dovremo lanciare una nuova guerra di grandi proporzioni non limitata nel tempo e negli obiettivi, allora avremo bisogno di un'autorizzazione formale. Dunque è meglio chiederla anche ora. L'ha riferito il New York Times e io ho una grande fiducia nel New York Timesquando annuncia la guerra.
Questa è stata la ragione del rinvio dell'attacco. Che sarà solo di qualche giorno. Le lobbies filoisraeliana e filosaudita che manovrano a Washington avranno facilmente ragione di ogni titubanza.
L'America, quando sono in gioco le sorti dell'Impero, non si divide.
Per ora.
E i sondaggi dicono tutti che il 60% degli americani è pronto a sostenere un attacco contro l'Iran. Dunque si proceda. Singolare, e curioso (ma poiché siamo in pieno delirio possiamo anche ridere un po'), gl'ispiratori principali di questa guerra, e della prossima, sono i fondamentalisti religiosi: i capi sionisti di Israele e i capi wahhabiti dell'Arabia Saudita. Entrambi decisi a stroncare la serpe sciita di Teheran.

Dunque la guerra imperiale è ora sotto l'egida di una specie di, congiunta, guerra di religione. Suggerisco di non sottovalutarne il significato, specie agli ottimisti (che abbondano sempre): quando Dioentra in questa sindrome, la legge di Murphy ("se le cose possono andare peggio, vuol dire che finiranno peggio") diventa inesorabile.
Il fatto è che gli Stati Uniti non hanno più una linea che sia la loro. Dell'Impero rappresentavano il braccio statuale armato. Ma come stato dovrebbero anche sottostare a certe regole. Almeno ad alcune. E qui viene il problema perché anche in Occidente cominciano a manifestarsi incrinature, che prima non c'erano. I Masters of The Universe vogliono andare allo scontro con il resto del mondo, perché sono consapevoli che ogni alternativa di pace e di cooperazione dev'essere esclusa, in quanto sancisce la fine dell'Impero.
Ma il resto del mondo non è virtuale: c'è la Cina, e anche la Russia. Ci sono sei miliardi d'individui che vogliono vivere e non solo sopravvivere.
E' qui che frana l'America, che non è più in grado di gestire le convulsioni.
Diciamo chestiamo osservando una crisi di egemonia. C'è una gran confusione. Ci sono diversi attori, ormai potenti, che parlano. Perfino la Bonino, ministro degli esteri di un paese inesistente, osa fare dei distinguo. Non s'era mai vista una cosa del genere.
Il Papa di Roma (lunga vita a Papa Luciani!) sembra un pezzo anomalo di una macchina che cammina a stento. Vede la terza guerra mondiale e, per giunta, lo dice senza neanche chiedere l'autorizzazione di Washington. A differenza del Beato Giovanni Paolo II, non ha da rendere conto del miliarduccio di dollari che ricevette per versarlo a Solidarność. E dunque parla. E digiuna: che disastro d'immagine per Obama. Che andrà in guerra, ma con l'Occidente spaccato, con al seguito solo il burattino Hollande, che è stato eletto con i voti di sinistra. Si procederà a vista, o la va o la spacca. Poi ci si affaccerà sui confini dell'Iran.

Ma bisogna guardarsi dai sempliciotti che sognano una reazione militare immediata di Mosca, tanto meno di Pechino. Non ci sarà nessuna reazione militare. Mosca e Pechino rispondono e risponderanno asimmetricamente. Non sono sciocchi e vogliono aspettare seduti sulla riva del fiume . Lo scontro vero - che nessuno oggi può sapere quali dimensioni e forme assumerà, anche perché nessuno sa con precisione quali armi saranno messe in funzione - è ancora in preparazione e richiederà un certo periodo di tempo, molte verifiche sul campo, molto studio di mosse e contromosse reciproche.

Ma l'accelerazione si vede e si sente. Avete presente come si muove una valanga? Avete presente che tra il 1929 e il 1939 (inizio della seconda guerra mondiale) ci furono dieci anni? Avete presente che l'esplosione della finanza mondiale cominciò nel 2008? Aggiungete dieci anni e farà 2018.
Lo so che la storia non si ripete mai. Ma la stupidità umana (specie quella delle élites dirigenti) è una costante universale.
E, se osserviamo l'impazzimento generale che contraddistingue perfino i mentitori, i gatekeepers, dovremmo essere molto preoccupati. Perché si può mentire in modo credibile, raccattando argomenti dai rigattieri del buon senso. Ma qui siamo di fronte a portavoce che non solo si contraddicono, ma mentono senza argomenti. Bugiardi senza idee, che ripetono a pappagallo ciò che viene detto loro di comunicare.
Tutto il mainstream, dai Ferrara, ai Cazzullo, agli Zucconi, ai De Bortoli, ai Lerner, alle Botteri , danno per acquisito (cioè che Assad ha usato armi chimiche) senza nemmeno soffermarsi un istante sulle prove: che mancano inesorabilmente. E mancheranno anche dopo, sicché la menzogna è già lì, tutta nuda. Eppure non la vedono e la ripetono con sguardi ebeti, incuranti di ogni vergogna, forti dell'impunità che viene loro garantita, insieme agli stipendi che prendono a fine mese. Preoccupante perché già ci annuncia come strilleranno al primo bombardamento sull'Iran. Titolano già ora affibbiando a Bashar frasi che non ha detto, minacce che non ha proferito. Figuriamoci cosa diranno contro gli ayatollah!

Siamo in un acquitrino miasmatico pieno di flatulenze insopportabili che dimostrano lesioni cerebrali e intestinali ormai irrimediabili. Attenzione che questi ci stanno preparando la guerra in casa. E lo faranno fino a che non andremo a stanarli nei loro studi elettronici e non li costringeremo - com'è nostro diritto - a dirci perché hanno mentito sapendo di mentire. E poi li licenzieremo, perché fanno il mestiere senza autorizzazione deontologica.

Infatti abbiamo le prove - noi le abbiamo, le prove - che mentono. Perché basterebbe che andassero a leggere le notizie che pullulano nel web, verificabili, provate, certe, per scoprire che la guerra si fa per cause completamente diverse da quelle, presuntamente umanitarie, che loro invocano.
Ci sono, tra loro, quelli - come Giuliano Ferrara, ex agente informatore della CIA - che, con simpatica e totale improntitudine, ci comunicano perfino che le ragioni umanitarie sono un inutile orpello per indorare la brutalità degl'interessi dell'Impero. Meglio lui, nella sua tracotanza, che i giornalisti e direttori televisivi vigliacchi che, con le loro unte parole, svitano le spolette che uccideranno i civili siriani.

Dunque non ci resta che prepararci. Questo significa dire, chiaro e tondo, che la pace è l'unico modo per sopravvivere. Il che significa che dobbiamo costruire di nuovo un immenso movimento pacifista, italiano, europeo, mondiale.
Dobbiamo preparare ogni forma di resistenza alla guerra . Questa è una parola d'ordine che raccoglie il consenso della stragrande maggioranza. Lo sappiamo. Qui si va con la corrente, non contro la corrente. Solo che bisogna remare in tanti.

E ancora una piccola notazione. L'avvitamento della crisi ha messo in ombra l'Europa e anche tante chiacchiere sull'euro e sulla sovranità monetaria. Si vede che l'accento è altrove. L'Europa, questa penosa Europa, non è il centro della crisi. La crisi - vista nella sua accezione immediata, quella che si sta bruciando nel panico di questi mesi - è finanziaria e mondiale, ma è anche energetica e mondiale, ma anche climatica e mondiale. È questo il contesto dentro cui, volenti o nolenti, saremo chiamati a batterci. È evidente che crisi finanziaria e militare non si elideranno vicendevolmente, ma si sommeranno in modo devastante, straripando in crisi politiche, in governi che cadranno, in fantocci che risorgeranno come zombie. Le Costituzioni saranno stracciate. Tutto ciò nell'arco di una manciata di mesi. È questione di attualità. Lo richiamo perché, ancora una volta, dobbiamo ricordare, anche a noi stessi, che avevamo ragione noi, che venivamo definiti catastrofisti. Ancora oggi mi sento ripetere, talvolta, che il nostro compito è "dare speranze". Certo la speranza è bella, ma penso sempre di più che, se lo facessimo, faremmo un errore grave. È più che mai il momento della verità, visto che siamo nell'era della menzogna.

mercoledì 4 settembre 2013

Siria: Obama e i suoi accoliti sono dei bugiardi

 
  • L’aria ai denti data sulla questione siriana – dopo due anni di silenzio di fronte ad una guerra civile sanguinosissima – ha raggiunto livelli emetici, sia sulla carta stampata italiana – a cura dei sempredesti scriba ignoranti e nemmeno prezzolati, solo proprio ignoranti come capre e con encefalogramma piatto – che sulle televisioni, dove i pareri defecati dai vari esperti e commentatori ci hanno fatto ricordare Alì il Chimico detto Alì il comico. A parte questa testata dove scrivo (per chi non capisce: IL MANIFESTO) ho visto – per il 90% – vergognosa immondizia. Un po’ meglio nei blog e sulle fonti online, e su questo discorso di dove stia davvero l’informazione oggi dovremo ritornare con un approfondimento.
    Volevo evitare di unirmi al coro di belati. Davvero.
    Oggi però leggo sul Guardian, che a quanto pare non è un giornale statunitense, ma un foglio propagandistico dei comunisti siriani: http://guardianlv.com/2013/08/syrian-chemical-weapons-attack-carried-out-by-rebels-says-un/
    (NOTA: quella di cui sopra è una battuta ironica, lo dico, amici lettori, perché sembra incredibile ma uno mi ha scritto facendomi una lezioncina avente come incipit che un giornale comunista siriano non è una fonte attendibile. Finora, in un anno di commenti, coppa primo premio di acume cerebrale)
    “The chemical attack earlier this year was widely blamed on the Syrian regime. It is this attack that the UN now concludes was carried out by Syrian rebels. It appears unlikely – for a number of reasons – that the most recent August 21st attack was carried out by government forces – despite the rush to judgement within the international community”
    TRADUZIONE
    “L’attacco con armi chimiche fatto all’inizio dell’anno (aprile, ndr) è stato attribuito al regime Siriano. E’ stato invece accertato dalle Nazioni Unite che è stato condotto dai ribelli siriani. Sembra improbabile, per molti motivi, che l’attacco del 21 agosto sia stato condotto dal governo siriano, nonostante il giudizio affrettato della Comunità internazionale.”
    Ora gradirei fare QUATTRO DOMANDE al signor Obama, al signor Kerry, e a tutti i vari scodinzolatori e schiavi che stanno loro dietro, ultimo per dignità e livello di vergogna il governo italiano:
    1) Perché non avete protestato inhorriditi per l’attacco con armi chimiche di APRILE?
    2) Perché non dite che è stato fatto dai ribelli e che quindi COME MINIMO tutte e due le parti hanno armi chimiche ed una parte (I RIBELLI) le hanno già usate di sicuro?
    3) Perché non aspettate le conclusioni dell’ispezione ONU, almeno? Avete forse paura che concluda – come altamente probabile – che sono stati i ribelli a usare armi chimiche?
    4) Le migliaia di morti che farete bombardando senza armi chimiche sono un effetto collaterale inevitabile dei duecento morti con armi chimiche e che avete fotografato dopo averli raccolti in giro qua e là e tenuti sotto ghiaccio per qualche giorno per fabbricare la pistola fumante?
    Per quest’ultimo punto, vedi foto su questo articolo e prove in questo link.
    http://informare.over-blog.it/m/article-119714647.html
    La storia si ripete e i mentitori e i creduloni (massime, i pacifinti inhorriditi e attoniti) rigiocano la stessa danza macabra: mentivano nel 1999 sulla Jugoslavia, mentivano sull’Iraq, mentivano sull’Afghanistan, mentivano sulla Libia.
    Se Assad è un “sanguinario dittatore”, voialtri, signori della guerra capitalista travestita da intervento umanitario, distruttori del pianeta, assassini con i droni ed in poltroncina degli aerei, missilisti, potete essere definiti con un solo termine: criminali di guerra.
    Bambini messi sotto ghiaccio per preparare in tempo le foto dell'attacco chimico. Da http://informare.over-blog.it/m/article-119714647.html
    Bambini messi sotto ghiaccio per preparare in tempo le foto dell’attacco chimico.
    Da http://informare.over-blog.it/m/article-119714647.html

Sulla ricchezza e sulla povertà

MATTEO PUCCIARELLI –

mpucciarelli2La celebre è di un socialdemocratico serio e rigoroso come fu lo svedese Olof Palme: «Noi non siamo contro la ricchezza ma contro la povertà. La ricchezza, per noi, non è una colpa da espiare, ma un legittimo obiettivo da perseguire. Ma la ricchezza non può non essere anche una responsabilità da esercitare». Frase cara anche a Walter Veltroni, che la ripeteva spesso ma scordandosi sempre l’ultima frase, magari non per caso («Ma la ricchezza non può non essere anche una responsabilità da esercitare»).

Probabilmente Palme non aveva in mente, né poteva immaginare che livello di ricchezza – così sfacciato, pacchiano, inutile, ingiustificato – avrebbero raggiunto i moderni paperoni, ben descritti dalla puntata di Presa Diretta. Allora forse (forse, sottolineo) avrebbe pensato anche lui che questa ricchezza è tutto fuorché bella e legittima. Questa ricchezza, che è ben lontana dallo “stare bene” a cui aspiriamo, è semmai indecente e immorale. Disturba quasi i sensi, e non è questione di invidia quanto di umanità. Perché quella ricchezza non si fonda sulle capacità del singolo (il famoso e mitizzato “merito”) ma sulla contemporanea povertà di centinaia se non migliaia di propri simili.
Una cosa esclude l’altra: se sono ricco io siete poveri voi; ma se non sono ricco io, forse stiamo meglio tutti. Senza scomodare gli economisti di fama o lo spettro del comunismo, basta rifarsi alla semplice osservazione della realtà. Le risorse del pianeta sono limitate, non infinite. Le fette di torta sono contate e se qualcuno ne ha di più, qualcun altro ne ha di meno. L’attico nel quartiere chic Chelsea a Londra con la Lamborghini parcheggiata fuori si regge sulla contemporanea esistenza di una favela brasiliana o di un caseggiato popolare in una nostra periferia.
La grande balla post ideologica sta nell’accusa rivolta alla sinistra – che furbescamente ci è cascata subito, orfana della propria storia: «Voi odiate i ricchi, voi volete l’uguaglianza nella povertà». Invece no, invece si diventa di sinistra proprio perché non si sopporta il disagio sociale. L’uguaglianza è nel progresso, non nella regressione. E il progresso è collettivo, non individuale. Il progresso di domani passa per la redistribuzione di oggi, e la redistribuzione passa giocoforza dai ricchi.
Fa impressione, più che altro, che un ragionamento del genere degno della politica insegnata a un bambino venga considerato così scomodo proprio a sinistra (o fu sinistra). Toccare i ricchi è un tabù, con noi rimasti vittime della teoria – sempre smentita dai fatti, come ha spiegato in lungo e in largo Luciano Gallino – secondo la quale più i ricchi aumentano il proprio patrimonio e più si sta bene tutti perché poi ci penseranno loro stessi a distribuire. Noi in balia di schiere di neo illuminati che difendono strenuamente l’ideale della ricchezza – chissà se perché vorrebbero esserlo anche loro, e vaglielo a spiegare che quel tipo di ricchezza (sfacciata, pacchiana, inutile, ingiustificata) la felicità non te la dà, al massimo te la toglie.
Fa impressione, ancora, accorgersi come si sia smarrita completamente la base fondante del proprio essere di sinistra. Che è essenzialmente un grumo di sentimenti. Cioè la rabbia, il disgusto, la percezione di un forte senso di ingiustizia davanti alla disuguaglianza. Una rabbia mossa d’amore. Non ci si salva da soli, dicevamo una volta. Ma è l’ora del “riformismo”, e allora si salvi chi può.
Matteo Pucciarelli
(3 settembre 2013)

martedì 3 settembre 2013

Presa Diretta racconta la crisi che divide l’Italia in due

I ricchi sempre più ricchi disprezzano i poveri sempre più poveri

di Monica Capo

presadirettafotoNonostante i buoni propositi, anche ieri sera non sono riuscita a trattenermi e ho guardato “Presa Diretta” in tv, suRai3. Ho guardato, insieme a milioni di italiani che non erano sintonizzati sul concerto di Jovanotti, il racconto di un’Italia medioevale dove i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi… e sono i più ricchi d’Europa. E mi ha procurato una gastrite senza precedenti. Passino le grandi barche, le ville eleganti e i fuochi di artificio, non è la ricchezza in sé che demonizzo, ma il fatto che in questo paese la pseudosinistra che si arrogava la pretesa di rappresentarmi, banchetti con la stessa fetta di Italia che non sa neanche la crisi che faccia abbia, proprio non lo posso accettare.
È la forbice tra chi ha non ha più nulla e chi non sa che farsene dei soldi che mi fa impressione, il fatto che la ricchezza privata degli italiani sia quasi cinque volte il debito pubblico italiano, ma sia concentrata in pochissime mani. Così come mi indigna che la nobildonna Marisela Federici, la signora più chic dei salotti romani e grande organizzatrice di feste nella Capitale, si conceda il lusso di dire che chi si suicida per problemi economici più che altro ha altri tipi di problemi.
E poi… poi sono arrivati i disperati, ma più dignitosi sicuramente “di chi farnetica di crisi che non esistono”, quelli in cassa integrazione; oppure sbattuti fuori dal mondo del lavoro; quelli che si fanno il pane in casa perché non bastano i soldi per comprarlo; che fanno le file alla Caritas o per avere i farmaci. E qualcuno dice anche che il peggio deve ancora venire. Mi fa rabbia che non riusciamo a reagire, che incassiamo decisioni prese dall’alto in maniera ineluttabile, come lo spreco in spese militari di risorse che avrebbero potuto risollevare la vita di tante persone, mi fa rabbia che noi soltanto dobbiamo pagare. E penso anche che questo Paese lo sento sempre più come un nemico, e che mi sta costringendo a scappare, perché almeno i miei figli non glieli lascio macellare.

Iraq, Afghanistan, Libia e Pakistan i fronti “umanitari” di Obama

   
Iraq, Afghanistan, Libia e Pakistan i fronti “umanitari” di Obama

Pubblicato il 3 set 2013

di Emanuele Giordana – Lettera22 -
Spegnere la guerra con la guerra portando diritti e democrazia? Tredici anni di fallimenti consigliano un ripensamento. I tre (e più) fronti ancora aperti e sanguinanti
Per chi ha fa una stima dei conflitti nel mondo, come l’Atlante delle guerre che da quattro anni documenta la guerra nel pianeta, sono oltre una trentina. Tra piccoli focolai, fuochi sotto la cenere e conflitti infiniti. E se si butta l’occhio sui numeri, la più grande fucina della guerra è quella avviata negli ultimi dodici anni a partire dall’11 settembre 2001. Con nomi e codici diversi ma sempre con la motivazione di difendere la popolazione civile e far avanzare diritti e democrazia, guerre devastanti sono state messe in cantiere con l’avallo dell’Onu e, in due casi, con un cavallo di nome Nato. Sempre promosse da americani, britannici e francesi (che hanno avuto la «loro» guerra in Mali), con l’appoggio della Ue e la partecipazione dell’Italia seppur a diverso titolo. Iraq, Afghanistan e Libia sono le guerre che segneranno la storia di questi tre lustri. Con un particolare comune: non sono mai terminate, continuano a uccidere e sono state abbandonate o sono in via d’abbandono da parte dei salvatori. Guerre infinite e costose. In termini di denaro e vite. Sarebbe salutare chiedersi se abbia senso iniziarne una quarta su cui, anche i più convinti interventisti, cominciano a nutrire seri dubbi. E a domandarsi se combattere la guerra con la guerra spenga la prima o non ne alimenti all’infinito una terza.
In Libia tutto tace. La presenza occidentale è sotto tono. La stampa è disattenta su questa fucina di violenza continua. Si sono formati almeno 500 gruppi armati davanti a un esercito ridicolo, un governo fragile e un regime di impunità garantita per chi uccide o picchia una donna colpevole di aver violato le regole del pudore. Dopo il suo incontro con le autorità libiche, Gianni Letta ha detto che l’Italia intende avere un ruolo attivo, fornendo assistenza per la formazione delle strutture militari e aiutando a costruire le istituzioni, senza contare che il premier si è anche lasciato andare a menzionare il sequestro delle armi. Imprese che, in oltre dieci anni di occupazione militare, non hanno avuto molto successo in Afghanistan, l’altro fronte sanguinante della Nato (nella foto Reuters, marine a Kandahar) che, lentamente, sta cercando di uscire dalla palude (ieri i talebani hanno bruciato decine di camion di rifornimento nella zona orientale del Paese). Certo, dal 2011 al 2012 i militari stranieri deceduti sono diminuiti da quasi 600 a meno di 400. In compenso però è aumentato il numero dei soldati afgani: erano meno di 800 nel 2010, sono arrivati oltre 1100 cadaveri l’anno scorso.
In Afghanistan, da manuale, la milizia sarebbe soltanto una. Ma dieci anni di guerra hanno non solo testimoniato che i talebani hanno molte anime, fronti e strategie ma che il conflitto ha alimentato la formazione di miriadi di bande armate: solo nella provincia di Wardak ce ne sarebbero un centinaio. E che durante la gestione del generale Petraeus (modello dell’Iraq) è stata favorita la rinascita delle milizie di autodifesa: altri 30mila armati.
L’Iraq, appunto. La «missione compiuta» Usa è una guerra senza fine. Per l’Iraq Body Count i civili morti hanno superato i centomila: nel solo mese di agosto le vittime sono state 915. Sabato sono state uccise 30 persone, venerdi 21…Numerosi gli errori con quel primo peccato di superbia che fu la distruzione dell’esercito iracheno per rifarlo daccapo. Poi ci fu la pulizia col fosforo, poi Abu Ghraib e tortura diffuse. Infine la strategia di armare le milizie. Ancora una volta combattere la guerra con la guerra. Iraq, Afghanistan e Libia sono solo i fronti aperti di tre conflitti dichiarati. Ma in Pakistan c’è una vera e propria guerra mai dichiarata. Coi droni, aerei senza pilota che ora si vorrebbero usare chirurgicamente in Siria. La guerra tecnologica in Pakistan ha dato ottimi risultati: il procuratore generale dell’Alta corte di Peshawar, dopo una causa civile promossa contro la Cia da una fondazione privata, ha sentenziato che almeno 896 civili sono stati uccisi tra il 2007 e il 2012 nell’agenzia tribale del Nord Waziristan e altri 533 nel Waziristan del Sud. Grazie ai droni.

Obama, Cappuccetto Zucconi e altre fiabe

di Giorgio Cattaneo.
      - megachip -
Per il favoliere Vittorio Zucconi, gli Usa non sarebbero che una specie di Croce Rossa, periodicamente coinvolta suo malgrado in ordinari orrori [Giorgio Cattaneo]

"The impossible, made possibile": come nella pubblicità, o nelle fiabe. Tipo quella che racconta, il 31 agosto 2013, l'amabile narratore Vittorio Zucconi, una delle voci più influenti delmainstream italiano da quando sono scomparsi dalla scena i grandi giornalisti come Bocca, Biagi, Montanelli, Zavoli. Dai microfoni di "Radio Capital", l'emittente del Gruppo Espresso, prima delle ultime elezioni - fino all'ultimo giorno - Zucconi condusse una campagna senza quartiere contro Grillo, fidando nella vittoria di Bersani. Poi, già l'indomani - numeri alla mano -"scoprì" all'istante la legittimità democratica dei 5 Stelle, premendo sui "cari amici" di fede grillina perché si decidessero ad allearsi col magnifico Pd. È precisamente da quest'alta cattedra di indipendenza giornalistica che proviene la lezione destinata ai lettori di "Repubblica" alla vigilia dell'«inevitabile»conflitto tra America e resto del mondo, stavolta in territorio siriano. Per il novelliere Zucconi - e qui sta la fiaba di giornata- gli Usa sarebbero nientemeno che una specie di Croce Rossa, periodicamente coinvolta suo malgrado in ordinari orrori, a causa dell'evidente incorreggibilità dei comuni mortali che abitano il pianeta, al di qua dell'Atlantico.
«La condanna e il privilegio di chiamarsi America», nonché «la felice maledizione della propria "eccezionalità"»: ecco i motivi che «stanno conducendo di nuovo gli Stati Uniti verso un'azione militare che nessuno a Washington davvero vuole, ma che tutti sanno essere ormai inevitabile».
Il paradosso storico, aggiunge Andersen-Zucconi, è quello di una nazione «costruita per restare alla larga dai grovigli politici del mondo» e «per evitare ogni legame con altre nazioni oltre gli oceani», come voleva il padre della patria, George Washington. Paradosso che «si ripresenta con implacabile puntualità in Siria».
Uno spettacolo «spaventoso»e insieme «affascinante», addirittura: «Ècome assistere a un'eruzione vulcanica o alla discesa di una valanga, vedere muoversi oggi con Barack Obama gli stessi meccanismi che negli ultimi 150 anni, da quando gli Stati Uniti sigillarono nel sangue fraterno la loro unità, hanno portato presidenti dopo presidenti, repubblicani come democratici, isolazionisti o interventisti a essere risucchiati nel gorgo delle crisi internazionali».
Il gorgo delle crisi internazionali: il lupo cattivo in cui incappa Cappuccetto Rosso, che ovviamente non ha mai conosciuto gente come Henry Kissinger, Allen Dulles, Edgar Hoover, la famiglia Bush. Mai sentito parlare, Cappuccetto Rosso, degli squadroni della morte del Centroamerica, del Vietnam, dell'11 Settembre, delle extraordinary renditions, delle torture, delle menzogne di Stato, di posti come Guantanamo, Abu Ghraib e Fallujah. Da Sacco e Vanzetti a Salvador Allende, fino ad Aldo Moro. Cos'avevano in comune, costoro, con persone come Muhammar Gheddafi, Saddam Hussein, Thomas Sankara, Ernesto Che Guevara, Enrico Mattei, Patrick Lumumba?
Nessuno di loro, come sappiamo, è morto per cause naturali.
«La spiegazione di comodo, quella che la faciloneria dell'ideologismo antiamericano sta risfoderando anche in questi giorni, è che l'interventismo Usa sia soltanto il braccio armato degli interessi commerciali, industriali e oggi finanziari degli americani, mentre una piccola, ma tenace setta di allucinati arriva ad accusarli addirittura di creare gli incidenti che giustificano l'azione armata, dalla distruzione delle Torri Gemelle fino alla fornitura di gas ai ribelli siriani per "autogasarsi" e così provocare la spedizione punitiva contro Assad».
Questo scrive Vittorio Zucconi su "Repubblica" il 31 agosto 2013. E' vero, ammette, «non mancano episodi di false provocazioni, come l'esplosione del Maine nel porto dell'Avana o l'incidente immaginario nel Golfo del Tonchino», da cui prese avvio la tragedia criminale dell'aggressione del Vietnam.
E dimentica, il giornalista Zucconi, di citare l'episodio più grave e più appropriato: la vergognosa pantomima di Colin Powell alle Nazioni Unite nella quale, munito di fialetta da agitare sotto il naso delle telecamere, pretende di convincere il pubblico dell'esistenza delle armi di distruzione di massa di Baghdad, casus belli necessario - e spudoratamente inventato - per poter attaccare e invadere l'Iraq, deporre il regime, assassinare il dittatore (ex alleato) e precipitare il paese nel sanguinoso caos dal quale gli iracheni non sono ancora usciti.
Inutile, aggiunge l'incredibile Zucconi, tentare di «spiegare con formule paleo marxiane o neo complottiste» perché gli Usa «si lascino risucchiare in azioni armate». Lascino risucchiare?
Azioni, poi, «dalle quali non traggono né conquiste territoriali né bottini di guerra».
Già, è vero: in Iraq e nel Golfo Persico, dopotutto, non c'è che vile petrolio. Che sbadati, questi americani. Che fessi. Tanto più che «neppure l'antiamericano più allucinato può sostenere che dai 15 anni di emorragia in Vietnam, dai dodici in Afghanistan e dai dieci in Iraq, Washington abbia tratto vantaggi imperiali».
Eppure, di fronte a «tragedie inqualificabili» come quella siriana, «si alza immediatamente la richiesta di intervento americano». Da parte di chi? Dei "ribelli" - armati fino ai denti - che hanno portato la guerra civile a Damasco? Aiutati da chi? Da anni, i media indipendenti descrivono le reali dimensioni dell'impegno Usa contro la Siria: basi attivissime in Giordania e in Turchia, senza contare Israele e il ruolo di paesi come il Qatar, il Bahrein e l'Arabia Saudita. Denaro, milizie, razzi, cannoni, forze speciali infiltrate almeno dal 2011 in un paese sovrano, rappresenato all'Onu, che si è visto costretto a difendersi, anche brutalmente, impiegando addirittura l'esercito, sul proprio territorio. L'esercito siriano: 300.000 effettivi di leva, che da due anni vengono colpiti anche con artiglierie. Strano: i soldati siriani combattono e cadono, eppure non disertano. Ma perché mai annoiare con simili dettagli i fedeli lettori di "Repubblica"?
Meglio allinearsi al rassicurante immaginario di Hollywood: l'America, chiosa Zucconi, «non può fare a meno di essere l'America», cioè«il protettore e la vittima, il poliziotto e il killer nella viltà del mondo». E lo stesso Obama, «il guerriero riluttante, il titolare di un Nobel per la Pace che fece sorridere anche lui nella evidente assurdità, sta camminando, come gli eroi di tragedie greche trascinati dal destino, verso quegli errori che riconobbe e rimproverò ai predecessori».
L'eroe omerico Obama: «Non subisce certamente la seduzione del teorico di quel "Nuovo Secolo Americano" che imbambolò Bush il Giovane, ma non ha scampo».
Povero Bush il Giovane, "imbambolato" dai suoi stragisti di corte, profeti della distruzione di massa per terremotare il pianeta sbarrando la strada alla Cina. E povero Obama, che "non ha scampo". Perché «non c'è un'altra America», ma soltanto questa, «sempre più sola, sempre meno amata, sempre più indispensabile». Sarà interessante leggere quello che scriverà, il giornale di Zucconi, il giorno in cui ci dovessimo sciaguratamente ritrovare in guerra - tutti - senza neanche sapere come. Per il riassunto delle puntate precedenti, quel giorno, non basterebbe tutta la carta delle rotative di "Repubblica".



il link:
http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/31/news/la_maledizione_dell_america-65591869/?ref=HREA-1

Chi fornisce le armi ?

(Reuters) - Britain has granted billions of pounds worth of military export licenses for countries such as Syria, Iran and Libya despite proclaiming deep concerns about their human rights records, the British parliament said on Wednesday.
In a critical report, parliament's Committees on Arms Export Controls said Britain had approved licenses for weapons exports to 27 countries worth 12.3 billion pounds ($18.6 billion) highlighting the "inherent conflict" between its arms exports policy and its human rights policy.

"The government should apply significantly more cautious judgments when considering arms export license applications for goods to authoritarian regimes 'in contravention of the government's stated policy'," said John Stanley, the chairman of the committees.

It was not clear whether goods had actually been shipped to the countries for which arms export licenses had been given.

Parts for bullet-proof vehicles and underwater listening devices were approved for export to Syria while Iran licenses covered civil aircraft and a range of military electronic equipment including 80 million pounds' worth of encryption devices and software.

Britain has long been at odds with Iran over its disputed nuclear program, and with Syria, where it supports opposition groups seeking to topple President Bashar al-Assad.

It says it observes United Nations and European Union trade sanctions on Iran, as well as EU measures against Syria that had included an arms embargo which lapsed in May, mainly because Britain and France wanted the option of arming Syrian rebels.

The high number and value of the arms export licenses, details of which were released for the first time, were surprising given that the government has flagged serious human rights abuses in some of the countries, the report said.

It said such exports might contravene the government's own policy not to supply goods to countries on its list of human rights concerns where any items exported "might be used to facilitate internal repression".

The report gave details of 3,074 licenses for the export of "strategic controlled goods", which can have dual military and civilian use. The products covered by the licenses ranged from communications equipment to body armor and sniper rifles.

It said it would scrutinize whether specific exports to countries such as China, Iran, Sri Lanka and Russia complied with the government's export rules.

Prime Minister David Cameron's official spokesman said the British government had one of the most rigorous arms export control regimes in the world.

($1 = 0.6613 British pounds)

(Reporting by William James; Editing by Andrew Osborn and Alistair Lyon)

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